venerdì 26 luglio 2013

VON HAYEK E LA COSTRUZIONE EUROPEA. CON ADDENDUM








ANTEFATTO
...E ADDENDUM "PRELIMINARE"
Dopo la scrittura del post, ci siamo imbattuti in questa decisiva "fonte", offerta con una acuta analisi.

La fonte è interessante perchè dimostra la corrispondenza tra le teorie di von Hayek e il programmatico esautoramento della sovranità costituzionale degli Stati democratici, attraverso la costruzione economica volta, in virtù di ben precisi strumenti, a instaurare la "grande società" del libero mercato.
Si tratta di un saggio di von Hayek, del 1939: esso ci attesta la sua chiara precognizione degli effetti del "federalismo interstatale"; a cui egli, ovviamente, e proprio perchè capace di realizzare i fini ideali con cui ritiene di modellare la società, era altamente favorevole.
La apparente disputa che ha dato luogo a questo post, conferma la netta differenza tra un confronto teorico di modelli astrattamente assunti in senso statico (come sintesi scientifiche) e ricostruzione storica delle forze e delle idee programmatiche che muovono i grandi rivolgimenti politici, strutturando bensì la realtà in difformità dagli schemi teorici, ma preservando strategicamente i fini essenziali.
E' altresì interessante constatare come in ambiti culturali autorevoli, ma, purtroppo, estranei all'Italia, il "retaggio" di v.H., rispetto alla costruzione europea, non è oggetto di particolari dubbi. Troppe tracce concettuali, e di concreta "formazione" di una certa classe dirigente europea, emergono prepotentemente perchè ciò possa sfuggire a chi voglia sviluppare una seria ricostruzione storico-politica.

La "intenzionalità" di von Hayek e la sua manifesta idoneità a costituire la fonte ispiratrice della "costruzione UE", si rinvengono con coerenza nella notorietà e nella autorevolezza tributatagli da quegli stessi uomini che, simultaneamente (negli anni 70-80), si accingevano a trovare una "strada" di realizzazione politica.
Riportiamo il brano tratto dal post sopra linkato:
" Il libro che stiamo discutendo contiene una autentica “chicca”, che non potevo non segnalare. Alle pagg.118-124 viene infatti discusso un saggio di Hayek del 1939, “The Economic Conditions of Interstate Federalism”. In questo saggio Hayek discute le condizioni di un ordine internazionale rivolto alla pace.
Hayek pensa ad una federazione di Stati, e la cosa davvero interessante è la sua discussione, come dice appunto il titolo, delle conseguenze economiche di una tale federazione. Con logica stringente, Hayek dimostra che una federazione fra Stati realmente diversi porta necessariamente all'impossibilità di un intervento statale nell'economia, e quindi alla vittoria di politiche economiche liberiste (il che ovviamente dal suo punto di vista è un bene). Infatti una federazione per essere stabile ha bisogno di un sistema economico comune e condiviso, e quindi della libera circolazione di merci e capitali, e questo porterà ovviamente a una perdita di controllo dei singoli Stati sulle loro economie. Si potrebbe allora pensare che il controllo statale si sposti al livello federale. Il nuovo super-stato federale si riprenderebbe quei poteri di controllo sull'economia che i singoli Stati avranno perso. Hayek risponde di no. Perché l'intervento statale sull'economia presuppone la capacità di mediare fra interessi contrapposti, di accettare compromessi ragionevoli, che non ci sono, o sono più difficili, fra popoli di Stati diversi. Come scrive Streeck riassumendo Hayek,

"in una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee (pagg.121-122)"

Si tratta ovviamente della stessa tesi che abbiamo sostenuto più volte nel nostro libro e in questo blog: non esiste un popolo europeo che possa essere la base sociale di uno “Stato sociale europeo”. E' impressionante la lucidità di Hayek, che aveva capito tutto questo nel 1939. Tanto di cappello. Ma la cosa davvero impressionante sono gli attuali “intellettuali di sinistra” che questa cosa non la capiscono nemmeno oggi, 2013, nemmeno dopo che tutto ci è stato squadernato davanti. E magari sono gli stessi che pensosamente si interrogano sui motivi della crisi della sinistra" 


Una sorprendente osservazione e le, altrettanto sorprendenti, risposte che ne sono seguite nella importante sede dei commenti su Goofynomics, sono lo spunto per questo post.
Non si tratta, chiariamolo subito, di dar voce, unilaterale, alla propria personale replica al fine di prevalere in una disputa. Dati i termini della questione, riassumibile nell'interrogativo "E' o non è von Hayek collegabile alla costruzione europea, culminata in Maastricht?", ritengo che questa sia piuttosto la sede per un chiarimento più ragionato e puntuale, che la sede dei commenti di un blog non consente esattamente di fare.
Il che lascia aperto, al dibattito susseguente, in questa o qualsiasi altra sede, il fare un ulteriore arricchimento dei punti di vista legittimamente e documentatamente esprimibili.
Quello che poi qui verrà esposto è necessariamente un'operazione divulgativa. Per affrontare problemi di questa portata "funditus", occorrerebbero i famosi "fiumi di inchiostro" e probabilmente uno o più consistenti "libri" che, però, si leggerebbero poche persone.
Uno dei problemi più rimarchevoli che affligge le scienze sociali, è che, come dice il mio amico Cesare Pozzi, illustri autori vengano citati, citatissimi, ma in realtà molto meno letti.
Quindi si rassicuri Istwine, non faccio affidamento su fonti di seconda mano di facile diffusione sul web, ma, laddove non riporterò "l'originale", ho prescelto fonti quantomeno "serie" in quanto capaci di rimanere aderenti al testo che commentano. E d'altra parte questa utilizzazione delle fonti non è meno attendibile di quella normalmente usata nelle sedi scientifiche e non dichiaratamente divulgative (e sfido chiunque a constatarlo, proprio prendendo visione di tale tipo di testi).

Quindi che si crei, nelle scienze sociali, e specificamente in economia, una "vulgata", non è problema che riguardi Keynes o von Hayek, soltanto, ma praticamente tutti.
Quanto questo sia un male non è possibile stimare con atteggiamento "sdegnoso" dell'intellettuale "puro" (a cui la purezza potrebbe dare modo di essere attaccato a sua volta proporio sul piano che voleva rivendicare).
Le "vulgate", se soffrono di imprecisione e quindi di forti margini di errore (o, come direbbe Popper, di "falsificabilità"), spesso riflettono una "autenticità" che è direttamente proporzionale a un fenomeno intellettuale del nostro tempo (diciamo dell'evo contemporaneo): i protagonisti del "pensiero" sono portatori, in modo di gran lunga prevalente (personalmente eccettuiamo, in questo campo, proprio Keynes, che spicca per la ricchezza e varietà dei temi culturali che sa affrontare) di ben poche idee originali che si compendiano, in definitiva, in una o due idee-guida.
Molte lunghissime esposizioni, quindi, sono in realtà il frutto di citazioni, (come ha ben enfatizzato Borgés nel parlare della cultura moderna come "sistema di citazioni"), spesso inconscie, cioè frutto di una formazione culturale che  non viene resa coscientemente manifesta da chi la utilizza. Problema, di pre-comprensione, particolarmente evidente in Von Hayek. Queste "citazioni precomprese" sono poi utilizzate a fini confermativi e rafforzativi di concetti frammentati molto analiticamente, in corollari quasi tautologici, e spesso rielaborati in continue parafrasi.
Questa tendenza alla parafrasi "autodimostrativa" è particolarmente evidente in Hayek che, come autore, si presta particolarmente a operazioni "riduzionistiche", senza che ciò finisca per fargli particolarmente torto.

1- PREMESSA
Per inquadrare la questione che andiamo ad affrontare, occorre subito sottolineare una componente storico-politica di grande portata. Qui la premettiamo per poi riprenderla sui singoli argomenti.
Quando si propone un modello normativo generale, come si trova inevitabilmente a fare von Hayek, non ci si limita a predicare, come suo substrato giustificativo, "causale", un modello economico assolutamente "teorico", cioè svincolato dalla esigenza di "correggere l'esistente": si formula necessariamente una critica all'assetto sociale di un certo momento storico.
Tralasciando la questione problematica della necessaria scelta di quali caratteristiche, piuttosto che altre, defniscano tale assetto, (problema metodologico che è insito in ogni trattazione delle scienze sociali), l'operazione critica si risolve inevitabilmente nella critica al modello normativo generale precedente.
Cioè, se è vera la "vulgata" che il diritto consegue alla "struttura economica", postici su un piano storico, il voler affermare una diversa "struttura" - in particolare Hayek, parla proprio di "struttura del capitale", connettendola alla libera formazione dei prezzi , di tutti i prezzi di ogni possibile bene o servizio, come indice di una sua progressiva costante razionalità-efficienza-, significa, anzitutto, rimuovere gli ostacoli normativi (Hayek parla di "Legge" e "legislazione") che il precedente assetto strutturale ha creato nel darsi il proprio ordinamento, (più o meno) storicamente indentificabile.

Questo aspetto ci dà un'importante chiave di lettura: trasposto dalla teoria, quale appunto espone Hayek, alla pratica della "politica", il modello di assetto socio-economico "nuovo", dovrà necessariamente dotarsi di una "strategia", che gli consenta di affermarsi attraverso un PROCESSO (modificativo proprio del precedente assetto normativo) di periodo più o meno lungo. Questo perchè, appunto trasposto un modello dal piano ideologico a quello politico, si dovrà necessariamente tenere conto delle "resistenze al cambiamento" che si manifesteranno, da parte delle componenti sociali che subiscono i cambiamenti della posizione in precedenza normativamente garantita.
E quindi si cerca piuttosto di fissare dei "nuovi" obiettivi e agire con coerenti "strumenti" che, all'interno del processo, cioè nel tempo, pur non riflettendo immediatamente l'assetto finale da realizzare, ne consentono la progressiva affermazione.

Solo comprendendo questo necessario legame tra "fini" e "strumenti", e la sottostante connessione tra modelli economici e modelli normativi che si  mira ad avvicendare, si può comprendere la "costruzione europea" e il suo legame con la matrice culturale hayekkiana.
Altrimenti, in una visione statica, si finirà, come fa, a nostro parere, il nostro buon Istwine, per enfatizzare, appunto, visioni statiche (come nel caso in cui si confonda uno stock con un flusso) e concludere che il modello finale è ben diverso dalla rilevazione delle linee strategiche, cioè dinamiche, che lo vogliono attuare.
In termini più espliciti: von Hayek propone un radicale modello che, al di là della sua intrinseca bontà e praticabilità, quando è adottato dai suoi "realizzatori politici", esige di tener conto della realtà storica delle Costituzioni democratiche pluriclasse affermatesi in tutto il continente europeo (più o meno) nel "secondo dopoguerra". Perciò quello che premette ai fondatori di Maastricht era:
a) di fissare dei fini. In particolare la "forte competizione", che desse risalto al sistema di formazione dei prezzi come fulcro ordinativo di una società "efficiente" e libera (nella visione esplicita hayekkiana) nonchè la "stabilità dei prezzi" stessi, cioè il controllo assolutamente prioritario dell'inflazione (altro "valore assoluto" hayekkiano, certo ripreso da tutta la teoria economica che si pose sul suo solco). In tal senso basti vedere non solo la formulazione, ma la stessa prassi applicativa "inderogabile" e priva di mediazione con cui è stato inteso l'art.3 del trattato istitutivo dell'Unione;
b) stabilire gli opportuni strumenti strategici: su tutti, nonostante la "apparenza", e per le ragioni storiche qui più volte indicate, la banca centrale indipendente, considerata, a torto o a ragione, la cinghia di trasmissione di quella "disciplina salariale" che Hayek ritiene un presupposto indispensabile del "nuovo ordine". E quindi poco importa, in chiave strumentale, che egli non ne sia stato il diretto teorizzatore (ma anche su questo la conclusione non è affatto scontata).

D'altra parte, lo stesso Hayek è perfettamente cosciente della distinzione tra modelli teorici e strategie di loro realizzazione, di cui si disintessa per personale visione della sua funzione intellettuale:
“Penso fermamente che lo scopo principale del teorico dell’economia o del filosofo politico sia di agire sull’opinione pubblica per rendere politicamente possibile quello che forse oggi è politicamente impossibile, e quindi l’obiezione che le mie proposte sono attualmente impraticabili, non mi scoraggia assolutamente a svilupparle.”.

2- MODELLI COMPARABILI E...NON
Alla luce di questa "premessa" analizziamo la proposta comparativa tra modello hayekkiano e modello UE che, secondo Istwine, proverebbe la estraneità di Hayek medesimo al secondo.
Poi ci occuperemo di come, in effetti, con riferimento al modello UE-UEM, la sua sintesi si riveli frutto di inesatte valutazioni circa il contenuto della relativa disciplina dei trattati, nonchè circa la appartenenza di taluni elementi, indicati come "europei", a tutt'altra origine normativa.
Ecco il modello "comparativo" proposto:
"Eurozona:
1) BCE indipendente che fissa i tassi e interviene a sua discrezione. Così pure FED e virtualmente tutte le BC.

2) Tra QE e LTRO + tassi bassissimi, si può dire tutto fuorché "politiche monetarie restrittive".

3) Restrizioni a determinate libertà, in alcuni Stati esiste il reato d'opinione sostanzialmente e ti fai il carcere.

4) Monopoli e oligopoli, con evidente potere politico (cosa che Hayek aveva capito peraltro, come tanti altri, Galbraith ecc)

5) Tassazione a livelli elevati, spesa pubblica in termini di PIL non certamente bassa e burocrazia abnorme. Il caso italiano è emblematico. Tutt'altro che lo Stato minimo teorizzato da Hayek, tutt'altro che le regole previste dalle tesi originarie dei neoliberisti.

Hayek:
1) Concorrenza fra moneta, a livello pubblico e privato.

2) I tassi li fa il mercato.

3) Libertà personali sacrosante, lui peraltro scriveva criticando i totalitarismi dell'epoca.

4) Libero accesso all'attività economiche e minime restrizioni in termini burocratici. Lo stato fa le regole, ma non interviene. E fa le regole in funzione del bene pubblico, non dei monopolisti.

5) Lo Stato minimo di Hayek appunto.

3- LA MONETA
Partiamo da questo primo elemento che, più di ogni altro, segnalerebbe la esplicita contrarietà di Hayek alla stessa moneta unica, in quanto comunque espressione di un, per lui deleterio, monopolio di quello che dovrebbero essere un bene scambiabile, come ogni altro, in base a libere fluttuazioni della domanda e dell'offerta.
Ma le ragioni per cui v.H. si oppone alla moneta unica, cioè in quanto e solo in quanto, permarrebbe, in monopolio (più o meno pubblico), sono in un senso che è del tutto diverso da quello segnalato da altri "opppositori" all'euro.
Per v.H., e questo va tenuto sempre presente, l'euro non è sufficiente a garantire la stabilità del valore monetario ai fini della eliminazione dell'inflazione e della deflazione-disciplina salariale.
Di questa intrinseca funzione-finalità ideale del  bene-moneta abbiamo prova dalle sue stesse parole, già riportate nella parte finale di questo post. E il suo richiamo ad un ritorno al gold standard come soluzione ottimale globale, in ben manifesta connessione alla deflazione ed alla disciplina salariale, in contrapposizione alla logica inflazionistica della "piena occupazione" (prima che sul punto intervenisse la "sintesi" dialettica di Modigliani), non dovrebbe lasciare alcun dubbio.
Se v.H. ha una concezione della moneta in concorrenza libera tra pubblico e privato, questo ha precise finalità.
In "Denationalisation of money: the argument refined” espone la sua idea al riguardo così sintetizzata in un commento non certo "critico", ma piuttosto fedele:
"Hayek parte dalle ben conosciute tesi austriache: l’inflazione è un male assoluto poiché impedisce un calcolo economico corretto e provoca distorsioni e cattivi investimenti che, se si prolungano, non possono risolversi altro che per crisi; l’inflazione è il risultato di un’eccessiva creazione di moneta, e i responsabili sono i governi. Vi aggiunge tre semplici idee:
- chiunque possa produrre moneta, ha interesse a produrne il più possibile;
- la moneta è un bene come un altro;
- per tutti gli altri beni, è la concorrenza che modula la produzione sui bisogni.
Egli conclude che la stabilità monetaria sarebbe meglio assicurata da un regime di libera concorrenza fra monete rispetto all’attuale gestione statale, e cerca di dimostrarlo analizzando quello che verosimilmente succederebbe se i paesi del Mercato Comune s’impegnassero reciprocamente a non mettere più alcun ostacolo sui loro territori né alla libera circolazione delle monete nazionali né al libero esercizio dell’attività bancaria."

Senza dilungarsi troppo sull'argomento, vediamo quali sarebbero i vantaggi delle "monete in concorrenza", nelle sue stesse parole e compariamoli con quelli che, "strategicamente", l'euro cerca di perseguire, e sui quali abbiamo innumerevoli conferme, sia a supporto che radicalmente critiche di queste stesse finalità:
“- una moneta di cui si pensa che conserverà un potere di acquisto più o meno costante, sarà oggetto di domanda permanente fintanto che le persone saranno libere di utilizzarla;
- se tale domanda dipende dall’effettivo mantenimento a un livello costante del valore di questa moneta, si potrà dare confidenza alle banche emettitrici di fare tutti gli sforzi necessari per giungervi meglio di un monopolista che non corre alcun rischio deprezzando la propria moneta;
- gli emettitori possono giungere a questo risultato regolando la quantità di moneta che emettono;
un tale regolazione della quantità di ciascuna moneta è il migliore di tutti i metodi praticabili per regolare la quantità dei mezzi di scambio.”

Il substrato comune "ideale" tra il "nostro" e il metodo euro-BCE, quale istituzione "unica" di gestione della moneta, risulta certo parzialmente compromissorio. Ma rimane, nei "fini" enunciati normativamente nei trattati a partire da Maastricht, quello della stabilità del valore monetario, cioè pratica assenza di inflazione, e della visione monetaristica "quantitativa".
I riflessi a cui entrambe le soluzioni, con diversa gradualità (v.H. esplicitamente non si curava di questo aspetto, l'abbiamo visto), rimane quello della curva di....Phillips: la disoccupazione "naturale" (cioè l'abbandono della piena occupazione) e il conseguente calo dei salari reali sono indispensabili caratteristiche del modello sociale da attuare.
Certo, per v.H. il gold standard rimane una soluzione ideale, ma egli ammette che poichè si ha "l'assurda" pretesa che, nell'economia internazionale aperta, i paesi in surplus debbano sopportare (con la rivalutazione) il peso degli aggiustamenti, il valore della stabilità (assenza di inflazione) possa essere "almeno" garantito da quanto egli propone.
Questo passaggio è direttamente indicativo:
Resterebbero nel mondo libero più monete largamente utilizzate e molto simili. In vaste regioni una o due fra queste sarebbero dominanti, ma queste regioni non avrebbero confini né precisi né fissi, e l’uso delle monete dominanti in ognuna si sovrapporrebbe in zone frontaliere larghe e fluttuanti. La maggior parte di queste monete farebbe affidamento a un paniere di beni simili e fluttuerebbero molto poco le une in rapporto alle altre, probabilmente molto meno delle monete dei paesi oggi più stabili, ma un po’ di più delle monete che riposano su un gold standard.”
Ora sulla assimilabilità degli effetti (essenziali, non parliamo di totale coincidenza) dell'euro, all'interno della sua area di utilizzo, al gold standard, esistono ben precisi attestati scientifici sulla cui autorevolezza non si sollevano particolari obiezioni.
In questo quadro di finalità e obiettivi, realizzati in UEM con una certa "tragica" tangibilità, la vera discrasia che potrebbe lamentare v.H., alla luce delle sue stesse parole, è quella della limitazione, quoad effectum beninteso, alla sola Europa dei 17, dello schema generale che lui auspica per il mondo intero.
Ma, intanto, per noi "euroti" che subiamo le linee fondamentali delle sue teorie, è una ben magra consolazione il fatto che non tutto il mondo sia coinvolto nella stessa follia deflazionista, specialmente a seguito dello shock 2007-2008. Il quale, se non altro, ha avuto il merito di far ripensare, solo fuori dall'UEM, purtroppo, il mito" quantitativo" della moneta, che v.H. vuole realizzare senza porsi alcun dubbio teorico.

4- Q.E., LTRO E POLITICHE MONETARIE "RESTRITTIVE"
Circa i"tassi li fa il mercato", secondo v.H., e invece in Europa, "Tra QE e LTRO + tassi bassissimi, si può dire tutto fuorché "politiche monetarie restrittive", ci limitiamo a dire:
a) ci pare pacifica la non assimilabilità tra LTRO, operazioni di rifinanziamento del sistema bancario, e QE, operazione di finanziamento diretta degli Stati, senza agire sul sub-strato carry trade di collaterali.

L'UEM, a differenza della Fed (della BoI, della BoJ e via dicendo, praticamente all'infinito...) ha un piccolo particolare: l'art.123 del trattato sul funzionamento dell'Unione, che vieta l'acquisto di titoli del debito dei singoli Stati.
Questa è una caratteristica fondamentale, che differenzia la "roccaforte" UEM rispetto al resto del mondo, nell'intendere in modo "integralista", e rigidamente monetarista, cioè in base ad un dogma fondamentale per v.H., che lo indirizza proprio contro gli effetti deprecati del deficit pubblico, causativo di inflazione, per sostenere la "improvvida" piena occupazione.
Sulla consonanza di obiettivi (dogmi), strategico-strumentali della BCE (sicuramente sotto l'influenza di Bundesbank, ma il discorso non cambia, anzi), con lo schema hayekkiano stesso, non riesco a nutrire dubbi.
Si tratta di una mera applicazione della differenza tra "proposta..filosofica" e suo sviluppo politico, apertamente contemplata da v.H.

La "restrittività" delle politiche monetarie UEM - così come il valore dei tassi "bassi", andrebbe valutata comparativamente (in primis agli USA) e nell'intero periodo di vita dell'euro.
Cioè nel contesto di un mondo che ha registrato, e tutt'ora vede, sia un differenziale dei livelli dei tassi (più alti) tutt'ora praticati dalla BCE (in assenza di qualunque seria minaccia inflattiva), sia, più ancorala pregressa politica di "credibile" mantenimento di tassi ancor più elevati, e considerati pro-ciclici, nel periodo di iniziale vita dell'euro e specie all'indomani della crisi del 2007-2008 (quando i tassi furono addirittura innalzati mentre si procedeva al rifinanziamento, statale e BCE, del sistema bancario, incuranti della presunta attivazione di un presunto meccanismo di trasmissione alla effettiva offerta monetaria, ma rimanendo attentissimi all'ossessione dell'inflazione).
La "politica monetaria restrittiva"della BCE, rispetto al "resto del mondo" (comparabile) è un fatto, appunto, "comparativamente" rilevabile in termini storici: dunque, andrebbe valutata alla luce di queste "finalità" (stabilità dei prezzi e disciplina salariale), senz'altro comuni a v.H. e allo "strumento" BCE. E risalta, altresì, drammaticamente proprio con le contestazioni tedesche al programma OMT, su cui rinviamo alla limpida analisi di De Grauwe 
Certo non ci sfugge che il fatto che "le banche centrali non possono fallire" (in regime di cambio flessibile, extra UEM beninteso) non sarebbe piaciuto affatto a v.H.:  ma ribadiamo, l'aspetto monetario teorico-ideale, recede di fronte all'obiettivo strategico di combattere inflazione e...piena occupazione.
Sicchè l'invocazione continua attuale delle "riforme strutturali" (del mercato del lavoro), sarebbe senz'altro parsa un beneficio, agli occhi dello stesso v.H.. Un "progresso fondamentale" per cui poteva valere la pena di transigere sullo schema teorico.
Diamo atto, piuttosto, che Hayek fosse abbastanza razionale da comprendere quale dovesse essere la scala delle priorità e la relazione tra esse e i mezzi per realizzarle.

5- RESTRIZIONI ALLE "LIBERTA'" E REATI D'OPINIONE.
Qui la perplessità rispetto allo schema del (sempre stimato) Istwine, giunge a ben più facili argomenti di confutazione. Semplicemente perchè:
a) bisogna capire, sul piano della teoria generale del diritto (che non è affatto una cosa così scontata e facile da maneggiare, in base alle proprie impressioni lessicali) cosa siano, per v. H., le "sacrosante libertà personali";
b) bisogna, capire, e in base ad agevoli riscontri di diritto positivo, sia nei vari livelli nazionali sia quale sancito nei Trattati, che l'UE con i reati d'opinione non c'entri proprio nulla.

a) Sul primo aspetto.
La concezione dei "diritti di libertà" di v.H. si incentra sulla rigida priorità del diritto di proprietà, statico, cioè inteso quale titolarità attuale del relativo diritto, sia dinamico, inteso come organizzazione di beni in termini aziendali (questa è la corretta versione giuridica), capace di dare un flusso di ulteriori beni, un "reddito", di cui si acquisisca la (più incondizionata possibile) proprietà.
Si interessa, poi, v.H. ad altri diritti-libertà che non siano legati alla proprietà-titolarità ed alla sua proiezione dinamica in termini produttivi?
Sì, certo, ma soltanto per predicarne la natura di prevaricazione da parte dello Stato, che, secondo lui demagogicamente li garantisce, sugli individui-proprietari che ne sarebbero invariabilmente danneggiati. E con essi tutta la società.
Cioè gli individui-proprietari, assunti nella loro proiezione produttivistica, risultano danneggiati da "ogni altro diritto", in particolare dai diritti sociali e politici stessi (in quanto indifferenziatamente estesi a tutta la massa, non legittimata dalla condizione "naturale" di titolarità proprietaria).
Rinvio in proposito a una fonte abbastanza ben riassuntiva del tema, dato che la lettura di "Law, Legislation and Liberty" è certamente ardua, specialmente per un non tecnico del diritto, dato che, quantomeno, occorrerebbe avere una conoscenza del resto della enorme elaborazione in materia di "diritti fondamentali" (di cui in questo post abbiamo offerto una sintesi e che amplieremo nel "libro" di prossima pubblicazione).
Insomma tutto questa "sacro" libertarismo, nell'apparenza delle enunciazioni così "affascinante", è, nella sua visione, necessariamente riservato a "pochi".
"Ciò che più interessa a Hayek è dunque la libertà concepita come protezione mediante la legge contro ogni forma di coercizione arbitraria (freedom from) e non come rivendicazione del diritto di ognuno di partecipare alla determinazione della forma di governo (freedom to). In tale impostazione, acquista grande rilievo il discorso sullo Stato, che deve avere essenzialmente un ruolo secondario e negativo, deve intervenire il meno possibile nell’ambito di autonomia individuale e deve garantire, grazie a leggi generali, il pieno dispiegarsi delle libertà individuali, assicurando solide barriere a difesa dei “territori” dei singoli individui. La proprietà privata, intesa lockeanamente come diritto alla “vita, alla libertà e ai beni”, è, di conseguenza, il fondamento di ogni civiltà evoluta."

Sulla proprietà, ecco cosa dice Hayek (e attenzione, non contestiamo la appartenenza di quest'ultima al novero dei diritti fondamentali, ma, attenendoci alla nostra Costituzione, la consideriamo "una" delle posizioni in cui si esprime la dignità ed il valore dell'esistenza umana):
è la sola soluzione finora scoperta dagli uomini per risolvere il problema di conciliare la libertà individuale con l’assenza di conflitti. Legge, libertà, proprietà sono una trinità inseparabile. Non vi può essere alcuna legge, nel senso di regola universale di condotta, che non determini confini di aree d’azione, stabilendo regole che permettono a ciascuno di accertare fin dove egli è libero di agire” (Law, Legislation and Liberty).
E gli "altri diritti", ad esempio, quello al lavoro, a ricevere un'istruzione, all'assistenza sanitaria, alla stessa partecipazione politica al di fuori di una condizione di titolare della "proprietà"?
Per Hayek, siamo nel campo, incondizionatamente, delle discriminazioni, il che, sul piano logico, come evidenziato da Bobbio (ad esempio), significa che si ammettte solo una condizione "naturale" di "soggetto di diritto", quella di proprietario; si prescinde da qualsiasi indagine sul come e perchè questa sia distribuita in un certo modo nella società, e si nega natura generale legittimante ad ogni altro aspetto della personalità umana.
Questo eventuale ulteriore aspetto, per v.H., può solo essere la "innaturale", creazione di uno Stato invasore, che instauri una legislazione (contraria al vero Spirito della Legge) che finirebbe per assumere esclusivamente valore di limitazione della condizione naturale del "proprietario" e di instaurazione di un regime di "privilegio" e di favoritismo (!), cioè di inaccettabile ingiustizia.
In questo, Hayek rivendica di ritenersi incurante del fatto che la "legislazione", qunado non sia rivolta a sancire l'astensione dello Stato dall'interferenza sulla proprietà, riguardi o meno la schiacciante maggioranza della popolazione. A quest'ultima non riconosce alcuna legittimazione "naturale" a sollevare il conflitto sociale. Negando, anzi, ogni valore al concetto di democrazia, che propone di sostituire con quello di "demarchia" per sottolineare la sua natura di sopraffazione perpetrata da una maggioranza che non può mai raggiungere una legittimazione naturale al governo.
L’imperio della legge […] comporta dei limiti al campo della legislazione; esso lo restringe a quel tipo di regole generali cui si tributa il nome di leggi formali ed esclude la legislazione che miri direttamente a persone determinate o che metta in grado qualcuno di usare il potere coercitivo dello Stato ai fini di una tale discriminazione. Esso non significa che tutto deve essere regolato dalla legge, ma significa all’opposto che il potere coercitivo dello Stato può essere usato soltanto in casi anticipatamente definiti dalla legge e in maniera tale che si possa prevedere come sarà impiegato” (Verso la schiavitù).

E dunque (anche questo è un sunto fedele):
"Una delle forme più diffuse di interferenza è sicuramente la legislazione in materia di giustizia sociale, la quale tende a modificare la posizione economico/sociale delle persone favorendo (ad esempio attraverso la tassazione) le persone meno agiate. Su questa tematica, la posizione di Hayek è assai drastica: le persone svantaggiate (i poveri, gli ammalati, i portatori di handicap, le vedove, gli orfani, ecc) debbono essere protetti da una “rete” che assicuri loro il minimo necessario alla sopravvivenza, ma ciò deve avvenire al di fuori del libero mercato e non come intervento correttivo del mercato da parte della legislazione. Assicurare un reddito minimo a tutti è, secondo Hayek, un dovere della società libera: ma ciò deve verificarsi tramite l’assistenza e non cambiando in modo artificiale le regole del mercato.
Tra i vari compiti dello Stato, spicca quello di costruire strade, fissare indici di misura, di fornire altri tipi di informazioni (attraverso mappe e cartelli stradali, ad esempio) e di controllare la qualità dei beni e dei servizi. Ma riguardo ad altri servizi, come ad esempio quello postale, quello dell’istruzione e delle telecomunicazioni, il monopolio dello Stato è pernicioso al massimo, oltre che inefficiente.
Da questa posizione, ben emerge l’immensa fiducia nel libero mercato che, pur non funzionando sempre in modo perfetto, presenta benefici che superano di gran lunga gli svantaggi. Indubbiamente suggestionato dalla “mano invisibile” di cui parlava Adam Smith, Hayek è convinto che il mercato riesca ad armonizzare in maniera spontanea le decisioni dei produttori con la volontà e coi desideri dei consumatori, senza la mediazione del governo, e che assicuri il perseguimento dei propri scopi a tutti, sviluppando altresì quella che Hayek chiama la “Grande Società”, cioè la moderna società complessa, che sfugge a ogni pianificazione centralizzata poiché si affida solo all’iniziativa individuale e al meccanismo della concorrenza."

Siamo coscienti che non riusciremo a far cambiare opinione al brillante Istwine, ma se si conserva un "senso comune" della democrazia, è difficile trovare "affascinante" l'idea individualistica-libertaria di v.H. E tantomeno attribuirgi una "sacralizzazione". E per nostra (purtroppo oggi cagionevole) fortuna.

b) Sul secondo aspetto.
I "reati d'opinione" non sono una costruzione europea.
L'Europa si disinteressa "operativamente" della materia con la famosa clausola dell'art.6 del TUE. Lascia la materia alla sfera di competenza degli Stati. E alle enunciazioni delle varie Carte dei diritti, entrate a far parte del diritto internazionale generale.
E neanche a dire che i "reati di opinione" non siano stati affrontati e stigmatizzati, più o meo direttamente, nelle Costituzioni democratiche, sicuramente in epoca anteriore a Maastricht, e nello stesso diritto internazionale generale.
Il punto è che sia la Corte costituzionale che la stessa Corte Europea dei Diritti dell'Uomo prendono da decenni posizione, cassandoli, sui vari "reati" di questo tipo, caratterizzati da clausole spesso incentrate sulla tutela della "personalità dello Stato" o il "sentimento religioso", cioè clausole c.d. "generali", in cui è più forte il pericolo della indefinizione dei presupposti che possono portare alla punizione dell'individuo.
In Italia, la materia è stata rivisitata, sulla scorta di varie pronunce della Corte costituzionale, dalla legge 24 febbraio 2006, n.85.
Ma è un fatto che, se la Corte non è intervenuta prima degli anni 2000, è perchè questi reati sono praticamente in desuetudine, cioè in concreto disapplicati. E grazie all'art.21 Cost.: ma più ancora, alla grande sensibilità che la Costituzione democratica pluriclasse ha innervato nel senso condiviso della comunità (smentendo che questo possa mai incentrarsi sul solo "diritto di proprietà") senso condiviso che v.H.avrebbe certamente condannato, perchè frutto della deprecabile "demarchia".

Come pure è un fatto, che a seguire la teoria generale dello Stato e del diritto naturale (Legge) di v.H., oggi, avremmo come fattispecie penali, duramente punite, lo "sciopero" e l'"associazione sindacale".

6-  MONOPOLI E OLIGOPOLI
Su questo punto, è veramente difficile vedere una divaricazione tra teorie hayekkiane e trattati UE.
Ovviamente, bisogna precisare ciò che v.H. sosteneva veramente in materia, come vedremo.
Per suo conto, il TFUE (ma già la versione originaria di Maastricht), contiene una vasta serie di previsioni su monopoli e concorrenza, che sono alla base del diritto antitrust introdotto, per la prima volta, in Italia. Il TFUE:
- all'art.101 prevede e sanziona (con la "nullità di pieno diritto"), come "incompatibili con il mercato interno" le varie forme di trust, accordi fra imprese, intese, e simili;
- all'art.102, colpisce allo stesso modo "lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante";
- al'art.106, colpisce con una sostanziale "incompatibilità" col trattato le posizioni di monopolio pubblico, ammettendone il mantenimento alla rigida vigilanza della Commissione sul rispetto delle norme (artt. 18 e da 101 a 109), inclusive dell'"abuso di posizione dominante", dettate sulla stessa "libera concorrenza".

Di sicuro, in questo quadro, l'UE non può essere accusata di aver creato o incentivato monopoli, cartelli od oligopoli. Tranne che per il sistema bancario, rimasto in un "limbo" di controllo delle varie banche centrali (e della stessa BCE, pur nelle grandi difficoltà che la sua competenza accentrata, a livello UEM, sta non casualmente incontrando). E ciò per ragioni, molto hayekkiane, connesse però al vigente mercato libero globalizzato dei capitali e alla natura "universale" , cioè non più legata alla sola intermediazione finanziaria in senso commerciale, dell'impresa bancaria, introdotta proprio sulla spinta europea (ma appunto non certo contraria alla visione di H.).

Per confermare, semmai, la non contrarietà (almeno) del diritto europeo con la visione di v.H. vediamo quale fosse il relativo impianto teorico.
Questo è (relativamente) facile da ricostruire e lo facciamo, in questa sede divulgativa (anche se i problemi qui trattati si sono già rivelati abbastanza complicatucci).
Come si può registrare da un commento sul tema, fortemente critico, ma non meno accurato, esiste una precisa fonte in cui confluisce la posizione di Hayek, ed in cui, pur risultando confluente con quella di altri esponenti della sua stessa "scuola" (diramatasi da von Mises), possiamo identificare i termini della sua analisi teorica: il c.d. "Colloquio Lippmann".
Sulla intima adesione di Hayek a quella "analisi fondativa" di un neo-liberismo in cerca di affermazione abbiamo la prova nella sua stessa vicenda personale.
Questi i punti salienti elaborati in quella sede, una sorta di "convenzione generale" del liberismo (li riporto dalla predetta fonte, per l'impostazione, quasi da "verbale" della riunione che essa ci fornisce):
"All’incontro ci sono tutti i nomi che contano del neoliberalismo: Hayek, von Mises, Rustow, Röpke e il segretario generale della riunione è niente di meno che Raymond Aron. Questo colloquio è importante perché proprio durante le discussioni verranno fissati i punti cardinali del neoliberalismo. Uno di questi signori, Miksch, dice: “in questa politica neoliberale è possibile che gli interventi economici siano tanto ampi e numerosi quanto in una politica pianificatrice, ma sarà la loro natura a essere differente”. Perché esprime un concetto così strano per un liberale? Perché dice che lo Stato dovrà intervenire pesantemente? Sembra una contraddizione in termini. Ma non lo è.
Miksch e i suoi compagni di merende stanno pensando al problema dei monopoli. Qualcuno (qualcuno di nome Marx) aveva fatto notare da tempo che, quando il mercato viene lasciato libero di autoregolarsi, tendono a formarsi dei monopoli. E si era notato che proprio i monopoli tendono a strangolare il libero mercato. Perciò si era detto: “non è vero che il mercato lasciato libero di agire si autoregola, anzi, semmai, con i monopoli che egli stesso crea muore da sé”.  

I neoliberisti in quella riunione del 1939 ribattono e dicono una cosa piuttosto strana: non è il mercato che crea i monopoli ma le azioni sbagliate dello Stato che, non vigilando sulla concorrenza in modo serio, lascia nascere i monopoli. Von Mises aggiunse un altro concetto: i monopoli si formano in mercati piccoli, nazionali. Il giorno in cui ci sarà un vero mercato mondiale, globale sarà impossibile la creazione di un monopolio
Ma, in fondo, aggiunge von Mises, perché preoccuparsi dei monopoli? Essi sono destinati a infrangersi perché quando un monopolista fisserà un prezzo troppo alto allora, all’interno dell’economia, sorgeranno imprese che praticheranno prezzi più bassi. Cioè: in ogni caso se il monopolista esagera con i prezzi il mercato reagirà. Così la principale obiezione di Marx veniva (apparentemente) eliminata.
Rimane il problema di capire come lo Stato dovrà intervenire. Ce lo dice un altro economista neoliberale, Eucken. Lo Stato, dice, deve intervenire con “azioni regolatrici”.
E le azioni regolatrici dello Stato vanno fatte non sull’economia ma sul funzionamento del mercato. Questo significa che si dovrà puntare sempre alla stabilità dei prezzi ossia quel che deve fare lo Stato è controllare a tutti i costi l’inflazione. Lo Stato non dovrà mai calmierare i prezzi, non dovrà mai sostenere un settore in crisi, non dovrà mai e poi mai creare posti di lavoro attraverso l’investimento pubblico. Lo Stato dovrà solo controllare l’inflazione. Come? Attraverso il tasso di sconto, attraverso l’abbassamento delle tasse. Ma mai con una politica che turbi l’economia.
E per la disoccupazione lo Stato che dovrebbe fare? Per Eucken e per i neoliberali lo Stato non dovrebbe fare nulla.
Il disoccupato non è una vittima – dice un altro neoliberale, Röpke – il disoccupato è solo un “lavoratore in transito” che passa da una attività non redditizia a una più redditizia. Ma lo Stato userà le “azioni regolatrici” solo dove si presenti la necessità, normalmente invece dovrà lavorare per garantire le condizioni di esistenza del mercato. Lo Stato dovrà garantire l’esistenza del “quadro” come lo chiamano i neoliberali nel 1939. Garantire il “quadro” è possibile attraverso le “azioni ordinatrici”  

I monopoli, dunque, si legano, a vario titolo, quasi esclusivamente alla "responsabilità dello Stato, la cui azione va dunque limitata, come sempre rigidamente, al controllo dell'inflazione.
Il monopolio nasce, dunque, o perchè lo Stato non agisce in "regolazione" (l'unica ammissibile) sul funzionamento del mercato, o perchè, peggio ancora, riservi a se stesso una posizione di monopolista.
Sappiamo (lo abbiamo visto poco sopra) che per v.H. ciò investe non solo attività di rilevanza economica, ma anche altre di sicuro interesse pubblico prevalente, esercitate attraverso la forma legislativa della "pubblica funzione".
Un fardello inammissibile per v.H., che considera la costruzione di strade, la fornitura di "indicazioni e segnaletica" e la verifica della qualità di beni e servizi le uniche attività con cui, lo Stato, può tangenzialmente sfiorare l'attività economica e la proprietà "libere". Naturalmente lo Stato dovrà anche vigilare su ordine pubblico e apprestare, in una certa misura, la difesa nazionale.
La visione di Hayek sul questi ultimi punti è tale che non esclude, in astratto, che larga parte della pubblica sicurezza e della repressione dei reati possa essere svolta in forma di servizio affidato alla libera concorrenza tra privati (contando poi che, come abbiamo sottolineato, "sciopero" e "associazione sindacale" rientrerebbero nelle fattispecie penali). Negli USA, si hanno varie applicazioni, più o meno estese, di ciò, ad esempio in quella branca della pubblica sicurezza che è la custodia dei carcerati. O la protezione degli interessi economici in terra straniera.  Ma in Europa, come attesta la famosa direttiva Bolkenstein è un'idea in forte avanzamento, tenuta lontano dalle conseguenze hayekkiane solo da "eccettuazioni" che riflettono la "gradualità"  strategica più volte menzionata.
In conclusione, monopoli  e oligopoli, - affidati a una nuova regolazione "del mercato", escludendosi progressivamente lo Stato dal, mal visto monopolio pubblico (ed estendendone oltremodo il concetto), sul presupposto della simultanea garanzia del controllo dell'inflazione, così come previste dai trattati UE-, risultano, in sede UE, disciplinati in linea con la teoria di v.H.

7- STATO MINIMO E "ECCESSO" DI TASSAZIONE.
Le cose fin qui complessivamente dette, dovrebbero aver chiarito il concetto di "Stato minimo", caratterizzato da una "Legge" che pone al di sopra di ogni cosa il soggetto naturale di tutela, il "proprietario-produttore", escludendosi, come interferenza distorsiva, ogni altro tipo di "legislazione", in specie quella sociale, foriera di violazioni e privilegi rispetto alla condizione di "astensione" dello Stato che possa porre in pericolo questo, ben delimitato, concetto di libertà.
Attinta dalla generale condanna della sua arbitrarietà, l'attività dello Stato sarà da delimitare progressivamente alla costruzione di "strade"...e alla segnaletica, mentre non è esclusa la progressiva privatizzazione, per di più in un mercato di cui si auspica la apertura "mondiale", di attività come difesa e pubblica sicurezza; queste, poi, finiscono per essere, in ultima analisi destinate a tutelare la proprietà produttiva, sul territorio nazionale come all'estero. Istruzione, previdenza e sanità sono invece nel tipico campo di elezione della "libertà" dei privati operatori economici. Lo Stato minimo ne è doverosamente escluso.
Un "punto di arrivo" indubbiamente, ma non un obiettivo che può dirsi estraneo alla strumentazione messa in campo coi trattati europei.

Che questa sia una costruzione ideale, ma non tanto (nutrendo Hayek espressamente fiducia nel fatto che "un giorno" esisteranno le condizioni politiche per realizzarla:...vi ricorda qualcosa?), e non segna alcuna fondamentale incompatibilità col disegno UE-UEM, che, come già sul piano monetario, ammette un processo strategico che utilizza strumenti di progressiva realizzazione di tale "schema ideale" condivendendone i fini essenziali.
In questa chiave "progressiva" si possono comprendere anche gli elevati livelli di tassazione: si tratta di una condizione transitoria e, naturalmente strumentale, che sconta la modifica del precedente ordine costituzionale dei welfare, mirando a farlo collassare, per rigetto del corpo sociale, mediante la imposizione del vincolo monetario (ad effetti equipollenti "in parte qua" al gold standard) e dei ben noti "vincoli" di deficit e di ammontare del debito, posti rispetto ai bilanci pubblici.
I quali, naturalmente, in una fase iniziale, pazientemente durevole, debbono "rientrare", consolidarsi, aumentando l'imposizione fiscale, prima di poter procedere, verificatesi le condizioni politiche, al taglio strutturale della spesa pubblica.
Alla fine, la gente, avvertendo come insopportabile il costo dei diritti sociali, cioè del welfare, invocherà il loro smantellamento, pur di vedersi sollevata da questa insopportabile tassazione. 

Ed è, appunto quanto si sta verificando, segnatamente in Italia, verificandosi così la strumentalità della costruzione europea per la realizzazione del "fine": l'instaurazione del "meraviglioso mondo di von Hayek".


43 commenti:

  1. ho letto la discussione nata su goofynomics :

    premettendo la stima per istwine con cui sono quasi sempre d'accordo e per la grande generosita' (nel senso piu' omnicompresivo possibile) di 48...

    e... che avrei preferito che istwine avesse scritto su questo blog le sue osservazioni alle interpretazioni analisi 'semplificazioni' su v.h. fatte su questo blog...
    perchè sarebbe stato piu' costruttivo...

    mi spiace ma trovo davvero un po' 'troppo' accademica la vostra disfida (nella prospettiva dei 'nostri' scopi) perchè è abbastanza evidente che -su piani diversi - entrambi i ragionamenti siano corretti :
    l'eurozona non è solo v.h. e il 'casino ' dell'eurozona è altro rispetto al 'pensiero' di v.h. ...pero' la filosofia alla base dei trattati europei si ispira al 'nostro' ...ne hanno preso la parte che gli faceva comodo
    in modo plastico , cosmetico...



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  2. perchè dico che è una discussione sterile ?
    perchè chi ha costruito e messo in pratica la costruzione europea era in malafede , difendeva artatamente interessi privati contro quelli dei cittadini e degli stati ...discutere di come abbiano usato quel pezzo di v.h. e quel pezzo di v.mises e quel pezzo per costruire il fantoccio che gli serviva ai loro scopi , ad altri scopi
    rispetto al liberismo ai principi ...è un po' ***** nella situzione storica in cui siamo...

    certo stanno cercando di 'scassare' la costituzione mettendoci la giusta 'dose' di v.h. e 'neoliberismo'...ma la sostanza della costituzione è gia' stata 'scardinata'
    a mio avviso almeno dal '92/93

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  3. sono d'accordo con istwine (ma questo lo dico qui e non su goofynomics e con rispetto parlando)
    che l'associzione euro eurozona v.h. Vs.
    spirito della costituzione keynesiano
    sia un po' semplificatoria e magari inesatta se andiamo ad analizzare certi aspetti

    ma nel contesto divulgativo e avendo ben chiari
    i nostri scopi penso sia una semplificazione che possa avere una sua utilita'

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    1. Guarda tutto è materia di complessa interpretazione.
      In questo blog non credo che si sia fatta "semplificazione" su v.H., semmai divulgazione.
      Lo stesso Istwine mi replica non su quello che è scritto sul blog, ma a quello che emerge dalla dialettica dei commenti in altra sede (tanne unq qeustione di traduzione che, francamente, se ci riflettesse, depone in senso contrario a quello che sostiene...ma "de minimis non curat").
      Peraltro, non "fidandosi" del profilo giuridico che svolge un ruolo importantissimo nel pensiero di v-H, indisgiungibile da quello economico, come illustro nella premessa del post.
      E credo, anzi, in questa sede di aver fatto anche qualcosa di più di mera divulgazione.

      In ogni modo, non sostengo affatto la "identificazione" "pensiero di vH=UE-euro"; non troverai mai questa affermazione qui.
      Ho detto a Istwine su goofynomics e qui cose un pò diverse (e infatti la sua replica risulta, in tal senso "sorda" alle argomentazioni da me usate nel dibattito):
      1) che vH fornisce un armamentario concettuale e fondamentale (omnicomprensivo) per i realizzatori di Maastricht, dandogli le coordinate generali in cui muoversi con sicurezza (quantomeno rispetto alla indibbia "disattivazione" delle Costituzioni democratiche che, credo, non sia affatto una questione da liquidare con leggerezza, di fronte agli argomenti qui utilizzati. E non lo hanno fatto giuristi del massimo livello nel panorama italiano);
      2) che una mistica "sacralizzazione" di vH, in nome della "libertà dell'individuo" è una enorme bufala. Questa sì una vulgata pressapochistica e contraria ad ogni accorta analisi del suo pensiero;
      3) che infine, "fini di sistema" dell'UEM e "fini di sistema di vH" sono obiettivamente coincidenti. per espressa coincidenza letterale delle rispettive affermazioni. E che gli "strumenti" della prima sono quantomeno "compatibili" con la realizzazione di tali fini condivisi.

      In questo non c'è nessuna vena "un pò semplificatoria": non è utilizzato alcuna distorsione o fallace "estrapolazione".
      Potrà essere ulteriormente discusso, e questo lo dico in premessa, magari apportando argomenti omogenei di analisi che si muovasullo stesso piano.
      Ma ti invito a trovare una somiglianza tra l'analisi qui compiuta e altra vulgata "emotivamente" semplificatoria, magari fatta in late sedi, ma non qui.

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    2. si concordo , la mia replica è volutamente 'povera'

      non sostengo affatto la "identificazione" "pensiero di vH=UE-euro"; non troverai mai questa affermazione qui

      si , in effetti è la mia una semplificazione *imprecisa* non voglio entrare nel dibattito , ci sono un paio imprecisioni (per me) in quello che dice istwine e non so se avro' voglia di postarle su goofynomics perchè davvero per me è sufficiente la malafede di chi ha disegnato i trattati Ue e 'usato' il pensiero di v.h. per i suoi scopi... non mi interessa continuare l'iperbole di istwine
      (e spero di avere chiarito perchè) che credo intedesse marcare quanto il problema economico eurozona sia anche altro rispetto a v.h.

      volevo essere il piu' scarno e 'semplificatorio' e rispettoso possibile e non ci sono riuscito :/
      (mi pento di avere commentato cosi' , mi spiace hai lettori tremendi ...)
      ho visto che eravate su due piani diversi e volevo rimarcarlo....

      Un aspetto che troverei interessante è appunto ^il come^ è stata 'scardinata' la costituzione 'keynesiana'
      e come il pc sia passato in poche anni dal prendere ordini da mosca a riciclarsi nel pensiero vonhayekiano 'plastificato' e aggiornato ai tempi ...
      non per una curiosita' storica ...


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    3. riporto questi punti perchè hai perfettamente ragione
      (è da tanto che lo leggiamo che ci sembra 'scontato'...)

      credo, non sia affatto una questione da liquidare con leggerezza, di fronte agli argomenti qui utilizzati. E non lo hanno fatto giuristi del massimo livello nel panorama italiano);

      che una mistica "sacralizzazione" di vH, in nome della "libertà dell'individuo" è una enorme bufala. Questa sì una vulgata pressapochistica e contraria ad ogni accorta analisi del suo pensiero;

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  4. continuo...mi dispiace e non riesco ad esprimere quanto che le energie di chi è un buona fede (come tutti noi ) siano dissipate in confronti cosi' aspri , inutilmente aspri , che divergono
    da nostri obiettivi (nelle diversita' di pensiero filosofia stile ...di ognuno )

    a me dispiace perchè il nostro scopo non si puo' limitare a 'dare una testimonianza' ma a rendere possibili quei presupposti per recuperare quel tanto (o poco ) di sovranita' necessaria per riprenderci la politica economica del paese...(che è precondizione all'applicazione sostanziale dello spirito della costituzione...)

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    1. Caro Robert, nessun "turbamento".
      E lo Spirito della Costituzione, connesso al modo qui proposto di concepire la sovranità (basandosi sulla "lezione" dei massimi maestri...oscurati), ci guiderà sempre...

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  5. In tutta onestà, ho avuto molta difficoltà a leggere il testo.

    L'unico punto su cui hai ragione è il 5, quello sulle libertà, perché ben argomentato e perché evidentemente così, quindi ti ringrazio della spiegazione e faccio mio il tuo pensiero. Sugli altri no.

    1) Il Security Market Progamme europeo quello è, acquisto ti di titoli di Stato sul mercato secondario. Esattamente quello che può fare la FED. Nessuno dei due può acquistare al primario. Quindi la differenza è di volontà di intervento.

    2) I tassi son bassi, e son bassi da anni. Se di solito son più alti degli US è perché gli US hanno il privilegio. Parlare di politiche monetarie restrittive è veramente arduo, sinceramente. E anche se fosse, politiche monetarie restrittive non è sinonimo di deflazione. Hayek non era per la deflazione, questo significa forzare il suo pensiero. Come significa forzarne il pensiero se si parla di salari. Anche i neokeynesiani alla Krugman parlano continuamente di sticky wages, cioè di rigidità che non portano all'equilibrio. Ma mica Krugman è solo sticky wages. Come Hayek non è solo sticky wages. Trovi l'Hayek che condivide in periodi di depressione alcune politiche keynesiane. E soprattutto Hayek era famoso per la descrizione delle bolle, lui era attento ai periodi di boom. Cosa c'è stato se non delle bolle in Europa? Difatti il pensiero di Hayek (e Mises) assieme a Minsky son tornati in auge proprio per quello.

    Ripeto, lo stai volgarizzando. Non ho neanche capito perché attaccarsi ad Hayek, quando poi il nemico è tutt'altro, se così vogliamo chiamarlo.

    3) Su oligopoli e monopoli, non è mica così erronea l'idea che sia l'interventismo a creare monopoli e oligopoli e che siano pappa e ciccia col governo. Leggi Del Mar, poi vediamo se lo Stato non c'entra. Difatti Hayek, e anche Keynes, criticavano il crony capitalism, quello che esiste ora. Solo che Hayek diceva che era conseguenza dell'interventismo, Keynes considerava invece l'intervento necessario "per far riavviare il motorino". E i neoliberisti alla Rustow ecc, se li leggi, dicono le stesse cose che possiamo dire noi, a grandi linee. Erano una sorta di terza via tra liberismo puro e pianificazione, come spiegato da quel documento. Certo, c'era un dibattito all'interno, ma non era i fanatici che poi han fatto passare.

    L'idea poi che l'oligarchia europea sia contro i monopoli, anche se scritto nei trattati, è francamente discutibile. Vivono di quello, sono trainati da quelli, comandano loro. Le lobbies quello sono. Altro che liberismo.

    4) Vincoli di deficit, seppur sciocchi e deleteri non significano limitazioni di politiche espansive. Il bilancio può essere anche in pareggio e la politica fiscale espansiva. Il problema nasce in casi del genere, in casi di crisi, ma di nuovo, chi ha voluto ha fatto. La Francia è oltre il 3 e nessuno dice niente.

    Io sinceramente, pur condividendo con te molte cose, non mi spiego ancora che c'entri Hayek. Seriamente, mettici qualcun altro, mettici un Barro che so, mettici Taylor visto che la politica della BCE è basata sul meccanismo di trasmissione di Taylor, ma Hayek diamine, che c'entra? Uno che poi era in polemica con tutti, compresi i neoclassici.

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    1. Non dubitavo della prosecuzione della reciproca incomprensione.

      A mia volta non comprendo la tua complessiva posizione, anche perchè francamente "ellittica", cioè esposta su citazioni tout-court allusive, senza sviluppare un vero ragoinamento. A me la connessione pare evidente: se comprendi la questione dei diritti, la contrapposizione cosciente con le Costituzioni "interventiste" dovrebbe divenire chiara e gettare tutto in un'altra luce.

      Oltretutto una connessione nascente da una ben precisa e profondamente influente linea di pensiero, di teoria generale dello Stato, in buona sostanza: cioè quello a maggior impatto politico e capace di esercitare una suggestione duratura, per plurime vie "culturali" (anche per la cronologia dei momenti di maggior "ascolto" di v.H.).
      Influente perciò, come lo è stata, nella "formazione" di molta parte dei conditores di Maastricht. Come mi hanno testimoniato anche protagonisti italiani in sede di redazione di Maastricht: forse non conoscevano Taylor e forse si accontentavano dl pret-a-porter del liberismo nascente dalla vulgata concettuale del "nostro". Non cambia molto.

      Su tutti i punti specifici: non scendo in dettaglio, mi pare francamente inutile. In vari post sono stati toccati e non pretendo che tu li abbia letti.

      Concordo sulla natura prevalente dei monopoli-oligopoli in UE; ma l'origine della ipocrisia è proprio in questa linea di pensiero che ho esposto; come pure dell'eccettuazione bancario-finanziaria (che assorbe direttamente o indirettamente tutta "l'offerta" che conta)
      Mi accontento di aver potuto fare questo approfondimento e di averlo messo a disposizione di color che si prenderanno il disturbo di leggerlo.

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    2. Per cercare di capire la differenza tra una analisi di modelli teorici "a posteriori" e una ricostruzione induttiva di tipo storico-ideologico, su un trattato a forte impronta politica: la "regola di Taylor" fu da questi formulata nel 1993. Come poteva aver influenzato l'Atto Unico (del 1987) e Maastricht (1992), o lo stesso "divorzio", frutto di un'elaborazione che era iniziata negli stessi "antecendeti" dello SME?
      Poi certo che, su un solco di economia ormai ben delineata nella direzione, che sopravviene e fornisce nuovi "riferimenti" pratici, si tiene conto di Taylor; ma l'ideologia fondamentale, i "fini", è più logico cercarla in un premio Nobel del 1974 che, durante gli anni di quella elaborazione, simboleggiava più di tutti la rivincita su Keynes

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  6. A me non pare che ci sia stato uno spreco di energie: anzi, questo post mi è sembrato molto utile (e condivisibile). Soprattutto mi pare cruciale l'analisi del rapporto mezzi-fini per smascherare la "dinamicità" del pensiero hayekiano, ossia la sua fortissima politicità: il nostro infatti nasconde dietro a uno storicamente inconsistente elogio della lenta evoluzione un'assoluta disponibilità a soluzioni politiche contingenti anche radicali (da questo punto di vista l'analogia con Burke proposta da Robin mi pare del tutto pertinente) - purché naturalmente funzionali ai fini - laddove l'aspetto "statico" del suo pensiero ha, per esplicita ammissione, un carattere utopico (la relativa citazione da Legge, legislazione e libertà è già riportata da Robin, ma ne inserisco la traduzione dell'edizione italiana (pag. 85): ""Utopia", come ideologia, oggi è un brutto termine; ed è vero che la maggior parte delle utopie ambiscono a ridisegnare radicalmente la società e soffrono di contraddizioni interne che ne rendono impossibile la realizzazione. Ma la raffigurazione ideale di una società che possa non essere anche compiutamente realizzabile, o una concezione guida dell'ordine complessivo a cui aspirare, sono nondimeno non solo la condizione indispensabile per ogni politica razionale, ma anche il principale contributo che la scienza possa offrire alla soluzione dei problemi della pratica politica". (Non sto a riportare la traduzione del passo sulla necessità di una difesa "dogmatica" della libertà, ma anch'esso è significativo).
    E i fini sono esattamente quelli che individui tu e di cui d'altra parte Hayek non fa certamente mistero: lo stesso famigerato reddito di cittadinanza, come avevo già riportato, è giustificato proprio come misura che, compatibile con la catallassi, è funzionale a disinnescare la pretesa di un'alterazione per via politica dei "redditi relativi dei vari individui" (op. cit., pag. 516).

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    1. Arturo: evidentemente tu il post l'hai letto (e prima ancora Hayek). E compreso :-)

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    2. gardate il mio punto molto rozzamente è questo (premesso che l'analisi dell'influenza del pensioero v.h. sull'ideologia dei trattati eu è apprezzabile e da rileggere con piu' attenzione ) se l'eu fosse veraemente basata sull'ideologia di v.h. ben difficilmente si sarebbe trovata in una crisi senza possibilita' di uscita...perchè la 'cornice' filosofica che ispira i trattati europei nella sostanza ha preso quel tanto di v.h. che 'serviva' : la stabilita' dei prezzi ,la conseguente liberta' di disinteressarsi della disoccuapazione ma non ha seguito v.h. sui monopoli 'di fatto' -para-statali e sulle politiche monetarie restrittive (perchè per la spagna la grecia l'irlanda il portogallo l'italia non sono state restrittive...e i motivi li sappiamo 'credito estero')
      Questo è stato permesso e voluto fortemente per OVVI motivi: le elite economico/finanziarie ci avrebbero stra-guadagnato ...a questo si sommi il fatto che gli oligopoli 'privati parastali statali-ish' germanici francesi (olandesi austrici...) si stiano mangiando quelli
      dei paesi piu' 'deboli' ,quelli che hanno gruppo di potere economico/finanziario piu' destabilizzabili...

      Quello che voglio dire è che i politici e i gruppi di potere italiani non sono neppure vonhayekiani...sono dei traditori 'tour court'....parlare della dilangante filosofia v.h. è importante ma
      mi sembra quasi un alibi rispetto alle responsabilita' dei vertici della bce (i tassi relativamente alti hanno solo anticipato il 'disastro' ) dei politici che ci hanno portato fino qui (consapevolmente) del sistema economico/industriale/finanziario che credeva e crede ancora di straguadagnarci con la mobilita' dei fattori di produzione e dei capitali e la deflazione per mantere la stabilita' dei prezzi...

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    3. :-) Forse ti divertirà scoprire che Otmar Issing (già Deutsche Bank, BCE e pure Goldman Sachs, che non fa mai male) dice, e l'articolo è riprodotto sul sito della BCE, più o meno le stesse cose che dici tu, cioè che la via può non essere quella indicata da Hayek ma i fini sì. Per esempio in materia di denazionalizzazione delle monete, la posizione di Hayek nasceva dalla constatazione che "...an effective monetary policy can be conducted only in co-ordination with the financial policy of the government. Co-ordination in this respect, however, inevitably means that whatever nominally independent monetary authorities still exist have in fact to adjust their policy to that of the government" (see Hayek 1960, page 327)." E Issing così chiosa: "I think it is now clear that it was ideas along these lines that were the inspiration behind the rules and procedures in the EU Treaty, and I refer in particular to Articles 104 and 104a." Insomma: "although the path taken to achieve denationalisation of money has been very different than that advocated by Hayek, the ultimate objective being sought by Hayek, i.e., monetary independence from political interference and price stability, have, to all intents and purposes, already been achieved."

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    4. perchè tutto sommato nel '92 non so quanti conoscessero v.h.
      e il neoliberismo...ma i politici gia' lo sapevano cosa avrebbe comportato accettare le regole della germania e farsi cooptare nell'ue....gia' lo sapevano cosa significasse stabilita' dei prezzi cosa sottindesse...

      '...Sono questi gli anni del passaggio verso un' europa più unita , più integrata e , augurabilmente più coesa. E tuttavia , quando si sentono magnificare i nuovi traguardi europei come se si trattasse di una sorta di paradiso terrestre che ci attende ,c'è solo da rimanere sconcertati .
      E' naturalmente fondamentale che l'Italia riesca a raggiungere il passo deo suoi grandi partners europei e che per far questo si mostri capace di compiere tutti gli sforzi che debbono essere compiuti .
      Diversamente si produrrebbe una frattura di portata storica nelle linee di fondo del nostro progresso.
      E tuttavia , dobbiamo insistere a chiederci quale europa vogliamo e verso quale europa vogliamo indirizzarci .-non verso un europa sottratta ad ogni controllo dei poteri democratici .Non verso politiche determinate solo sulla base di criteri macroeconomici ,indifferenti di fronte alla valutazione dei costi sociali.
      Un 'europa fondata su di un mercato unico , aperto e libero ma il cui sviluppo non contraddica il principio che gli anglosassoni definiscono come il 'mercato piu' la democrazia '.Non un europa
      in cui in cui la modernizzazione diventi brutalmente sinonimo di disoccupazione .Un 'europa
      dove le rappresentanze sindacali abbiano un loro spazio , una loro dignita' ed una loro influenza .
      Un europa che guardi che guardi al proprio equilibrio interno ma anche all'altra europa che si è liberata dal comunismo ma che rischia di restare ancora separata e divisa non piu' , come è stato detto , dalla cortina di ferro ma dal muro del danaro .
      Un 'europa capace di una vera politica estera e di una piu' larga apertura verso il mondo piu' povero che preme alle porte dell'europa e che ha assolutamente bisogno di un acceleratore che gli consenta di uscire dalla depressione , dalla stagnazione e dal sottosviluppo , senza di che le ondate migratorie diventeranno sempre piu' incontrollabili .'
      (craxi 1992 discorso alla camera ,durante il voto per la fiducia al governo amato)

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    5. Non so come ridirlo: il pensiero di vH era notissimo sia a livello politologico, sia a livello economico: per lo meno nella parte che connetteva la realizzazione del mercato aperto allargato a aree sovranazionali allo Stato minimo.
      Anzi, era considerata, fin dagli anni '80 (per quanto ne so: prima non sono in grado di dare testimonianza), una "raffinatezza" dichiararsi suoi conoscitori-ammiratori, in contrapposizione alla "rovina" keynesiana...

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  7. R°#,

    tranquillo, si discute. Io non condivido molte cose scritte, ma si discute, tanto per. Poi ognuno può serenamente continuare a pensarla come prima, non cambia ai fini della critica all'Eurozona.

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    1. per mel'importante è che 48 e te e tutti quelli che a vari livelli possono dare un contributo importante non si disperdano scontrandosi su aspetti troppo tecnici e formali...
      è chiaro che Il ltro non è esattamente Qe...ma se alla germania* servisse il Qe e potessero farlo senza destabilizzare la posizione di 'favore' acquisita sono sicuro che Bce inizierebbe un bel Qe...(

      *:con germania si intende il gruppo di potere economico finanziario politico che guadagna dalla status quo...

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    2. Non sono così addentro al pensiero economico, e non intervengo, pertanto, sugli aspetti sostanziali della questione (riservandomi di approfondire nel dettaglio).

      Quello che mi permetto sommessamente di ricordare è che eventuali differenze di pensiero su alcuni aspetti (che non mi sembrano formali, ma di sostanza scientifica), ed eventuali dispute al riguardo non costituiscono, "dispersione", bensì una "risorsa", ed anzi, testimoniano proprio quella vitalità intellettuale che ci differenzia, ad esempio, da coloro che hanno votato in maniera bulgara e acritica il pareggio di bilancio in costituzione e dagli editorialisti che hanno osannato la cosa.

      Anche in costituente si discuteva (e pure animatamente)! Non cadiamo nella trappola politica che, in nome dell'unità nell'opposizione al pensiero dominante, esige la "neutralizzazione" di ogni dibattito interno.

      Spero di essermi spiegato senza dar luogo a fraintendimenti :-)

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  8. Con grande realismo, "non qui" ma dietro un camposanto all'alba.
    Gli "scalzi", poco interessati al "primato", richiedono oggi la consapevole partecipazione a tutti i "cavalieri" verso l'assedio di una democrazia "sopita".
    Domani l'altro quando ne avrete voglia, con o senza testimoni, oggi, tra tanti consapevoli che hanno imparato a distinguere tra appartenenza e opportunismo, serve il "comune" senso di necessità.

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    1. Come, domani quando tutto questo sarà finito, potremmo disquisire sull'utilizzo opportunistico del pensiero di K Popper quanto dell'interessato abuso di J Attali nella scrittura dei trattati UE.
      Oggi è noia ..

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  9. Sono di parte, lo riconosco, lo ammetto, consideratemi pure Claque di 48, ma ha ragione e da vendere nella disputa con Istwine.

    Ci sarebbe molto da dire, ma molto hai già scritto tu stesso 48 in questo post.

    Nella vostra discussione su "Goofynomics" , le argomentazioni di Istwine mi ricordavano certi comunsti di qualche anno fa:
    "No...in Unione Sovietica non c' era il "VERO" comunismo/socialismo reale" (là dove Marx sta all' Unione Sovietica come Hayek sta alla Unione Europea)...UN MOTIVO CI SARA' se le idee di Marx non sono state pedissequamente seguite dal PCUS? che ne dite??

    mancava solo che tra i punti che ti sei brigato di confutare il nostro istwine (che a me non ha sorpreso piu' di tanto) citasse:

    "Hayek credeva in Babbo in Natale e nell' unione Europea non c'è traccia di Babbo Natale".... :-)

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    1. Sai cosa mi ha sorpreso di più? Che prima ha equiparato, come elementi caratterizzanti omologanti, QE della Fed e LTRO BCE, poi QE e Security market programme (attivato nell'estate 2011 e poi stroncato da ger-aut-fin-ned-fin in apposita tempestiva riunione, non appena la "lettera" di Draghi aveva sortito i suoi effetti di "condizionalità" recessiva sull'Italia)...

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  10. Non so se già noto (o già linkato in precedenza).
    Non particolarmente nuovo ma: repetita juvant.
    Ovverossia : http://lettura.corriere.it/debates/il-dilemma-delleuropa-capitalismo-vs-democrazia/

    ALLARMI! si scippano la democrazia!

    Porta pazienza figliuolo. Stiamo organizzando gli stati uniti d'europa e ci vuole la collaborazione di tutti.

    ps notare citazione di software «hayekiano»

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    1. Sì conoscevo l'articolo (l'ho pure citato nel libro) :-)
      Questa è una vera questione di sostanza (come si resero molto ben conto in...Cile)

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  11. Sicuramente sono OT, ma mi piacerebbe avere una valutazione su questo progetto, e su come possa inserirsi all'interno di una "V.H. vision" dell'Unione Europea.....

    http://gondrano.blogspot.it/2013/07/verso-il-iv-reich.html

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    1. Me lo guarderò.
      Ma intanto posso dirti che, se segui l'impostazione dell'analisi qui compiuta, si rivela fallace ritenere che si possa fare una riassunto delle teorie e delle specifiche soluzioni tecnico-economiche di vH, per contrapporla alla ricostruzione della realtà storica. All'interno di una visione analitico-schematica di tipo economico, non si può comprendere l'impatto politico-culturale di vH sull'ambiente degli economisti-politici impegnati nella costruzione europea, tra l'altro riposrtandosi a quella epoca e non limitandosi agli ultimi rivolgimenti. Anche perchè egli è una figura di confine tra l'economia, che utilizzava come strumento dimostrativo, e la filosofia del diritto, da cui traeva l'analisi presupposta dei fini e dell'assetto ideale che riteneva, "dogmaticamente", andasse instaurato.

      Quindi non ti devi sentire "non in grado" di farti un'idea autonoma, perchè le priorità strategico-economiche di vH sono ben chiare (e subordinarle a singole analisi o soluzioni, è operazione che non avrebbe compiuto lui stesso)

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  12. ma diamo la parola agli "austricanti": vediamo che dicono. Per esempio Jesus Huerta De Soto (membro del Von Mises institute) scrive un "bel" pezzaccio intitolato:
    "In difesa dell’euro: una prospettiva austriaca" (si noti il termine "PROSPETTIVA")

    E ora leggetevi questo altro "bel" pezzo di un sito veramente e convintamente "hayek fan club":

    http://archeo-finanza.blogspot.it/2013/04/scuola-austriaca-ma-quale.html

    da non perdere questo pezzo:

    ---Come sappiamo l'espansione monetaria al di la di tutto induce inflazione . Non in modo automatico e completamente , ma l'effetto è quello .
    Per la scuola austriaca come abbiamo visto è un male .
    Ma lo è sempre ?
    Come appurato effetti sui tassi o non ci sono o sono su un settore unico per quanto importante. Ma a sentire e leggere quanto gira su internet sembrerebbe di si .
    Basta leggere nei vari siti italiani e esteri di ispirazione austriaca quanto viene detto sulla Fed e sui quantitative easing per capire come secondo questi supposti discepoli di Mises la fine del mondo ( sicuramente economico ) sia vicina .

    Ma non temete , ovviamente non è così . E non è così anche all'interno della scuola austriaca .
    Leggiamo a riguardo quanto scriveva Friedrich Von Hayek nel 1975 ( 2 ) :
    "Da questo non segue che non ci si debba sforzare di fermare un'effettiva deflazione quando questa minacci di prendere piede . Anche se non considero la deflazione come la causa originaria del declino dell'attività economica , non ho dubbi sul fatto che la mancata realizzazione delle aspettative abbia sempre avuto l'effetto di indurre un processo di deflazione ...... , le cui conseguenza possono essere peggiori ...... , di quelle che la causa originaria della reazione rende effettivamente necessarie .."

    Hayek è chiaro : secondo lui l'espansione monetaria conduce comunque alle bolle finanziarie e di conseguenza alla crisi , ma una volta che questa si palesa e arriva a tal punto da portare il tasso d'inflazione in territorio negativo , la deflazione , bisogna comunque fare di tutto per evitare questo evento .
    Come ? Ovviamente riespandendo la quantità di moneta . E infatti prosegue dicendo :
    " Se fossi oggi responsabile della politica monetaria di un paese , cercherei senz'altro di impedire con tutti i mezzi disponibili una deflazione minacciosa , e cioè una diminuzione assoluta del flusso di reddito , e annuncerei le mie intenzioni di farlo . Con ogni probabilità , questo annuncio sarebbe di per se stesso sufficiente ad impedire che la recessione possa degenerare in una depressione di lunga durata ".
    Se quanto appena letto vi ricorda per caso Mario Draghi e quanto da lui detto a fine luglio del 2012 , la cosa è ovviamente voluta . Bene Hayek e bene Draghi.
    Ma allora qual'è il tasso d'inflazione ottimale anche per la scuola austriaca ?
    Sempre Hayek lo dice nel passo poco prima di quelli appena letti :
    "La prima cosa che è necessario fare , ora ( 1975 , ndr ) , è fermare la crescita della quantità di moneta , o perlomeno ridurne il tasso di crescita , fino a portarlo al livello del tasso di crescita reale della produzione ..."
    Ecco chiarito il punto : l'inflazione deve crescere al tasso di crescita del pil . Corretto . E guarda caso è anche quanto sostiene il Monetarismo . Bentrovati . Almeno con gli Hayekiani---

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    1. In Italia, "anfatti", con PIL ormai annualmente oltre il -2%, l'inflazione all'1,4 mi fa pensare che occorra ulteriore credit crunch. Mica si può tollerare un differenziale così alto; ergo dobbiamo andare in deflazione :-)
      Ah, però; mi cresce il debito pubblico ("leggera" caduta delle basi imponibili)!
      Beh "privatizziamo" e tagliamo la spesa pubblica.
      QED: tutti i salmi finiscono nello "Stato minimo"!

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    2. si, ma al di la di questo; è impressionante notare la assoluta assonanza tra le parole di Draghi ("faremo tutto il necessario per salvare l' euro, e lo faremo" quando presentò il "piano" OMT -mi pare) e quelle di Von hayek qua sopra citate.
      No, sai, per chi avesse dubbi su chi è il pensatore di riferimento nelle politiche euriste.....(e non è Federico Caffè ;-) )
      E per quelli che "Hayek era per la concorrenza fra moneta, a livello pubblico e privato e perché i tassi li fa il mercato e quindi la BCE fa il contrario di quello che diceva Hayek"...

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    3. E' non è la sola assonanza: non riesco a ritrovare un pezzo dove Amato dice, sulla sovranità, che quella ceduta dagli Stati all'UEnon va da nessuna parte, svanisce e basta (questo il concetto). Ciò conferma che Amato debba conoscere molto bene il pensiero del nostro....

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  13. Ciao a tutti.
    Post interessantissimo. Al 99% sono con 48, però concordo con istwine quando dice che il risultato finale di questo pastrocchio europeo non é un costrutto hayekiano perfetto. Troppe regole, troppi oligopoli, troppe lobby. Hayek le avversava profondamente e intendeva eliminarle, anche a costo di un governo dispotico (un dispotismo illuminato à la Metternich, ma tant'é). D'altra parte, il dispotismo basato su ideologia economica e diritto divino dell'UE (inutile negare l'appoggio vaticano e il ruolo di esso nella commissione europea) volto a far riscoprire alla gente la durezza del vivere e riavvicinarle alla fede e a demolire progressivamente gli stati nazionali e il loro intervento nell'economia, é proprio il pane e il burro di hayek. diciamo che non vedo SOLO hayek nell'UME, ma ne vedo grosse parti del suo pensiero.

    L'addendum al post poi é qualcosa di talmente pacchiano che manca solo la firma di Monnet, Perroux e Mitterand.

    ps. Parguez non é un mistificatore e nemmeno un complottista. Dice le cose come stanno, magari enfatizzandole ma quello é. E ha pagato la verità che diffonde con la sua carriera professionale a rotoli e con l'isolamento.

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    1. Sta cosa delle troppe regole e del dumping normativo a favore delle posizioni dominanti, però,:
      a) sono stato fra i primi a denunciarla in Italia (fin dagli anni '90 e prima di me il mio "maestro" Giacchetti); lo stesso post " 'A corruzzione e il fogno: lo strano caso del doctor Petiot", tra l'altro, lo attesta;
      b) nulla di significativo ci dice sulla questione vH:
      - sia perchè, solo in apparenza contraddittori, gli eccessi di regolazione, sono coessenziali "strumenti-tasselli strategici" del disegno di decostruzione delle sovranità nazionali (da cui automaticamente, secondo vH, si instaura la prevalenza del mercato sovranazionale),
      - sia, ancor più, perchè vH combatteva il monopolio SOLO COME CREAZIONE NAZIONALE; cioè riteneva che il "supermercato" interstatale (meglio se mondiale) non rendesse i monopoli-oligopoli un problema effettivo, ma solo in quanto fossero legati alla realtà statale (come attesta il "colloquio Lippmann" riportato nel post).

      Tutto sommato, si conferma che, il pur acceso "dibattito" (con contraddittore ad opponendum), consente comunque di meglio focalizzare.

      Tra l'altro, neppure io, come ho già detto a R#, nell'UE ci vedo "solo" vh: ripeto, lui costituisce la "matrice" (certo poi arricchita nel tempo) e il baricentro concettuale dell'intero linguaggio utilizzato ( di sicuro inizialmente e tutt'ora) per comporne la strategia

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  14. io cercherei di contestualizzare. il suo blog, orizzonte48, può dare molto fastidio a quella fazione politico-culturale di estrazione grillina, ma non solo, vedi le ambiguità politiche di bagnai, liberal-liberista e quindi pro-vh al 100X100, che fosse interessata ad intraprendere un exit strategy, buttando a mare l'euro ma salvando liberal-liberismo stato minimo, castacorruzionebrutto ecc, ecc.iv, " In tutta onestà, ho avuto molta difficoltà a leggere il testo...", il testo di 48 invece è molto chiaro, al contrario delle inutili quintalate di tue pubblicazioni su moneta endogena e simili, illeggibili ma dalla parte del sistema bancario post steagall-act, non certo dalla nostra.un'altro grullino critico "Troppe regole, troppi oligopoli, troppe lobby. Hayek le avversava profondamente ..", il libero mercato di von haiek,lasciato a se stesso genera i monopoli, e quindi la distruzione del..libero mercato.qui si tocca una contraddizione FONDAMENTALE, per chiunque sia tifoso del liberal-liberismo, vh compreso. voglio pensare che sia il contesto politico-culturale di riferimento che fa muovere le critiche dei baldanzosi iv, mc, R, altrimenti sarei costretto a pensare che si tratta solo di pura contrapposizione personale, si commenta tanto per dimostrare (a se stessi) che si esiste, ed allora,in un caso e nell'altro meglio mantenere la barra diritta sull'innovativa impostazione EUROCRITICA A DIFESA DELLA COSTITUZIONE, piuttosto che rispondere a chi vuole dimostrare che ce l'ha più profumato, l'alito..

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    1. A onor del vero, non mi risulta che Bagnai sia liberista. Il tramonto dell'euro segnala soluzioni di post euro exit non in questo senso.
      Ma forse tu hai informazioni che non ho...

      Mattia poi è un "ricercatore in evoluzione"; non certo liberista. Sicuramente aperto al confronto. E magari a cambiare opinione...
      Sulla difesa della Costitutizione come vera chiave democratica dell'euro-critica, ti ringrazio per il conforto che mi dai nell'aver colto questa linea.
      Purtroppo - ma solo in Italia- del tutto trascurata: eppure è la più lineare, perchè avremmo la Legge suprema dalla nostra parte (in teoria e non si sa per quanto)

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  15. Credo che il saggio di Amato sia quello a cui si fa riferimento qui (efficace, direi, il concetto di "dispersione di sovranità").
    Segnalo anche che il lavoro di Hayek del '39 può essere scaricato gratuitamente (e legalmente) dal sito del Ludwig von Mises Institue qui (è un libro, in formato pdf, di quasi 300 pagine che riproduce diversi articoli di Hayek).

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  16. Ho letto troppo poco questo post e nulla della disputa con Istwine: "xe ben che me fassa i fatti mia".

    E allora che commento? Lo faccio perchè ho scansionato qualche pagina di "Hayek su Hayek", in particolare dall'Introduzione.

    Ora, non sono sicuro di poter dare la risposta alla domanda di Quarantotto "E' o non è von Hayek collegabile alla costruzione europea, culminata in Maastricht?", per le ragioni di cui sopra. Però, considerando che Maastricht è stata letta come lo stravolgimento del progetto Delors, che già di suo presentava dei limiti evidenti MA che manteneva prevalente il profilo politico della costruzione europea (mentre la struttura monetaria aveva un ruolo apparentemente accessorio); ecco che, allora, Maastricht, con il 'primato' attribuito alla unione monetaria, a danno di quella politica, è certamente più compatibile con Hayek di quanto non lo sarebbe stato un'evoluzione coerente con le premesse del progetto Delors.

    E che Hayek sia 'colpevole' non ho dubbi: la sua costruzione, la sua struttura concettuale NON è adatta al ruolo.
    "Le implicazioni della posizione di Hayek demoliscono sia i presupposti logici che quelli empirici che sottendono l'economia dei positivisti, l'econometria e qualsiasi tentativo di creare una 'macroeconomia'[...] La visione del mercato di Hayek informa il problema dell'organizzazione sociale. Egli scrisse nel suo saggio fondamentale: Come è possibile che la combinazione di frammenti di conoscenza che esistono in menti diverse porti a risultati che, se nascessero liberamente richiederebbero una conoscenza da parte della mente che nessun singolo possiede? [...]" (pag.27)

    Quindi, per dirla con Einstein, è la teoria che ci dice cosa vedere, ovvero che al contrario di San Tonmmaso (che non crede se non vede) il principio è che VEDO SE CREDO. E Hayek non pensa, non ritiene, cioè NON CREDE che il "TOTALE è superiore alla somma dei singoli membri", nel contesto dell'organizzazione sociale. Houston abbiamo un problema.

    Abbiamo un problema, la struttura teorica pensata e sviluppata nel tempo è manchevole e la mancanza è grave. Perchè è grave lo dice Abba P. Lerner in "Saving equals Investments", dal lato tecnico, diciamo; mentre dal lato 'meno tecnico' lo dice Kevin Kelly, in particolare in queste pagine di "Out of Control": il Totale esiste, emerge, ed è più della somma dei singoli.

    Quindi, concludo il commento per ribadire che il 'problema' Von Hayek, imho, è che quello che ci ha lasciato formalizzato in una struttura concettuale teorica (o qualunque altra modo lo si voglia definire) è UNA MAPPA DEL TERRITORIO LIMITATA. E una mappa che non ha segnate tutte le possibili e alternative strade per collegare il punto A al punto B, o è inutile, o è inefficace o è inefficiente. Quale delle tre, una mappa NON ADEGUATA richiede i miracoli a chi è costretto ad utilizzarla, per orientarsi nel mondo circostante. Se fosse l'unica mappa disponibile allora va benissimo anche se limitata.

    MA a quella di Hayek, la mappa alternativa esiste, e 'peggio' è difficile che faccia.

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  17. In coda al dibattito sorto tra Istwine e 48, spulciando tra le carte della "valigia nera" un interessante articolo di Roberto Tamborini del 1997 che considerava il percorso "evolutivo" che ha portato UE al Trattato UEM di Maastricht, passando dal comitato Werner (1969-70), al Rapporto Delors (1989), al tecnico "One market, one money" (1990)
    Come è sempre utile ricordare la lucida denuncia del "colpo di mano tecnocratico", di "Europa politica sottomessa dall'Europa economica", delle riflessioni democratiche dell UEM svolte da R Dahrendorf, ad ulteriore conferma della sostanziale divergenza del pensiero di K Popper dalla teoria socio-eco-politica di von Hayek e nipotini.
    Come è sempre utile ricordare il doppio "supporto logistico" al "colpo di mano tecnocratico" svolto da Padoa Schioppa, Amato, Alesina, Pagano, Giavazzi a fianco di J Attali nell'alleanza franco-tedesca e, parimenti, vincolare e condizionare le "necessarie" riforme costituzionali in chiave neoliberista nel Bel Paese.

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  18. Prima di leggere questo ponderoso articolo, avevo letto la discussione su von Hayek sul blog di Bagnai; così ho cercato qualcosa e ho trovato al volo questo breve passaggio, tratto da Verso la schiavitù, del 1944:

    «Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».

    Mi sono chiesto chi stabilisce, e come, chi ha “il controllo dei mezzi”, e ho trovato la risposta.

    Intervistato da Renée Sallas per “El Mercurio”, il 12 aprile 1981, von Hayek spiegava che “una dittatura può essere un sistema necessario per un periodo transitorio. [...] Personalmente preferisco un dittatore liberale ad un governo democratico non liberale. La mia impressione personale – e questo vale per il Sud America – è che in Cile, per esempio, si assisterà ad una transizione da un governo dittatoriale ad un governo liberale”.

    Poi le cose andarono un po' per le lunghe, “Pinochet rimase al potere fino all’11 marzo 1990 e continuò a ricoprire l’incarico di comandante in capo delle Forze armate cilene fino al 1998”, ma non essendo cileno von Hayek poteva permettersi di aspettare. Tanto più che era stato nominato presidente onorario del “Centro de Estudios Públicos”, un think tank liberista fortemente voluto da Pinochet.
    Nel febbraio '82 Thatcher inviò una lettera a von Hayek in cui scriveva che “The progression from Allende’s Socialism to the free enterprise capitalist economy of the 1980's is a striking example of economic reform from which we can learn many lessons”.
    Il pensiero di von Hayek suscita dunque un certo entusiasmo tra i liberali, entusiasmo che però scema se ad avviare le stesse riforme è la Cina.

    Comunque è affascinante – si fa per dire – osservare le varie sfaccettature della dottrina dello sfruttamento. Perché bisognerà pur dirlo che la tutela dell'interesse privato, tanto cara a von Hayek quanto la libertà dell'individuo, intesa come libertà “da” ogni forma di coercizione, e non la libertà “di” votare per scegliere la forma di governo - che comunque, secondo lui, prende sempre la forma di una democrazia imperfetta -, riguarda solo la minoranza che la proprietà ce l'aveva. Gli altri, la maggioranza, dovevano accontentarsi delle briciole, ed evitare di dare disturbo. Perché in quel caso la “legge” darebbe allo Stato la facoltà di “interferire” sulle libertà personali con i classici metodi coercitivi.
    In breve, come nota 48, il "sacro" libertarismo di von Hayek è riservato a "pochi".
    Interessante anche la precisazione nel riportare una celebre frase di Hayek: “fosse anche solo nell’interesse di coloro che devono essere protetti da eventuali atti di disperazione da parte dei bisognosi”, che avrà anche “tutto un altro significato”, però non inficia l'assunto di base: ai poveri e alle classi disagiate in genere, si lasciano comunque le briciole.

    E naturalmente si può anche essere d'accordo con von Hayek quando afferma che il socialismo è la radice del nazismo. Infatti, quando le classi subalterne stanche di farsi prendere per i fondelli, e impossibilitate materialmente a sopravvivere alle condizioni date, hanno rivendicato i loro ineludibili diritti tramite le iniziative delle organizzazioni sindacali, la miope borghesia industriale ed agraria ha prodotto il fascismo.
    Se invece gli ingrati ed avidi lavoratori se ne fossero stati buoni al loro posto a morire d fame, non ci sarebbe stato il fascismo. Non fa una piega.

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  19. Aggiungerei questa parte che era rimasta fuori per ragioni di spazio:

    Quanto al disoccupato che secondo Röpke è solo un “lavoratore in transito”, non può sfuggire anche ad uno sguardo disattento che le stolide politiche di austerità imposte dall'Ue in riposta alla crisi perdurante hanno creato un vero e proprio “esercito” di disoccupati. Se a settembre i tedeschi non rinsaviscono e cambiano indirizzo, la situazione si farà esplosiva, e non sarà difficile per il potere organizzarli in “squadre” - il “servizio affidato alla libera concorrenza tra privati” - con compiti (“azioni ordinatrici”) che non è difficile immaginare, vista la storia pregressa del nostro paese.

    Comunque, vogliamo dire che von Hayek non c'entra nulla con l'Ue? Diciamolo. Tanto poi le cose vanno come devono andare comunque.

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  20. Per capire che la nostra Costituzione va cambiata... basta leggere vH!
    parola di Marco Cobianchi, giornalista economico di Panorama:

    https://twitter.com/marcocobianchi/status/361450758945783808

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