venerdì 15 aprile 2016

KALDOR, KEYNES, CAFFE': LA TRILATERAL E LA COSTITUZIONE DEL LAVORO




1. Ringraziando Flavio per la citazione e Winston per la traduzione, ci pare opportuno non disperdere, nell'ormai vastissimo spazio dei commenti, questo passaggio di Kaldor: lo riportiamo, scansionandolo in periodi più nettamente evidenziati:
«In un recente articolo dedicato alle 'Cause di crescita e recessione nel commercio mondiale', T. F. Cripps ha dimostrato che un Paese non è sottoposto a vincolo da bilancia dei pagamenti se le sue importazioni in condizioni di pieno impiego, M*, sono inferiori alla sua capacità di importazione M̅ (per quanto risulti dai suoi ricavi derivanti da esportazioni). 
Tale Paese è libero di scegliere il livello di domanda interna considerato ottimale in base alle proprie condizioni, mentre gli altri Paesi per cui M*>M̅ devono, in stato di libero commercio, contrarre i loro livelli di produzione e di occupazione rispetto alla situazione di pieno impiego, e limitarsi a importare solo quanto in grado di finanziare [con i proventi delle esportazioni, ndw]. 
Successivamente, egli dimostra che la somma delle importazioni dei Paesi privi del suddetto vincolo determina i livelli di produzione e occupazione raggiungibili da parte dei Paesi "vincolati" e che il rimedio per questa situazione esige misure atte a incrementare il livello delle importazioni in condizioni di pieno impiego oppure a ridurre la quota delle esportazioni dei Paesi "svincolati". 
Le "regole del gioco" che renderebbero possibile il conseguimento di crescita e stabilità nel commercio internazionale, e il ripristino della produzione dei Paesi "vincolati" a livelli di pieno impiego potrebbero richiedere l'adozione di misure discriminatorie sui controlli delle importazioni, del tipo prospettato nella famosa "clausola della moneta scarsa" dagli accordi di Bretton Woods. 

In assenza di simili misure tutti i Paesi, e non solo il gruppo di Paesi la cui attività economica è sottoposta a vincolo da bilancia dei pagamenti, potrebbero venire a subire un tasso di crescita più basso e un inferiore livello di produzione e occupazione. 
Ciò si verifica perché anche le esportazioni dei Paesi in surplus saranno soggette a un decremento per via della contrazione dei traffici commerciali a livello mondiale, e questi Paesi potrebbero non riuscire a controbilanciare questa perdita (o comunque non in maniera sufficiente) attraverso misure reflazionarie interne che garantiscano un decremento anche delle importazioni.
A patto che le norme sulle importazioni introdotte facciano riferimento alle tendenze all'importazione (vale a dire il rapporto fra le importazioni e la produzione interna) e non alla quantità in valore assoluto delle importazioni, proprio il fatto che tali misure produrranno un incremento del traffico commerciale, della produzione e dell'occupazione dei Paesi "vincolati" comporterà un aumento corrispondente del volume delle esportazioni e degli utili interni dei Paesi "svincolati", nonostante la revisione al ribasso delle loro quote di esportazione a livello mondiale.»

2. Ovviamente si può sempre abolire ogni confine e ogni Stato e quindi ogni rilevanza della contabilità nazionale che certifichi gli squilibri territoriali delle importazioni rispetto alle esportazioni: ma ciò non esclude che, nella realtà effettuale dei singoli territori che rimarrebbero fisicamente esistenti, - comunque li si voglia contraddistinguere e circoscrivere-, continuino a registrarsi tali squilibri: e quindi, anche se di fatto, si continuerebbe comunque a porre il problema sociale dell'indebitamento, non restituibile, di interi gruppi di popolazione verso quelli delle aree "creditrici". 
Per impedire che vi siano forme di tragedia collettiva, quali la perdita dell'occupazione, dell'abitazione e della stessa minima capacità di sopravvivenza, delle popolazioni debitrici, occorrerebbe pur sempre una forma di governo che gestisse interventi finanziari di solidarietà e perequazione, nonché di correzione delle divergenze della struttura economica.
Ma che un governo mondialista voglia assumere queste funzioni solidali e perequative è escluso nelle stesse consolidate teorizzazioni di chi lo propugna (e i trattati europei, come esperimento-pilota del "governo sovranazionale dei mercati", ne sono la prova vivente).

3. A questa iniziale premessa, che potrà forse apparire tecnicamente complessa, aggiungeremmo, come sintetico chiarimento semplificatore, questa citazione di Caffè a commento del pensiero di Keynes:
"Keynes, considerando come presupposto di un "capitalismo intelligente" l'allargamento delle funzioni e degli scopi dello Stato, includeva tra le decisioni più importanti della politica pubblica quelle riguardanti "ciò che dovrà essere prodotto nel Paese e ciò che dovrà essere ottenuto in cambio dall'estero". 
...
Del resto anche D.H. Robertson, uno dei più saggi economisti di ogni tempo, contrappone alla stabilità  dello "scambio di ghiaccio contro carbone tra Nordlandia e Infernia" le "oscillazioni confuse" di "scambi soggetti a particolareggiate modificazioni tecniche" (cfr; "Saggi di teoria monetaria", Firenze, 1956, pp.237 e ss.). 
Coloro che non siano esaltatori acritici dello sviluppo degli scambi internazionali, per motivi da collegare appunto alla loro composizione o alle conseguenze interne...formano di frequente oggetto di addebiti saccenti
In quanto questi addebiti rivelano, in coloro che li manifestano, un'insufficiente conoscenza della storia del pensiero economico,...non può sorprendere che gli addebiti stessi si traducano in forme di aggressione polemica di pretenziosa arroganza".

4. Ne emerge, se pure non fosse già chiaro, l'esplicita identificazione di Caffè con il modo in cui le "funzioni e gli scopi dello Stato",  - vale a dire il contenuto della sovranità (che è il potere di perseguire effettivamente tali scopi, proprio esercitando tali funzioni)- devono essere indirizzati nella visione keynesiana; e al contempo, la coscienza di quanta aggressiva opposizione, a tale visione, abbiano sempre esercitato gli "esaltatori acritici dello sviluppo degli scambi internazionali" 



Posta in questi termini,la disputa potrebbe essere vista "solo" come teorica, cioè tra scuole economiche e relativa ai conseguenti modelli politici di organizzazione della società (quelli che Mortati definiva "forme di Stato", allargabili, secondo il mondialismo liberoscambista, ben al di là di qualsiasi deprecata "identità nazionale").

5. Ma ridurre tale contrapposizione alla sfera meramente scientifico-economica, e di teorie istituzionali non risulta un'operazione culturalmente legittima.,

Rammentiamo in proposito alcuni fatti rilevanti dal punto di vista costituzionale, cioè dal punto di vista della legalità del supremo diritto positivo della Repubblica italiana (finché tale entità, almeno per coloro che ne incarnano le supreme istituzioni, sia ritenuta ancora vivente ed effettiva).
.

"Sul piano (giuridico)costituzionale, come ben illustrava Meuccio Ruini, ciò ha delle inequivoche conseguenze che risultano agli atti della Costituente, proprio nel dibattito sull'art.11 Cost. e che hanno poi avuto una qualche (timida) eco e reiminiscenza anche nel costituzionalismo successivo italiano :
a) "Accettiamo, invece di «reciprocità» e «uguaglianza», l'espressione «in condizione di parità con gli altri Stati». 
Non avremmo nessuna difficoltà ad accogliere la proposta Zagari: «favorisce la creazione e lo sviluppo di organizzazioni internazionali». Ma qualcuno ha chiesto: di quali organizzazioni internazionali si tratta? 
Non si può prescindere dalla indicazione dello scopo. Vi possono essere organizzazioni internazionali contrarie alla giustizia ed alla pace. L'onorevole Zagari ha ragione nel sottolineare che non basta limitare la sovranità nazionale; occorre promuovere, favorire l'ordinamento comune a cui aspira la nuova internazionale dei popoli..." (Meuccio Ruini, in assemblea costituente, cfr; pag.268 de "La Costituzione nella palude");

b) "La prospettiva costituzionale richiede di essere recuperata anche là dove, di fatto, al di là del formale ossequio alla dottrina dei controlimiti, la si è sterilizzata: nellaprospettiva della integrazione sovranazionale.
Non tutti i cammelli europei possono passare per la cruna dell'art.11 della Costituzione, il cui significato essenziale è che il posto dell'Italia in Europa (e comunque in tutte le istituzioni create da accordi internazionali) deve deciderlo l'Italia, perché quale che sia la prospettiva che si assume è nella Costituzione (nelle singole Costituzioni degli Stati membri) che giace la legittimazione delle istituzioni sovranazionali, non viceversa (Massimo Luciani, "La Costituzione nella palude", pagg. 131-132: inutile dire che questa affermazione consequenziale al dettato costituzionale è in urto irriducibile col Manifesto di Ventotene e col sogno di Spinelli).

6. Su un piano più strettamente aderente a quello che deve considerarsi il modello economico legale-costituzionale, va riportato questo ulteriore nucleo di fatti storici che chiariscono la portata dell'enunciato di Federico Caffè (perfettamente allineato con l'orientamento costituzionalistico appena riportato):

"Ruini fu nominato Ministro per la ricostruzione nel 1945 (nel governo Parri: poco prima era stato nominato Presidente del Consiglio di Stato, a "riparazione" della sua estromissione dall'Istituto dovuta alla sua opposizione al fascismo...) e scelse come segretario particolare e capo di gabinetto il giovane Caffè, proveniente dal servizio studi della Banca d'Italia (dove si occupava proprio di finanza e scambi internazionali...).
Quando Ruini viene eletto deputato nell'Assemblea Costituente, nel 1946 (appunto: il 2 giugno), fu subito nominato Presidente della Commissione dei 75, a cui è nella sostanza dovuto il lavoro di messa a punto del modello economico-sociale recepito dalla nostra Costituzione. 
Negli stessi anni, Caffè era a sua volta nominato consulente presso il Ministero apposito "per la Costituente"; e, non a caso, Caffè, con un ruolo di supporto istituzionale alla stessa Commissione dei 75 la cui importanza non può sfuggire, proseguì a dare il suo contributo  come componente della sotto-commissione "moneta e commercio con l'estero" della Commissione economica della Costituente
E certamente svolgere un ruolo di expertise in tali materie, dato anche il profondo rapporto con Ruini, non fu estraneo alla formulazione della Costituzione economica e dello stesso art.11 Cost."

7. Questo insieme di premesse storiche e concettuali, ci consentono di comprendere (dalla stessa fonte), quanto esposto da una monografia dedicata al Caffè "costituente".
Le sue parole ricalcano, anche qui non a caso, quanto espresso da un celebre discorso "sulla Costituzione" dello stesso Calamandrei, riassunto alle pagg.62-63 de "La Costituzione nella palude" (condiviso, ovviamente, da Ruini).
"[Caffè] esortava i responsabili della politica economica a ricordare che "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini"...mentre "oggi ci si trastulla nominalisticamente nella ricerca di un nuovo modello di sviluppo e si continua a ignorare che esso, nelle ispirazioni ideali, è racchiuso nella Costituzione; nelle sue condizioni tecniche è illustrato nell'insieme degli studi della Commissione economica per la Costituente (1978)...".
8. Se questa è la cornice della legalità costituzionale, il liberoscambismo illimitato, quand'anche imposto da un trattato internazionale, non può essere considerato un'opzione incondizionatamente legittima, predicando il venire meno di quei fini e di quelle funzioni dello Stato che devono preservare quella decisione su"ciò che dovrà essere prodotto nel Paese e ciò che dovrà essere ottenuto in cambio dall'estero",  che in concreto determina il livello di occupazione di pieno impiego.
Vale a dire, non si può considerare un'opzione acriticamente legittima ciò che viene sintetizzato, a cuor leggero, nella formula "cessione di sovranità" (dimenticando in cosa consista tale sovranità e la responsabilità che essa comporta per chi ne incarni le istituzioni).

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https://seeker401.wordpress.com/2014/10/25/the-trilateral-commission-and-technocracy/

Meno che mai, dunque, mostrare di aderire senza riserve a tale pensiero può ritenersi legittimo, e opportuno, rispetto a associazioni private che propugnino il mondialismo attraverso la globalizzazione economica, quando, come sta accadendo, essa sia portata al livello di considerare prioritariamente sacrificabile lo stesso livello di occupazione in nome della libera competizione sui prezzi.

Occorre rammentare le responsabilità che derivano dal giuramento di fedeltà ad una Costituzione "fondata sul lavoro" e ai suoi principi immodificabili. Almeno, professando, in ogni sede, e di fronte ad ogni interlocutore, la propria profonda e doverosa consapevolezza di questi problemi

23 commenti:

  1. Chissà a chi e cosa ha giurato fedeltà, leale osservanza, interesse esclusivo la stragrande maggioranza degli eletti al Parlamento della Repubblica italiana degli ultimi trent'anni.

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  2. L'esempio dell'abolizione della contabilità nazionale, che certifica gli squilibri territoriali, lo abbiamo avuto in casa, con la cosiddetta unità d''Italia. È' sotto gli occhi di tutti come la situazione del Sud non sia mai stata recuperata a distanza di oltre 150 e, in questo caso, addirittura in presenza di trasferimenti interni.

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    1. interessante notare come in realtà all'epoca della seconda guerra di indipendenza era il liberale regno sabaudo ad essere in bancarotta mentre le due Sicilie con un economia borbonica a forte intervento statale era in piena salute. Insomma anche 150 fa il test di Orwell avrebbe funzionato benissimo

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  3. Se non una conferma un forte indizio che Kaldor avesse ragione lo fornisce un noto storico economico come Paul Bairoch (Economia e storia mondiale, Milano, Garzanti, 2003, pagg. 72-74): "Non solo il periodo di rafforzamento del protezionismo coincise con una più rapida espansione del commmercio ma anche, e ancor più paradossalmente, i paesi europei più rigorosamente protezionisti sperimentarono l'espansione commerciale più rapida."

    Inserendo anche la crescita economica: "D'altra parte la Gran Bretagna, dove non vi fu praticamente alcun cambiamento nelle politiche commerciali, si osserva dapprima un periodo di stagnazione e poi un netto declino del tasso di crescita. Inoltre, nell'Europa continentale, il tasso di crescita raggiunse il suo massimo momento in cui tutti i paesi rafforzava il loro protezionismo.
    Per quanto concerne il commercio estero, si osserva un rallentamento quasi universale nei primi dieci anni successivi all'abbandono del libero scambio, ma nel secondo decennio il tasso di crescita del volume delle esportazioni in quasi tutti i paesi protezionisti fu più rapido che nei dieci anni precedenti l'adozione del protezionismo. Inoltre, ed è un aspetto particolarmente importante, durante questi due decenni l'espansione del commercio fu molto più veloce nei paesi che avevano adottato il protezionismo che in Gran Bretagna [che] era rimasto [sic] liberista.
    [...]
    Come la crescita economica, l'espansione degli scambi divenne anche maggiore quando tutti i paesi rafforzarono il loro protezionismo. Questa è anche una prova parziale del fatto che la crescita economica è un motore degli scambi più di quanto gli scambi non siano un motore della crescita".

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  4. Dal post – mi corregga Presidente se sbaglio – implicitamente se ne deduce anche che la favola "di un altro euro" non è proprio possibile. Ammesso che si attuino politiche a sostegno della domanda (di piena occupazione, come la Costituzione impone), nessuno può garantire che la domanda si rivolga verso beni prodotti in Italia, a meno che, appunto, non sia lo Stato a decidere ciò che dovrà essere importato e ciò che dovrà essere prodotto nel Paese ed a quale prezzo (mediante imprese nazionali o intervenendo sui prezzi del mercato privato per contrastare l’inflazione). Ma in mancanza di dette misure (e nell’assenza deliberata di un sistema di trasferimenti all’interno dell’EZ), con il tasso di cambio nominale bloccato, l’aggiustamento mediante il meccanismo dei prezzi è praticamente azzerato e lo squilibrio nella bilancia dei pagamenti è destinato a perpetuarsi. L’unico mezzo di aggiustamento rimane il reddito (cioè tagliare i salari). Un meccanismo diabolico ed illegale. Tra qualche giorno si festeggerà il 25 aprile ed i collaborazionisti, aggiustando il solito fiocchetto sulla corona di fiori portata al monumento dei Caduti, biascicando qualche discorsetto sulla Resistenza, continueranno a disonorarli a margine del freddo ed ipocrita cerimoniale. Sarà il solito raccapricciante spettacolo


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  5. Vista in retrospettiva, la storia repubblicana può essere giudicata come il frutto di un, forse difficilmente evitabile, errore di valutazione su quale sarebbe stato il vero pericolo per la democrazia. Si temevano fascismo e comunismo, mentre l'attacco è arrivato dall'interno, dal cd. quarto partito. Si temeva Baffone e ci hanno fregato i Baffini liberali e poi sedicenti progressisti (Einaudi, Rossi, Pannella, Ciampi, Andreatta … Casaleggio!)

    Se gli 'atti' dalla metà degli anni 70 in poi sono quelli che hanno cambiato il sistema di governo, il decennio precedente assume, in quanto periodo preparatorio, un'utilità superiore ai fini della comprensione di quanto poi avvenuto.

    Certo, a 'rivoluzione liberale' avvenuta, ci si trova di fronte a un paradosso democratico: la Costituzione prevede (PRESCRIVE) un programma economico-sociale di democrazia sostanziale, che però le istituzioni e la gggente rifiutano convintamente, intimamente.
    Oggi, anche chi in apparenza rifiuta / vuole cambiare il sistema, in realtà lo sostiene. Siamo passati da un'epoca in cui si pensava a rendere sociale (anche) l'attività di impresa, a una in cui anche chi si propone come alternativo all'attuale regime ne è in realtà una (quinta?) colonna, ne perfeziona le logiche di azione e ne estende la mentalità competitiva. Lotta all'evasione fiscale e alla corruzione, antimafia, reddito di cittadinanza, ONG e ONLUS sociali (googlare al proposito, per un vivido spaccato dell'operato degli enti apparentemente senza finalità di lucro, Luca Rastello e il suo libro "I buoni"), tutto fa brodo per conquistare ogni spazio della società.

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  6. Perdonate OT (se pure)

    Sto per andare al seggio. A votare si.
    Sveglia dormiglioni

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  7. Il presidente Mattarella incontra la Trilaterale
    vedi link a scenari economici
    saluti roberto

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    1. In realtà la notizia era stata già linkata in questo stesso post...

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  8. Ho suggerito al sindaco di spostare i seggi al centro commerciale: un afflusso veramente pop.

    Mentre il più delirante e sociopatico progetto mai finanziato si avvia a grandi passi a compimento, il Pentagono progetta un'atomica per incenerire i nostri fratelli russi e cinesi a mach 19 (saremo tutti più ben disposti a cedere la sovranità e ad accettare la tirannia), una del saggio mi dice: "mi scusi per la lentezza, ma con tutta questa carta... Sì potrebbero usare degli ipad!"

    Il grillino detector comincia a mandare degli ALERT.

    "Signora, gli esperti in sicurezza di informazioni digitali non sono molto d'accordo... Ci sarà un motivo per cui la nostra vecchia e cara mafia usa i pizzini..."

    La sciura: "Sì, ma quanti soldi buttati per il referendum..."

    E sì, la democrazia costa e, come la coscienza, è un lusso che non possiamo più permetterci.

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    1. Si potrebbero sempre mettere a disposizione gli i-pad nei centri commerciali e far votare solo chi effettua un minimo di spesa, previo bonus alternativamente utilizzabile per futuri acquisti.

      Naturalmente prodotti verdi e energeticamente alternativi, come attesterebbero le multinazionali che distribuiscono i prodotti (a scopi benefici) e che, nel processo di globalizzazione, dovrebbero logicamente essere le uniche autorità non corrotte e quindi abilitate a effettuare la relativa certificazione.

      Se poi si vuole seguire la Sassen, la certificazione potrebbe essere affidata ai think-tank che fanno le "classifiche" della corruzione e delle "riforme", ufficializzandole come autorità della governance mondialista inevitabile.

      In fondo gli Stati corrotti sono ormai destinati ad essere solo polvere e il "governo sovranazionale dei mercati" garantisce che il sistema dei prezzi sia un sistema affidabile di voto permanente (Roepke aleggia: e Soros ci invita alla democrazia diretta).
      Le "intendenze" nazionali seguano...

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    2. Ma tutto il mega-discorso sulle esternalità, che ho studiato all'università, ha perso appeal?
      No, questi qui: producono, distribuiscono e vendono, evidentemente incidendo su un sistema alieno; ed essendo assolutamente neutri rispetto (rispetto, che bella parola...) all'ecosistema terrestre (ecosistema, òikon sùn ìstemi, ovvero lo "stare insieme degli oggetti della casa", altra bellissima parola, mi vengono le lacrime...). Neutri. Loro sono neutri.
      Poi "oh, è crollata una montagna"; "oh, è venuto giù un capannone"; "oh ho prodotto mesotelioma per trent'anni; e vari altri "oh,".
      No, perché il prezzo non è uno specchio del costo. MAI. O NO?.
      (qui Marx ci ha aiutato, eh... inutile negarlo...).
      La differenza la deve colmare lo stato, è quella la sua ragion d'essere.
      Eliminare le esternalità.

      Scusi lo sfogo, scrivo poco ma la bevo con molta foga.
      Keep on.

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  9. Qui, lei taglia una pustola maleodorante, ma lo sa, penso.
    Gli aerei e i carri armati non vanno, con le pile.
    Le macchine a batteria (ma le batterie, e il litio, come si fabbricano?
    <a href="http://www.terranuova.it/Ambiente/Le-miniere-di-litio-minacciano-le-Ande-boliviane>così</a>) non vanno, ti ancorano a dove stai (o a un raggio di trenta kilometri).
    Uno sviluppo responsabile non prevede la rinuncia ai fossili.
    Riusciamo ad immaginare il decollo di un aereo a pila nucleare? La pista deve andare da Piazza Bologna a Tivoli (sono romano, una ventina di chilometri, per gli altri).
    Eppure, non si può dire (e qui il discorso si amplierebbe ai tabù che ci impongono).
    L'errore strategico è stata buttarla, ancora, sul "Sogno".
    Sogno scaccia sogno, no?

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    1. Il post non è sulla contrarietà/antieconomicità/superabilità delle fonti fossili.
      Alcuni dei commenti riguardano, in effetti, il referendum: ma quest'ultimo neppure, a sua volta, ha nulla a che fare con tale ordine di problemi.

      Il quesito su cui si sarebbe dovuto votare, infatti, può essere riassunto in questi termini: è corretta una norma che consenta a un'industria sussidiata dal pubblico denaro di non sopportare mai il costo dello smantellamento di impianti relativi a giacimenti esauriti, costi che, pure, erano scontati nel regime di sussidi comunque fruiti?

      Quanto alle macchine elettriche, proprio ieri, con l'auto di Cesare Pozzi abbiamo avuto una percorrenza utile di 160 km. Poi si ricarica a una colonnina a costi incomparabilmente inferiori a quelli del carburante fossile, a parità di percorrenza.

      Ma ovviamente è una questione di tecnologie disponibili, di produzioni effettivamente operanti sul territorio nazionale e di propensione ad investire da parte degli operatori nazionali; per evitare un bagno di sangue delle partite correnti.
      Altrettanto ovviamente, dare delle risposte a queste esigenze di politica industriale è impossibile con questo mercato del lavoro, con questo volume di spesa in istruzione pubblica e in ricerca e, in termini riassuntivi, all'interno del vincolo monetario dell'euro.

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    2. Mi trova orribilmente d'accordo (quasi appiattito) con le sue tesi.
      In ispecie, nel punto in cui sostiene "che con questo mercato del lavoro, con questo volume di spesa" è tutto, impossibile.
      Se Kaldor ci ha lasciato un contentino, è stato quello di spiegarci che il mondo di oggi, COSI' COME LO HANNO STRUTTURATO LE RELAZIONI INTERNAZIONALI VIGENTI, specialmente quello più sviluppato, non viaggia verso l'ottimo paretiano "dello sviluppo" (mi scuso per l'antinomia, ma si capisce).

      Io nasco comunista, cresco ambientalista, poi torno marxista. Lungi da me scoraggiare la macchina elettrica (fosse mai, io vorrei il teletrasporto... :-D); ma il grosso della ricerca si fa per farsi la guerra, inutile bnegarselo.

      E i carri armati continuano a non andare a pile.
      Con stima totale,
      Emilio

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    3. Un manifatturiero (manifatturiero, sottolineato) ad alta intensità di capitale, quindi ad alta tecnologia, le guerre le previene non le promuove.

      Accortisi che la deflazione salariale mercantilista, cioè il liberoscambismo export-led, le guerre invece te le fa perdere, se non hai la sovranità monetaria (radendo al suolo l'apparato industriale a seguito dell'attacco imparabile del capitalismo finanziario estero), all'Ufficio studi Confindustria, adesso, invocano "politiche industriali".
      http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-04-18/confindustria-urgente-piano-reindustrializzare-italia-puntare-manifattura-far-ripartire-crescita-151052.shtml?uuid=&refresh_ce=1
      Cioè quelle che complessivamente erano fieramente vietate, essendo lo Stato-brutto, come orgogliosa conseguenza del vincolo esterno...

      I carri armati sono protagonisti di una guerra arcaica, di seconda mano, ormai. La guerra ha lo scopo essenziale di debellare il popolo avversario e questo risultato finale è oggi direttamente conseguibile indebitando nazioni per via finanziaria privatizzata, ma istituzionalizzata da trattati...

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    4. Mi capisca, con tutti i miei limiti espressivi (di cui mi scuso).
      Io l'ho letta attentamente, ho letto Bagnai, ho letto Giacché, e leggo con vivo interesse tutto il portato culturale (dirimente) del direttivo di a/simmetrie.
      Che ha segnato una netta cesura col dibattito precedente.
      Questo mi mette al riparo dalla grandinata...spero...

      Però, ho delle domande (o argomenti, sui quali, magari, rifletteremo insieme, anche con Bazaar, che seguo altresì; O su cui RIFLETTO DA SOLO, del che mi scuso in anticipo), sincere, di cuore:

      1) un manifatturiero ad alta intensità di capitale (stato assolutamente preferibile, tra tutti quelli sotto cui si manifesta. L'Italia è stata così, in varie fasi della sua esistenza anche non politico-geografica), fa gli imperi:
      il capitale ha una naturale tendenza a recarsi dove "ingrassa di più". E non è sostenibile, politicamente, affermare che le macchine non viaggiano (testimonianza, ne sono, le aziende smontate dalla sera alla mattina, da operai esterni. Ne abbiamo letto, no?). Su questo, l'unica escape strategy è sostenere un ritorno MASSICCIO a confini e dazi (che mi trova assolutamente d'accordo, badi bene); ma non bloccano la competizione fiscale, io credo (e per fiscale intendo tutta la cornice
      dei costi);
      2)Io sono un fiero sostenitore dell'intervento statale in economia. Il modello sociale dell'Italia dei trenta gloriosi, credo non abbia eguali, nei numeri ma anche nel benessere raggiunto. Ma è pure vero (non ce lo neghiamo, in fondo, nemmeno tra di noi) che il mondo è un filino cambiato.
      Dove si situa, oggi, il confine "accettabile"( dopo quarant'anni di monetarismo?), oppure "preferibile", tra stato e privato? Per me il "terzo settore" è un problema; distribuisce, dal lato attivo, servitù, e da quello passivo, indigenza. Ma muove milioni di persone, e questo è un fatto.
      3) La guerra l'abbiamo già persa. La terza, intendo. Ora stiamo organizzando la resistenza. Per resistere, bisogna imporre la MASSA (nel senso della "ciccia" fisica delle cose, i "carri armati" come dicevamo.
      Non concordo con lei. Sono un appassionato lettore di fantascienza (anche fantapolitica, le cose sono inscindibili) e in nessun romanzo della nicchia "War sci-fi" (ma entriamo in definizioni per cultori, qui) manca l'occupazione fisica del territorio.

      La saluto, ringraziandola dell'attenzione riservatami.
      La Sua visione delle cose future è molto importante per me, e se riterrà, interverrò in futuro per ragionare di questi argomenti. Saluti

      (anche a Bazaar)

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    5. Noto una perentoria quanto "curiosa" (ma non rara) serie di imprecisioni contrastanti coi dati storici e della realtà economica, qui tante volte esposti.
      Non saprei da dove cominciare a consigliare delle letture, dato l'intreccio particolarmente sdrucciolevole di affermazioni pseudo-tecniche e di allusioni (al mondo che è cambiato e impedisce di tracciare il "giusto" confine tra pubblico e privato, al "terzo settore" così importante (?), alla confusione tra paesi manifatturieri esportatori e paesi che liberalizzano i capitali...)

      Direi di leggersi con attenzione "Bad Samaritans", ma non sono sicuro che non verrebbe anch'esso ritradotto in qualcosa che si dà già per acquisito e scontato...
      Basti dire che qui si sostiene, da anni, che il cambiamento da decenni in corso è solo la scontata restaurazione di qualcosa di molto ben noto in passato

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    6. Ricambio i saluti.

      Mi accodo alle considerazioni di Quarantotto e al suo consiglio (visto che è lo stesso che ricevetti anch'io...:-)): Chang è stato fondamentale per comprendere le dinamiche economico-sociali che hanno plasmato le istituzioni e la "cultura" (soprastrutture) delle nazioni dall'epoca coloniale, mettendo in relazione - appunto - il libero scambio e la violenza sociale perpetrata ad interi popoli da parte dell'anonimo liberismo colonialista.

      Il rapporto tra sovranità e politica industriale (di cui la politica per l'approvvigionamento energetico e la gestione delle esternalità negative sono componenti fondamentali, essendo parte fondamentale della funzione di produzione), è chiaramente al centro dell'analisi.

      C'è più analisi marxiana in Chang che in gran parte dell'omodossia marxista.

      (Purtroppo fintanto che saremo nell'euro - ovvero sotto il fascismo europeista e le forze antiumane che stanno dilaniando dall'interno e dall'esterno i popoli sovrani - dibattere di ambientalismo non è troppo dissimile che dibattere di diritti civili: senza uno Stato sovrano che promuove effettivamente i diritti sociali, si diventa di fatto strumento della reazione malthusiana e degli orrori che sottende)

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  10. Difatti, i miei limiti espressivi si sono manifestati. Non erano inventati o supponenti, le garantisco. Non leggo per anni qualcuno, di cui penso di essere migliore, ci mancherebbe altro.
    Ci sta, che per me (ma penso anche parecchi altri) ci vorrebbe un re-set filologico; diceva un signore che ho stimato moltissimo, ma che è venuto meno immediatamente dopo che lo conobbi, di religione ebraica, a proposito del peso delle parole: che nella Bibbia, "le parole sono macigni" (diversamente, a suo dire del nostro "verba volant"). A distanza di molti anni mi ci trovo a riflettere spesso.
    Questo per scusarmi del mezzo espressivo: ci hanno cancellato le categorie politiche, che stiamo faticosamente ricostruendo.

    La lettura di "Bad Samaritans"(spero di trovare una traduzione, altrimenti lo traduco io e poi lo edito, a 'sto punto :-D) è in cantiere da un po'.
    L'ovvia premessa, e spero di non mettermi su un sentiero cedevole, è che tutta l'architettura istituzionale internazionale risponde oggi alle esigenze di movimento del capitale, io credo. E credo che siamo d'accordo, anche con voi.
    Che ci dobbiamo muovere nella direzione di un ritorno alle sovranità nazionali, pure lo ho dato per scontato. L'internazionalismo "facilone" è un prodotto televisivo, che va via con gli asciugacapelli e le "miracle blade"

    Lungi dall'essere una polemica sterile, il mio discorso sul "terzo settore" nasce da uno studio del "diritto regionale" che feci per via di un concorso pubblico, proprio a ridosso della riforma costituzionale del titolo V.
    Il 118 Cost. introduce il principio della sussidiarietà, in maniera un po' troppo generale, secondo me, in ambiti che io ritengo vitali per lo Stato e la corretta attuazione della Costituzione, che poi è, in definitiva, il pilastro culturale che sostiene questo blog (un esempio, quello che ha generato il mio ragionamento attuale è: ci sono i rifugiati/migranti/emergenze internazionali varie? Bene, siamo un grande popolo e un grande Stato, pure ricco, tiè (nonostante ci dipingano differente): lo Stato si faccia carico con le sue forze, esercito, protezione civile, forestali calabresi e quant'altro; ANCHE A DEBITO, perché il pareggio di bilancio non è negli undici Principi Fondamentali, ma il rispetto del genere umano, invece c'è. Si curano, si fanno stare, quando finiscono le emergenze si rimandano da dove vengono. Uno Stato credibile ai miei occhi si comporta così.
    Ora il punto (spero di non scivolare male) è: quando non sia lo Stato ad occuparsene, anche all'interno di un'architettura europea che non lo consentirebbe,(e non mi riferisco ai casi di cronaca e agli scandali vari; è un discorso di principio), la gestione degli "stati di eccezione" sedimenta interessi, e gli interessi costituiscono poteri, inevitabilmente confliggenti con l'interesse pubblico (ad esempio, si potrebbero porre in essere dei comportamenti che prolunghino lo stato di eccezione, che fa lavorare).
    Esiste un punto di equilibrio, tra una gestione "più flessibile e vicina al cittadino", e il preservare la capacità dello Stato di imporre il rispetto dell'interesse pubblico codificato in costituzione?
    Per come è stato attuato, a mio personalissimo modo di vedere, il 118 è un'enorme patacca per far cadere un po' di briciole in giro, mentre si alzano e se ne vanno con la pagnotta.
    Ovvio, che non sono un giurista, però mi interrogo spesso su queste cose, e invece mi sento dire "sono tecnicalità di cui non frega niente a nessuno (testuale)"

    Poi ecco, la caduta ambientalista, era per via del referendum e dei vari "sgarbi" istituzionali che ha comportato (non ho trovato una persona che mi sapesse dire per cosa andava a votare, anche persone che ritengo di livello).
    Mi scuso per la lunghezza e il mismatch, e vi saluto nuovamente.

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    1. Ma sì, il 118 che introduce la sussidiarietà è una patacca. Ma è già potere "costituito" e non Costituente, cioè alterazione della Costituzione del 1948 e per di più "perché lo vuole l'€uropa".

      La partecipazione di tutti al potere pubblico è già il principale connotato della Costituzione (quella vera): non c'è contraddizione tra interesse pubblico e "gestione più flessibile" (di che? Di quella prevista e smontata in nome dell'€uropa?) "e vicina al cittadino".
      Questa stessa ipotesi va fermamente respinta perché ingannevole: contiene in sé il rinnegare la Costituzione (che pure è un antico sport nazionale).

      Semplicemente perché, come dice Lelio Basso, il più fine e consapevole dei Costituenti, l'idea di contrapposizione tra cittadini e interesse pubblico, cioè la "gestione" dello Stato, è esattamente quell'idea neo-liberista, respinta dalla Costituente e ritirata fuori in continuazione all'interno della teoria federalista europea e del "vincolo esterno".

      In ultima analisi: consiglio vivamente la lettura de "La Costituzione nella palude". Tanti non-giuristi mi hanno dato testimonianza di aver compreso i concetti fondamentali depurandosi dalle scorie mediatiche che rendono impossibile ricostruire il senso della Costituzione stessa.

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