venerdì 7 aprile 2017

GUERRA E MANIPOLAZIONE DI MASSA: QUANDO I MERCATI "SONO" LO STATO

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1. Nel libro di H.J. Chang "Economics: The User's Guide" (qui più volte citato), v'è un folgorante paragrafo (pagg.195 e ss.)che descrive con sintesi fenomenologica l'elemento (di controllo) sociale capitalistico de "gli individui impressionabili", per cui "gli individui sono deliberatamente manipolati da altri".
Chang muove dal più percepibile e notorio fenomeno della pubblicità e richiama la ben nota (e prevalentemente accettata) analisi di Galbraith al riguardo (compiuta in un interessantissimo libro "The Affluent Society" del 1958): l'advertising consiste principalmente nel far desiderare ai potenziali consumatori un prodotto in misura maggiore a quella che altrimenti esprimerebbero in base a un calcolo razionale individuale relativo ai propri bisogni, ovvero, nel far desiderare qualcosa di cui i potenziali consumatori non hanno alcun bisogno.
Poiché la pubblicità è un aspetto di straordinaria efficienza della competizione sul mercato, proprio perché ad effetti misurabili di breve e brevissimo periodo, esso esprime un bagaglio fondamentale di tecniche di persuasione e di manipolazione delle preferenze individuali che ha una quasi totale trasponibilità ad ogni altro tipo di orientamento psicologico dell'individuo proiettato nelle relazioni sociali e, quindi, anche nelle preferenze politiche.

2. E su quest'ultimo aspetto, per diretta connessione col tema della manipolazione  degli individui "sul mercato", nello stesso paragrafo Chang compie una folgorante schematizzazione sulla valenza politica delle tecniche di manipolazione che corrispondono alla dominanza culturale, mediatica e istituzionale dei mercati (cioè dell'oligarchia che ne ha il sostanziale controllo). 
Il versante del fenomeno di orientamento manipolativo descritto da Chang è ancor più importante e "costitutivo" della visione essenziale di ciascun individuo, ma è meno avvertito, a livello di coscienza critica individuale, di quello relativo alla scelte di acquisto di beni e servizi indotto dalla pubblicità. 
Di questo abbiamo più volte parlato (la sintesi: "Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione: per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione")
E dunque, la manipolazione pregiudiziale, organica e fondamentale è quella socio-politica e si esprime già nel fatto di accettare automaticamente, cioè in modo inavvertito, l'individualismo (metodologico) che è il fondamento illusorio, in quanto irrazionalmente esteso alla massa dei soggetti "dominati", della proiezione identificativa delle classi subalterne nei "valori" della ristretta classe dominante: ciò che abbiamo visto essere il meccanismo-guida dell'accettazione dell'€uropeismo, basato sulla condivisione della categoria generale, di interpretazione del mondo sociale condensata, nella "Efficient Market Hypothesis", (v. Chang, cit. pag.199); la condivisione "pop" di questa supposizione, a sua volta, consente di portare al successo, senza particolari resistenze, l'attacco finale del liberismo alle Costituzioni democratiche

3. Ecco, dunque, come Chang descrive, appunto, i meccanismi di compimento di questo processo di controllo sociale oligarchico:
"Le preferenze individuali sono manipolate anche ad un livello più fondamentale attraverso la propagazione dell'ideologia del libero mercato da parte di coloro che vogliono minimizzare i vincoli alla propria ricerca di profitti.
Le grandi imprese e gli individui più ricchi finanziano generosamente i "think-tanks" che producono idee "pro-mercato", come la Heritage Foundation negli USA e l'Istituto di Affari Economici nel Regno Unito. 
Questi attori del mercato donano fondi per sostenere le campagne dei partiti e dei politici pro-mercato (ndr; da qui la ovvia progressiva scomparsa di politici e partiti "non" pro-mercato laddove sia abolito il finanziamento pubblico ai partiti, specie se ciò si unisca all'idea suggestiva della "democrazia diretta" svincolata dalla critica all'economia di mercato e dalla coscienza della natura idraulica di qualunque processo elettoral-consultivo non corretto dagli istituti costituzionali dell'intervento dello Stato pluriclasse). 

I grandi gruppi economici usano la loro spesa pubblicitaria per favorire i media che siano "business friendly".
Una volta che la massa dei poveri sia persuasa che la povertà è una loro stessa colpa, che chiunque abbia fatto un sacco di soldi "deve" averlo meritato e che anche i poveri possono diventare ricchi se solo si impegnano abbastanza, la vita diviene più facile per il ricco. Il povero, spesso contro i propri interessi personali, inizia a domandare meno tasse redistributive, meno spesa per il welfare, meno regolazione per le imprese e meno diritti per i lavoratori (ndr; ovvero, il povero inizia a domandare il "reddito di cittadinanza").
Le preferenze individuali -non solo dei consumatori (ndr: categoria ben conveniente ai controllori del paradigma mercatista divenuto dominante), ma anche dei contribuenti, dei lavoratori e degli elettori- possono essere, e di fatto sono, di sovente manipolate. Gli individui non sono affatto le "entità sovrane" ritratte dalle teorie economiche individualiste".

4. Fissato questo frame, che non solo ormai, certamente in €uropa, è dominante ma, dicono, irreversibile, ne possiamo vedere l'applicazione al settore di privilegiata capture del settore pubblico da parte del settore privato: quello della difesa. Un fenomeno di cui è il principale protagonista, e da antica data, lo Stato americano. 
Le recentissime vicende siriane, possono essere dunque, inquadrate nel quadro che descrive Galbraith e che abbiamo esposto in questo post, di cui vi riporto i passaggi fondamentali. Tutto il resto è corollario applicativo e mera conseguenza politicamente (e statisticamente) prevedibile:
"...mi sono imbattuto in un "complottista" dal nome autorevole e che, al riguardo di "pubblico e privato" e politiche della difesa, ha scritto in "tempi non sospetti": John Kenneth Galbraith.
Perciò mi limito a riproporvi alcuni semplici passaggi del suo libro "L'economia della truffa", (RCS, 2004), tratti in particolare dal capitolo 7, "Il mito del pubblico e del privato" (pagg.103 ss.). 
Ogni lettore che sia sufficientemente ragionevole e non "de coccio", può, con gli opportuni adattamenti, trarre le sue conclusioni riguardo alla situazione attuale nel quadro europeo (adde: e, in realtà, a fortiori, nello scenario politico internazionale). 
In sintesi la spesa pubblica diviene "bella" se avvantaggia l'industria privata delle armi e, al punto a cui siamo giunti, l'apparato statale deve la sua residua sopravvivenza alla sua qualità di acquirente e utente di determinati prodotti e servizi resi dall'industria che, di vlta in volta, ha il maggior peso politico. 
E' la spesa scolastica, previdenziale e sanitaria quella che suscita la campagna di odio mediatico più intensa; ma mai toccare la capacità di spesa pubblica più altamente "produttiva": quella che prepara o attua la guerra (notoriamente processo catartico e selettivo con funzioni darwiniste ancor più bene accette ed efficaci delle stesse crisi economiche, epidemie e carestie). 
Più in generale, la spesa pubblica "buona" è quella si indirizza totalmente verso coloro che controllano il relativo settore di mercato e che sia completamente sotto il controllo di tali operatori dominanti. E intendiamo un controllo che, come evidenzia Galbraith, è sempre più esercitato all'interno delle stesse istituzioni:
"Negli Stati Uniti, come in altri paesi economicamente avanzati, nessun riferimento è così comune, così accettato, come quello ai due settori del mondo economico e politico: il settore privato e quello pubblico.
C'erano una volta il capitalismo e il socialismo; ora, come si è detto, il termine "capitalismo" è in parte uscito dalla lingua parlata e scritta. E quando è usato, ha una connotazione vagamente negativa. Ma negli Stati Uniti anche il socialismo e, in generale il settore pubbico e le sue iniziative, sono guardati con profonda diffidenza. Ben pochi aspirano a essere definiti "socialisti". 

Perciò ci si riferisce positivamente soltanto al settore privato e a quel tanto di settore pubblico che è considerato indispensabile.

Il dibattito che ne deriva è tutto su temi specifici
E' giusto l'intervento pubblico nell'assistenza sanitaria, nel sostegno agli indigenti, ai pensionati e, in generale, ai bisognosi di aiuto, e nel sistema scolastico, che in teoria rientrerebbe nel settore privato?
Sarebbe utile privatizzare come si suole dire, altre attività dello Stato?
L'intervento dello Stato ha un costo in termini di libertà personale? Negli Stati Uniti, e in minor misura in altri paesi, il ruolo dei due settori è al centro di un intenso dibattito, nonché di una retorica prolissa e soporifera. 
Unica assente, la realtà.
Esaminata seriamente, la dicotomia settore pubblico-settore privato, si rivela inesistente. E' nelle parole, ma non nei fatti.
Un'ampia cruciale porzione del cosiddetto settore pubblico è, a tutti gli effetti, settore privato.

Nell'anno fiscale 2003, quasi metà della spesa discrezionale del Governo USA (gli stanziamenti non destinati a usi specifici come la previdenza sociale o il servizio del debito pubblico), è andata al settore militare: la Difesa, nella pudibonda definizione attuale
Di questa metà, una parte rilevante era destinata all'acquisto di armamenti, al loro sviluppo o al loro ammodernamento. Un sottomarino atomico costa miliardi di dollari; un solo aereo, decine di milioni. Altre armi ed equipaggiamenti sono meno spettacolari ma altrettanto costosi. 
Queste spese sono il risultato della persuasione e dell'influenza da parte di persone interessate e ricompensate, a ogni livello fino a quello della c.d. difesa atomica.

Le spese per armamenti non sono, come si tende a credere, il frutto di analisi obiettive da parte del settore pubblico. Molte sono la conseguenza dell'iniziativa e del peso politico dell'industria degli armamenti, cioè del settore privato.
Dalle principali industrie di armamenti vengono i progetti e le proposte di nuove armi; a quelle industrie vanno le commesse e i profitti.
E lo stesso avviene per i guadagni legati al resto della produzione bellica.
In un'impressionante dinamica di potere e influenza, l'industria degli armamenti assicura impieghi ben retribuiti, stipendi da manager e generazione di profitti nei suoi bacini elettorali, e indirettamente è una preziosa sorgente di finanziamenti politici.
La gratitudine e le promesse di appoggi politici raggiungono Washington e il bilancio della difesa, proseguendo fino al Pentagono e alla sue decisioni. Fino a sfociare, talvolta, nella guerra, come recentemente per il Vietnam o l'Iraq. 

Che il settore privato stia conquistando un ruolo predominante rispetto al settore pubblico è evidente. Meglio sarebbe discuterne in modo comprensibile.
Per la verità, parlare del mito della contrapposizione di pubblico e privato non è molto originale dal momento che la prima assai autorevole testimonianza in questo senso risale niente meno che al presidente Dwight D. Eisenhower, con le sue denunce dello strapotere del complesso militare-industriale.
L'assunzione del controllo della politica pubblica degli armamenti da parte dell'industria militare è stata esplicita. E' una delle ragioni dell'nutilità della contrapposizione tra i due settori.
D'altra parte, è difficile non tener conto, a questo riguardo, del parere di un presidente degli Stati Uniti che è stato la più nota figura militare del suo tempo.

Il mito contrappositivo dei due settori e le sue formidabili implicazioni si dissolvono lasciando un senso di urgenza ma non di grande originalità. Nè si tratta di una truffa innocente, in senso politico o sociale.

...In tempi recenti, l'invasione del cosiddetto settore pubblico da parte di quello che palesemente è il settore privato è diventata quasi normale
E dal momento che il management ha piena autorità nella moderna impresa, è naturale che tale autorità si estenda alla politica e al governo.
Una volta erano i capitalisti a intromettersi nel governo della cosa pubblica: ora sono i vertici delle grandi imprese.
Mentre scrivo, top manager del settore privato operano in stretta alleanza col presidente, il vicepresidente e il segretario alla difesa degli Stati Uniti, e importanti personalità delle principali società di capitali ricoprono incarichi chiave in varie banche del governo federale. Una di esse ha abbandonato la truffaldina e fallita Enron per assumere la direzione delle Forze Armate.
La Difesa e lo sviluppo degli armamenti sono una forza trainante della politica estera. 
Per alcuni anni (ma oggi, ancor più e non solo negli USA, ndr.), la grande impresa ha anche avuto il controllo risconosciuto del Tesoro e della politica ambientale. E si potrebbe continuare...

I media hanno ampiamente accettato questa evoluzione della politica.
Giornalisti bravi e coraggiosi parlano da tempo del controllo sullo sviluppo degli armamenti, sulla politica di difesa missilistica e sul bilancio della Forze armate da parte del potere privato. Il ruolo cruciale delle grandi imprese nella politica economica è ben noto...
Il venir meno della separazione tra settore privato e grande industria da un lato, e settore pubblico in restringimento dall'altro, è tuttora in corso".

8 commenti:

  1. Vabbè, è inutile insistere a cercar di spiegare la non differenza tra liberalismo e privatizzazione delle istituzioni e dei monopoli naturali, della sanità e della previdenza.

    Chissà cosa sono state le enclosures.

    Tanto tutti sanno di sapere. E muoiono senza sapere che vengono ammazzati coscientemente da pochi nell'indifferenza razziale di chi vanta una qualche forma di privilegio di classe, vissuta come superiorità antropologica, castale.

    Questa mattina mi ha chiamato di buon ora il mio ennesimo caro amico rimasto disoccupato: ma non si preoccupava per lui. Si preoccupava di un suo altro amico a cui sta morendo di cancro - agonizzando - la fidanzata di trent'anni.

    Sua madre la mantiene lui, in quanto affetta da un grave disturbo depressivo-maniacale, per cui - ogni due per tre - prova a suicidarsi.

    La depressione lo ha attanagliato e lo schiaccia la mattina a letto, non permettendogli di portare avanti con costanza il lavoro autonomo di rappresentanza.

    Cosa fa lo Stato catturato dagli interessi privati del capitale liberale - ossia privato - dei rentiers italici e dei creditori esteri?

    Gli ha appena spedito una sterminata sequela di cartelle esattoriali...

    Stessa situazione per un altro conoscente, 56 anni, da qualche mese affetto da rara distrofia: non può parlare, non può telefonare, lavorare... ehm..

    Cosa fa il nuovo Stato privato per uomini virili pronti alla durezza del vivere tanto amata dai Bognetti e dagli spaghetti-liberisti?

    Gli sta pignorando tutto.

    Il vero uomo i debiti li paga fino all'ultima libbra di carne.


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  2. Ormai quello che chiamiamo Stato non è altro che un semplice esattore delle tasse.

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    1. "Ma si ignorano, con questo riduzionismo semplificatorio ed incompleto, le cause strutturali, e sempre più incidenti, degli effetti che si vogliono combattere, attribuendone la volontà ad uno Stato, che è invece privato della sua "volontà" autonoma e sovrana.
      Il riduzionismo anti-Stato oscura così il problema centrale, quello che "il "ridisegno" della società italiana, inarrestabilmente perseguito in nome dell'€uropa, che sappiamo essere ad uno stadio molto avanzato."
      Proseguire la delegittimazione dello Stato, ora "vampiro", ora addirittura "spendaccione" - contro i dati ben visibili di una spesa pubblica inevitabilmente tenuta sotto controllo, - in termini comparativi europei!-, in virtù di un cumulo di saldi primari di pubblico bilancio che non ha paralleli nella stessa €uropa-, rafforza solo la difficoltà a definire gli interessi condivisi che dovrebbero caratterizzare un partito di massa non-elitario.
      E così si rafforza ovviamente il gioco delle elites, perchè, inocula l'incrollabile convinzione che le tasse dipendano dall'eccessiva spesa pubblica, o che, quantomeno, l'eliminazione della gran parte della spesa pubblica "improduttiva", cioè "sociale" porterebbe alla salvezza fiscale: ma nel diffondere il malcontento si è poco chiari su quali voci della spesa pubblica andrebbero effettivamente tagliate.
      O peggio, si pecca di assoluta mancanza di aderenza alla realtà sulle reali dimensioni degli sprechi, veri o presunti, dimensioni propagandisticamente falsificate come tali per cui la loro eliminazione risulterebbe risolutiva del problema "tassazione" eccessiva..."
      http://orizzonte48.blogspot.it/2015/03/democrazia-partiti-di-massa-e.html?spref=tw
      DA LEGGERE CON ATTENZIONE

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    2. e QUESTO è AL PUNTO 3 DEL POST:
      I grandi gruppi economici usano la loro spesa pubblicitaria per favorire i media che siano "business friendly".
      Una volta che la massa dei poveri sia persuasa che la povertà è una loro stessa colpa, che chiunque abbia fatto un sacco di soldi "deve" averlo meritato e che anche i poveri possono diventare ricchi se solo si impegnano abbastanza, la vita diviene più facile per il ricco. Il povero, spesso contro i propri interessi personali, inizia a domandare meno tasse redistributive, meno spesa per il welfare, meno regolazione per le imprese e meno diritti per i lavoratori (ndr; ovvero, il povero inizia a domandare il "reddito di cittadinanza").
      Le preferenze individuali -non solo dei consumatori (ndr: categoria ben conveniente ai controllori del paradigma mercatista divenuto dominante), ma anche dei contribuenti, dei lavoratori e degli elettori- possono essere, e di fatto sono, di sovente manipolate. Gli individui non sono affatto le "entità sovrane" ritratte dalle teorie economiche individualiste".

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  3. E' giusto l'intervento pubblico nell'assistenza sanitaria, nel sostegno agli indigenti, ai pensionati e, in generale, ai bisognosi di aiuto, e nel sistema scolastico, che in teoria rientrerebbe nel settore privato? Sarebbe utile privatizzare come si suole dire, altre attività dello Stato? L'intervento dello Stato ha un costo in termini di libertà personale?” .

    Domande e dibattiti del genere sono l’essenza dello scenario liberista. In esso, quindi, gli intellettualoidi possono distinguere - in nome della libertà sempre a geometria variabile – anche ciò che deve essere privato attraverso il pubblico, rigorosamente secondo gli interessi del più forte. Accettare il sistema liberista (la cui episteme è lo SFRUTTAMENTO) significa avere perennemente tra i piedi domande del genere.

    Nella radicale alternativa costituzional-socialista (cioè democratica), a nessuno potrebbero saltare in mente dilemmi così confusi e tendenziosi:

    … rispondeva Théodore Dézamy: “senza dubbio importa realizzare la libertà, ma la libertà per tutti. Ora, se la libertà dipende dalla proprietà, bisogna dunque essenzialmente che tutti, senza eccezione alcuna, divengano proprietari. Così vogliono l’uguaglianza, la fratellanza, la sicurezza di tutti”…. E Blanqui: “Si rimprovera al comunismo di essere il sacrificio dell’individuo e la negazione della libertà.... E in nome di chi quest’arrogante supposizione? In nome dell’individualismo che assassina in permanenza e la libertà e l’individuo. Quanti sono, nella nostra specie, gli individui di cui esso non ha fatto degli iloti e delle vittime? Uno su diecimila, forse!... La libertà che combatte il comunismo, noi la conosciamo, è la libertà di asservire, la libertà di sfruttare a proprio libito, la libertà delle grandi esistenze con le moltitudini per marciapiede…

    Questa polemica fra la libertà degli individualisti, che è la libertà per il più forte, cioè per i pochi, e la libertà dei socialisti, che è la libertà per tutti in una società all’uopo ordinata, continua tuttora dopo oltre un secolo. E ancor oggi è frequente sentir ripetere contro il socialismo l’argomento che il regime socialista ucciderebbe la libertà. C’è alla radice il vecchio atteggiamento liberale contro lo Stato… L’individualismo borghese ha talmente radicato queste idee nella coscienza occidentale che capita talvolta di sentire qualcuno che si ritiene socialista parlare di questo contrasto fra la giustizia sociale che il socialismo dovrebbe realizzare e la libertà individuale che esso dovrebbe necessariamente sacrificare. L’errore evidente di questo ragionamento sta nello scambiare la nozione borghese della libertà per la libertà tout court e pertanto di giudicare il socialismo…proprio alla stregua di un metro borghese…

    In realtà la nozione della libertà quale si è venuta sviluppando nell’epoca della rivoluzione borghese è appunto una nozione legata a una particolare situazione storica, all’affermazione cioè di una nuova classe che, contro i vincoli e le barriere oppostile dai vecchi ordinamenti, afferma risolutamente i diritti dell’individuo, elaborando una nuova concezione dell’uomo e una nuova dottrina dei rapporti fra singoli e collettività fondata sulla reciproca contrapposizione, per cui la libertà consiste nella riduzione al minimo delle funzioni statali e nella massima dilatazione di una sfera di liceità individuale preclusa all’ingerenza statale…
    (segue)


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  4. Anche in questa tavola fondamentale dell’individualismo borghese dunque è contenuto il riconoscimento che in una collettività organizzata la libertà deve rappresentare un punto di equilibrio fra la sfera di liceità che è consentita ai singoli e il rispetto delle condizioni necessarie al buon funzionamento della collettività stessa. Ora è evidente che nel corso dei secoli le società mutano e si trasformano: mutano le condizioni di vita, muta la struttura sociale, mutano i rapporti fra gli uomini, muta la nozione stessa di uomo. Di pari passo mutano necessariamente i confini fra la sfera preclusa all’ingerenza pubblica e la sfera che viceversa lo Stato si riserva in quanto attiene alle condizioni necessarie al buon funzionamento della collettività. Basta pensare a due momenti essenziali della vita degli uomini, così come storicamente si è svolta e tuttora si svolge, per rendersi conto del mutamento della sfera di interesse privato e della sfera di interesse pubblico.

    La religione apparteneva fino a pochi secoli fa alla sfera dell’interesse pubblico. Cuius regio eius religio: il cittadino doveva professare la religione del paese a cui apparteneva, in quanto lo Stato non considerava che la professione di fede religiosa di ciascuno potesse appartenere alla sfera dei suoi privati interessi. Oggi noi consideriamo manifestazione di intolleranza l’ingerenza dello Stato nell’attività religiosa dei cittadini e annoveriamo la libertà di coscienza e di religione fra le più gelose libertà. Un processo in senso inverso ha seguito invece l’istituto della proprietà. Anticamente al proprietario era non soltanto riconosciuto lo ius utendi ma altresì lo ius abutendi: il diritto di proprietà era protetto dalla sfera di liceità privata. Oggi anche la proprietà privata è soggetta a limitazioni dettate dal pubblico interesse e la nostra stessa Costituzione pone l’accento sulla “funzione sociale” della proprietà…

    Si può dire che da un secolo e mezzo a questa parte la grande lotta fra le correnti democratiche e le correnti liberali abbia avuto come momento centrale proprio lo spostamento di questi confini, cioè l’estensione maggiore o minore del potere della legge, dell’intervento dello Stato, della sfera collettiva… fu … in nome della libertà individuale, cioè della libertà dei forti contro i deboli, che la classe dominante si oppose aspramente al riconoscimento del diritto di coalizione e di sciopero; fu in nome della libertà che la classe dominante si oppose tenacemente ad ogni forma di legislazione sociale, ad ogni limitazione dei diritti dei monopoli, allo sviluppo della protezione sociale, alle forme nuove del Welfare State.

    Siamo così giunti, nel mondo capitalistico, ad uno Stato che garantisce il rispetto della vita e dell’incolumità personale contro la violenza altrui ma in generale non garantisce l’incolumità contro le malattie che derivano dalla miseria, dall’insufficiente alimentazione, dalle abitazioni malsane, ecc.; che afferma l’esigenza di un minimo di istruzione obbligatoria, ma in molti casi non si cura di far rispettare quest’obbligo o addirittura fa mancare le scuole in cui l’istruzione dovrebbe essere impartita, e comunque fa sempre dell’istruzione superiore un privilegio di classe; che attraverso i sussidi di disoccupazione e le pensioni di invalidità e di vecchiaia, e in genere attraverso la protezione sociale, provvede a tutelare i cittadini contro alcune fra le manifestazioni più gravi della miseria, ma lascia sussistere, nella maggior parte dei casi, milioni di miserabili e non si preoccupa di eliminare le cause della miseria stessa; che afferma in alcune costituzioni il diritto al lavoro, ma solo in pochissimi paesi promuove le condizioni di massima occupazione compatibili con il regime capitalistico, ecc.
    (segue)

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  5. Il socialismo fa sue tutte queste esigenze e considera che sia interesse della società di creare le condizioni necessarie perché tutti possano fruirne: si può dire anzi che l’aspirazione profonda del socialismo consista appunto nel porre al centro dell’interesse della collettività organizzata la tutela del diritto eguale di tutti all’affermazione della propria personalità, il che implica innanzi tutto la libertà dalla miseria, la libertà dall’ignoranza, la libertà dallo sfruttamento altrui, in un parola il godimento delle massime condizioni di benessere materiale e spirituale compatibili con la possibilità di un analogo godimento da parte degli altri. Ciò comporta naturalmente un’enorme dilatazione della sfera pubblica e conseguentemente un profondo mutamento dei rapporti fra sfera pubblica e sfera privata e la ricerca di un nuovo equilibrio.

    Mentre cioè la società liberale lascia un’ampia sfera di liceità privata, con il risultato che quanto più alcuni ne estendono l’effettivo godimento (esercitando la facoltà di essere industriali, banchieri, proprietari terrieri, padroni di giornali, ecc.) tanto più la maggioranza è costretta a ridurre i limiti del proprio godimento e quindi è dalla realtà dei fatti, se non dalla lettera della legge, privata di una larga parte della propria libertà, la società socialista considera interesse pubblico inderogabile garantire a tutti il massimo di godimento effettivo consentito dal livello raggiunto della produzione di ricchezza. Certo per ottenere questi scopi il socialismo deve sopprimere alcune “libertà” borghesi, p. es. la libertà di esercire industrie subordinando alle esigenze del profitto individuale il trattamento o magari il licenziamento di migliaia di operai, o anche più semplicemente la libertà di vivere nel lusso quando le condizioni generali di vita della collettività non siano sufficientemente elevate.

    Ma ciò non significa punto che il socialismo sia un regime illiberale: significa soltanto che con il socialismo aumenta enormemente la sfera degli interessi protetti dalla legge: è protetto dalla legge il diritto di tutti al lavoro e quindi devono essere assicurate le condizioni che rendano effettivo questo diritto; è protetto dalla legge il diritto di tutti a ricevere una congrua parte del reddito nazionale, e quindi è proibito ogni sfruttamento, non solo, ma possono anche essere compressi i consumi voluttuari in modo da diminuire quanto più è possibile le differenze nel tenore di vita. In altre parole il socialismo toglie alla sfera di liceità privata precisamente quelle facoltà che, se usate da alcuni, si risolvono a detrimento dei più, cioè “recano danno ad altri” ...

    … Appunto perché la società socialista considera incompatibili con una vera libertà quelle facoltà e quei poteri che si risolvono in danno della maggioranza, appunto perché essa vuole che siano riconosciute e garantite quelle facoltà che tutti possono effettivamente esercitare, appunto perciò essa consente a tutti i suoi membri di godere delle stesse possibilità, pone a disposizione di ognuno i mezzi per il libero sviluppo della propria personalità. Sta in questo il significato dell’eguaglianza socialista, che non è affatto livellamento, avvilimento della personalità, oppressione dell’individuo, ma esattamente il contrario. Scrive giustamente Wallon: “L’eguaglianza fra gli uomini non consiste nell’essere tutti simili. Al contrario. L’eguaglianza per tutti gli uomini è di avere ciascuno a propria disposizione tutte le cose che essi possono desiderare per svilupparsi. Ciascuno ne profitterà secondo la sua propria misura. L’eguaglianza sarà realizzata il giorno in cui nessuno sarà più limitato nei suoi bisogni di espansione. Quel giorno, con l’eguaglianza, vi sarà del pari la libertà, poiché ciascuno sarà invitato ad essere liberamente tutto ciò che vuole, tutto ciò che può essere”
    (segue).

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  6. … Solo la società socialista può realizzare questa uguaglianza di condizioni perché è una società solidale, una società che, avendo superato i contrasti di classe, crea una comunione di interessi fra tutti gli appartenenti alla collettività. Scompare così, o per lo meno tende a scomparire nel mondo socialista, l’antagonismo fra i singoli e la collettività, fra i cittadini e lo Stato, fra la sfera pubblica e la sfera privata, in quanto l’organizzazione giuridica statale cessa di essere tutrice di interessi particolari - gli interessi dei più forti, cioè dei ceti dominanti - per diventare tutrice di tutti, garante appunto del libero sviluppo di ciascuno. Questa solidarietà di interessi crea finalmente la possibilità di una volontà veramente comune, non ricavata per astrazione numerica, ma nascente dall’effettiva realtà della struttura sociale, una volontà comune che si estrinseca in un comune programma di realizzazioni future, in una preparazione cosciente del domani…

    Siamo così in grado di misurare l’abisso che effettivamente separa sul piano della libertà la società borghese dalla società socialista. Nel mondo borghese la sfera della liceità è vastissima, ma rimane puramente teorica per l’immensa maggioranza. Non solo, ma pur nell’ambito delle azioni che il singolo effettivamente compie, egli è pur sempre prigioniero di circostanze che sfuggono completamente al suo controllo e agisce condizionato da una realtà che lo trascende...

    Per infrangere queste catene, per rompere quei legami, è necessario spezzare prima il dominio di classe e realizzare una società solidale, che, come si è detto più sopra, ponga come prima esigenza collettiva il mettere tutti i cittadini in condizione di godere egualmente dei beni della collettività. Solo su questa base è realmente possibile parlare di libertà perché solo questa società rende possibile il libero sviluppo di tutti, e parallelamente solo nella misura in cui questa società garantisce effettivamente il libero sviluppo di ciascuno è possibile parlare di socialismo
    …” [L. BASSO, socialismo e libertà, in Esperienze e studi socialisti. Scritti in onore di U.G. Mondolfo, a cura di Critica Sociale, Firenze, 1957, 137-144].

    Solo quando i mercati sono lo Stato, il disoccupato ed il malato terminale di cui riferisce Bazaar hanno la LIBERTÀ DI CREPARE nell’anonimato e nell’indifferenza

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