sabato 9 luglio 2016

UE-EURSS? NO, TOTALITARISMO NEO-LIBERISTA DEL MERCATO (con ADDENDUM)


http://images.slideplayer.it/1/541542/slides/slide_3.jpg

1. Come spesso capita, seguendo una prassi "conservativa", dei commenti più stimolanti, ci soffermiamo sulla questione della "spontaneità" dell'ordine naturale del mercato per arrivare poi a verificare la presunta equiparabilità dell'Unione Europea all'URSS.
Muoviamo dalla notazione di Philip Mirowsky (et al.) suggerita da Francesco:
il Mercato” non fa apparire naturalmente e magicamente le condizioni per il suo continuo fiorire, per questo il neoliberismo è in primis e soprattutto una teoria su come ristrutturare lo Stato al fine di garantire il successo del mercato e dei suoi attori più importanti (…)” [P. MIROWSKI - D. PLEHWE, The Road from Mont Pelerin, Harvard University Press, Cambridge, 2009, 161]".

Non che Mirowsky sia un entusiasta assertore di tutto questo: anzi, egli è uno dei più acuti e ironici osservatori critici di quel paradigma neo-liberista, che controlla saldamente governi nonchè opinione pubblica e di massa, avendo unificato il pensiero politico-filosofico (prima ancora che, ovviamente, quello economico), ormai praticamente in tutto il mondo: 
"Nel suo libro Never Let a Serious Crisis Go to Waste , Mirowski conclude nel senso che il pensiero neoliberale è divenuto così pervasivo che qualsiasi evidenza ad esso contrapponibile viene utilizzata solo per un ulteriore convincimento dei suoi seguaci circa la sua verità definitiva. Una volta che il neoliberalismo diviene una "TEORIA DEL TUTTO", fornendo una definizione rivoluzionaria del Sé, della conoscenza, dell'informazione, dei mercati e dello Stato, non può più essere falsificata da una cosa così "insignificante" come i dati dell'economia reale".
2. Ma tralasciando il pur interessante versante del pensiero di Mirowsky, l'argomento del costruttivismo (auto)occultato dei neo-liberisti è agevolmente ricavabile dal loro originario e peraltro monoliticamente immutabile pensiero: basti vedere, come "concetti di questo tipo vennero teorizzati, nel (tristemente) noto "Colloque Lippmann", da Miksch, e furono ripresi dallo stesso Einaudi in assemblea Costituente; cfr; pagg.97-98 de "La Costituzione nella palude".
Il "costruttivismo" neo-ordo-liberista è, in realtà, giustificato come restaurazione dell'ordine naturale della Legge (del mercato), e quindi in funzione "anticostruttivismo" statale.
Contraddizione su cui Ruini non mancò di ironizzare nella sua formidabile replica a Einaudi..."
Su questa considerazione si innesta l'intervento confermativo di Arturo che ci offre questa ulteriore e significativa fonte:
«La scelta – scriveva Robbins non è fra un piano o l’assenza di piano, ma fra differenti tipi di piano». Correttamente si deve parlare dell’esistenza di un piano liberale, così come si parla di un piano socialista o nazionale. 

«La ‘pianificazione’, nel suo significato moderno, comporta il controllo pubblico della produzione in una forma o in un’altra. L’intento del piano liberale era quello di creare un insieme di istituzioni in cui i piani dei privati potessero armonizzarsi. Lo scopo della moderna (pianificazione) è quello di sostituire i piani privati con quello pubblico – o in ogni caso di relegarli in una posizione di subordinazione».
Su questa base, Robbins fu allora in grado di denunciare il difetto della posizione liberale (e socialista) al livello internazionale. 

I liberali classici avevano sostenuto la necessità di introdurre una serie di istituzioni, come la moneta, la regolamentazione degli scambi e della proprietà, ecc. al fine di consentire il funzionamento del mercato: la mano invisibile è in verità, scriveva Robbins, la mano del legislatore
Ma gli economisti classici, mentre ritenevano indispensabili queste misure di governo all’interno dello Stato, avevano ingenuamente creduto che potesse spontaneamente crearsi un mercato ben ordinato e funzionante anche al livello internazionale, in una situazione di anarchia politica."
3. Ora Lionel Robbins è importante perché ebbe una non trascurabile influenza sulla visione economica e "federalista"  del "secondo" Einaudi (anzi del "terzo", dopo quello, inizialmente socialista, della gioventù): parliamo di quell'Einaudi che, dopo averlo appoggiato, prende le distanze dal fascismo, per divenire oppositore delle teorie keynesiane e sostenitore della riduzione "in polvere" degli Stati nazionali in nome dell'ordine internazionale dei mercati, un concetto trasmesso e trasposto come soluzione irenica nel manifesto di Ventotene
Di conseguenza, per quella naturale trasmissione osmotica del pensiero che nel neoliberismo raggiunge uno dei massimi livelli di efficacia e di compatto conformismo, Robbins ebbe anche un'influenza moral-scientifica sulla stessa costruzione europea
Ecco che si spiega come e perché egli stesso sostenga qualcosa che risulta in perfetta assonanza con l'ordoliberista Miksch.
Il problema è che Einaudi e Robbins, e Monnet, e Adenauer e i suoi consiglieri (Roepke, Erhard, Eucken, etc.), sono perfettamente coscienti che l'attivismo interventista del neo-Stato (bello), neo-liberista, distruttore dello Stato sociale nazionale, orientato al "sezionalismo" (cioè alla considerazione e tutela della posizione dei lavoratori...), deve proiettarsi, in un processo a fasi successive, nella graduale costruzione di un organismo sovranazionale detentore di ogni residua sovranità ammissibile, sottratta agli Stati e in parte concentrata, in parte "naturalisticamente" dispersa/soppressa in tale sede superiore.  


4. Il punto è se tale "processo"- condotto in modo che il cittadino dell'ex-Stato nazionale (e democratico) non si accorga della distruzione progessiva di sovranità democratica-, possa non divenire un inevitabile cammino verso un nuovo totalitarismo: cioè, parafrasando l'ipocrisia della rivendicazione libertaria oligarchica di Hayek, un cammino "verso la schiavitù" dei popoli soggetti a questa costruzione dell'internazionalismo neo-liberista.
 
Per risolvere questo problema, dobbiamo dunque tornare all'enunciato di Robbins sopra riportato.
Sì, perché risolto il problema della pianificazione nel senso che essa ben possa (anzi: debba) essere "neo-liberista" e promercato, una volta portato il sistema alla sua (intrinseca) internazionalizzazione, ne deriva la difficoltà di individuare QUALE INTERESSE PRIVATO debba ritenersi prevalente.

Infatti, a livello nazionale, ciò risulta relativamente semplice, seguendo le indicazioni intrinseche nel sistema del mercato (marshalliano e marginalista), quali esplicitate da Hayek sul piano politico.  

Egli compie un'implicita ridefinizione della stessa soggettività e capacità giuridica generale delle persone umane, in base ad una (neo)eguaglianza formale, restrittiva persino rispetto alle formali enunciazioni del liberalismo ottocentesco; e cioè, quella di una "piena" capacità condizionata al ricorrere della titolarità dei beni patrimoniali essenziali: capitale industriale e finanziario
In funzione della titolarità di tali beni si individuano gli interessi prescelti e da perseguire (quanto appena detto è agevolmente desumibile anche dalle istituzioni essenziali affidate alla creazione del legislatore-mano invisibile dalla predicazione di Robbins: "introdurre una serie di istituzioni, come la moneta, la regolamentazione degli scambi e della proprietà, ecc" ).

5. Ma a livello internazionale, e lo nota lo stesso Robbins, riscontrandosi una società (o comunità sociale) composta da Stati, cioè tra persone giuridiche sovrane,
manca un assetto sociologico comparabile a quello nazionale, suddiviso in proprietari-capitalisti e "minus-habentes" (cioè tutti gli altri) che sia idoneo per risolvere il conflitto distributivo mediante lo stesso criterio utilizzabile all'interno dei singoli Stati.

Si pone allora il problema di quale interesse statale, tra quelli dei vari protagonisti della comunità internazionale o di una comunità "federativa", possa incarnare, a preferenza di altri, l'interesse privato privilegiato (proprietario e capitalista) in base a cui indirizzare la pianificazione dell'intera società (composta dal substrato sociale di più Stati, appunto, "federati"). 
E poi come giustificare la qualificazione di interesse privato a cui asservire gli interventi dell'autorità sovranazionale neo-liberista, mantenendo la facciata coerente della pianificazione pro-mercatista, se ogni soggetto dell'ordinamento internazionale si presenta come l'entificazione di un'organizzazione per definizione pubblica?

6. In realtà si tratta di problemi irrisolvibili, essenzialmente perché si pretende di negare l'affermazione autoritaria, e quindi "pubblicistica",  delle forze del mercato, che  si contrappongono alla "libertà" di un'ampissima sfera di interessi privati "esclusi": insomma si limita fortemente, in funzione di un'oligarchia, l'interesse generale dei popoli e lo si vuol dissimulare in un'utopica e pretestuosa ricerca della pace. Ce lo spiegò la stessa Rosa Luxemburg, qualche decennio prima delle visioni di Hayek e Robbins, con icastica lucidità:
«Il carattere utopico della posizione che prospetta un’era di pace e ridimensionamento del militarismo nell’attuale ordine sociale, è chiaramente rivelato dalla sua necessità di ricorrere all’elaborazione di un progetto. Poiché è tipico delle aspirazioni utopiche delineare ricette “pratiche” nel modo più dettagliato possibile, al fine di dimostrare la loro realizzabilità. A questa tipologia appartiene anche il progetto degli “Stati Uniti d’Europa” come mezzo per la riduzione del militarismo internazionale. [...]
L’idea degli Stati Uniti d’Europa come condizione per la pace potrebbe a prima vista sembrare ad alcuni plausibile, ma a un esame più attento non ha nulla in comune con il metodo di analisi e con la concezione della socialdemocrazia. [...]

...Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’anno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.
E se ora noi, in quanto socialdemocratici, volessimo provare a riempire questo vecchio barile con fresco ed apparentemente rivoluzionario vino, allora dovremmo tenere presente che i vantaggi non andrebbero dalla nostra parte, ma da quella della borghesia. Le cose hanno una loro propria logica oggettiva...".


7. E, d'altra parte, Lenin, ben conoscendo come i "federalisti dell'ordine internazionale dei mercati" potessero intendere le cose in un solo modo, aveva anticipato le pseudo-soluzioni e gli esiti di un federalismo europeo guidato dai liberisti (trionfatori nella lotta di classe proprio grazie al federalismo):
Ripassare non fa mai male: Lenin, 1915
In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie

Ma in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza. Il miliardario non può dividere con altri il "reddito nazionale" di un paese capitalista se non secondo una determinata proporzione: "secondo il capitale" (e con un supplemento [l'aumento di produttività a favore dei profitti!, ndr], affinché il grande capitale riceva più di quel che gli spetta). Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione e l'anarchia della produzione [ovvero privatizzazioni e anarco-liberismo, ndr]. Predicare una "giusta" divisione del reddito su tale base è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può dividere se non "secondo la forza". È la forza che cambia nel corso dello sviluppo economico."

8. Dunque, i problemi di "pacifica" (id est. "razionale") individuazione degli interessi da perseguire nell'interventismo neo-liberista internazionalizzato, sono irrisolvibili: e lo sono all'interno degli stessi interessi comuni delle elites "parti" dell'accordo, - che rimangono pur sempre divise dalle diverse origini e strutture nazionali del capitali. A decidere può essere sempre e solo la "forza": e ogni finalità di pace è solo una simulazione di facciata.

Ma date le premesse dei neo-liberisti federalisti, questi problemi in definitiva sono una false flag: a nessuno veramente importa che non ci sia un criterio, nell'ambito del diritto internazionale, per stabilire quale gruppo di capitalisti debba essere privilegiato, a scapito di altri, nella regolazione pianificata della società sovranazionale regolata dal mercato: cioè, appunto, una Grande Società dove piuttosto prevale come valore, l'obiettivo della unificazione federalista, che risolve(rebbe) ogni problema in una saldatura degli interessi di classe che le elites capitaliste mettono, in qualche modo, in comune
Una classe transnazionale di oligarchi della finanza e del capitale industriale (finanziarizzato), si coagula per stabilire regole cogenti e irresistibili che ridurranno a miti consigli le rispettive classi sociali contrapposte; in particolare i lavoratori, "controparte" di mercato indebolita dall'apertura delle economie nazionali.  
Queste ultime, infatti, permangono come punto di riferimento meramente contabile, e non più politico-sociale, degli equilibri delle partite correnti e delle esortazioni a sopportare i costi della corsa alla "competitività".
Cioè, in pratica, internazionalizzaione dei profitti, e nazionalizzazione dei costi per i lavoratori.

9. Tuttavia, nonostante l'accordo di saldatura degli interessi elitari transnazionali, una volta riportata la prospettiva al livello di riferimento nazionale, cioè alle masse non tutelabili per definizione nella privazione progressiva e "non avvertita" della sovranità democratica da parte dei singoli popoli, le elites che danno vita al disegno non escludono una lotta feroce. 
(Il TUE, art.3, par.3, parla di economia (sociale) di mercato fortemente competitiva).

E dunque ha ragione Lenin: non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza.
Ed è così che ci troviamo, oggi, a fronteggiare, l'arrembante ordoliberismo pianificatore e super interventista della Germania: naturalmente interventista con legislazione pro-mercato, come ben vediamo in occasione della crisi indotta dalla regolazione introdotta con l'Unione bancaria,  ma non solo.  
Solo che l'intervento della pianificazione neo-liberista, come avevano pronosticato 100 anni fa Lenin e Luxemburg, è NATURALMENTE DIRETTO A PRESERVARE E RAFFORZARE LA POSIZIONE DELLE ELITES NAZIONALI CHE, GRAZIE ALLA ISTITUZIONE "FEDERALISTA", HANNO VINTO LA COMPETIZIONE SUL MERCATO

10. E la prova di ciò l'abbiamo nella vicenda dell'euro: al principio del processo di pianificazione dell'ordine internazionale dei mercati, le elite si accordano per farne il fulcro della denazionalizzazione della moneta e delle stesse politiche fiscali. Stabiliti i rapporti di forza e di suddivisione dei "dividendi" (di cui tanto si parla, tutt'ora), cioè registrati gli esiti della spietata competizione, i danni sociali a livello popolar-nazionale non trattengono da alcuna ulteriore misura tesa e conservare l'utilità elitaria della moneta unica (controllo del mercato del lavoro e dell'intero conflitto distributivo che l'euro consente). 
Da ciò, senza alcuna resistenza politica nazionale, (almeno in Italia), regole, attuative della più ampia pianificazione mercatista, quali il fiscal compact e l'Unione bancaria, coi suoi "meccanismi di risoluzione", che riducono il perdente della "guerra dell'euro" a quasi-colonia sotto ricatto armato della BCE.

Ne discende una situazione di rapporti di forza in consolidamento e divaricazione: il "centro" vincitore diventa paese imperialista e i paesi perdenti, divenuti periferici, divengono poco più che colonie.
Ecco che, dunque, il disegno federalista dell'ordine internazionale dei mercati, cioè l'unione del "mercato unico" a danno del lavoro,  rivela il suo inevitabile esito totalitario
Ed essendo intollerante, culturalmente e politicamente, rispetto a qualsiasi contraddizione e opposizione, diviene anche inevitabilmente autoritario.

11. Che il (neo)liberismo, quale che sia l'alibi dietro cui viene nascosta la inevitabile natura oligarchica e antisociale dell'ordine del mercato, avesse un esito autoritario, ce lo aveva già dimostrato questo post di Bazaar:
"...il totalitarismo non è altro che la fase assoluta a cui tende il sistema capitalistico liberale – senza freni e limiti – nel momento in cui viene mercificato e monopolisticamente prezzato qualsiasi oggetto sensibile, da qualsiasi risorsa naturale, all'uomo, dalle norme morali, ai sentimenti. Sheldon Wolin, il grande teorico politico americano recentemente scomparso, all'inizio degli anni 2000, analizzando la proiezione degli Stati Uniti sul mondo, propose la definizione di “totalitarismo rovesciato...




Vediamo ad esempio C. Friedrich e Z. Brzeziński (1956) sul significato storico di totalitarismo, proponendo già alcuni spunti di riflessione tra parentesi quadre: 
a) un'ideologia onnicomprensiva che promette la piena realizzazione dell'umanità; [tipo il “mondialismo”?]
b) un partito unico di massa, per lo più guidato da un capo, che controlla l'apparato statale e si sovrappone a esso;
[tipo il “PUDE”, il “PUO” o il partito unico liberale con a capo il Grande Fratello, ovvero il Mercato?]
c) un monopolio quasi totale degli strumenti della comunicazione di massa;
d) un monopolio quasi totale degli strumenti di coercizione e della violenza armata;
e) un terrore poliziesco esercitato attraverso la
costrizione sia fisica sia psicologica, che si abbatte arbitrariamente su intere classi e gruppi della popolazione;
f) una direzione centralizzata dell'economia.
[Possiamo chiamare anche questo “monopolio” di un mercato massimamente concentrato che pianifica produzione e fissa i prezzi?]...


Le differenze che trova Sheldon Wolin in forma di attributi di segno inverso nell'attuale totalitarismo sono principalmente tre:
1 – Le grandi imprese sostituiscono lo Stato come principale attore economico e, tramite attività di lobbying, controllano il governo senza che ciò sia ritenuto corruzione;
2 – Non viene più ricercata una costante mobilitazione di massa a fini di propaganda, ma la popolazione viene tenuta in uno stato perenne di apatia politica;[9]
3 – La democrazia viene formalmente rivendicata e proposta come modello al mondo intero".


12. Riassumendo: ci pare evidente come, senza neppure ricorrere a tutte le illustri e sofisticate analisi finora richiamate:
a)  un ordine dei mercati proiettato a livello sovranazionale sia, necessariamente, il frutto di un accordo concluso tra elites di operatori economici, proprietari del capitale finanziario e produttivo
b) tale accordo diviene il presupposto AUTOMATICO per una intensa pianificazione normativa, di tutela degli interessi e dei RAPPORTI DI FORZA  che si manifesteranno nella competizione;
c) una competizione, però, non assolutamente libera e lasciata a forze naturalistiche, bensì svoltasi sulla base delle regole che sono state stabilite nell'accordo tra elites.

13. Questa idea del mercato è intrinsecamente autoritaria, perché geneticamente orientata a perseguire istituzionalmente solo gli interessi delle elites: l'istituzione (moneta, regole del mercato, governance delle relative politiche), detterà norme e applicherà sanzioni a vantaggio di queste elites e PER ASSOGGETTARE LE NON ELITES. 
Questo autoritarismo è la negazione della democrazia e pertanto esige un continuo sforzo di controllo politico-culturale sul substrato sociale delle non elites.
Per esercitare questo sforzo continuo di controllo sociale si sviluppa, appunto, l'istituzionalismo sovranazionale neo-liberista che, come evidenzia Mirowsky, rivendica ormai il ruolo di "teoria del tutto": e proprio come tale il neoliberismo sfocia inevitabilmente in un TOTALITARISMO DEL MERCATO, nella nuova forma che evidenzia Wolin. 
Una forma, cioè che controlla le istituzioni formali in assoluta mancanza di trasparenza e assunzione di responsabilità, distrugge cultura e consapevolezza nella massa di non-elite e predica un simulacro esile, contraddittorio, e spesso ridicolo, di democrazia. 
Ma come ogni autoritarismo totalitario non rinuncia a creare un "uomo nuovo", un essere perfettamente asservito alle esigenze del mercato e della competitività, incapace di avere altra aspirazione che assecondare e massimizzare questi pseudo-valori mercatori, concordati dalle elites e offerti come prospettiva di "pace" e di benessere (!), contro ogni evidenza.

14. In questo quadro, nulla risulta più inesatto, se non addirittura grottesco, che fare un accostamento del federalismo europeo, - pianificatore della privatizzazione oligarchica di ogni istituzione e di ogni gerarchia creata dalla spietata competizione- con l'URSS.
L'ipotesi di Vladimir Bukovskji che vi sia una somiglianza con l'URSS, e addirittura una "strumentalità" dell'UE rispetto all'assoggettamento dei popoli europei al dominio "sovietico", è una mera fantasia priva di qualsiasi attendibilità analitica e non corrispondente alla realtà storica e fenomenologica del federalismo europeo, cioè del neo-ordoliberismo istituzionalizzato, di cui abbiamo visti gli esiti inevitabili.
Spero che le persone dotate di intelligenza critica e cultura non parlino più di EURSS. E guardino alla ipermanifesta realtà, nella quale il neo-liberismo, con il suo ordine sovranazionale dei mercati, e il suo liberoscambismo istituzionalizzato, teorizza apertamente i suoi esiti "pianificatori" e la sua idea totalitaria e antiumana della società e del "Tutto".

ADDENDUM: i termini della questione relativa al totalitarismo come conseguenza insita nelle premesse stesse del neo-liberismo, avrebbero dovuto essere insiti nel post che precede.
Ma, constatata, per vari aspetti, una certà difficoltà a trarre un'agevole schematizzazione critica della questione stessa, prendo spunto da un commento di Bazaar, per proporre uno schema riassuntivo che, spero, risulti chiarificatore.
"1. Riassumo in termini semplificati la questione: il socialismo reale sovietico vuole modificare la struttura sociale ma non l'essere umano nella sua essenza psicologica e antropologica (ciò che è la caratteristica del totalitarismo).
E non considera questa opzione come razionale proprio perché non la considera "reale": si rende infatti conto che tale essenza delle dinamiche sociali è immodificabile; cioè antropologicamente la società tende a produrre delle posizioni di forza politico-economica e delle norme per conservarle. Perciò, per risolvere con "effettività" il problema, sceglie l'autoritarismo, cioè un regime che usa la forza per realizzare il cambiamento sociale strutturale.

1.1. C'è un versante utopico e antiumano in ciò?
Sì, perché il "metodo" non solo si rivela (inevitabilmente, direi) non transitorio (id est. delimitato a una fase "instaurativa"), come inizialmente lo si voleva giustificare, ma contiene in sè i germi della strutturazione del potere burocratizzata e anti-libertaria (in senso essenziale: libertà di parola, di stampa, di movimento, di inviolabilità della persona e del domicilio, ecc.). Rosa Luxemburg è chiara su questo punto. Lo ritiene un costo non giustificabile.

2. Il neo-liberismo, a sua volta, muove sempre dalla stessa premessa ma ne inverte il senso valoriale: ritiene che le posizioni prevalenti, economico-politiche, DEBBANO essere preservate istituzionalmente, ma considera tale obiettivo strutturale una "Legge naturale", con pretesa di scientificità: poiché, poi (come hai sempre evidenziato), convidide l'analisi strutturale marxista della società, si rende conto della incessante conflittualità determinata da tale Legge naturale.

Perciò teorizza e attua, come prassi politica, un sistema di controllo sociale autoritario del conflitto (in varie forme, di cui le principali, contemporanee, sono il sistema mediatico e quello monetario): questo sistema è funzionale ad una DEFINITIVA MUTAZIONE dell'orientamento psicologico e esistenziale dell'essere umano (cioè vuole invertire la sua autopercezione di essere capace di autodeterminarsi, sia pure entro limiti storicamente "convenzionali").

2.1. Questa utopia-distopia, ben evidenziata da Orwell, fornisce alla Storia un formidabile paradosso: per strutturare la naturalità (scientifica) delle Leggi del mercato, e le loro conseguenze di gerarchizzazione sociale definitiva (come già nelle teorie teocratiche del medio-evo, da parte dell'aristocrazia terriera che, pure, svolgeva, in origine, una funzione difensiva del minimo di sopravvivenza delle comunità territoriali), il neo-liberismo ritiene indispensabile modificare la "natura" degli esseri umani, rendendoli propensi ad accettare la schiavitù come fatto normativo "fondante" (grund-norm complementare a quella dell'ordine del mercato).

Esattamente in questa pars construens consiste il totalitarismo e la differenza insanabile con l'autoritarismo sovietico: l'essere umano deve, senza alternative, riconoscere la colpa di non essere "naturalmente" nel modo in cui gli imporrebbe...la Legge naturale del mercato.

2.2. Come dice Hayek, nell'aforisma qui infinite volte citato, per realizzare ciò ogni strumento e ogni fine deve essere riplasmato dall'elite degli eletti.
In questa contraddizione, incentrata sull'innaturalità consapevole della prassi politica predicata - elemento che fa cadere anche la naturalità della premessa (sull'ordine del mercato), (come attestano Basso, Mirowsky, Miksch e via dicendo: cioè chiunque ci ragioni, da qualunque punto di partenza muova)-, è il clou del totalitarismo.
Che è dunque un carattere proprio del liberismo e a cui questo, per questioni di continuità di potere e, quindi, per la sua stessa sopravvivenza, NON POTRA' MAI E POI MAI RINUNCIARE.

 

28 commenti:


  1. Questa elite ha sostituito il valore della collaborazione di un popolo all'interno della nazione, collaborazione finalizzata al progresso MATERIALE E SPIRITUALE dell'interna società (e le due cose, ricordiamolo, sono inscindibili in Costituzione; quindi si consolino i decrescisti che identificano il progresso materiale con il neoliberismo), con la competitività internazionale delle forze produttive e delle classi subalterne, competitività che è finalizzata al REGRESSO SIA MATERIALE CHE SPIRITUALE di tutte le classi che non facciano parte dei possidenti (I QUALI SI ACCONTENTERANNO "SOLAMENTE" DI UN REGRESSO SPIRITUALE). Da una parte abbiamo la morale individualista di Steve Jobs, artificialmente indotta dal sistema valoriale dominante, cioè del vincente che si è fatto da solo partendo da zero e deve il suo successo solo ed esclusivamente a se stesso; dall'altra c'è la morale "alternativa" del downshifter solitario, o al più facente parte di piccoli gruppetti, che va a vivere nei boschi senza luce e gas, e che va bene per tutti i disoccupati-esclusi-perdenti nella competizione internazionale senza stato e senza welfare, cioè, a spanne, per il 95% della popolazione terrestre; entrambe le morali infatti hanno una cosa in comune: possono funzionare benissimo in assenza di stato nazionale, di welfare, di azione politica collettiva, di collaborazione di un popolo finalizzata al progresso MATERIALE E SPIRITUALE di una società. Ecco poi il welfare caritatevole e straccione che avrebbe permesso a Steve Jobs di andare avanti e campare in attesa di vincere la competizione:
    "Non era tutto così romantico al tempo. Non avevo una stanza nel dormitorio, perciò dormivo sul pavimento delle camere dei miei amici; portavo indietro i vuoti delle bottiglie di coca-cola per raccogliere quei cinque cent di deposito che mi avrebbero permesso di comprarmi da mangiare; ogni domenica camminavo per sette miglia attraverso la città per avere l'unico pasto decente nella settimana presso il tempio Hare Krishna. Ma mi piaceva. Gran parte delle cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all'intuizione in quel periodo si sono rivelate inestimabili più avanti."
    http://www.tgcom24.mediaset.it/rubriche/steve-jobs-stay-hungry-stay-foolish-il-discorso-alla-stanford-university_2116400-201502a.shtml
    "Racconta di come dovesse percorrere vari chilometri a piedi, una volta a settimana, per avere un pasto gratis nel tempio Hare Krishna"
    http://it.ibtimes.com/siate-affamati-siate-folli-il-bellissimo-discorso-di-steve-jobs-video-1310958
    Ecco che downshifting, welfare caritatevole e privato concesso a Steve su base volontaria e non statale, competitività e successo si mischiano in un TUTT'UNO nella figura del fondatore della Apple. Non per nulla le parole di Steve Jobs:"Siate affamati, siate folli" vengono riprese, dai propalatori nostrani del neoliberismo, come parole di conferma che senza un welfare statale, senza una solidarietà PUBBLICA, gli INDIVIDUI ISOLATI RIDOTTI ALLA FAME saranno spinti a creare innovazioni e produrre ricchezza per sopravvivere alla durezza del vivere. In tutta questa bella favola, naturalmente i massicci interventi statali PUBBLICI statunitensi in ricerca e sviluppo nelle nuove tecnologie sono per lo più occultati. Proprio quei massicci interventi che hanno permesso poi al primo squaletto di turno selezionato dall'elite di prendersi tutti i meriti, tanto che sembra che il mondo intero sia stato inventato solo da Lui, l'uomo che si è fatto tutto da solo, partendo "dar basso".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Hai fatto un'ottima ritraduzione del bis-linguaggio per "menti elementari" con cui il neo-liberismo governa la società globale (sia pure con crescenti e impreviste, per ESSI, difficoltà): lo stesso bis-linguaggio che induce a fare la improponibile equazione UE=URSS, incurante delle radicali differenze di struttura sociale, di presupposti e finalità, istituzionali e sociali, delle forze di governo e finanche della radicale diversità degli effetti di massa di tali due diversi totalitarismi.

      Si potrebbe parlare di dittatura della "scarsità di risorse" propugnata da accumulatori illimitati delle stesse.
      Ma il discorso non merita neppure di soffermarcisi troppo: chi non ci arriva è allo stadio finale, cioè irreversibile, della "mente elementare".

      Elimina
  2. Altro post illuminante che fotografa le tendenze in atto del capitalismo autoritario nelle sue forme €uromondialiste, presentato sotto le mentite spoglie della finta democrazia.
    Dal giugno all’agosto del ’49 Basso si cimenta in alcune riflessioni sul tema del capitalismo totalitario - divise in tre parti e pubblicate sulla rivista “Quarto Stato” - da lui intitolate “Ciclo totalitario”. Basso ricostruisce storicamente le dinamiche della lotta di classe borghesia-mondo del lavoro nella struttura della società, offrendoci, a più di sessant’anni di distanza, uno spaccato delle fasi totalitarie contemporanee e delle possibili reazioni da opporre. I passi sono corposi – e mi scuso - ma un’eccessiva sintesi farebbe perdere l’intima unità del discorso.
    CICLO I - Viene analizzata, dalla prima guerra mondiale in poi, l’avanzata capitalistica finalizzata ad impadronirsi in modo totalitario degli Stati con la “cosmesi” formal-democratica (in Italia, come sappiamo, la funzione fu affidata in origine alla DC):
    “…Siamo cioè in presenza di una nuova avanzata del capitale finanziario verso la MANOMISSIONE TOTALE DEI PUBBLICI POTERI E VERSO FORME DI GOVERNO TOTALITARIE, ma questa volta sotto la guida e per conto dell’America. La prima tappa era stata rappresentata dal fascismo, che, nato sotto la spinta di esigenze diverse, si affermò in definitiva come un momento della lotta condotta, dal capitale monopolistico PER RENDERSI PADRONE DELLO STATO…La prima guerra mondiale accentuò notevolmente lo sviluppo delle nuove forme capitalistiche: l’industria pesante (Ilva, Ansaldo, ecc.), la sua fusione col capitale bancario (Banca Italiana di Sconto, p. es.), il forte incremento della speculazione (Gualino) sono tutti segni che anche in Italia il CAPITALE FINANZIARIO DIVENTAVA IL FATTORE DOMINANTE E TENDEVA NECESSARIAMENTE ALLA DIRETTA MANOMISSIONE DEI POTERI PUBBLICI PER POTER MEGLIO PIEGARE LA POLITICA DELLO STATO ALLE ESIGENZE IMPOSTE DALLA SALVAGUARDIA E DALL’ACCRESCIMENTO DEL PROPRIO PROFITTO…Il FASCISMO FU LO STRUMENTO DI QUESTO ASSALTO AI POTERI DELLO STATO, dato dalle oligarchie finanziarie, le quali fecero appello, contro il proletariato organizzato e contro le residue forze democratico-liberali della media borghesia e di strati intellettuali, alla violenza plebea del sottoproletariato, ai facili entusiasmi della giovinezza, alle aspirazioni piccolo-borghesi di rinnovamento sociale senza profondi turbamenti, il tutto tenuto assieme da una mistica nazionale e da un comune assalto alla greppia assai meno mistico. (segue)

    RispondiElimina
  3. L’anticapitalismo, il repubblicanesimo tendenziale, il sindacalismo e il dannunzianesimo dei primi tempi, furono tutti motivi invocati per far leva su determinati strati d’animo e su determinati ceti, ma già destinati ad essere assimilati in una visione Totalitario Paternalistica… L’antifascismo non avendo condotto a fondo l’analisi del fascismo, le sue profonde ragioni economico-sociali sfuggono all’osservazione dei più e resta solo il facile cliché fascismo = dittatura antiparlamentare, e antifascismo = democrazia parlamentare, cliché caro alla propaganda borghese che permette di assimilare la dittatura del proletariato a “fascismo rosso” e una qualsiasi parvenza di istituzione parlamentare a una reale democrazia. Sulla base di questo schematico semplicismo, LA LOTTA CONDOTTA DALLE POTENZE OCCIDENTALI CONTRO IL NAZIFASCISMO VIENE FACILMENTE ASSIMILATA A UNA LOTTA CONDOTTA PER IL TRIONFO DI PRINCIPI DEMOCRATICI, E LE POTENZE OCCIDENTALI STESSE ASSURGONO AD ARCHETIPI DELLA DEMOCRAZIA. SIAMO QUI EVIDENTEMENTE SUL PIANO CHE ABBIAMO CHIAMATO DELLE APPARENZE SUPERFICIALI, E NON SU QUELLO DEI REALI RAPPORTI DI CLASSE. Abbiamo già avuto occasione di parlare altre volte… della complessità dei motivi che s’intrecciano per dar vita alla coalizione antinazista della seconda guerra mondiale, E MESSO IN RILIEVO COME I REALI MOTIVI CHE SPINSERO ALLA GUERRA LE POTENZE ANGLOSASSONI FURONO MOTIVI DI CONCORRENZA IMPERIALISTICA. Mentre cioè il capitale monopolistica delle potenze fasciste, finanziariamente più debole, meno ricco di materie prime e di punti d’appoggio internazionali, si chiudeva nell’autarchia per resistere alla concorrenza e poi mirava a conquistarsi un sempre più grande “spazio vitale” vietato alla concorrenza stessa, il capitalismo anglosassone forte della sua superiorità, voleva rompere ogni barriera e fare di tutto il mondo un grande mercato di sfruttamento…La sconfitta del nazifascismo segnò … una vittoria del capitale finanziario anglo-americano, nella sua corsa verso la dominazione mondiale…Salvi i paesi ove la classe operaia è giunta al potere, tutto il resto del mondo è ormai oggetto della voracità americana che tende a fare di ogni paese una colonia o semi-colonia. L’INDIRIZZO DI QUESTA POLITICA È BEN CHIARO: ACCENTRARE IN POCHI GRUPPI FINANZIARI IL DOMINIO DELLA VITA ECONOMICA DEGLI STATI SATELLITI, ABBATTENDO LA CONCORRENZA, ED ASSICURANDOSI IL CONTROLLO DEI GRUPPI DOMINATORI ATTRAVERSO PARTECIPAZIONI E COMBINAZIONI FINANZIARIE… (segue)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ecco un punto fondamentale per i diversamente (ben)pensanti:
      "L’antifascismo non avendo condotto a fondo l’analisi del fascismo, le sue profonde ragioni economico-sociali sfuggono all’osservazione dei più e resta solo il facile cliché fascismo = dittatura antiparlamentare, e antifascismo = democrazia parlamentare, cliché caro alla propaganda borghese che permette di assimilare la dittatura del proletariato a “fascismo rosso” e una qualsiasi parvenza di istituzione parlamentare a una reale democrazia".
      Oggi siamo all'estremizzazione di questa profonda ignoranza: negli sproloqui della democrazia filosofica e dell'ossimoro della "democrazia liberale" che domina gli editoriali della grancassa mediatica (del capitalismo finanziario)

      Elimina
  4. Mai prima d’ora vi era stata nel mondo una politica più conseguente e più coerentemente armonizzata in vista della dominazione mondiale, e mai prima d’ora una propaganda era stata più sapientemente orchestrata per mascherare sotto veli di “democrazia”, di “civiltà occidentale”, di “generosità”, ecc. una spinta brutale dell’imperialismo. La prima differenza che balza agli occhi fra il dopoguerra fascista e il dopoguerra democristiano è che allora l’Italia entrava appena, si può dire, nella fase imperialistica e s’inseriva nel gioco delle potenze imperialistiche contrastanti. Il capitale monopolistico entrava cioè in concorrenza con il capitale monopolistico straniero; l’industria pesante italiana doveva difendersi dall’industria pesante più progredita e più potente di altri paesi. Perciò essa doveva essenzialmente ridurre i suoi costi, difendersi con barriere doganali e assicurarsi larghi ordinativi dallo Stato; al primo scopo mirava l’abbattimento della forza organizzata del lavoro, per la riduzione dei salari, al secondo l’autarchia, al terzo una politica di riarmo e di potenza, fini tutti facilmente conseguibili attraverso la conquista del potere statale, che consentiva anche quella valvola di sicurezza che consiste nell’addossare alla collettività le perdite, attraverso salvataggi o attraverso una politica finanziaria manovrata. Questi erano, molto schematicamente, gli obiettivi del capitale finanziario italiano nel primo dopoguerra. OGGI INVECE IL CAPITALE FINANZIARIO ITALIANO È IN FUNZIONE DELLA POLITICA DEI GRUPPI AMERICANI CHE LO DOMINANO. NON SI TRATTA PIÙ DI CONQUISTARE E DIFENDERE IL MERCATO ITALIANO, MA DI INSERIRE I COMPLESSI ITALIANI NELLA VASTA MANOVRA DEL CAPITALISMO AMERICANO, IL QUALE TENDE A CREARE DEI GRANDI SPAZI, PER AVERE LARGHI MERCATI DI SBOCCO AI PRODOTTI AMERICANI O AI PRODOTTI DELLE INDUSTRIE CH’ESSO CONTROLLA NEGLI ALTRI PAESI. Questo significa che devono essere lasciate cadere le industrie che non interessano il capitale americano e che sono in concorrenza con altre industrie americane o europee ma sotto controllo americano: sono soltanto pochi grandi gruppi monopolistici (Fiat, Snia, Montecatini, Pirelli, ecc.) che possono attrarre capitale anglosassone ed entrare così nel gioco della finanza di Wall Street. la smobilitazione volontaria o lo schiacciamento delle altre industrie è una conseguenza di questa politica, che mira anche, per espresse dichiarazioni dei grandi esperti d’oltre oceano, a creare nei paesi europei una massa di disoccupati sufficientemente vasta per dare al mercato del lavoro quella elasticità che può interessare i capitalisti che vengono qui alla ricerca di profitti più larghi di quelli conseguibili nel proprio paese…è chiaro che una politica di questa natura non può più poggiare su parole d’ordine nazionalistiche o imperiali, MA AL CONTRARIO SU PAROLE D’ORDINE COSMOPOLITE: L’UNITÀ DELL’EUROPA, O ADDIRITTURA, LA CIVILTÀ CRISTIANA O LA CIVILTÀ OCCIDENTALE SONO I NUOVI MITI CHE IL CAPITALE MONOPOLISTICO ADOPERA PER LA CONQUISTA DELLE MASSE. TUTTAVIA, ANCHE SOTTO QUESTA NUOVA FORMA, ANZI ORA PIÙ CHE MAI, IL CAPITALE MONOPOLISTICO HA BISOGNO DEL DOMINIO INCONTROLLATO DELLO STATO…(segue)

    RispondiElimina
  5. Gli obiettivi dell’attuale fase sono dunque in parte gli stessi e in parte diversi dal precedente dopoguerra: CONTROLLO ASSOLUTO DELL’APPARATO STATALE, LOTTA CONTRO IL MOVIMENTO OPERAIO ORGANIZZATO, E QUINDI PRATICAMENTE DISTRUZIONE DELLE LIBERTÀ SINDACALI E DI OGNI FORMA DI CONTROLLO DEMOCRATICO, REGIME TOTALITARIO, ma in funzione di finalità diverse (inserimento, nell’area del dominio americano), a favore di un capitale; assai più concentrato e quindi ristretto in pochi gruppi, e con l’appoggio di ideologie diverse. LA TECNICA ELABORATA DALL’IMPERIALISMO PER CONSEGUIRE OBIETTIVI TOTALITARI È ORMAI NOTA: CREARE UN MITO (UN MITO IMPERIALE O DI POTENZA, O IL MITO DI UN’AGGRESSIONE STRANIERA) E FARNE IL SUBSTRATO DELL’UNITÀ NAZIONALE, E DICHIARARE ANTINAZIONALI E STRANIERI TUTTI COLORO CHE SI RIFIUTANO DI ACCETTARE QUESTO MITO E CHE, NON SONO D’ACCORDO CON LA POLITICA UFFICIALE…Fu la tecnica del fascismo e del nazismo, ma è oggi la tecnica ufficiale americana…UNA STAMPA ADDOMESTICATA DOMINATA DAI GRUPPI FINANZIARI O ASSERVITA AL GOVERNO, COSÌ COME LA RADIO DIVENTATA STRUMENTO, DEL NUOVO MINCULPOP…Questa impostazione serve anche a giustificare la lotta contro il movimento operaio accusato di perseguire fini antinazionali, o “cominformisti”…si rende difficile la vita ai Comuni democratici, facendo mancare i mezzi finanziari, annullandone le deliberazioni, trovando pretesti per lo scioglimento. L’ATTIVITÀ PARLAMENTARE È RIDOTTA A UNA MERA LUSTRA, IN QUANTO NON È PIÙ LA MAGGIORANZA PARLAMENTARE CHE ESPRIME IL GOVERNO E GLI TRACCIA L’INDIRIZZO POLITICO, MA È IL GOVERNO, O, MEGLIO ANCORA, IL PARTITO DI GOVERNO, CHE SI CREA LA SUA MAGGIORANZA ATTRAVERSO I METODI ELETTORALI BEN CONOSCIUTI E GLI PRESCRIVE LA CONDOTTA SOTTO VINCOLO DI DISCIPLINA…La cricca dominante si riduce, così a pochi, esponenti politici, ai magnati del capitale finanziario, ad alcuni alti papaveri della burocrazia, e, principalmente, ai rappresentanti dell’America e del Vaticano. Così si tende a compiere il CICLO TOTALITARIO. TUTTO CIÒ DEVE TUTTAVIA ESSERE PRESENTATO COME DEMOCRATICO…l’uomo medio è stato imbottito per molti anni di propaganda democratica; può essere relativamente facile fargli accettare un nuovo REGIME TOTALITARIO, Soprattutto Se Gli Si Dà L’impressione Che Questo Serve Alla Sua Tranquillità E Alla Sua Stabilità Di Vita, Ma Gli Si Deve Garantire Che È Un Regime Democratico. TURLUPINATO UNA VOLTA DA UN REGIME CHE SI PROFESSAVA ANTI-DEMOCRATICO, L’UOMO MEDIO CREDE DI ESSERE AL SICURO DA ALTRE TURLUPINATURE SE IL NUOVO REGIME SI CHIAMA DEMOCRATICO...” [L. BASSO, Ciclo totalitario 1, Quarto Stato, 30 maggio-15 giugno 1949, 3-8]. (segue)

    RispondiElimina
  6. CICLO II – Viene analizzata la strategia di consolidamento del regime totalitario e l’assenza di democrazia per mancanza di effettivo pluralismo (ridotto a mera facciata), con i partiti ed i suoi protagonisti tutti a fungere da strumento per l’affermazione del totalitarismo. (La Sassen, come sappiamo, ci ha spiegato che i collaborazionisti servono a traghettare gli Stati nel capitalismo globalizzato; in cambio ottengono come ricompensa… il potere.
    “… LA MAGGIORANZA CIOÈ CAMMINA SECONDO LA LOGICA DEGLI INTERESSI CH’ESSA DIFENDE E DELLE ESIGENZE CHE INCARNA, e De Gasperi, Piccioni, Scelba, Gonella, Fanfani, Dossetti, Pella, Rumor, ecc. SONO ALTRETTANTI ASPETTI NECESSARI E COERENTI DI QUESTA MARCIA AL TOTALITARISMO… Che cosa è necessario infatti perchè l’attuale regime si consolidi in forme totalitarie, pur mantenendo le apparenze e le forme della democrazia? È necessario in primo luogo che scompaia la dialettica dei partiti in senso proprio, i quali rappresentano una fase di sviluppo superata della società capitalistica, una fase cioè in cui l’alto grado di concentrazione capitalistica non aveva ancora fatto di pochi gruppi finanziari i dominatori della vita politico-economica della nazione, e i contrasti degli interessi, non solo degli interessi di classi diverse, ma di ceti e gruppi diversi nell’ambito delle stesse classi, si articolavano ancora in un giuoco politico di partiti più o meno fortemente organizzati, i quali poi trovavano nel Parlamento la loro espressione e nel Governo la risultante delle loro forze; È NECESSARIO DI CONSEGUENZA CHE LA DIREZIONE DELLA VITA POLITICA SI RISOLVA DIRETTAMENTE NEGLI STRETTI CONTATTI O ADDIRITTURA IN UNA INTIMA FUSIONE FRA ESPONENTI DEL GRANDE CAPITALE E UOMINI DI GOVERNO, SENZA TROVARE OSTACOLI NÉ NEL REGIME PARLAMENTARE, NÉ NELLA PUBBLICA OPINIONE, E NEPPURE NEL SUPERSTITE SENSO DI LEGALITÀ DELLA BUROCRAZIA O DELLA MAGISTRATURA, PUR SENZA ANNULLARE L’ESISTENZA NÉ L’INDIPENDENZA FORMALE DEL PARLAMENTO, DELLA STAMPA E DELLA BUROCRAZIA, ALMENO FIN DOVE SARÀ POSSIBILE, MA ISOLANDO NEL PAESE E TENTANDO DI RIDURRE ALL’IMPOTENZA L’OPPOSIZIONE DI CLASSE che non può essere disarmata, in modo da riunire tutte le altre forze del Paese in un solo blocco a disposizione delle supreme gerarchie….A renderci più chiaro conto di questi diversi aspetti giova osservare altresì che il processo interno del mondo capitalistico presenta già per se stesso due facce: da un lato la crisi di debolezza e addirittura di dissolvimento del vecchio capitalismo di concorrenza, già indebolito durante il fascismo e la crisi e uscito stremato dalla guerra, incapace di resistere sia alla pressione della concorrenza straniera che alle legittime aspirazioni del mondo del lavoro, e quindi incapace di assolvere al ruolo di classe dirigente, disperatamente proteso nello sforzo di evitare la propria distruzione; dall’altra la ripresa offensiva dei grandi gruppi monopolistici e parassitari che tendono a concentrare nelle proprie mani il potere politico oltre che economico e procedono con la massima spregiudicatezza al consolidamento delle proprie posizioni, disposti ad allearsi con chicchessia, e anche, ove sia possibile, con la classe operaia o con strati di essa, per raggiungere le finalità di volta in volta perseguite. A questo processo interno del mondo capitalistico si accompagnano poi la crisi dei ceti medi, più che mai pauperizzati e frantumati nel corso di questo processo di trasformazione delle strutture sociali e anelanti soprattutto a un regime di stabilità e di sicurezza; la disoccupazione crescente che pesa sulle masse operaie…(segue)

    RispondiElimina
  7. ESPRIMERE TUTTI INSIEME QUESTI MOTIVI E QUESTE ESIGENZE, MA SUBORDINARE POI TUTTI GLI ALTRI ALLE VOLONTÀ DEI GRUPPI MONOPOLISTICI, E QUINDI IN DEFINITIVA DELL’AMERICA, È APPUNTO IL COMPITO POLITICO DEL REGIME… È antichissima esperienza che le classi dominanti usino affidare la conservazione del proprio dominio sia alla religione adoperata come instrumentum regni capace di giustificare e garantire in forme mistiche la divisione in classi, e di soffocare sotto l’ignoranza e la rassegnazione ogni volontà di emancipazione delle classi soggette; sia all’apparato di violenza dello stato (caste militari, burocrazia, guardie del corpo, polizia, ecc.). Ma in tempi di pericolo, di crisi sociali, di insufficienza delle vecchie strutture, o di tramonto dei vecchi miti, quando la pressione delle classi soggette si fa sentire, è altresì vecchia esperienza dei ceti dominanti, quella di ricorrere all’aiuto di protettori stranieri o di ausiliari mercenari. E IN TEMPI PIÙ MODERNI INFINE, SOPRATTUTTO DOPO CHE AL DOMINIO DI CETI SACERDOTALI O MILITARI SI È VENUTO SOSTITUENDO IL PREVALERE DELLA RICCHEZZA MOBILIARE E L’AFFERMARSI DI CETI MERCANTILI E CAPITALISTICI, IL DENARO È ASSURTO SEMPRE PIÙ A STRUMENTO DI DOMINAZIONE, VUOI ATTRAVERSO I METODI DI CORRUZIONE INDIVIDUALE, VUOI, IN FORME PIÙ AMPIE E MODERNE, CONSENTENDO LO SVILUPPO DI UNA POLITICA, RIFORMISTICA, DI UNA POLITICA CIOÈ SOFFOCATRICE DELLA LOTTA DI CLASSE IN VIRTÙ DI CONCESSIONI E FAVORI…Così nel primo dopoguerra, la borghesia italiana p. es. mobilitò per la propria difesa la religione, sia creando essa stessa una nuova mistica nazionale e imperiale, sia alleandosi (Concordato) con la religione ufficiale…Chiunque abbia studiato seriamente la storia dell’Italia nel periodo fascista, sa che tutti questi motivi furono volta a volta vivi e vivacemente contrastanti: quel che dava al fascismo il carattere totalitatio era la impossibilità di far valere qualsiasi motivo e qualsiasi interesse al di fuori di esso, e la necessità di risolvere gli elementi contrastanti, ch’esso albergava, nell’ambito di un’organizzazione gerarchica che faceva dei vertici supremi della piramide statale gli arbitri della situazione. E questi vertici non erano rappresentati dal Duce soltanto, ma soprattutto dalle oligarchie finanziarie… TUTTO QUESTO SI RIPETE OGGI IN FORMA DIVERSA. Anche in questo dopoguerra, anzi in questo più che mai la classe dominante italiana ha fatto ricorso alla religione come instrumentum regni, ma in una forma in un certo senso nuova. Cioè la Chiesa non ha fornito soltanto, come in altre epoche, una casta sacerdotale, che affianchi l’apparato statale e consolidi la comune difesa; essa ha fornito altresì le truppe d’assalto della lotta politica quotidiana, ha dato i suoi quadri anche all’organizzazione civile dello Stato. In altre parole cioè la classe dirigente italiana ha trovato questa volta nella Chiesa non solo l’ausilio religioso, ma altresì le truppe mercenarie, gli elementi estranei cioè fatti venire dal di fuori a puntellare un vacillante domino. I clericali italiani furono infatti per molti anni estranei alla vita civile del nostro Paese; all’epoca del non expedit furono considerati come “emigrati all’interno”. Sono appunto questi “emigrati all’interno”, che eran rimasti per molti decenni chiusi e ostili allo Stato e alla borghesia italiana, che si son posti oggi al servizio della classe dominante, che sono entrati in massa nella “civitas”, nella vita civile della Nazione, col peso del loro numero e della loro organizzazione capillare, e vi si sono accampati con la mentalità di conquistatori stranieri…Ma la classe dominante non s’è fermata a questi strumenti di difesa. (segue)

    RispondiElimina
  8. Essa ha fatto ricorso …alla protezione straniera (Stati Uniti), e, almeno a parole, al riformismo (sindacati bianchi e gialli, socialdemocrazia, ma, soprattutto, “cattolicesimo sociale”)…il Parlamento oggi non rappresenta un potere effettivo, e sarebbe semplicemente un inutile perditempo di cui farebbe volentieri a meno, se non servisse appunto a contestare quest’affermazione di un’Italia democratica. In realtà la democrazia è completamente assente. NON VI È PIÙ GIUOCO DEMOCRATICO DI PARTITI, PERCHÈ L’OPPOSIZIONE, COLPITA DA SCOMUNICA SUL PIANO IDEOLOGICO…MAL SOPPORTATA IN PARLAMENTO, E DESTINATA, ALMENO NELLE INTENZIONI DEI DOMINATORI AD ESSERE POSTA AL BANDO DELLA NAZIONE, E QUINDI A SPARIRE DAL GIUOCO DEMOCRATICO CHE PREVEDE L’AVVICENDAMENTO DEI PARTITI AL GOVERNO; E D’ALTRA PARTE I PICCOLI PARTITI CHE FORMANO LA MAGGIORANZA …SONO RIDOTTI AL RUOLO CHE I FASCISTI CHIAMAVANO DI “FIANCHEGGIATORI”, cioè di gente che deve praticamente approvare quel che gli altri fanno se non vuol esser messa alla porta, senza però alcuna possibilità di esercitare una reale influenza sulla vita del governo, gente che si tiene ancora al proprio servizio solo perchè anch’essa contribuisce a dare l’impressione di una pluralità di Partiti, e quindi di una democrazia…” [L. BASSO, Ciclo totalitario 2, Quarto Stato, 30 giugno 1949, n. 12, 3-8].
    CICLO III – Vengono tratte delle conclusioni, precisando che il fenomeno totalitario è ormai mondiale e difficilmente reversibile. Vengono fornite alcune indicazioni per poter reagire.
    “…Ora il punto di partenza per trarre utili deduzioni deve essere questo appunto, che NOI NON SIAMO IN PRESENZA DI UN FENOMENO INVOLUTIVO PARTICOLARE ALL’ITALIA E SPIEGABILE CON MOTIVI PARTICOLARI TRATTI DALLA NOSTRA STORIA, E, MENO ANCORA, DALLA NOSTRA EDUCAZIONE POLITICA O DALLA NOSTRA PSICOLOGIA, BENSÌ DI UNA TENDENZA GENERALE DEL MONDO CAPITALISTICO, che, quanto più procede verso forme monopolistiche e di alta concentrazione, TANTO PIÙ DIVENTA INCOMPATIBILE CON UN REGIME DEMOCRATICO…. LE FORME DEMOCRATICHE POSSONO SUSSISTERE, MA SONO SVUOTATE DI OGNI CONTENUTO E DI OGNI REALE EFFICACIA, IN QUANTO IL POTERE POLITICO TENDE AD IDENTIFICARSI SEMPRE PIÙ COL POTERE ECONOMICO E AD ESSERE SEMPRE PIÙ ESPRESSIONE DEGLI INTERESSI DEI POCHI GRUPPI MONOPOLISTICI. Questo processo, che si verifica in tutti i paesi capitalistici e naturalmente si inserisce nelle particolari situazioni sociali e storiche… SI TROVA OGGI COORDINATO SU SCALA MONDIALE DALLA GUIDA DELL’IMPERIALISMO AMERICANO, CHE TENDE AD UNIFICARE IL MONDO, SIA I PAESI COLONIALI CHE I PAESI A ECONOMIA CAPITALISTICA, SOTTO UNA COMUNE NORMA DI SFRUTTAMENTO, ADATTATA ALLE PIÙ DIVERSE CIRCOSTANZE. Ne consegue che in ogni singolo paese POLITICA INTERNAZIONALE (e cioè vincoli di subordinazione verso l’America e di inserimento nel “grande spazio” dello sfruttamento americano), POLITICA ECONOMICO-SOCIALE (tendente a favorire i gruppi monopolistici più forti e quindi, in via normale, quelli di portata internazionale, garantendone i profitti a scapito del tenore di vita dei lavoratori e dei ceti medi e a scapito dell’indipendenza delle piccole, medie e talvolta anche relativamente grandi imprese), E POLITICA INTERNA (tendente ad escludere le classi lavoratrici da ogni reale influenza sul potere e successivamente ad eliminare ogni serio controllo parlamentare e di opinione pubblica, asservendo i sindacati, la stampa, ecc.) SONO IN REALTÀ TRE ASPETTI DI UN’UNICA POLITICA, CHE NON POSSONO ESSERE CONSIDERATI E COMBATTUTI SEPARATAMENTE…(segue)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Rammento, al riguardo, il discorso del presidente dell'UBS al conduttore Beale in "Quinto Potere": esattamente in termini col ciclo III. Sidnet Lumet, e in genere l'intelighenzia statunitense, erano ancora in grado di formulare, sia pure in forma di satira crepuscolare, un pensiero critico organico.
      Oggi, con buona pace dell'infatti dimenticato Basso, tutto ciò è divenuto semplicemente impensabile.
      Il massimo che si può avere è la critica conservativa (delle elites) formulata dall'ossimorico Wolf, ora hayekiano ora post-neo-keynesiano, secondo le occorrenze.
      E avremo Hillary, cioè l'ultimo stadio della cosmesi neo-liberista e mondialista...
      Dire che "finirà male" è persino troppo ovvio: "sta" finendo male; v.sparatoria a Dallas...peraltro concluso da un robot-kamikaze che s'è fatto esplodere, uccidendo il cop-killer. L'ALBA TRAGICA DELLA NUOVA SOLUZIONE FINALE

      Elimina
  9. In questo senso noi riteniamo p. es. sia un errore …puntualizzare…l’aspetto reazionario del governo… autorizzando quasi l’opinione pubblica a credere che basti sostituire qualche uomo di governo per democratizzare la direzione della nostra vita pubblica, come sarebbe un errore considerare isolatamente i diversi problemi sindacali, e, più ancora, i problemi della smobilitazione delle nostre industrie, che si spiegano invece perfettamente nel quadro generale dell’offensiva dei gruppi monopolistici. COMPITO DELL’OPPOSIZIONE È QUINDI QUELLO DI PORTARE L’OPINIONE PUBBLICA, E CIOÈ NON SOLTANTO I GRUPPI, LE CATEGORIE, I CETI VOLTA A VOLTA INTERESSATI, MA LE GRANDI MASSE DEGLI OPERAI, DEI CONTADINI E DEI CETI MEDI, AD INTENDERE L’INTIMO SIGNIFICATO DELLA POLITICA DELLA CLASSE DIRIGENTE ITALIANA, E A RENDERSI CONTO CHE UNA SOLUZIONE ALLE PROPRIE CRESCENTI DIFFICOLTÀ E INCERTEZZE NON PUÒ TROVARSI FUOR DAL TERRENO DELLA LOTTA CONSEGUENTE CONTRO QUESTA POLITICA…si vuol soltanto richiamare il movimento operaio italiano a quelle che non solo sono le migliori tradizioni del movimento operaio ma che costituiscono soprattutto l’essenza dell’insegnamento dei suoi maestri, e cioè che il movimento operaio parte, naturalmente, dalle rivendicazioni immediate e da singoli determinati problemi, ma per assurgere a una visione sempre più vasta, per legare cioè rivendicazioni immediate e problemi determinati in una superiore visione politica, per guidare così la formazione di una matura coscienza dei lavoratori capace di intendere che le ragioni profonde delle proprie difficoltà stanno nelle contraddizioni sempre più gravi della società capitalistica… IL PROBLEMA ITALIANO NON È INFATTI UN PROBLEMA DI DISTENSIONE, DI BUONA VOLONTÀ DEI VERTICI, DI MENO “CELERE” E DI MENO SCIOPERI, MA È UN PROBLEMA DI LOTTA CONTRO I GRUPPI MONOPOLISTICI E CONTRO GLI ESECUTORI DELLA LORO POLITICA, E DI UN MUTAMENTO RADICALE DI QUESTA POLITICA, MUTAMENTO CUI PERALTRO NON POSSONO CONSENTIRE GLI ATTUALI DIRIGENTI DEL NOSTRO PAESE INDISSOLUBILMENTE LEGATI ORMAI ALL’IMPERIALISMO AMERICANO E ALLE SUE BRUTALI ESIGENZE ECONOMICHE, POLITICHE E MILITARI. i gruppi dirigenti italiani non possono né rovesciare né modificare sostanzialmente la propria politica; AL CONTRARIO ESSI HANNO L’INDEROGABILE ESIGENZA DI SPINGERLA SEMPRE PIÙ ALLE SUE LOGICHE CONSEGUENZE E DI ACCELERARNE I TEMPI. Questo governo e i gruppi ch’esso rappresenta non possono far altro che insistere nel tentativo di spezzare la forza del proletariato italiano e dei ceti indipendenti: l’asservimento economico del paese ad interessi di monopoli dominati dalla finanza straniera, e la sua preparazione per una eventuale utilizzazione bellica, implicano necessariamente l’annientamento di ogni superstite libertà…(segue)

    RispondiElimina
  10. UNA POLITICA SERIA DELLA CLASSE OPERAIA NON PUÒ OGGI LIMITARSI A DIFENDERE IL PARLAMENTO O IL DIRITTO DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE, MA DEVE ESIGERE IL RISPETTO DELLE LIBERTÀ DEMOCRATICHE COME DEL CLIMA IN CUI DEBBONO SVOLGERSI LE LOTTE POLITICHE, LE CUI FINALITÀ E I CUI OBIETTIVI VANNO NATURALMENTE AL DI LÀ DELLA SEMPLICE CONSERVAZIONE DELLE LIBERTÀ. E IN QUESTA DIFESA DEL CLIMA DEMOCRATICO, LA CLASSE OPERAIA NON PUÒ IGNORARE CHE LA STORIA CAMMINA E LE ISTITUZIONI SI TRASFORMANO, E CHE P. ES. IL PARLAMENTARISMO, ESPRESSIONE TIPICA DELLA BORGHESIA CAPITALISTICA IN UNA DETERMINATA FASE DI SVILUPPO, È OVUNQUE IN COMPLETA DECADENZA NELLA FASE IMPERIALISTICA, E CHE NON È COMPITO DEL MOVIMENTO OPERAIO FAR GIRARE INDIETRO LA RUOTA DELLA STORIA PER CERCAR DI RICHIAMARE IN VITA L’EUROPA CHE PRECEDETTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE. …deve il movimento operaio mostrare come non vi sia più nulla di comune fra una democrazia anche borghese e le sue forme apparenti, e che UN’EFFETTIVA GARANZIA DEMOCRATICA PUÒ OGGI TROVARSI IN UNA PARTECIPAZIONE DIRETTA DELLE GRANDI MASSE ALLA GESTIONE DELLA COSA PUBBLICA ATTRAVERSO IL LIBERO FUNZIONAMENTO DEI MODERNI ISTITUTI… non importa se i nostri avversari si riempiono la bocca di formule altisonanti di democrazia: la loro politica, PIÙ ANCORA DI QUELLA DI HITLER, è la minaccia più grave che abbia fino ad oggi pesato sulle possibilità di sviluppo democratico dell’uomo moderno…. DEV’ESSERE CHIARO PER TUTTI CHE LE FORZE, CHE OGGI SI SONO INSEDIATE AL GOVERNO DEL NOSTRO PAESE, NON HANNO ALCUNA POSSIBILITÀ DI TORNARE INDIETRO DALLA STRADA SU CUI SI SONO AVVIATE E CHE È LA STRADA DEL DOMINO TOTALITARIO DELLO STATO PER CONTO DEI GROSSI INTERESSI CAPITALISTICI; e che perciò la sola possibilità offerta a chi non vuole soggiacere a questa nuova edizione del regime fascista che si profila, è di OPPORVISI CON TUTTE LE PROPRIE ENERGIE, NON PER TORNARE INDIETRO O PER STARE FERMI, MA PER ALLEARSI CON TUTTE LE FORZE DECISE A CREARE UN NUOVO EQUILIBRIO CHE SEGNI UN PASSO AVANTI SULLA STRADA DELLA DEMOCRAZIA E DEL PROGRESSO…” [L. BASSO, Ciclo totalitario 3, Quarto Stato, 1-31 luglio 1949, nn.13/14/15, 3-6].
    Ha ragione, Presidente, l’URSS non c’entra proprio niente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma Lei ci pensa che queste cose le scriveva nel 1949? Per me è incredibile come riesca a ricostruire tutto nei minimi particolari

      Elimina
    2. Complimenti a Francesco, questo pezzo di Basso è una vera "chicca".

      Elimina
  11. Cerco più o meno di vedere se il personale punto vista sulla mai nata Europa è collimante con quanto ben descritto nel post e con quanto previsto dalla stesso Lenin sull’autodeterminazione dei popoli a cui si contrappone la dottrina Wilson,ambedue proiettate sull’intero mondo e ambedue che implicavano l’annullamento del Sistema Europeo.
    I due però entrarono in competizione con l’appello del primo alla rivoluzione mondiale e la risposta del secondo con i 14 punti. Orbene,la rivoluzione del 1917 incoraggiò di fatto un revanscismo della potenza europea appena sconfitta,la Germania,nella lotta per la supremazia mondiale e portò a nuovi conflitti tra grandi potenze.In questa fase il dominio libero-scambista nostrano era capeggiato da Francia ed Inghilterra e siccome i nuovi arrivati non disponevano di reti commerciali ed imperi coloniali si coalizzarono al seguito della Germania nazista con l’obiettivo di annientare il potere sovietico,ostacolo alle sue ambizioni espansionistiche sia riferite alla “spazio vitale”,del pari al tairiku giapponese e al mare nostrum italiano e sia in riferimento al predominio in Europa.Sappiamo come andò a finire,norme e regole del sistema Vestfalia furono polverizzate.
    Fu in quel momento che le Istituzioni statunitensi lasciarono organizzare agli Stati sovrani diritti e poteri tanto,nella visione roosveltiana,il concetto di sovranità statale era comunque “predefinito ed assediato” dalle Nazioni Unite (ONU) grimaldello di una idea politica imperiale diversa dalla grandezza imperiale inglese,solo economica. Conosciamo anche il “riduzionismo” alla dottrina Roosvelt (che inglobava anche l’URSS per il governo “democratico e partecipato” del mondo)operato da Truman per un nuovo ordine che avesse come ulteriori punti di forza in aggiunta all’ ONU,la moneta (sistema FED) ed il potere militare e a seguire il FMI,la Banca Mondiale e armamentari vari (sic!),strumenti aggiuntivi.
    Esclusa URSS siamo alla contrapposizione ,alla guerra fredda ed al libero-scambismo totalizzante sul mondo intero a guida USA. Va da se che sistema fordista e accumulo di risorse e profitti avevano bisogno di nuovi mercati extra “insulari” –USA tra Pacifico ed Atlantico - aperti con la democrazia,pace ed ove non bastasse con un sistema persuasivo-corruttivo da situare in quella zona vuota tra Stati Nazione e Multinazionali tramite le lobby che implicava di per se la saldatura,simbiosi ed identità di vedute con lo Stato e Partiti di Governo al potere. Operazione compiuta prima verso i governi nazionali e poi per evitare una defatigante dispersione e frammentazione di risorse e convincimenti verso gli Stati Uniti d’Europa con i suoi tecnocrati dirigenti legiferanti nella nuova sovrastruttura in punto di diritto-forzato (Trattati) sovrastante gli Stati-Nazione e le loro Costituzioni -con il referendum famo ‘na Camera legiferante ed abbreviamo ancora ...vit vit.
    Mi avvio a concludere. La “forza che ha contato e vinto” di per se ieri ed oggi,è stata la capacità di accumulo di profitti veicolati per più profitti omnia mondo ma,è un mio personale convincimento,comincia a mancare il consumatore mondiale e per evitare che si entri in una fase terminale (ineluttabile) verso un caos sistemico causato dal dogma neoliberista industrializzato ma ormai finanziarizzato ,si cerca di creare nuovi consumatori con i migranti anche perché bisogna produrre a più basso costo per contrastare la concorrenza asiatica (peraltro ritengo per certi versi la politica economica cinese,quand’anche di Stato,altrettanto neoliberista) …. dicansi:è il mercato bellezza,oltre che la smisurata avidità che non vuole regole.

    RispondiElimina
  12. I casi domestici cominciano a diventare una sequela infinita che si va manifestando e palesando ai più:jobsact,solite riforme strutturali (tagli) in tutti i settori,erosione base imponibile galoppante con conseguente martirio di chi ancora regge-non sappiamo per quanto-,incagli e sofferenze dalla media impresa in su (non ricordo dove ho letto che circa il 90% degli affidamenti viene erogato al 10% delle imprese da 5/6 milioni in su di fatturato) ecc. con conseguente spoliazione di ricchezza nazionale sia in termini di Imprese che di risparmi. Tanto da essere tentato dal dire che ormai il neoliberismo si è fatto Stato,sistema di Governo.
    Va detto anche che tale dottrina-dogma neoliberista (la cui bontà è data assiomaticamente ma mai dimostrata in termini di benefici diffusi ai popoli) è stata ed è talmente pervasiva e monopolizzante (in virtù di Nobe(i)l intenti conferiti) anche sul versante accademico universitario ormai incline a sfornare “specialist” settorializzati (Master ecc.) ad uso multinazionali varie e diverse ai quali,credo,manca la visione del “duro vivere” e generale e che li ponga nella condizione di capire la semplice e corrente natura umana della maggioranza in merito ai bisogni ed al normale buon vivere (anche se su questo si aprirebbe un altro capitolo “sociale” tipo: si è ostaggio delle minoranze in ogni settore e pezzo della Società).
    Sa,non scrivo molto,piace più leggere di tutto e leggerla e non finisco mai di apprezzare e compiacermi della mia ignoranza rispetto a tante cose che continuo a scoprire e che non sapevo sforzandomi di tradurle e parteciparle nella maniera più semplice possibile,tant’è che le persone che mi chiedono che l’ Inghilterra se ne è andata e non gli sta accadendo niente … che gli devo di se non … hai visto !?Mi posso attardare a spiegare? no,a meno che non si tratti di “acculturati correnti” che credono di sapere e allora be, … faccio sfoggio di tutta la mia ignoranza che nel confronto diretto è diventata una corazza impenetrabile.
    Per ora va così,ma all’orizzonte politico domestico stiamo assistendo al togliti tu che lo svolgimento-Agenda lo faccio io e mi riferisco alla scalpitante forza politica stellare.
    Questa roba mi abbatte,non è edificante a meno che non sia una strategia del “non-spaventare”,ma qualcuno dovrà pur governare il processo successivo post dissolvimento,siamo attrezzati come classe politica e con una legge elettorale a cooptazione continua !?
    Comunque ritengo si stia avvicinando il punto di rottura ,la gente è per davvero stanca e la sfiducia comincia a diventare rabbia,piccoli segnali crescono.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Rabbia purtroppo mal indirizzata sulla base di una consapevolezza monca, elittica, priva di "studio" e di cultura.
      Spetterebbe ai giovani portare la fiaccola di una visione alternativa al paradigma attuale (v. lungo commento di Francesco sui "cicli" di Basso).
      Probabilmente verrà da chi, oggi, ha pochi anni o non è ancora nato. La generazione Erasmus è stra-perduta e tristemente imbelle e autolesionista. I baby-boomers avrebbero il ricordo delle "risorse culturali"; ma ricordare correttamente, a quanto pare, è troppo faticoso.
      Se non altro perché il ventennio post Maastricht non è stato compreso, nonostante il tragico epilogo: mi dispera vedere come si faccia coincidere miopemente l'inizio della degenerazione con l'avvento di Monti.
      Come se prima di ciò, gli stessi baby-boomers, avessero mai avuto una chance che fosse una...

      Elimina
    2. Vero,questo è il vero motivo per cui in un altro commento,temp fa, mi permisi di dire che ci vuole 'na rivoluzione borghese "ceto medio 68enne".:-) Ma tant'è...come si fa a tessere e cucire baby-boomers in un'unica "lenzuolata" che spazzi via un'insulsa ed imbelle pavoneggiante classe politica.

      Elimina
  13. ...e spiega di riflesso perché le sue analisi non siano finite nei manuali di storia, nemmeno in quelli universitari.
    E così si acuisce il mio disprezzo per il cosiddetto ceto medio riflessivo, tanto snobisticamente (fecalmente!) liberal. Tanto più in quanto vi appartengo, in fondo. Almeno le oligarchie fanno il loro mestiere di diversamente (?)naziste, e le masse popolari non hanno gli strumenti! Ma gli stronzetti che infestavano via Veneto, questa combriccola di sfigati subalterni affetti dal "male ontologico" (R. Girard) armonica a quell'altro lombrosario, di quelli che hanno barattato i programmi di giustizia sociale con un paio di scopate sessantottesche e di diritti-fard, questa trista genia che dirige giornali e canta all'unisono e insegna retorica nelle classi di scuola, questa teppa di servi volontari merita di essere presa a calci in culo dalla storia! Non succederà, perché la storia la spiegano i Mieli in tv.
    Sono un disadattato.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. v. risposta delle 20.14 a Francesco e quella soprastante a Vito.
      Non sei un disadattato: a rigore sei un "sopravvissuto"...il che è un valore in sè, nell'era del caos e della grande distruzione sociale.

      Elimina
  14. Un esempio, fra i tanti possibili, di quanto analizzato nel post: questa presentazione di cui dà notizia Clericetti. Ecco come se ne esce Dini: "Gli Stati Uniti - ha esordito Dini - hanno affrontato la crisi immettendo subito nel sistema 5.000 miliardi di dollari, tra politica di bilancio e Federal Reserve. L'Europa non ha voluto farlo. Schäuble ha continuato a ripetere che non si fa crescita con il disavanzo, ma se si stimola la crescita poi il disavanzo scende rapidamente, come è avvenuto in America. La Germania, poi, assorbe risparmio dai paesi dell'Unione e non lo rimette in circolo: ma anche loro non crescono, dovrebbero espandere la domanda interna, a beneficio anche dei loro cittadini. L'ho detto a Schäuble, che mi ha risposto che prima noi dobbiamo fare le riforme strutturali: ma nel frattempo saremo morti".

    La Malfa: "Schäuble l'ha detto chiaramente: togliamoci dalla testa che l'uscita del Regno Unito possa essere l'occasione per varare una maggiore integrazione europea. Fin dagli anni '70 i tedeschi avevano avvertito che qualsiasi unione monetaria non avrebbe dovuto comportare trasferimenti (cioè aiuti ai paesi in difficoltà, n.d.r.). L'unica condizione a cui accetterebbero una cosa del genere sarebbe se tutti i bilanci fossero messi sotto il controllo di un'autorità indipendente - nemmeno la Commissione, che considerano troppo politicizzata - che avesse il potere di modificarli o addirittura riscriverli. Una condizione chiaramente inaccettabile".

    Quindi prima si son messi d'accordo con le élite tedesche per schiacciare le classi popolari dei rispettivi paesi (=noi); ora che a questo gioco, inevitabilmente al massacro, i tedeschi stanno stravincendo, eccoli a strillare: "Germagna kativa!". Di cambiare gioco (=uscire dall'euro) però non se ne parla.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Piccola notazione a margine (per il pubblico at large): le "riforme strutturali" cui allude Schauble possono ormai consistere solo in una correzione svalutativa generalizzata, nominale, dei salari, dell'ordine di circa il 20%.
      Altro da fare non c'é: i tedeschi la esigono subito.

      I nostri intendevano realizzarla in tempi più lunghi, e comunque non immediati, mediante una serie di misure indirette ad azione combinata di medio-lungo periodo (iperprecarizzazione del rapporto di lavoro, in cui siamo record mondiale secondo l'OCSE e abolizione progressiva del welfare, ammessa recentemente da Prodi).

      Dini si guarda bene dal dire ciò.
      Pur di fronte a una catastrofe ormai arrivata ai primi sintomi inequivocabili.

      La condizione "chiaramente inaccettabile" che indica la Malfa attiene al chi e alla rapidità temporale della realizzazione di ciò.
      La Malfa ha ragione: ma non specifica che solo le colonie - e il popolo italiano quando fu assoggettato al fascimo- subiscono tale trattamento.
      E QUALSIASI CLASSE POLITICA NAZIONALE ne verrebbe semplicemente distrutta.

      Il "patto scellerato" sta arrivando al redde rationem.
      Gli italiani, peraltro, ne sono solo vagamente consapevoli.
      Ringraziamo decenni di condizionamento mediatico...

      Elimina
  15. Ma infatti l'unico senso "filologico" dello strampalato discorso di Vladimir Bukovskji, è quello che segnalava Chomsky (che legge orizzonte48): le "menti raffinatissime" non hanno trovato di meglio che riciclare ciò che i gèni (veri) della Storia hanno inventato e usarli per "scopi e valori rovesciati".

    Certo è che il gregge "liberal", completamente privo di qualsiasi risorsa critica, reagisce pavlovianamente in branco: d'altronde, essi stessi sono vittime della terribile ingegneria sociale neoliberale.

    Inoltre, se costoro pensano che il marxismo sia stato qualcosa di così esoterico e intrinsecamente totalitario, come è possibile che un giurista radicalmente democratico come Basso potesse fare le analisi ricordate più volte da Francesco senza essere economista? Forse che il keynesismo non è semplicemente altro che la soluzione economicistica all'analisi socialista? E, per certi versi, la più importante perché fornisce gli strumenti tecnici per l'analisi strutturale?

    L'anticomunismo senza comunismo - se si può - riesce ad essere più imbecille ancora dell'antifascismo senza fascismo.

    L'individuo moderno è sradicato e fuori dalla Storia: vive davanti alla TV, a consumare "musica" orribile, a chattare di cazzate h24, a discutere di sport esteticamente impresentabili ed eticamente bestiali. Perché un uomo senza coscienza non si differenzia dalla bestia.

    Questa è l'individuo moderno: un individuo. Non è più neanche un uomo.

    Salvo riscoprire un minimo di esistenzialismo quando la fenomenolgia fascio-liberista viene a bussare alla sua porta notificando che, ora, è il suo turno. Dopo zingari, ebrei, omosessuali, e via con Brecht.

    Innanzitutto ricordo che è stato proprio Lelio Basso, tra i vari miliardi di persone che sono vissute e morte sul pianeta Terra nel '900 (per gli altri pianeti chiedere a Junker), ad aver coniato il sostantivo "totalitarismo", nonostante la nostra intellighenzia si fosse già riferita in un paio di occasioni il termine "totale" al partito fascista.

    La Arendt, liberale, ha avuto almeno, alla fine, l'onestà intellettuale di riconoscere che l'esperienza sovietica è stata un'esperienza autoritaria che non ha mai avuto i caratteri di totalitarismo; certo, lei ci è arrivata tramite la filosofia morale a queste conclusioni che - ad un'analisi materialistica della Storia - sono piuttosto evidenti.

    Il motivo evidente è ovviamente di carattere tanto strutturale quanto storico. Di fronte all'orrore del totalitarismo liberale imposto ai popoli tramite la globalizzazione, intellettuali del calibro di Zinoviev (o Losurdo) hanno dovuto rivalutare il peggior incubo del socialisti libertari: Stalin.

    E poi. Diciamocelo. Ma basta con sta minchiata della pax americana! Ma quale pace grazie alla NATO? Quale? Dalla II guerra mondiale ad oggi il mondo è Stato un susseguirsi di guerre proprio nel modo così ben descritto da Lenin e dalla Luxemburg nel periodo tra la fine dell'800 e la I guerra mondiale: l'imperialismo del capitale in via di internazionalizzazione superava "gli angusti spazi del mercato europeo" (strategicamente "ingrassati" visto che confinanti alla "cortina di ferro"). Un volta fatti cadere i governi popolari del blocco sovietico, pure le colonie europee dovevano tornare ad essere anche formalmente tali e partecipare in modo manifesto all'imperialismo delle Corporation statunitensi.

    RispondiElimina
  16. Ma perché Lenin, dietro gli iniziali strali della Luxemburg, optò per la soluzione autoritaria (quella del Partito tanto in odio anche ad Orwell)?

    Perché - proprio come ora - i partiti socialisti tradirono in massa il proprio elettorato sostenendo le posizioni interventiste nella prima Grande Guerra.

    Comunque, dirò, riflettendo sulla natura totalitaria del liberalismo, mi colpì il fatto che il mondo che Orwell aveva temuto in 1984, era effettivamente completamente realizzato: perché?

    Perché era impossibile non notare una tale enormità davanti agli occhi: la natura totalitaristica della religione liberale era così... "totale", che neanche se ne prendeva in considerazione la sua evidenza.

    "Liberale" e "democratico" - a dispetto di tutta la letteratura pluri-secolare - diventano sinonimi, e, peggio, liberale diventa l'aggettivo politico che si contrappone a totalitario.

    «Non si può negare che fascismo e movimenti simili, finalizzati ad imporre delle dittature, siano pieni delle migliori intenzioni e che il loro intervento ha, per il momento, salvato la civiltà europea. Il merito che il fascismo ha così vinto per sé, continuerà a vivere in eterno nella storia. Ma se la sua politica ha portato la salvezza, per il momento, non è della specie che potrebbe promettere di continuare ad avere successo. Il fascismo è stato un ripiego d'emergenza. Vederlo come qualcosa di più sarebbe un errore fatale.» Ludwig von Mises, 1927

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Riassumo in termini semplificati la questione: il socialismo reale sovietico vuole modificare la struttura sociale ma non l'essere umano nella sua essenza psicologica e antropologica (ciò che è la caratteristica del totalitarismo).
      E non considera questa opzione come razionale proprio perché non la considera "reale": cioè si rende conto che tale essenza delle dinamiche sociali è immodificabile (cioè antropologicamente la società tende a produrre delle posizioni di forza politico-economica e delle norme per conservarle). Perciò sceglie l'autoritarismo, cioè un regime che usa la forza per realizzare il cambiamento sociale strutturale.

      C'è un versante utopico e antiumano in ciò?
      Sì, perché il "metodo" non solo non è transitorio (id est "instaurativo"), come inizialmente lo si voleva giustificare, ma contiene in sè i germi della strutturazione del potere burocratizzata e anti-libertaria (in senso essenziale: libertà di parola, di stampa, di movimento, di inviolabilità della persona e del domicilio, ecc.). Rosa Luxemburg è chiara su questo punto. Lo ritiene un costo non giustificabile.

      Il neo-liberismo, a sua volta, muove sempre dalla stessa premessa ma ne inverte il senso valoriale: ritiene che le posizioni prevalenti economico-politiche DEBBANO essere preservate istituzionalmente, ma considera tale obiettivo strutturale una "Legge naturale", con pretesa di scientificità: poiché, poi (come hai sempre evidenziato), convidide l'analisi strutturale marxista della società, si rende conto della incessante conflittualità determinata da tale Legge naturale.

      Perciò teorizza e attua, come prassi politica, un sistema di controllo sociale autoritario del conflitto (in varie forme, di cui le principali, contemporanee, sono il sistema mediatico e quello monetario): questo sistema è funzionale ad una DEFINITIVA MUTAZIONE dell'orientamento psicologico e esistenziale dell'essere umano (cioè vuole invertire la sua autopercezione di essere capace di autodeterminarsi, sia pure entro limiti storicamente "convenzionali").

      Questa utopia-distopia, ben evidenziata da Orwell, fornisce alla Storia un formidabile paradosso: per strutturare la naturalità (scientifica) delle Leggi del mercato, e le loro conseguenze di gerarchizzazione sociale definitiva (come già nelle teorie teocratiche del medio-evo, da parte dell'aristocrazia terriera che, pure, svolgeva, in origine, una funzione difensiva del minimo di sopravvivenza delle comunità territoriali), il neo-liberismo ritiene indispensabile modificare la "natura" degli esseri umani, rendendoli propensi ad accettare la schiavitù come fatto normativo "fondante" (grund-norm complementare a quella dell'ordine del mercato).

      Esattamente in questa pars construens consiste il totalitarismo e la differenza insanabile con l'autoritarismo sovietico: l'essere umano deve, senza alternative, riconoscere la colpa di non essere "naturalmente" nel modo in cui gli imporrebbe...la Legge naturale del mercato.

      Come dice Hayek, nell'aforisma qui infinite volte citato, per realizzare ciò ogni strumento e ogni fine deve essere riplasmato dall'elite degli eletti.
      In questa contraddizione, incentrata sull'innaturalità consapevole della prassi politica predicata - elemento che fa cadere anche la naturalità della premessa (sull'ordine del mercato), (come attestano Basso, Mirowsky, Miksch e via dicendo: cioè chiunque ci ragioni, da qualunque punto di partenza muova)-, è il clou del totalitarismo.
      Che è dunque un carattere proprio del liberismo e a cui questo, per questioni di continuità di potere e quindi per la sua stessa sopravvivenza, NON POTRA' MAI E POI MAI RINUNCIARE.

      Elimina