giovedì 25 settembre 2014

IL DUALISMO. IL R€DDITO DI CITTADINANZA E IL R€DDITO MINIMO. L'EGUAGLIANZA COME APPIATTIMENTO

 (naturalmente il motto di v.H vale solo per i soggetti di diritto "degni": i proprietari-operatori economici, non per gli "zotici").

Perdonatemi se ci ritorno: ma ESSI ci ritornano talmente tanto che sviluppare tutti gli aspetti del problema non può far male. Agli esseri umani ancora rimasti in circolazione, almeno.

Allora vediamo un po'. Indubbiamente il dualismo del mercato del lavoro c'è.
Abbiamo:
1) I precarizzati: tendenzialmente a bassa qualifica, visto che la stessa previsione legale della liceità della loro esistenza, induce a preferire l'investimento in attività ad alto impiego di lavoro piuttosto che di capitale-tecnologia, o comunque con una combinazione di fattori che favorisca il primo. Tra l'altro, come attestano tutti gli studi seri in materia, questa impostazione del mercato del lavoro diminuisce l'efficienza e cioè l'innovazione tecnologica di processo e di prodotto, e quindi la stessa produttività. A ruota della quale arriva (si invoca e si ottiene) la diminuzione delle retribuzioni reali e la strutturazione della dequalificazione della forza lavoro (da cui la stessa diminuzione degli investimenti in ricerca, in formazione e, in generale, della stessa utilità della scolarizzazione di livello superiore).
Precisiamo subito che la "colpa" dell'eccesso di giovani  in condizione di precari non va ricercata nel fatto che sarebbero "illicenziabili", sempre per la vigenza del famoso art.18, i lavoratori a tempo indeterminato.
Questa ormai dilagante versione, si appunta sull'effetto piuttosto che sulla causa del fenomeno: è chiaro che se è normativamente consentito, anzi non più vietato, ricorrere diffusamente a lavoratori che, non avendo un rapporto stabile, hanno potere contrattuale praticamente nullo, - e dunque posso imporgli retribuzioni sottratte (o quasi) all'applicazione di qualsiasi limite retributivo o contratto nazionale di lavoro-, SCEGLIERO', NON SOLO, SEMPRE L'OPZIONE MENO COSTOSA, MA CERCHERO' ANCHE DI SOSTITUIRE PIU' DIPENDENTI POSSIBILE, SOGGETTI ALLA PRECEDENTE DISCIPLINA SUL LAVORO A TEMPO INDETERMINATO, con neo-assunti precarizzati (dalla "nuova" legge). 

Dunque, se si volesse ragionare correttamente, il protrarsi della condizione di precario dipende dal fatto che LA LEGGE, cioè la disciplina del lavoro introdotta dalle riforme Treu e poi "Biagi", ammette ciò che, vigendo la precedente legislazione, sarebbe stato colpito da nullità per frode alla legge, cioè la dissimulazione illecita di una rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, sotto le vesti di un contratto a termine (fuori dai casi particolari in precedenza ammessi, es; lavoro stagionale nel turismo), o quelle di un falso contratto d'opera (cioè di lavoro autonomo).
Vigendo la disciplina legale precedente a queste riforme qualsiasi giudice avrebbe dichiarato la sussistenza del contratto dissimulato e condannato il datore a corrispondere le differenze retributive e contributive, nonchè a regolarizzare il rapporto con un contratto a tempo indeterminato caratterizzato da stabilità (coperta dall'art.18 a seconda se l'impresa avesse più o meno di 15 dipendenti).


2) I "sindacalizzati a esaurimento", che fruiscono dell'art.18 (se presso aziende con più di 15 dipendenti), e che per tutte le ragioni sopradette sono inevitabilmente in diminuzione crescente.
Aggiungiamo che, nonostante le stucchevoli rampogne e polemiche di questi giorni, questa categoria è puramente teorica ormai. Perchè? Ma perchè l'art.18 E' STATO GIA' MODIFICATO E GIA' HA PRATICAMENTE TOLTO DI MEZZO LA FAMOSA ILLICENZIABILITA', come pure la stessa pretesa eccessiva rigidità delle mansioni (eliminata in gran parte per effetto delle inevitabili ricadute del nuovo art.18, attualmente vigente). 
Su questo, cioè sugli inevitabili effetti pratici dell'art.18 così come riformato dalla Fornero, rinvio a questo post.

Ora il ragionamento che si svolge, e che è intrinsecamente fuorviante, è che il "dualismo" vada corretto mediante la parificazione di tutti i lavoratori nel non poter più fruire della reintegra (che è GIA' limitata a casi residui e marginali, rispetto alla situazione vigente con l'originario art.18). 
Insomma, prima la legge (cioè la politica: del governo che la propone e del Parlamento che la vota) introduce una distorsione, - consistente nel consentire per la generalità dei nuovi assunti ciò che era considerato un negozio in frode alla legge, espungendo dalle tutele possibili ai sensi degli artt.1,3 4, e 36 Cost. la conversione del rapporto di lavoro a termine e del contratto di lavoro autonomo in assunzione a tempo indeterminato-, poi per correggere questa distorsione si arriva a "rivedere" come instabili tutti gli altri contratti di lavoro conclusi sotto la precedente disciplina.

In pratica, ciò vuol dire che I "DIRITTI" SONO PRIMA SOPPRESSI PER IL FUTURO E POI RETROATTIVAMENTE SOTTRATTI, cioè PER IL PASSATO, IN NOME DI UNA PRESUNTA CORREZIONE DI UNA DISUGUAGLIANZA CHE E' SOLO IL FRUTTO DI UN'INIZIALE DISAPPLICAZIONE DI REGOLE COSTITUZIONALI COROLLARIO DEL PRINCIPIO FONDAMENTALE LAVORISTICO DEL 1948.

Infine: per i disoccupati (precari ma non solo, vedremo) occorre allora stabilire, preferibilmente, un salario di cittadinanza
In questa situazione, infatti, è un complemento indispensabile: la precarietà fa sì che la stabilizzazione sia minima (si aggira ora intorno a 1/3) e giunga, quando arriva, molto tardi nella vita lavorativa. Dunque, il precario non accumula scatti di anzianità e opportunità di far valere la propria formazione nell'acquisizione di qualifiche superiori. Nel re-iniziare un rapporto a termine, infatti, viene riassunto sempre tendenzialmente dal punto"zero" (o ad esso vicino) delle qualfiche e relative retribuzioni.
Col reddito di cittadinanza, o analoga formula di sussidio generalizzato di "disoccupazione", non gli viene più perdonata la "volontarietà" della stessa determinata dal peggioramento retributivo e persino di qualifica, dato che non può rifiutare (choosy!) un qualsiasi lavoro che sia comunque retribuito ad un livello inevitabilmente prossimo allo stesso sussidio (o al "qualsiasi" livello che la legge può stabilire)
Che, poi, come abbiamo più volte detto, essendo quest'ultimo "spesa pubblica" sarà soggetto ad una tendenziale progressiva attenuazione del suo livello, per superiori ed ormai indiscutibili esigenze €uropee di pareggio di bilancio
Un elemento, il "pareggio" (costituzionalizzato, quindi molto strutturale) che, dato il calo della domanda che implica (se non addirittura la deflazione che stiamo constatando), fa sì che le risorse originariamente poste a copertura, saranno sempre e solo strutturalmente decrescenti sul calo della base imponibile, e quindi delle "entrate" previste, appunto, a copertura dell'onere per il suddetto reddito di cittadinanza. Salva una copertura successiva "aggiuntiva", per l'onere crescente determinato dallo stabilizzarsi se non dall'aumento della disoccupazione strutturale (ergo:con diminuzione delle entrate fiscali), mediante l'inevitabile (qua è tutto inevitabile e non trovo termine più appropriato), TAGLIO DELLA SPESA PUBBLICA per altre prestazioni sociali: in particolare delle pensioni e della sanità, intesa come prestazione pubblica universale.

Dunque, il reddito di cittadinanza, o qualunque provvidenza analoga, segna automaticamente il destino del welfare previsto in Costituzione, insieme con, abbiamo visto, la legalizzazione della deflazione salariale, in un mercato del lavoro che non intacchi il principio legislativo della precarizzazione. 
Questo almeno in un mondo dove esistano l'euro, cioè il mercantilismo che basa la crescita esclusivamente sull'esportazione e quindi sulla deflazione interna, e i connessi limiti di bilancio fiscale, che servono, sia chiaro, a obbligare alla svalutazione interna, cioè a correggere questi tassi di cambio reale da cui dipende l'aggiustamento della competitività di prezzo per le esportazioni. Perchè, poi, in assenza di queste condizioni, avendo cioè rispettato l'idea di lavoro contenuta in Costituzione, del reddito di cittadinanza non ci sarebbe alcun bisogno, dato che la disoccupazione involontaria e quella "frizionale" sarebbero state contenute, - com'è sempre accaduto in Italia in assenza di vincolo esterno-, in misura ridotta, ed un cittadino poteva comunque sperare in prestazioni di welfare soddisfacenti, per il sostentamento personale e familiare, e in  accettabilmente rapide occasioni di reimpiego.

Veniamo poi al reddito minimo: questo serve eccome per completare il vincolo (esterno) alla deflazione salariale. 
Chi perde il lavoro, ed era soggetto ad un inquadramento di un certo tipo, - magari dopo anni di formazione ed esperienza (ancorchè maturate in anni di lavoro precarizzato)- , in base a questo meccanismo, per non perdere il sussidio universale, ovvero, quand'anche quest'ultimo non fosse ancora istituito, le attuali provvidenze di cassa integrazione e contratti di solidarietà, sarà così costretto ad accettare un lavoro ancor meno retribuito purchè rispettoso del minimo legale. 
Quest'ultimo, evidentemente, sarà (e normalmente "è") stabilito in misura "one size fits for all", in modo da garantire, anche nei meccanismi sanzionatori a carico del choosy disoccupato, un (inevitabile) appiattimento verso le retribuzioni comunque tarate sulle qualifiche più basse e sui livelli iniziali di anzianità di lavoro.
Sfido chiunque a trovare al mondo un sistema di reddito minimo che non aggiri i contratti collettivi di lavoro (laddove ancora esistano) e che, comunque, non sia tarato su questi due riferimenti (bench-mark) di "appiattimento verso il basso".


19 commenti:

  1. Su questo tema credo che l'idea migliore l'abbiamo avuta un banchiere americano ed alcuni economisti di Kansas City. Secondo loro, e per me a ragione, lo Stato deve essere il dstore di lavoro di ultima istanza.

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    1. La formula è suggestiva ma in realtà occorre vedere a che condizioni di reddito: se predeterminate in monocategoria omnibus "pietistica", equivale a sussidio e comporta le stesse problematiche deflattivo-salariali, e allora vale quanto disse Keynes http://orizzonte48.blogspot.it/2013/04/uomini-e-no.html..
      Se invece lo Stato decidesse di fare spesa per opere pubbliche di interesse generale effettivo, anche con realizzazione industriale diretta, e applicasse contrattazione collettiva, allora non sarebbe datore di ultima istanza, ma svolgerebbe il suo compito di politiche anticicliche nell'economia reale.

      Come vedi, qualsiasi formula apparentemente nuova o dissimula il liberismo del mercato del lavoro-merce (anche se mitigato ma solo per non avere eccessivo crollo della domanda), oppure è superflua ed assorbita in corretta politica economica pubblica.

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    2. Caro 48, mi permetto di esporre una mia opininione. Ritengo che la teoria di Mosler possa essere posta proprio in quest'ultimo solco, ma con maggiore efficacia di quanto sperimentato finora. Più che datore di "ultima" istanza, lo Stato sarebbe il datore di "prima" istanza. Di come possa esserlo, senza alcun vincolo "esterno" (partite correnti comprese) ma solo interno, cioè il limite della capacità propria di un nazione di creare lavoro e benessere, Mosler ne ha parlato abbondantemente nei suoi interventi e nei suoi papers. Alle obiezioni poste dai soliti economisti eterodossi "export-centrici" di casa nostra che vogliono la svalutazione - perchè altrimenti non si sa come fare in una economia "aperta", e ritengono che i programmi di lavoro avrebbero come risultato la deflazione salariale o altro - ha sempre risposto in modo puntuale e autorevole, ricevendo di contro scarsa onestà intellettuale da parte dei professori italiani (mentre negli usa il referente della Scuola Austriaca Murphy ha pubblicamente riconosciuto l'esattezza della teoria di Mosler dopo un confronto molto acceso alla Columbia University).
      La "Repubblica fondata sul lavoro" non può che trovare nell'adesione a questo tipo di politica economica - "aggiornata" al sistema monetario contemporaneo e rafforzata nella sua capacità di tutelare e promuovere il bene pubblico - la sua naturale e massima espressione. Il coordinamento delle politiche industriali e agricole (coordinamento non è pianificazione) non può essere delegato alla dialettica tra due forze contrapposte e, tra l'altro, dotate affatto dello stesso peso - "lavoratori" e "libera impresa" - ma deve avere nello Stato il terzo elemento, il suo baricentro, dotato di vera capacità decisionale e arbitrale super partes perchè l'attività economica possa operare per il fine di utilità pubblica (art.41). Il cittadino, da parte sua, deve comprendere che all'interno della comunità è indispensabile che ne concorra al progresso materiale e spirituale - articolo 4. Distorsioni nella interpretazione del diritto (vedi reddito di cittadinanza o similari) sono aberrazioni contro la natura stessa dell'essere umano. Tutti devono contribuire, con una attività o una funzione, secondo le proprie possibilità e la propria scelta. E tutti devono poterlo fare e averne dignità e una vita garantita al generale livello raggiunto grazie proprio al lavoro di ognuno (il minimo retributivo non può discostarsi con eccessiva differenza dal suo massimo! la redistribuzione dev'essere giusta, il che non significa mettere un "cap" ma un "floor" che si allinei in modo direttamente proporzionale e aggiustato di volta in volta)
      Gli articoli 41 e 43 prevedono espressamente che lo Stato si occupi della programmazione e determinazione a fine pubblico del lavoro dei propri cittadini, anche vigilando attentamente sull'attività delle imprese private. Chi può meglio mantenere la traiettoria culturale dello sviluppo di una nazione, se non lo Stato stesso?
      L'Arcadia, inteso come periodo storico "perfetto", non è mai esistita se non nel mondo poetico-letterario. La Storia è un'altra cosa. Il progresso è inevitabile realtà, nel bene come nel male. Niente è mai "come prima", ed è quindi indispensabile che le teorie si aggiornino. La "corretta politica economica" va individuata nel contesto contemporaneo. I "valori umani" sono un'altra faccenda, i valori restano quelli della Costituzione.

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    3. Chiara, la teoria di Mosler inevitabilmente non tiene conto del modello proprio degli artt.39, 31 e 43 Cost.: un grande polo industriale pubblico, aziende di diritto pubblico che gestiscono i ss.pp., effettuando investimenti in nuove tecnologie (senza regalarli ai privati in sede di privatizzazione) e l'indotto che ne deriva, hanno bisogno di contrattazione di categoria su manodopera qualificata e differenziata e non di redditi minimi. Proprio come avrebbe voluto l'art.39 e come è sempre possibile realizzare, senza preoccuparsi di minimi e massimi e sussidi vari.
      Al di fuori del servizio pubblico "industriale" è ipotizzabile un pubblico impiego residuale anticiclico, in una struttura che non perda la sua funzionalità (97 Cost. originario) e che svolga così la funzione di assorbimento, congiunturale, dell'esercito industriale di riserva dei sottoccupati (nel privato).
      Ma il sistema monetario contemporanero è un coacervo di tendenze contraddittorie: per risolverle dovranno entrare ancora in crisi i poli finanziari che dominano negli USA e che esportano le market failures che fanno pagare al lavoro e basta.
      Non sarà una passeggiata ma resistere sul modello costituzionale non è "poesia" o idealismo: è una cosa molto concreta. Basta tener duro e resistere, resistere, resistere...ESSI non potranno reggere ancora a lungo la loro follia anti-umana, che non ha nulla di irreversibile, come infatti dimostra proprio la Storia...

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    4. Il programma di lavoro garantito è una opportunità ulteriore e non c'entra con la necessaria gestione statale di poli industriali, infrastrutture, ricerca, che ovviamente va implementata e su cui andrebbe investito in modo massiccio una volta rientrati nella "ragione" dopo questa follia suicida. Settore pubblico strategico che dovrebbe cooptare i "migliori", potendo, e attirarli con stipendi superiori al privato, come fanno altre nazioni nel mondo. I programmi statali garantiti sarebbero impieghi alternativi "temporanei" organizzati nella prospettiva dell'interesse pubblico, di ampiezza flessibile proprio perchè di assorbimento della disoccupazione fino al reintegro nel settore pubblico o privato. Visto lo stato di devastazione in cui versano entrambi, all'inizio il numero sarebbe molto vasto. Il minimo salariale non va inteso come "minimale", tutt'altro. Lo stato è il monopolista della moneta, lo Stato decide il costo del lavoro. Ti invito a leggere Mosler direttamente, altrimenti il rischio è di farsi un'opinione su teorie riportate e si perdono passaggi importanti.
      Non penso che questa opportunità vada contro la nostra Costituzione nei principi fondamentali, ma correggimi se sbaglio!
      Invece mi sembra che il "modello costituzionale" non abbia preservato i cittadini lavoratori dal dover lottare duramente per il miglioramento dei propri diritti (espressi in costituzione in modo programmatico ma affidati per la realizzazione ad una contrattazione estenuante e non paritaria), lotta che ci ha impiegato anni e anni a raggiungere condizioni e reddito decenti, senza contare il tragico abbandono dei paesi del sud per mancanza cronica di lavoro, e tutto questo perchè il peso politico del settore privato e dei suoi interessi (non sempre coincidenti con quelli del Paese!) era maggiore di quello dei semplici cittadini e la mancanza di ALTERNATIVE reali ha reso il ricatto nei confronti del più debole molto semplice. La modifica in senso migliorativo è prevista in Costituzione e forse, dico forse, l'introduzione di questo tipo di programmazione aggiuntiva sarebbe un miglioramento in moltissimi sensi.
      Sono d'accordo con te, non è una passeggiata! Resistere è dura. Ma finchè c'è passione e volontà di lottare, la Costituzione è viva.

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    5. Se si adotta il modello costituzionale, che peraltro già incontrò le sue difficoltà per le ovvie resistenze economico-conservative, il problema di riassorbimento di disoccupazione non frizionale non si pone.
      E infatti i dati sulla disoccupazione italiana anteriori al vincolo esterno lo confermano. Appicando progressivamente tale modello non si ebbero livelli di disoccupazione tali da rendere necessari interventi di welfare "anglosassone", ma una progressione crescente (questo è inevitabile e lo è stato in tutto il mondo extra-USA per ragioni politico-economiche storicamente evidenti).
      Livelli di disoccupazione patologici e di crescita compressa (outputgap) si hanno a partire dal vincolo esterno e dalle politiche monetariste friedmaniane.
      La lotta all'inflazione, attribuendone l'origine alle dinamiche salariali e alla eccessiva rigidità sindacale,poteva proporsi negli USA non nei paesi europei esportatori (come modello necessitato e strutturale che li differenzia dagli USA).

      Aggiungere un elemento spurio, allorchè si abbia la piena disponibilità dello strumento monetario è di fatto superfluo e altera al stessa responsabilizzazione nello svolgimento dell'intervento dello Stato: le politiche industriali pubbliche divengono inevitabilmente meno efficienti.
      Preferisco che facciano investimenti sull'Alfa Romeo e sulla cantieristica o la chimica (il tutto a suo tempo, cioè nei primi anni '80) in condizioni di cambio flessibile e di monetizzazione del deficit (in condizioni rigorosamente anticicliche, non invariabilmente), piuttosto che abbiano la scappatoia di ritirarsi, privatizzare e poi non pagare il prezzo della perdita di consenso assorbendo la disoccupazione con un sistema pietistico; questo "spiazza" la stessa spesa pubblica per investimenti industriali, irrigendosi nelle fasi di espansione (la modulabilità temporale è puramente teorica, come si evidenzia per la asimmetria ciclica delle politiche keynesiane), e finisce per abbassare naturalmente il livello di qualificazione della manodopera e di conseguenza la quota delle retribuzioni.

      Il modello costituzionale andava semmai portato a compimento, con la realizzazione dell'art.39 Cost., con la effettuazione di adeguati trasferimenti e investimenti al sud: tutto questo si è arrrestato per via del vincolo esterno, per la banca centrale indipendente, per la finanziarizzazione legata all'imposizione USA.

      Ripristinare la repressione (regolazione) finanziaria, riportare la banca centrale sotto il controllo democratico, tutelare il risparmio diffuso attraverso la tutela dell'occupazione, adeguare le infrastrutture pubbliche, è più che sufficiente per garantire la piena occupazione nella legalità costituzionale.
      Non creare minijobs pubblici per alimentare il consumo necessariamente a debito intaccando la produttività di sistema (che può appunto essere perseguita dalle politiche industriali pubbliche non affette dal bench mark del profitto finanziario): il sistema di Mosler ha senso se e solo se si mantengono in vita elementi incompatibili con la Costituzione economica e quindi con i diritti fondamentali e la piena occupazione in un paese che non può tollerare di indebitarsi con l'estero e nè può sostenere la sua valuta con la forza politico-militare.

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    6. Dal tuo commento temo che tu abbia conosciuto Mosler da fonte "riportata" e non diretta..."minijobs pietistici che finiscono per spiazzare la spesa pubblica e abbassare il livello di qualificazione della manodopera"? Non è questa la proposta pensata per l'Italia!
      "un paese che non può tollerare di indebitarsi con l'estero nè può sostenere la sua valuta con la forza politico-militare" questi sono clichè che varrebbe la pena affrontare seriamente, il primo è quello su cui ha capitolato Murphy. Se si ha la volontà di un confronto costruttivo, lo spazio c'è per elaborare nuove strategie pur restando all'interno della legalità costituzionale e in totale adesione ai suoi principi fondamentali. Prima o poi, spero, troveremo il tempo per farlo.

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    7. Chiara le tue obiezioni non sono di merito e sono esclusivamente basate sull'auctoritas di citazioni a cui rinvii. Rimane il fatto che non nego "confronto costruttivo" a nessuno, ma quello che riporto sul modello economico costituzionale non ha tutto questo bisogno di essere "perfezionato" e "integrato" con apporti dall'estero, in una forma di ennesima autoflagellazione esterofila, solo perchè è il mito cui hai aderito.

      Sulla spesa pubblica e sui suoi effetti occupazionali relativi ai tassi di cambio reale - e quindi ad effetti di improduttività industriale per un paese vincolato almeno al pareggio CAB come l'Italia- esiste una sterminata letteratura. E ne parla anche Keynes in relazione alla diminuzione del moltiplicatore in economie aperte.

      Sarebbe interessante molto di più vedere se Mosler queste soluzioni riuscisse ad affermarle nel suo paese: avrebbe un grande significato di "segnale" politico.
      Se non si ottiene almeno questo risultato, di che stiamo a parlare?
      Di teorie post-keynesiane in varie varianti e di discussioni teoriche che non sono molto pratiche se non per rendere ancora più confusa la via, già pronta e legalitaria, della Costituzione.

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    8. No, esterofila e adepta al mito non ci sta. E' una forzatura. Mantengo un approccio razionale e dialettico. Senza contare che è evidente che Mosler non può affermare nel suo paese queste sue teorie, dal momento che gli Stati Uniti sono la massima espressione di quella ideologia che ammorba il mondo. Sicuramente le sue proposte, tra cui quella di eliminare la finanza speculativa, non possono essere ben accolte nella patria di Wall Street, ma possono sicuramente essere più facilmente comprese in paesi che hanno valori umani più evoluti come il nostro. L'intento non è quello di creare "confusione", ma discussione democratica. Pratica contemplata nella via Costituzionale. Tutto qui.

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    9. Chiara sai che ti voglio bene.
      Ma te la metto in un altro modo: perchè utilizzare un economista "unico", il primo il cui sistema hai avuto modo di approfondire e farne una ipostatizzazione teorica integrale, irrigendendosi persino sulle soluzioni applicative, invece di studiare l'economia e utilizzarla come strumento di comprensione che in questa fase critica non può che essere flessibile, cioè quantomeno aperto a nuove informazioni (che dovrebbero accrescersi, in comprensione)?
      Questo è un problema psicologico prima che cognitivo: punto di partenza e punto di arrivo non devono necessariamente coincidere in una situazione disperata come questa.

      Ben venga chiunque denunzia con solide basi scientifiche la finanziarizzazione e la esigenza assoluta di superamento di miti antidemocratici come BC indipendente e banca universale in liberalizzazione totale dei capitali. Ma non è nè il primo nè l'unico.

      In Italia non c'è affatto questa diffusione di valori umani più "evoluti". Siamo in avanzato stato di "involuzione", anzi.
      Ti riporto il quadro descritto a commento dell'ultimo post:

      "Ai lavori forzati in sostanza siamo già condannati: un'ulteriore inasprimento, rispetto a quanto stanno già ottenendo, non gli converrebbe neppure troppo (la caduta della domanda è vista come riorientamento all'export e la gradualità gli pare opportuna).

      Disciplina "nelle fabbriche"e flessibilità verso il basso dei salari assicurate a piacimento, illimitate prospettive di delimitazione dell'intervento pubblico in forza addirittura di norma costituzionale, consenso a tutto questo legato alla invocazione dell'attenuazione della pressione fiscale da ESSI stessi creata (al fine di indurre questo punto di rottura).
      Aggiungiamo un sempre più entusiasta appoggio mediatico-televisivo (per quanto "saturato" regge la botta), e il definitivo spostamento sull'Esecutivo del potere decisionale di attuazione dei diktat sovranazionali. Da cui sfiducia totale nei parlamenti (nel solo rimasto, peraltro) e rigetto della democrazia degradata a metodo idraulico.

      Ergo pratica impossibilità persino solo di "proporre" una qualche forma di rappresentatività politica del dissenso (tralasciamo l'opposizione attuale, per quieto vivere, perchè non solo è destinata ad essere ridimensionata ma se lasciata libera di realizzare i suoi programmi non si discosterebbe sostanzialmente nello smantellamento della Costituzione in senso sostanziale)."

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  2. Ciao Quarantotto, la politica deflazionistica salariale è una follia . In assenza di una Banca Centrale a sostegno del nostro debito, questa ci porta dritti a un default sul debito pubblico. Se non ricordo male il nostro è il quarto per grandezza assoluta, e una sua insolvenza, sarebbe una bomba atomica sul sistema finanziario mondiale. Ora concesso che la nostra classe dirigenziale sia inetta e demenziale, mi chiedo ma la finanza mondiale è disposta a correre il rischio di un nostro default sul debito pubblico? E se viceversa facciamo politiche espansionistiche, con l'euro, non rischiamo di fare un default sul debito estero?. Va bene che andremo in mano alla Troika, ma noi non siamo ne la Grecia ne il Portogallo, e nemmeno la Spagna, saremo un agente destabilizzante del mercato finanziario mondiale. Anzi forse potremo essere l'innesco per la sua disintegrazione almeno per come lo conosciamo ora. Mi chiedo è disposta la finanza predatrice a correre questo rischio, per rapinare i nostri risparmi?

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    1. Ma hai ragione: al default non vogliono arrivarci. E proprio perchè, come dice Cesare Pozzi, siamo un "tacchino" da spennare (per quanto già dimagrito). La soluzione che prefigurano è quella dei prelievi patrimoniali straordinari, visto che ciò che ancora interessa dell'Italia è la posizione patrimoniale delle famiglie.
      E poi come non rammentare l'ERF? Contrabbandato per "eurobond" implica l'esecuzione forzata su tutti gli asset del patrimonio pubblico. E, come per il pareggio di bilancio in Costituzione, vedrai che alla fine si applicherà solo a noi..

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  3. 9 settembre 1946 Assemblea Costituente. Discussione sul dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro.
    COLITTO: Nella costituzione, che è un documento giuridico, ma che deve tendere a fini di ordine pratico, si può, peraltro, inserire un canone il quale, esplicitamente, in modo tassativo dica: “lo Stato riconosce al cittadino il diritto al lavoro?” Egli ritiene di no, perché potrà anche affermarsi che ogni cittadino a diritto al lavoro, ma a che giova tale affermazione, che vuol dire un impegno da parte dello Stato di effettuare un integrale impiego della mano d’opera, se lo Stato ciò non può poi effettuare? L’affermazione va quindi fatta non in modo tassativo ma piuttosto in guisa da esprimere una tendenza. Pertanto propone che il secondo articolo sia così formulato: “Lo Stato ha tra i suoi fini essenziali che all’attività produttiva concorra il maggior numero possibile di cittadini e si riserva di intervenire, stimolando ed eventualmente integrando l’offerta individuale di lavoro”. Nel terzo articolo si è occupato della garanzia che lo Stato deve dare al lavoro in genere ed ai rapporti di lavoro in specie. L’articolo è formulato così: “Lo Stato assume e garantisce la tutela dei rapporti di lavoro e con le sue leggi disciplina le forme, i limiti e le condizioni della prestazione di lavoro, affinchè essa sia realizzata nel modo più soddisfacente e più vantaggioso per il singolo e per la collettività”.
    Non siamo ancora alla formulazione definitiva dell’articolo, eppure serve a comprendere le distanze che intercorrono con le discussioni e le riforme attuali

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  4. Certe cose sono così evidenti che solo la malafede può spiegare il fatto che non si vogliano capire.
    In questi giorni il dibattito televisivo si è di nuovo riacceso su questo articolo, che già la riforma Fornero ha praticamente annullato, e di nuovo viene presentato come il problema dei problemi, il primo fattore di disoccupazione, l'orrida norma distorsiva che inibisce un radioso avvenire di piena occupazione, produttività, prosperità.
    Ho sentito qualcuno dire che con l'abolizione dell' l'art 18 "gli imprenditori non avrebbero più alibi per non assumere"...
    Non sono un imprenditore, ma dei 40 anni e passa di vita professionale almeno 30 li ho trascorsi come dirigente, e gli ultimi 15 a livello di top management.
    Le due o tre volte che ho avuto ad affrontare un caso di licenziamento individuale il problema non è mai stato l'articolo 18, semmai gli intollerabili tempi della giustizia civile quando il dipendente ha giudicato opportuno far causa. E ciò, nonostante i provvedimenti fossero ogni volta giustificati da gravi motivi e appoggiati dalle stesse rappresentanze sindacali.
    Ammiro, caro 48, la tua perseveranza. Io, ascoltando certe affermazioni, comincio a sentir prevalere la necessità di passare alle vie di fatto anziché argomentare. Ma riconosco che questo è solo uno dei miei tanti limiti.

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    1. Infatti l'articolo 18 fa il paio col debito pubblico.
      La teoria dell'azione contraria ad usum teledipendenti euro-rincitrulliti.

      C'è la crisi: diminuiamo il debito pubblico!
      C'è debito pubblico: diminuiamo il pil!
      C'è poco pil: aumentiamo le tasse!
      Ci sono troppe tasse: eliminiamo la democrazia!
      C'è poca democrazia: più europa! Eliminiamo i senati.

      E così via euro-delirando fino ad arrivare: non si assume, allora aumentiamo i licenziamenti!

      Questa vicenda "articolo 18" mi ricordano il caso "ruby" e la lotta alla corruzione che insieme al libro bianco contro le mafie di Monti sono state tra le più usate armi di distrazione di massa negli ultimi anni.

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  5. OT, della serie: ma non erano perfetti, gli altri? http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/nordamerica/2014/09/26/non-recapita-40mila-lettere-arrestato_dcd30f7c-e1c0-40a7-84e8-8b692c1dc83f.html
    no ma dico, 40.000....fosse successo da noi, anche solo 400 lettere, c'era da sentirla , la grancassa svenditrice autorazzistica....

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    1. se posso fare l'autorazzista, faccio notare il cognome del postino: Brucato. :-D

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  6. NUMERI & LETTERE

    Ieri La Stampa ha pubblicato un’intervista a S Fassina.
    La lettura è per gli abbonati e per il testo integrale occorre avventurarsi nella tana del lupo ma c’è sempre da imparare qualcosa, finché ne rimane la voglia.

    I numeri da considerare sono quelli che ruotano in orbita ellittica attorno agli ammortizzatori sociali e ai sussidio per gli arruolati nell’ “esercito di riserva” da trovare con risorse invariate, come dichiarato nella “bozza” delega di riforma del lavoro-merce.
    Rimane sempre il miracolo della moltiplicazione di pani e pesci e la trasformazione dell’acqua in vino, basta crederci e aver fede senza contare le famose “piume” rimaste al tacchino e le “setole” del povero maiale.

    Oltre la rigorosa evidenza accertativa dei numeri, rimane la dichiarazione veritativa delle lettere che connettono l'art. 18 e alla precarietà:
    «Diciamo le cose come stanno: lo si vuole eliminare perché si vuole fare quello che raccomanda la Commissione europea: indebolire il residuo potere contrattuale dei lavoratori, ridurre le retribuzioni, continuare a svalutare il lavoro perché non si può più svalutare la moneta».

    Qualcuno obietterebbe con piccole, amare e tardive soddisfazioni ma resta l’evidenza sintetica del significato delle mitiche RIFORME richieste dall’Europa, volute dai mercati e imposte con la moneta unica ai cittadini dell’UEM.

    C’è da riportare a uomini senza qualità stretti a esseri senza qualità umane la diabolica alleanza che riporta gli abitatori del Belpaese alla “durezza della vita”, undermenschen senza lettere di classifica e ma con i numeri dell’ indifferenza.

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  7. A questo serve il livore: ad alimentare guerre fra poveri.
    I "ricchi e potenti", le élites, sono così pochi che non entrano nel confronto, fanno categoria a sé, sono un "fatto naturale", devono anzi essere coltivati per evitare "l'orrore comunista" che è il peggiore dei mali, Barbarella docet: un disumano appiattimento di "tutti". Non sia mai, "è una questione di llibertà" (perché questi signori - il primo è stato Pannella - la pronunciano con due elle?).
    Ma quando si tratta dei "tanti" la strategia del livore spinge ad un continuo appiattimento al ribasso in nome dei "pari diritti": fino a che qualcuno starà peggio si potrà sempre chiedere di abbassare gli altri.
    E avanti...

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