martedì 23 giugno 2015

UN CALCIO ALLA GRECIA E...IL CALCIO ITALIANO: VITE PARALLELE.

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1. Sulla questione Grecia si staglia, tragicomico, l'effetto "calciomercato".
Il rinvio continuo della soluzione, in occasione di ogni scadenza "ultimativa", per ulteriori riflessioni, dopo settimane (anzi, mesi), di trattative in cui le parti già conoscevano benissimo cosa e "quanto" fosse in gioco, rammenta la (curiosamente parallela) vicenda Nainggolan.
Più in generale, lo stop and go sulla Grecia - su cui siamo già certi che dovrà fare una manovra di consolidamento fiscale per 2 punti di PIL, ripiombando il PIL in segno nettamente negativo, e cioè in una nuova recessione, socialmente pesantissima-, mette in scena uno spettacolo quasi identico a quelle trattative che si svolgono oggi tra le squadre di calcio italiane, in cui "esigenze di bilancio" e i vari accorgimenti contabili, dominano i comportamenti negoziali. Con grande fortuna degli specialisti mediatici del calciomercato, che possono sfoggiare l'analisi da insider, dimenticando, curiosamente, il dato fondamentale (esattamente come fa la grancassa mediatica orwelliana sulle questioni economiche): anche il calcio italiano risente della crisi determinata dall'euro.

2. Il meccanismo è sotto gli occhi di tutti, come la parabola discendente di quello che dovrebbe essere il riscontro della competitività del prodotto calcistico nazionale (in sè): le varie nazionali di calcio
Si parte, infatti, da un cambio fisso (sì, alla fine, questo è il senso della moneta unica-marco, priva di governo e con una banca centrale che finge di essere per tutti...ma che è "per nessuno"), con una moneta dal corso troppo alto per il nostro livello inflattivo "naturale"; vincoli di deficit pubblico simultanei; da cui, prima caduta della domanda estera per vincolo monetario sul settore esportativo, poi conseguente continuo aumento della pressione fiscale (qui, p.4); e, dunque, ricaduta in un'ulteriore flessione della domanda interna per investimenti e consumi; fino al trend distruttivo che erode la stessa base industriale, smantelladola progressivamente (via via che l'euro si staglia come irrinunciabile e irrevesibile).

3. Nel calcio (in modo paradigmatico), abbiamo così  vivai che non producono "merce" competitiva coi prodotti-giocatori esteri; carenza di liquidità che riduce la stessa possibilità di innovazione e investimento (autogenerata come in precedenza); ricorso ad una importazione (investimenti-innovazione con indebitamento estero) sempre più marginale rispetto ai competitori esteri; IDE sempre più diffusi sugli operatori incumbent nazionali, che divengono a proprietà estera o "delocalizzata" (cioè il vero azionista di controllo è un soggetto non residente ai fini gestionali e fiscali ed eventuali profitti non reinvestiti finiscono all'estero).

Il calcio, come settore industriale, risulta dunque affetto da perenne deficit delle "sue" specifiche partite correnti, per continua importazione di beni strumentali (atipici: i giocatori), inclusa la conseguente voce "redditi" (e registra un forte deficit anche come specifica posizione netta sull'estero). 
In modo eloquente, in conseguenza della crescita dei costi relativi rispetto al resto dell'€uropa, e dell'ambiente fiscale euro-imposto, subisce la contrazione della domanda interna (incassi per pubblico pagante, sponsor, diritti televisivi legati ad una pubblicità televisiva sempre più asfittica). 
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Ergo, si deprezzano i valori patrimoniali delle società: le quali, poi, almeno quelle più competitive sul piano dell'avviamento e del marchio (a suo modo un ex orgoglio del made in Italy), o falliscono o finiscono in mano estera a prezzi (corsi azionari) molto convenienti...per gli investitori esteri. Questi, un tempo (quando non eravamo infognati nel...fogno dell'euro), non si sarebbero mai immaginati di venire "in salvataggio" di società che avevano non solo  prospettive di crescita, ma potevano aspirare (e riuscivano) ad essere leader del rispettivo mercato.
Ma tutto questo "Alice", - l'Italia sognante e neo-livorosa, a caccia di autorazzismo-, "non lo sa". E non gli interessa di saperlo.
E, infatti, della questione greca non coglie (Alice) la sua vera dimensione di riflesso in uno specchio (deformante), se non per qualche accanimento livoroso (autoriflettente)...

15 commenti:

  1. Situazione identica la si ritrova nel mondo del ciclismo: meno corse per evidenti problemi economico-organizzativi e mancanza di formazioni dotate di bilanci multimilionari necessari per ben figurare nel World Tour (la serie A del ciclismo). Allo stesso modo la formazione delle nuove leve necessita di investimenti notevoli, che oramai in Italia sono difficilmente realizzabili; si diffondono perciò spiegazioni autorazziste del tipo: nei paesi nord europei i ragazzi si muovono quasi sempre in bici con qualsiasi tempo, ci sono moltissime piste ciclabili e così via (ovviamente trascurando le differenti morfologie delle varie nazioni).

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  2. Carissimi, oggi ho assistito ad un seminario sulle risorse proprie UE, per altro organizzato dal Rettore della mia Uni, che è un tributarista, anche per la presenza di una prof. spagnola di finanza pubblica che, per quanto ho capito, si è occupata della questione a livello istituzionale UE. Magari sono cose qui note, ma per me è stato molto interessante scoprire che, a parte i vari privilegi di singoli Paesi immancabilmente nordici, il sistema non è minimamente improntato alla progressività. La soluzione adottata, infatti, quando qualcuno ha fatto notare che non si poteva basare un sistema sull'iva, che è regressiva (le iniziali risorse doganali sono diventate secondarie), è stata l'introduzione di un prelievo sul reddito a quota percentuale fissa, e non progressiva. Insomma, un sistema che sarebbe incostituzionale da noi (53), come in Spagna (31). Eppure, la soluzione principale della prof. spagnola è quella di raddoppiare (da 0,5 a 1) proprio la quota iva, che la stessa prof. segnalava essere passata dal 15 al 20, nell'eurozona, a seguito della crisi. Si è parlato molto di solidarietà, ma non saprei quanto sia risultato chiaro che la progressività è proprio un'applicazione della solidarietà e dell'eguaglianza (2 e 3), perché anche un neoclassico dovrebbe ammettere che l'utilità marginale del reddito è decrescente. Sarei voluto intervenire, ma non c' è stato tempo per il dibattito. Una chicca finale. Sapete chi presiede la commisione per la revisione delle risorse proprie? Mario Monti. Siamo in una botte di ferro!
    Tom Bombadillo

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    1. Povere creature, lasciate (date in pasto) a cotanto illuminato dibattito!

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  3. Ciao Quarantotto sarà una pura coincidenza e fatalità, ma con il processo di avvicinamento al trattato di Maastrich, che doveva evolvere verso una convergenza delle economie europee e che invece ha prodotto il suo contrario, ( senza che la classe intellettuale italiana se ne accorga, Quarantotto mandiamoli per qualche anno a zappare la terra così conosceranno la durezza del vivere) il calcio italiano conobbe una rapida trasformazione: dal modulo a uomo con il libero dietro, (calcio all'italiana invenzione del Paron Rocco) che produceva i migliori difensori al mondo (Burgnich, Guarneri, Picchi,Rosato, Bellugi, Gentile) al verbo Sacchiano la mitica zona con il risultato di non avere più prodotto difensori degni di questo nome. Mentre nei primi anni 70 avevo l'allenatore ( nel settore giovanile del Lanerossi Vicenza) che martellava noi difensori per mantenere la posizione corretta rispetto all'attaccante esterno, negli anni novanta l'ho sentito in televisione affermare il suo esatto contrario, la doppia verità era entrata anche nel calcio e la storia veniva riscritta.
    Poi esasperando la competizione attraverso la libera circolazione dei giocatori, il fenomeno è sotto gli occhi di tutti, la ricchezza si concentra in pochi club e il resto muore lentamente per asfissia, altro che il mare si alza per tutti, per la maggior parte è venuta mancare l'acqua, Mi piacerebbe che un economista mainstrean mi spiegasse come mai nel calcio la libera circolazione dei giocatori, invece di ridurre i costi ( con l' abbondanza di giocatori e allenatori i costi si avrebbero dovuto abbassare) delle società ha prodotto l'effetto opposto i prezzi sono esplosi. Per dare una misura Paolo Rossi nel 1982 fresco vincitore del campionato del mondo e della classifica dei capocannonieri, guadagnava nella Juventus circa 100 milioni di lire all'anno, un operaio ne gudagnava circa 10. milioni, fate voi adesso le proporzioni.

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    1. Per chi è stato difensore nei tempi d'oro, il calcio attuale è solo dispiacere. Una porcheria inguardabile. Poi bisognerà anche spiegare come fanno gli attaccanti al 90 del secondo tempo a fare degli scatti come se si fosse al primo minuto. Mah?! C'è a chi piace così. Peggio per loro.
      Qualche aggiunta:
      1) non solo Rocco, anche Fabbri (Edmondo, quello bistrattato senza criterio), erano i tempi del boom se non ricordo male;
      2) prima di Sacchi fu Liedholm il primo scienziato del nuovo corso, la zona (come la dieta), e collima con i tempi dello svincolo e del divorzio della Banca D'Italia con l'Italia.
      Tutto si tiene. Non si diventa colonia da un giorno all'altro, bisogna lavorarci parecchio sopra, alacremente.

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    2. Sulla difesa a zona, in realtà dobbiamo risalire ai mondiali in Germania del 1974 e all'esplosione del modulo olandese (vittorie dell'Ajax). Liedholm, sperimentò, in buona parte, tale impostazione, già in tempi non sospetti (Roma del 3° posto 1973-74).
      La "strana" carenza di difensori (che sappiano "chiudere", tagliando in rincorsa di rientro, e rilanciare l'azione palla al piede) in Italia, se vogliamo, inizia col dopo-Baresi (il mondiale del 1994 è uno spartiacque, almeno tecnico). E vedremo come non sia il modulo Sacchi in sè (cioè zona più pressing universale) a porre...in fuori gioco le leve nostrane.

      Se vogliamo, infatti, è la sentenza della Corte europea sull'ormai mitico caso Bosman ad aver cambiato le cose, portando alla ingannevole definizione dei calciatori come lavoratori, mentre il prezzo del "cartellino" figura come bene strumentale da ammortizzare entro i limiti di durata dall'anomalo contratto di lavoro subordinato (!).
      Dunque, si tratta di una liberalizzazione effettiva del movimento di capitali e dei relativi investimenti (cioè di incentivo all'importazione di atipici beni strumentali): in pratica l'Italia si trova nella situazione di investire all'estero con maggior convenienza rispetto alla crescita dei prodotti nazionali (che divengono un investimento marginale e a emersione casuale).

      Riassumendo: non è in sè, obiettivamente, l'abbandono del "libero" e della connessa marcatura ad uomo (con cui vincemmo i mondiali del 1982), e quindi la zona, a collegarsi al "vincolo esterno": gli anni '70 furono il laboratorio indotto dal fenomeno olandese che caratterizzò il superamento del modulo all'italiana, derivato dal WM (rammentando che l'Argentina e i sudamericani, nonchè l'Ungheria di Puksas, avevano già qualcosa di simile).

      La sentenza Bosman, avendo un cambio flessibile, si poteva ancora sostenere: e infatti (zona o non zona, Sacchi o non Sacchi), fino alla stratificazione del vincolo esterno post Maastricht, il calcio italiano regge ancora botta (è questione di tenuta della domanda interna in un settore ancora non pienamente finanziarizzato).

      Insomma, il liberoscambismo e il vincolo monetario, unito al tetto al deficit pubblico (cioè alla pressione fiscale), sono la radice del cambiamento epocale: si tratta di una liberalizzazione mirata del mercato dei capitali che, ovviamente, rafforza chi abbia i tassi di cambio reale più contenuti. All'interno della moneta unica.
      Il freetrade puro, ad es; in UK, porta a grandi investimenti esteri e al depauperamento del vivaio nazionale (Inghilterra ma anche gli altri paesi di UK, con campionati poveri, divengono marginali).
      Una soluzione? Invocare clausole culturali e di salute pubblica (legabili all'attività sportiva), per stabilire l'oblbigo di un numero minimo di giocatori in campo che sia proveniente da vivai nazionali (non dico di nazionalità italiana, ma almeno da vivai nazionali e avendo un certo numero di anni di campionati giovanili alle spalle; la nazionalità, poi, si potrebbe agevolare per chi, anche la di fuori dello sport, abbia svolto un periodo di qualificata formazione in Italia).
      Sul piano contrattuale, poi, stabilire una tassazione sul reddito dei calciatori unica in tutta l'UE sarebbe indispensabile (e leale): ma anche riportare i calciatori a figure solo libero-professionali dopo un periodo di 3-5 anni dall'uscita dal vivaio col debutto "professionistico" vero e proprio (cioè indennizzi alle squadre solo per tale limitato periodo e solo alle squadre che hanno investito in "formazione").

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    3. Ubi maior ….

      Io scherzavo, proponendo una mia vecchia rampogna. Ho smesso di occuparmi di calcio proprio da Liedholm, perché non mi ci riconoscevo più in quella roba, sia dello svincolo sia della zona. Lo svincolo non permetteva più di legare la passione alla squadra come insieme di giocatori, la zona uccideva un pezzo di cultura originale di questa nazione, rendendo i giocatori un insieme anonimo. Qualche tempo dopo ne ebbi la prova definitiva quando Montesano, un talento assoluto del Palermo che avevo notato per caso in una di quelle domeniche in cui mandavano la serie B, preso in serie A all'Udinese venne praticamente tenuto in panchina quasi tutto l'anno preferendogli un oramai vecchio Beccalossi. Quindici anni prima sarebbe stato una stella mondiale, oramai non era più funzionale al nuovo corso. Dunque degli anni 90 non so proprio nulla, non ho più saputo nulla, e me ne vanto, ogni volta che per caso guardo qualche minuto di calcio; mai più di 5.
      Ma devo dire che, in effetti, qualche riflessione in proposito dello sfacelo indotto dallo svincolo la feci quando Berlusconi, nei suoi primi anni, decise di tagliare con il vivaio dicendo una frase che mi rimase in testa come una osservazione insieme tecnicamente perfetta e socialmente criminale. Disse più o meno: “Che me ne faccio del vivaio? Mi costa più di quanto mi produce in calciatori utili. Se mi serve qualche calciatore me lo vado a comprare dove nasce.”
      Geometrico!
      Ma io avevo visto appassionati che avevano dato la vita per i vivai intorno a un campetto, con l'unica soddisfazione di tirar fuori ogni tanto qualche calciatore passabile, e rovinarsi pure per questa passione, ma ottenendo, come effetto secondario, di impegnare schiere di giovani positivamente e lontani dalla strada, producendo pure cultura, e quindi non senza orrore potevo constatare quanto devastante era un ragionare solo per convenienza spiccia. Altro che efficienza del mercato. Balle!

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  4. Trovo, sul sito web del "Sole" questa analisi di Seminerio sulla Grecia.

    http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2015/06/24/grecia-la-proposta-alla-troika-e-unaltra-spremuta-fiscale-per-uno-stato-fallito/?uuid=rFnXiDaH

    Se da un lato le misure della Troika vengono correttamente inquadrate come inutili ed inique spremute fiscali, dall'altro, nelle conclusioni, mi par di vedere una pericolosa deriva ideologica.
    Quando parli di "disfunzionalità esistenziale" di un Paese, qualunque esso sia e qualunque ne sia la politica, evochi spettri e concetti di natura quasi Hitleriana: formuli un giudizio di valore che non lascia scampo, allo stesso modo in cui, dal 1933 al 1945, scampo non veniva lasciato alle "disfunzionalità" dei popoli ebraici e slavi. Che lo si faccia in nome della politica economica piuttosto che della razza, poco cambia.

    Non so di quali orientamenti sia Seminerio. Forse è onesto, pur nella crudezza dell'analisi, quando dice che più che di riforme si deve parlare di vero e proprio nation building, per il quale, cito testualmenre, "Per attuare il quale, in assenza di cooperazione del paese interessato, sarebbero servite delle truppe di occupazione, e nessuno si scandalizzi per l’iperbole".
    Ma allora, e si ritorna al concetto, la natura politica dell'UE (e dell'ideologia liberista), è smascherata. Ed evoca spettri che, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, io credevo sepolti per sempre.

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    1. Lo sai che c'è? I greci saranno certamente vittime della stessa grancassa mediatica cui siamo sottoposti noi, ma non paiono capaci di reagire nel modo corretto neppure a livello di impulso di sopravvivenza (se questa sia effettivamente in gioco per la schiacciante maggioranza di essi...se...).

      Questo fa sì che, con l'andazzo attuale, e l'occasione di dire la verità fino in fondo che Tsipras ha (sinora) perduto, non saprei proprio dire se hanno le risorse culturali per respingere l'accusa di "disfunzionalità esistenziale" mossa in ottica prettamente e inevitabilmente liberista (e gli sprechi e la corruzione, spesa pubblicabrutto ecc.).

      La storia delle riforme mi ha letteralmente nauseato: ma non riesco più a trovare nei greci, nelle loro manifestazioni istituzionali e di piazza, un filo logico che li leghi a un barlume di coscienza (comparabile a quello perduto dagli italiani ma che, fino agli anni '70, ha costituito un patrimonio di difesa della democrazia che, poi, sfaldandosi ha almeno limitato i danni, o meglio, la rapidità della militarizzazione liberista).

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    2. Il razzismo è una mostruosità ideologica: il punto è semplice. Ha di fatto un duplice risvolto: da una parte giustifica le raccapriccianti scelte etiche di chi lo propugna, dall'altra si materializza come autorazzismo nel popolo soccombente; ovvero, come profonda disistima, complesso nell'appartenenza identitaria, accettazione di essere in modo irredimibile - in quanto genetico - perdenti.

      Non semplicemente sconfitti: geneticamente perdenti, sbagliati, sfigati. Che meritano l'eutanasia, e per cui l'aborto è l'unica scelta saggia in caso di peccaminosa mancanza di castità.

      Questa è una tipica dinamica di gruppo, e le identità coinvolte sono comunemente quelle della persona vittima, e quella del "branco": bene. A livello politico è fondamentalmente moderna (anche se secolare) ingegneria sociale: si distrugge l'identità etnico-linguistica e si prepara la vittima ad accettare, tramite la sopravvenuta sindrome di Stoccolma, la schiavitù o l'olocausto.

      È la lotta per il potere senza limite. E, diciamolo... per il prestigio. Perché più la conosco, più mi fa provare disgusto: la classe intellettuale.

      Quel lerciume gretto e baronale del mondo accademico: i veleni, le invidie... il prestigio intellettuale. (De che, poi?... appena si esce fuori dall'aurea della cattedra... scava, scava... vabbè, no comment).

      Il prestigio di appartenere alla razza imperiale, e alla classe imperiale: ma quanta deve essere grande il gruppo della razza eletta: che, certo, è a matrice WASP e english-speaking ma, a giudicare dal board di Goldman Sachs, molto più "colorata" di quanto si possa pensare (per quelli che credono veramente che il razzismo dipenda dal colore della pelle).

      Per la vulgata il razzismo non consiste - come vorrebbe la filologia - riconducibile a queste tipo di politiche volte a perseguire l'imperialismo e, in ultimo, il classismo: potere e prestigio: no. Secondo la neolingua coincide col neologismo xenofobia: paura del diverso.

      Bè, si sa che quando c'è un neologismo che termina con "fobia", siamo di fronte a ingegneria sociale ad usum piddini. Bene. Quanta di questa patologica xenofobia esista è ancora tutta da dimostrare: il diverso, come il cambiamento fa paura per definizione. Quando questo sia patologico, non è dato a sapere. Bisognerà chiedere a quel covo di golpisti di Transparency International. (Senza andare a scomodare quelle dinamiche istintuali per cui la mescolanza etnica, in piccole dosi, è desiderata e strutturale per quelli che sono i benefici dell'eterogeneità, ma lasem perd...).

      Così, a freddo, l'unica xenofobia, fomentata politicamente, fu l'antisemitismo moderno (sottolineo "moderno"): ovvero basato sulla credenza che l'ebreo fosse una razza superiore (con il "sangue più puro"), quindi poi pericoloso rivale della razza ariana, e via. Nel delirio che più delirio non si può.

      Bene nel mondo del calcio in cui i calciatori, da esseri umani, sono diventati un incrocio tra avatar e Maori, il razzismo è lo sfottò sul colore della pelle (quando il colore si vede, sotto i disegni paleolitici che gli trasformano in questi strani esseri ). Salvo il fatto che il povero "inferiore", o vergognosamente "diverso", guadagna milioni di euro in più di chi lo sfotte. Un delirio. Tutti a delirare.

      Ma tutto questo ha un senso: perché se le analisi sono corrette, questo significa che in cima della priramide ci sta un nutrito gruppo di malthusiani, che, essendo una razza superiore, deve aiutare le razze inferiore a estinguersi: ma non per il bene egoistico dell'Olimpo. Per salvare la specie umana da se stessa. D'altronde, esiste un limite alla crescita...

      Ma, essendo eroi che salvano la specie umana, nei salotti buoni possono sorridersi mantendo la sovrastruttura morale giudaico-cristiana.

      (Eroe: colui che sacrifica se stesso per salvare tutti gli altri. E poi non siamo nell'era nietzscheana con la morale al contrario...)

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    3. @Lorenzo Carnimeo
      Gli stessi argomenti che portano Seminerio a certe valutazioni del popolo greco erano stati espressi da Giavazzi sul Financial Times, attirandosi copiosi sarcasmi; Seminerio naviga in un laghetto riparato ma vale anche per lui la risposta, piuttosto pesante, di Zingales all'articolo di Giavazzi. E siamo nell'ambito della più stretta ortodossia!
      Mi viene invece una riflessione sul piano psicologico: il furore di Seminerio verso i Greci (perché non è niente di meno) potrebbe essere quello del Vero Credente che vede i propri dogmi vacillare a causa delle azioni di un popolo, che si merita quindi ogni misura "correttiva".
      A tanto porta la teologia economica? Sembrerebbe di sì.

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  5. Ciao Quarantotto probabilmente mi sono espresso male, è vero che per la zona dobbiamo tornare all'Ajax di Cruijff dei primi anni 70, come è altresì vero che fu proprio il Barone Liedholm a reintrodurla in Italia. Però il nostro calcio fu molto refrattario a tale innovazione, tant'è vero che fino alla fine degli anni ottanta la maggior parte delle squadre di A e B giocava ancora a uomo con il libero dietro. Fu prima con i successi di Sacchi al Milan e successivamente il suo approdo come ct della nazionale che l'intero movimento calcistico professionistico passò alla zona pensiero unico dominante come il liberismo.

    Per quanto concerne le risorse culturali domenica scorsa io e mia moglie eravamo a pranzo da amici. C'era anche il loro figlio Laureato 110 in ingegneria gestionale, dottorato e adesso occupato nel commerciale presso una grossa azienda. Mi sono trattenuto per l'affetto che provo per i sui genitori, ma veramente la ragione e la razionalità sono morte in questo paese, qualche perla che mi ha fatto trasecolare:
    E' giusto che la distribuzione del reddito avvenga in maniera iniqua perchè il mondo è sempre andato così. Con la massima delicatezza del caso gli faccio notare che dal dopoguerra fino alla metà degli anni 70 non è proprio accaduto quello che lui diceva; Risposta; voi siete vissuti in una illusione, "e io pensavo ma le prorpietà immobiliari dei tuoi genitori vissuti nell'illusione invece sono reali."
    Poi, essere di Sinistra è tassare pesantemente la seconda casa, quindi i propri genitori, mentre tassare il reddito in modo progressivo non rientra nei canoni della sinstra. Lo Stato deve fare il pareggio di Bilancio in quanto deve essere gestito come un impresa e altre amenità varie. Alla domanda se conosce le funzioni della moneta, come viene messa in circolo e i suoi canali di trasmissione, un no a denti stretti con la faccia rossa, ma nessuna curiosità ad apprendere.
    Se questi sono i brillanti giovani Laureati di oggi.................

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    1. I "brillanti giovani laureati di oggi" mi rammentano una frase di Costanzo Preve, pronunciata nel dibattito sul post moderno e riferita alla degenerazione degli intellettuali di sinistra (rinvenibile qui: https://www.youtube.com/watch?v=bwok9ukLN8g )

      "Non se ne andranno prima di avere inquinato i pozzi"

      Ecco, l'inquinamento (ordoliberista) dei pozzi è, infatti, anche questo: i giovani laureati che ragionano in questo modo. Ed è cosa gravissima. Un'eredità pesantissima dalla quale non sarà, purtroppo, facile liberarsi.

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  6. Magari (anche se non seguo piu' il calcio come prima: non e' piu' appassionamente come quello di una volta) societa' che credono ancora nei vivai penso ci siano sempre (mi vengono in mente Atalanta, Empoli), ma nel calcio mercato si preferisce poi acquistare il comunitario costoso ma che ha nome ( fogno autorazzista) per fare gli abbonamenti , ed un nugolo di extra comunitari africani che costano poco per quadrare il bilancio; indubbiamente e' il risultato della liberalizzazione della proprieta' dei cartellini dei calciatori, che fece lievitare i prezzi. Parallelamente c'e' stata la formazione di multinazionali dei media (sky) che con la lora potenza economica , dovuta agli abbonamenti (tasse) pagati anche in Italia, penso favoriscano determinate squadre di altre nazioni(questa e' una supposizione, non ho cercato dati al riguardo). Posso dire di non essere mai stato abbonato li', proprio a pelle, non mi e' interessata fin dall'inizio. Concordo sul fatto che, a causa del fogno (modulo di gioco) che ha stravolto quelle che sono le nostre caratteristiche naturali-cosi' come la tendenza inflattiva- non nascono piu', in particolare, i difensori di una volta. A me pero' sembra che nonostante tutto, per evitare rigurgiti di orgoglio nazionale (non si sa mai) le nostre squadre a volte vengano penalizzate dagli arbitri, ci sono stati episodi negli anni passati. Con l'occasione volevo linkare, ricordando gli "strepitosi" risultati qui discussi in ordine alle politiche del governo Tatcher (privatizzazioni, distruzione manifatturiero , vicenda minatori) le vicende degli attuali ineffabili nipotini Tatcheriani , impariamo dai "maestri" come si riducono i dipendenti pubblici...http://thewalkingdebt.org/2015/06/23/urban-legend-il-calo-dei-dipendenti-pubblici-in-uk/

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