martedì 23 agosto 2016

VENTOTENE'S VAUDEVILLE: LA PENOSA AGONIA DELL'€UROPA SPIAGGIATA


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1. La costruzione €uropea, - contrariamente a quanto ritengono gli z€loti che vivono di luoghi comuni, facitori e vittime della propaganda neo-ordo-liberista -, è stata guidata dalla volontà USA di governare l'intero Occidente (qui p.2 e qui, per la traduzione della fonte ufficiale), assicurandosi, per la sua parte più importante (cioè il "vecchio" continente), due certezze considerate imprescindibili: 
a) ancorare il continente "madre" (o "padre") all'economia di mercato, in contrapposizione a ogni cedimento "socialista" al bolscevismo sovietico, e trascinarlo in tutte le successive evoluzioni economico-ideologiche del "mercatismo", preparatorie e posteriori alla "caduta del muro" (in particolare il Washington Consensus);
b) agevolare il conseguente perseguimento delle strategie geo-politiche ritenute opportune dagli USA stessi  - o meglio dal suo establishment sentitosi trionfatore della guerra fredda e emblema della "fine della Storia"-, in quanto naturali leaders di questo blocco omogeneo di paesi trasformati in sinergici ausiliari "liberal-liberisti": l'agevolazione consentita dall'€uropa è quella di avere un interlocutore unico allorquando occorra garantire un coordinamento politico, ossequioso della linea stabilita al centro dell'Impero, verso le aree diverse da questo blocco (come insegna la vicenda dell'Ucraina e, in misura più incerta, quella dei Balcani, della Libia e del Medioriente...).

2. Sul piano geo-politico questa strategia ha avuto alterne fortune, lamentandosi la ritrosia europea all'aggressività e alla spesa militare, ritenute indispensabili segni di riconoscenza per l'ombrello NATO garantito durante la quasi-immaginaria paranoia dei "carri armati di Stalin" (almeno a condividere l'attenta ricostruzione di un insider come Craig Roberts); ma sul piano dell'assetto economico-ideologico, si è trattato di uno straordinario successo, almeno in termini di revanche su quel paradigma keynesian-sociale che aveva caratterizzato la concessione, ai popoli europei, del welfare costituzionalizzato (al massimo grado in Italia), sacrificando, ma solo momentaneamente e comunque col presidio tattico garantito dalla Germania, l'urgenza del ripristino del capitalismo anteriore alla crisi del 1929.

Questa premessa (storica e strutturale, e quindi fenomenologica), ci consente di dire che gli eventi fondamentali che caratterizzano la costruzione €uropea, proprio per la sua natura di strumento della strategia mondialista degli USA, ha sempre più senso cercare di comprenderli su fonti di analisi e di informazione provenienti dagli USA stessi, piuttosto che dall'€uropa, data la sudditanza e lo stato di alterazione permanente in cui vivono le classi dirigenti e i media dei paesi aderenti all'UE(-UEM).

3. Ora, questo stesso criterio va a  maggior ragione seguito per l'evento del summit di Ventotene: in termini pratici, com'era assolutamente scontato, esso non ha avuto alcun significato risolutivo o di rilancio della crisi in cui versa l'Unione.
E non poteva essere diversamente: la Germania non sente di essere in crisi e, comunque, segue le politiche che le sono congeniali nel proprio irrinunciabile interesse nazionale (qui pp. 2-3). 
L'UE, e ovviamente più ancora l'euro, sono solo strumenti di potenziamento di questo interesse nazionale che possono essere accettabili, a norma della sua stessa Costituzione, solo a condizione che tale convenienza rafforzata sia effettivamente raggiunta. 
Gli altri paesi, su tutti l'Italia, - che rappresenta(va) allo stadio più avanzato il modello costituzional-keynesiano e che quindi andava normalizzata, a colpi di "riforme", più e prima di ogni altro Stato "nazionale" europeo, rivestendo ciò un prioritario valore simbolico per gli stessi USA- versano invece in una sempre più grave crisi strutturale, posta in relazione di dipendenza inversa con la "prosperità" perseguita dalla Germania.
Perciò l'esito del summit di Ventotene era già scritto.

4. Leaders disabituati a decidere perchè parte di classi politiche guidate da decenni di strategia behind the scene degli USA, che restringe ogni possibile azione di governo alle riforme neo-liberiste-supply side (sperimentate per prime dal FMI sui paesi in via di sviluppo); leaders ormai persino nati e cresciuti dentro la "addiction" dei parametri rigidi e degli automatismi di cui l'ordoliberismo strumentale ha infarcito trattati immodificabili (prima ancora che inaccettabili per qualsiasi democrazia sostanziale), non hanno alcuna attitudine a risolvere i problemi derivanti dall'eurozona: per essere in grado di farlo, se non altro, dovrebbero rinnegare se stessi apertamente e, implicitamente, le politiche seguite ottusamente per oltre 30 anni dai ranghi partitici da cui provengono
Dovrebbero perciò sopportare un costo altissimo in termini politici e personali: quello di guidare una sostanziale rivoluzione - perché a questo corrisponderebbe una modifica dei trattati in senso veramente risolutivo della crisi di crescita e di identità sociale che hanno provocato con la loro applicazione.
Insomma, dovrebbero realizzare nella sostanza un vero e proprio cambiamento di classi dirigenti, mettendo in discussione, prima di tutto, la propria stessa esistenza politica. 
Perché in ciò e solo in ciò consiste una "rivoluzione" e non una messa in scena cosmetica da dare in pasto ai media addomesticati o, nella migliore delle ipotesi, ormai deprivati delle risorse culturali per interpretare il presente (che essi stessi hanno decisivamente contribuito ad alterare sul piano della percezione culturale).

5. Dunque, una rifondazione €uropea che partisse dal simbolo di Ventotene, rinviando al suo "Manifesto", - cioè a quello pseudo-mito fondativo che persino Marco Gervasoni, nel commentare l'imminente vertice, indica come qualcosa che NON è stato tradito quanto, semmai, rispettato, nei suoi contenuti programmatici fondamentali- , non poteva che essere un'operazione inutilmente cosmetica, nelle implicite ma necessarie intenzioni dei partecipanti, e, obiettivamente, fallimentare.
"Renzi non può piegare le regole fiscali dell'eurozona all'obiettivo della crescita italiana". 
Il tutto condito dal consueto, e ormai stucchevole, "Renzi è un leader coraggioso e siamo impressionati dalle riforme da lui intraprese". 
Un contentino che, assunto in una corretta operazione interpretativa, alla luce di quanto abbiamo detto in premessa equivale a dire 
"voi avete fatto, comunque in ritardo, le riforme chieste dal paradigma socio-economico voluto dagli USA, ma questo è un merito secondario, perché se volete risolvere i vostri problemi dovete essere come noi e se non ci riuscite ne pagherete il duro prezzo, perché le regole fiscali dell'eurozona vi vincolano e se stanno bene a noi non c'è motivo al mondo per cambiarle".

6. Capirete bene che date queste premesse, questo svolgimento del copione e questo esito iperscontato, il vertice di Ventotene è risultato essere appunto solo un cosmetico teatrino, a ruoli classici precostituiti come nel miglior (o peggior) vaudeville borghesotto.
Più interessante, dunque, vedere come interpreti la cosa il solito International New York Times (oggi, pag.1 e prosecuzione a pag.4):
"I 3 leaders europei trovano una scarsa consolazione nel summit post-Brexit".
L'articolo ci riporta la ben nota cornice di tre leaders indeboliti a casa propria - e questo non lo si enfatizza mai abbastanza quando si dà per scontato che, stranamente, si "transustanzierebbero" nel loro ruolo svolto in sede €uropea-, e che, comunque, rimangono "divisi sulle questioni chiave". 
E il NYT, senza troppi giri di parole, indica come primariamente "chiave" quella della "flessibilità sui rigidi parametri di bilancio fiscale per i 19 paesi dell'eurozona"
E tanto basterebbe: il bla-bla-bla sui problemi degli immigrati e disoccupazione giovanile, è solo un contorno. Ma per forza di cose: entrambi i problemi sono finanziariamente e socialmente devastanti e risultano irrisolvibili, come evidenzia con scetticismo il NYT, soltanto all'interno di quei "rigidi parametri fiscali" che, peraltro, servono esclusivamente a mantenere in vita l'euro e, quindi, accontentano solo la Germania che dell'euro è l'unico (grande) paese che si avvantaggia.

Ma i loro stessi momenti di crisi vocazionale e sistemica, il NYT, li inserisce in un trafiletto a pagg.16 e 18, mentre alla crisi dell'eurozona, perché è di questo che si tratta (anche se sfugge ai media italici la distinzione col resto dell'unione europea e l'estraneità del tutto al problema Brexit), dedica la prima pagina.

Ed è naturale che sia così: noi abbiamo l'euro e questo comporta INEVITABILMENTE, come sottolinea il NYT, che "non c'è alcuna chiarezza su come o perché questi sforzi - di garantire la sicurezza esterna e interna, di ridare slancio alla crescita e all'occupazione, di fare "programmi speciali" per i giovani, che sopportano il flagello della disoccupazione ovunque tranne che in Germania- dovrebbero avere successo dopo che sono in precedenza sempre falliti".

8. E qui arriva la parte predittiva dell'analisi:
"Tuttavia le pressioni sono immense; se l'Europa non fronteggia le sue molte sfide, i sentimenti anti-UE potrebbero montare e anche condurre ad ulteriori referendum per lasciare il blocco".
Segue un elenco di sintomi di disgregazione e di connesse scadenze
"gli olandesi sono nervosi, dopo aver votato contro l'UE sull'accordo relativo all'Ucraina, in un referendum di questa estate".
In Austria "si rivota per le elezioni presidenziali il prossimo 2 ottobre, dove un politico di estrema destra potrebbe vincere per la prima volta dal lontano 1945. Quello stesso giorno, l'Ungheria voterà un referendum sull'accoglienza ai "rifugiati" (nrd; o piuttosto sui "migranti" economici intesi come "risorse", tranne che a...Capalbio?), il cui arrivo di massa ha scioccato la stabilità europea e portato i paesi post-comunisti a rigettare qualsiasi quota di accoglienza dei "newcomers".
Segue la descrizione dei tours, presso i vari Stati aderenti all'UE, che (secondo criteri di "competenza geopolitica) Merkel, Hollande e Renzi dovrebbero svolgere in preparazione del summit di settembre a Bratislava; che arriva dopo il precedente di giugno, per discutere anche delle trattative per la Brexit (con la controversa candidatura del francese Barnier a condurre i negoziati ai sensi dell'art.50...quando la Theresa May deciderà di avviarli).
Proprio nel precedente di giugno si era visto che la riunione a 27 (cioè l'UE intera senza il Regno Unito, cosa di dubbissima legittimità: ma la rule of law, con i trattati, è una figlia illegittima della "discrezionalità" sregolata che la CGUE riconosce alle istituzioni UE), non intendeva tener in gran conto quanto pre-deliberato nel vertice a tre (fra gli stessi confluiti a Ventotene) svoltosi due giorni prima.

9. Insomma, una completa dimostrazione di futilità, rigidità negoziale, riserve mentali legate alla convenienza nazionalissima da parte della Germania e a un grottesco protagonismo da parte di Italia e Francia, in pieno vaudeville che nasconde un dietro le quinte in cui, nemmeno in tre, possono ormai avere interessi e valutazioni convergenti, al di là delle dichiarazioni di circostanza della Merkel che hanno il senso visto più sopra. Cioè quanto di meno rassicurante per l'Italia, ormai indifesa.
Tanto da lasciar traccia di un semi-scetticismo (semi)riposizionatore:



10. In questo bailamme inconcludente e scontato, ognuno va per sè e i trattati continuano a costituire il flagello per tutti...meno uno. 
Stiglitz riprende la sua voce, proseguendo la sua campagna
"anti-euro, anzi, no, bisogna salvarlo, ma non vedo come, però si potrebbe...

Dall'altro lato, insiste sulla sua (irresoluta) analisi economico-politica, "Riforma o divorzio" nell'eurozona, evidenziando "the lack of political will" (cioè l'esatto fenomeno di blocco negoziale e di riserve mentali non cooperative in una società "da trattato" che vive solo di competizione feroce tra gli Stati coinvolti nell'euro). 
Solo che ci aveva prima aggiunto lo strafalcione di "sconsigliare" a Renzi l'effettuazione del referendum (sulla riforma costituzionale...prescritto obbligatoriamente dall'art.138 Cost.!), effettivamente, al fine molto pratico di non aggiungersi al quadro di scadenze e consultazioni, sopra viste, che potrebbero condurre al collasso politico del "fogno" €uropeo: quello del mercato del lavoro-merce, coi giovani disoccupati dilaganti e gli immigrati di massa che si assommano alla deindustrializzazione da output-gap che tanto piace alla Germania.

11. Detto così, si capisce bene perché gli USA siano scettici e pessimisti, almeno nei media e nei pensatori più autorevolmente "progressisti". 
Dietro c'è molto di più: c'è la questione di "massima importanza politica" di chi davvero debba governare le società occidentali ex-democratiche. 
Nascosti nell'ombra della falsa preoccupazione per la "crisi" €uropea, i neo-liberisti covano il loro keyneismo truffaldino: la prosecuzione della politica oligarchica con altri mezzi e quindi la spesa di guerra (v.qui, pp. 12-13).
Risultati pratici da attendersi più realisticamente?




12 commenti:

  1. La Germania persegue inflessibilmente i suoi obiettivi di surplus con fatali conseguenze sulla tenuta della U€. Le dirigenze USA sembrano impotenti a scongiurare l'implosione della loro creatura. Sono rassegnate a questa evenienza ? O contano di poter assicurare la sua sopravvivenza con il terrore….della Russia….della Cina….dell' Islam…? O una ennesima guerra catastrofica come mai si prospetta come suggello della loro egemonia (e in questo caso la sopravvivenza della U€ è di nessuna importanza per loro) ?

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    1. Logica progressione di ipotesi: esclusa la prima (per difetto di sufficiente attenzione ai mutamenti strutturali che hanno già imposto), pare che nel breve periodo contino fortemente sulla seconda ma, dati gli effetti evidenziati da Keynes come propri del "lungo periodo" (tutti morti), pare oggettivamente che coltivino l'idea di realizzarli nel "medio".

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  2. La società umana (qualsiasi società umana) è un mondo di specchi, per la ragione, banale perché evidente, che l'uomo è un animale sociale: persino nella totalitaria società delle egoiste (perché parossisticamente utilitaristiche) ed egotistiche (perché costantemente affette dall'effetto - pardonnez-moi il pessimo gioco di parole - Dunning-Kruger) monadi liberali egli è condannato a relazionarsi con gli altri perché non potrebbe fare altrimenti per sopravvivere, prima ancora che per vivere; relazionandosi con gli altri, ogni persona sulle proprie spalle il proprio vissuto, tanto privato quanto pubblico: è difficile, tuttavia, per senso di pudore più che per altro, che metta in mostra liberamente (cioè senza essere sollecitata) il proprio privato, preferendo attenersi a ciò che è pubblico. Ma il pubblico a cui ci riferiamo è in misura ampiamente maggioritaria un vissuto per interposta persona: ad esempio, quando discutiamo di cosa ha detto Stiglitz, in realtà discutiamo di ciò che altri dicono che Stiglitz abbia detto (persino un video con la presenza e la viva voce di una persona è manipolabile piuttosto facilmente, come la vicenda del dito medio di Varoufakis dimostrò, casomai ce ne fosse il bisogno, qualche tempo fa).
    In estrema sintesi, viviamo immersi in una sceneggiatura collettiva, i cui artefici primi sono coloro che controllano i principali canali di (dis)informazione - la sostanza del problema non cambia comunque, ergo si può prescindere dalla direzione delle notizie nei confronti dell'aderenza ai fatti - e i cui artefici ultimi siamo proprio noi, che semplicemente viviamo, da umani, nel regno umano. Noi potremmo agevolmente assegnare a questa sceneggiatura collettiva il nome di propaganda. Ecco, dunque, cosa è davvero la società umana: il regno della propaganda.
    L'arma di difesa, l'unica vera arma di difesa concepibile ed efficace, è appunto la sospensione del giudizio (l'epochè) in attesa di un vaglio attento che parta proprio dal racconto che ci viene fatto e dalla sua coerenza interna: se la coerenza interna del testo è carente o assente, be', quello è il primo campanello d'allarme che deve suonare dentro di noi per metterci in guardia della scarsa veridicità di quanto stiamo assorbendo.

    Cosa ha a che fare questa sfliza di banalità con Ventotene? È presto detto: quando ho letto il cosiddetto Manifesto di Ventotene, il disagio che ho provato dinnanzi ai voli pindarici (ma poco poetici), ai principi di petizione, agli intrighi, ai tradimenti - ah, no! Che sbadato: era la sigla di Xena, quella! - è stato tanto grande da farmi capire che mi trovavo in presenza di propaganda purissima (non altissima, tantomeno levissima).

    Quanto al vaudeville del post, pranzando ho dato un'occhiata a France24 e il tutto era relegato ad una scritta scorrevole in sovrimpressione mentre le notizie a cui era concesso spazio trattavano di tutt'altro (a memoria, terrorismo, turismo a Parigi in calo vertiginoso, candidatura alle presidenziali di Sarkozy, rientro degli atleti francesi da Rio de Janeiro, il nuovo film con Lambert Wilson e Audrey Tautou, che, à propos, si intitola L'Odyssée, qualora vi interessi (a me no), anche se Odisseo mi pare non faccia nemmeno un cameo).
    E poi, l'omaggio di Carneade, di Speedy Pollo e di zia Patty alla tomba dell'ei fu (ora e per sempre) Altiero, ecco, non so come dirlo a parole: a me fa tanto quest'effetto qui.

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    1. Grazie per aver evidenziato un punto che mi era rimasto in "punta di tastiera": in effetti, come prevedibile, è più un caso di commedia goldoniana post litteram ("florentina": questa è allusione complessa ma mi sa che la cogli), che di vaudeville.

      Quest'ultimo genere, in effetti, sarebbe risultato fin troppo glamour e internazionalista per l'occasione...

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    2. Per non parlare della commedia dell'arte che seguiva in forma di approfondimento in vista delle presidenziali. Ora, già mi stavo lavando i denti (immagina la concentrazione), ma due francesi che si parlano - speditamente e con la "polpetta in bocca" come solo dei francesi possono fare - addosso con espressioni teatrali - in televisione, dove in effetti erano, o al cinema, è semplicemente overacting e, salvo in rari casi, non è sintomo di una buona performance - così non li avevo mai visti.
      Da quel poco che sono riuscito a capire, uno dei due (forse un Philippe, ma non ci giurerei su in tribunale), inventore della legge dell'offerta, dell'offerta e dell'offerta, si sbracciava con inusitata verve per dileggiare le opinioni dell'altro tizio (anonimo), che suggeriva in punta di piedi che bisogna far ripartir la domanda. Ora, sempre se ho capito bene - e spero proprio di no -, il nostro eroe osava sostenere che non solo Hollande, ma che pure Sarkozy hanno portato avanti politiche economiche di sinistra ("de gauche", diceva) che producono i soliti disastri.
      Per dirla con Costanzo Preve, hanno inquinato i pozzi. Laggente, erede leggittima della folla manzoniana, in ascolto penserà certamente che questo incubo a occhi aperti è frutto di un'ideologia socialista (e vedendo chi oggi si dichiara socialista verrebbe voglia di dare ragione a Laggente). Per almeno i prossimi cinquant'anni l'unico socialismo proponibile senza incorrerre nel rischio di essere presi a bastonate sarà quello che presenta la dicitura nazionale in apertura di parola: Herr Nazismo per gli amici. E non ce lo raccomando.

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    3. I nazisti , quelli autentici , smaniavano per il loro impero ma i nazisti dell'Illinois , pardonne della Loire (?) , Ile de France (?) o che so io , per cosa smaniano ?

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  3. Chissà non venga il dubbio che non sia finalmente ora di (ri)leggere jettatori e scribacchini: "Non è stato mai facile a chi non fosse un semplice annotatore delle tesi ufficiali di trasmettere il proprio pensiero in forme che avessero una qualche efficacia. Già con riferimento agli anni Cinquanta con riguardo alle iniziative per l’integrazione economica europea e ai numerosi convegni che ne accompagnarono la realizzazione, un nostro brillante spiritoso economista – Marcello De Cecco – annotava: «…non si vuol dire che fosse proibito agli economisti italiani di manifestare le proprie opinioni prima degli eventi. Si vuol solo considerare il carattere eminentemente ufficiale, celebrativo, dei convegni» nei quali l’eventuale dissenso espresso può sembrare «vagamente malevolo e jettatorio».
    Per quanto possa sembrare incredibile, la situazione odierna è ancora peggiore rispetto a quella degli anni in cui si invitava «il culturame» ad «andare a dormire». La trasformazione in peggio, anche prescindendo da una crescente inclinazione all’arroganza, è dovuta unicamente a motivi tecnici. Accade che i tempi procedano con straordinaria fretta e che la conferma dell’esattezza di quanto era stato affermato da intellettuali, chiamiamoli così dissidenti (che non soffrono di altro se non di un senso di isolamento), si manifesta a distanza di pochi giorni. Allora quello che accade è che le tesi trascurate o ignorate (non si ha l’impressione che i responsabili della politica economica leggano molto) vengono affermate con candore come se l’illuminazione fosse venuta proprio in quel momento. Sia chiaro che non si intende sollevare un problema di priorità o del riconoscimento del suo a ciascuno (anche se non ci sarebbe niente di male); ma dei danni che il paese subisce per questi ritardi conoscitivi, deliberati o involontari che siano. Lo «scribacchino accademico» ha appreso dai banchi universitari che, nella migliore delle ipotesi, le sue idee sarebbero state captate dai politici trenta anni dopo. Non ha quindi mai avuto illusioni in proposito.”
    (F. Caffè, Scribacchini o jettatori, "L'0ra", 27 maggio 1986 ora in Contro gli incappucciati della finanza, Lit Edizioni, Roma, 2013, s.p.).

    Ma a quanto pare trent'anni ancora non bastano: "Di qui, tutto il riaffermarsi del più retorico e melodrammatico richiamo alla «idea Europa»; il rilancio del mai abbandonato, e francamente stolido, intendimento che le soluzioni di natura politica debbano precedere quelle di contenuto economico; l’insistenza, appunto, su una «volontà politica», concepita come qualcosa che abbia valore di per sé, anche se manchi di solide basi. Su basi politiche, prevarrà l’Europa dei presuntuosi costruttori di edifici, cominciando dai tetti. Purtroppo, non è detto che non prevalgano, poiché la moneta cattiva della retorica scaccia, molto di frequente, quella buona del meditato ragionamento economico.” (F. Caffè, Quanta retorica sul "fallimento" comunitario!, "L'Ora", 31 dicembre 1984 ora in Contro gli incappucciati cit.).

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    1. Oggi il massimo del tecnicismo delle "illuminazioni" al servizio della politica sono "gli investimenti pubblici" (per stimolare l'offerta).
      Le "solide basi" peraltro sono politicamente ormai strutturate e reggono ai terremoti finanziari; non, ovviamente, a quelli geologici.
      Ma lì, la retorica del momento, nasconde, anzi censura, qualsiasi" meditato ragionamento economico"; e costituzionale.

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  4. Voglio esprimere la mia riconoscenza per questo post. Nel deserto in cui siamo è come giungere in un'oasi. Ma un punto in particolare mi fa riflettere, quando si parla di media "deprivati delle risorse culturali per interpretare il presente": è terribile constatare - talvolta anche su se stessi, non lo nego certo - la diffusione di tale condizione a tutti i livelli sociali: questo è, a mio avviso, la più grave minaccia alla possibilità di restaurare la democrazia.

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    1. Lo è senz'altro: ma è una minaccia accuratamente programmata e attuata nel quadro €uropeo
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/08/perche-essi-vivono.html

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  5. Gira in rete, ma lo riporto anche qui, casomai qualcuno se lo fosse perso: è un discorso tenuto da Spinelli pochi mesi prima della morte davanti al Congresso del Partito Radicale.

    Sapendo evidentemente di essere fra amici, il nostro si lascia andare a un'inconsueta dose di sincerità: "Ci sono essenzialmente due metodi che sono contemporaneamente in opera; c'è il tentativo che fa perno intorno alla Comunità e a tutti i suoi successi ed insuccessi, e c'è il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli europei. E c'è contemporaneamente il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli americani. E vorrei che non ci sdegnassimo inutilmente, e in fondo non seriamente, di questa seconda alternativa. L'unità imperiale sotto l'egida americana è certo anche assai umiliante per i nostri popoli ma è superiore al nazionalismo perché contiene una risposta ai problemi delle democrazie europee, mentre il ritorno al culto delle sovranità nazionali non è una risposta.".

    Ohibò. Ma l'Europa unita non doveva essere contraltare dell'Amerika? (Che però stranamente la finanziava...).

    Niente paura: grazie a una volontaristica Umwälzung (rovesciamento) sarà proprio così: 'st'Europa antiamerikana gliela facciamo sotto il naso coi loro soldi. Che gonzi questi yankee!

    "L'unità fatta dagli europei è in realtà la sola, vera alternativa all'unità imperiale. Il resto è schiuma della storia, non è storia. Le due forme stanno procedendo insieme e noi le vediamo sotto i nostri occhi; e guardate, non si può abolire l'una nella misura in cui si sviluppa l'altra. Perché l'una corroderà alla lunga l'altra; ma è attraverso queste due che l'Europa va muovendosi. Sta di fatto che nella misura in cui non si sviluppa o regredisce una di queste forme, si sviluppa l'altra."

    E le polemiche sullo storicismo, e l'accusa alla dialettica di essere impostura intellettuale...

    Se mai servisse un'esemplificazione della definizione di europeismo come "aborto dell'imperialismo", eccola qui. Senza parole.

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  6. Sembrerebbe che, come ipotizzo io stesso, nulla spes dagli Stati Uniti: è la mia un'interpretazione corretta?

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