sabato 30 gennaio 2016

RENZI-MERKEL: CONOSCERE I RAPPORTI DI FORZA E SAPER USARE GLI SPAZI NEGOZIALI


http://us.123rf.com/450wm/kgtoh/kgtoh1108/kgtoh110800115/10287770-sfondo-concetto-illustrazione-wordcloud-della-diplomazia-internazionale.jpg


1. Che "Il Giornale" sia critico sugli esiti del "vertice" Merkel-Renzi, in un certo senso, è (quasi) logico:
"...per mettere un tappo al flusso di disperati che affolla le strade della Germania. «L'attuazione dell'accordo con la Turchia è urgente», dice Angela. Così quello che è un problema sociale e politico tedesco, lo pagheranno tutti i Paesi europei. Come avvenne per la riunificazione delle due Germanie. Renzi, al contrario, non ha ottenuto alcuna apertura in termini di flessibilità di bilancio: vero obbiettivo della missione del premier.

«Non mi immischio - ha detto Angela - in queste cose. É compito della Commissione decidere le interpretazioni» su tempi e livello di riduzione del debito pubblico. La Merkel, insomma, davanti a Renzi veste i panni di Ponzio Pilato: si lava le mani del problema italiano del mancato rispetto del fiscal compact.

Tocca a Juncker decidere, dice. E Juncker ha già fatto sapere come la pensa. I suoi uffici hanno già detto che la manovra di bilancio del governo Renzi non rispetta il fiscal compact per quanto riguarda la riduzione del debito (l'avanzo primario è un terzo di quello promesso) e non onora il Patto di Stabilità, in quanto non riduce il deficit strutturale dello 0,5% all'anno.
E tra breve, bisognerà aspettare all'incirca un mese, la Commissione europea dovrà fornire un parere completo sulla Legge di Stabilità, approvata sub judice da Bruxelles."

2. Ma la criticità del momento è talmente grave che criticare il premier per qualcosa che hanno fatto tutti, ma proprio tutti, i nostri capi di governo (cioè fare acquiescenza totale non appena la Germania si trincera dietro l'applicazione, da parte della Commissione, delle regole che noi abbiamo accettato, normalmente con entusiasmo, senza obiettare nulla al fatto che le stesse fossero poste nell'esclusivo interesse della stessa Germania), appare quasi ingeneroso.

Basta rammentare cosa avvenne tra il 2010 (cioè ben prima della famosa "lettera") e il 2011 (anche qui in gran parte prima ma anche dopo la "lettera", in zelante acquiescenza) per ricordarsi che esiste un PUD€, ovvero, secondo la più evoluta definizione, un P.U.O. (partito unico ordoliberista), saldamente al potere in Italia e mandatario-margravio degli €-poteri centralizzati a Berlino e, in via sollecitamente esecutiva, a Bruxelles.


3. L'idea, scritta sull'acqua di effimere intenzioni ad usum politica interna, che il nostro Premier intendesse realmente aprire un contenzioso con la Germania, cioè col cuore (nero) del new-Sacro Romano Impero e, inevitabilmente, col suo "Bargello" costituito dalla Commissione, si è rilevata per quello che era
Effimera e destinata, sul piano della navigazione interna, a eccitare (coloro che pian pianino vogliono riposizionarsi sull'€uropa, senza dover ammettere le proprie enormi responsabilità) o in alternativa, a tacitare (coloro che dall'€uropa ora ritraggono, tardivamente, una seria minaccia alle posizioni che ritenevano perennemente favorite dall'euro).
Ma poi, di fronte alla realtà materiale delle cose, è importante seguire gli opportuni consigli, non quelli di chi, per legittimarsi a darli, non può portare alcun altro risultato che un'acquiescenza ancor più zelante di quella rimproverata ora a Renzi (anche se addossata ad altri).
http://scenarieconomici.it/monti-al-corsera-mi-sono-sacrificato-io-al-posto-della-troika-per-la-ue-durante-il-complotto-del-destino/
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4. Ora, Renzi ha opposto fondamentalmente due ragionamenti, all'algida sufficienza della Merkel
"Durante l'incontro, il presidente del Consiglio deve aver compreso il «muro di gomma» (od il gioco di specchi) della Merkel, così ha invocato il rispetto dei patti. «La commissione europea ha adottato a gennaio del 2015 una comunicazione sulla flessibilità», ha ricordato Renzi. «Questo per noi è il punto di riferimento. Noi non stiamo chiedendo che le regole siano cambiate ma che siano applicate senza equivoci, la flessibilità era una condizione per l'elezione di Juncker»."(Tratto sempre da "Il Giornale" sopra citato).
Ma anche, più in dettaglio sulla questione "elezione di Juncker" (tratto da "Il Messaggero" odierno, pag.2, e ripreso da molti altri media): "La flessibilità è una condizione necessaria all'accordo che ha portato all'elezione di Juncker: io non ho cambiato idea sulla flessibilità, spero non lo abbia fatto Juncker".

5. Ma questi ragionamenti  sono sia contraddizione tra loro che in contraddizione con la realtà operativa, cioè col vincolo, dei trattati.
Sono in contraddizione tra di loro perché una cosa è richiamarsi alle regole scritte e trasposte nelle variegate fonti del diritto europeo, cioè a regole formate col metodo intergovernativo che, più o meno, viene attuato in base alle trattative precedenti e "intorno" all'operato della Commissione; altra cosa, è richiamarsi a un accordo informale, di tipo esclusivamente politico, come quello che precede la formazione della Commissione in esito alle elezioni per il parlamento europeo.
Se queste elezioni avevano condotto a un risultato che rendeva decisiva la partecipazione al voto di fiducia della compagine italiana facente capo all'europarlamento, questo potere negoziale avrebbe dovuto condurre a un patto ben dettagliato, almeno quanto lo sono le regole del fiscal compact: un patto che, secondo un'elementare logica degli equilibri e delle convenienze che si intendevano garantire a favore dell'interesse italiano, avrebbe dovuto essere trasposto immediatamente in un accordo formalizzato in seno al Consiglio dei ministri e, in aggiunta, ribadito dall'Eurogruppo.

6. Cioè si sarebbe almeno potuto tentare di ottenere una fonte giuridica europea, a ratifica del patto di fiducia a Juncker, che avesse una formalizzazione e una vincolatività (politico-giuridica) "comparabile" alle regole del fiscal compact.
In assenza di ciò, i rapporti di forza imposti dalla Germania sarebbero rimasti intatti e il potere negoziale sarebbe stato, ed è stato, sprecato invano.
Quello che si è ottenuto, (cioè, la Comunicazione della Commissione del gennaio 2015), è invece la realtà operativa con cui occorre avere a che fare: richiamare l'intesa negoziale informale in sede di fiducia alla nuova Commissione è inutile, perché è null'altro che un'intenzione espressa durante una trattativa, vista dalla parte italiana, superata dall'effettivo accordo raggiunto
Ripetiamo: se poi l'accordo finale (essendo quello "politico-fiduciario, evidentemente molto, troppo, informale), e quindi il suo prodotto (la "Comunicazione") si rivelano insufficienti, ciò è determinato dall'aver negoziato in modo imperfetto e incompleto al momento in cui si disponeva del potere negoziale "interdittivo".
Rimane il fatto che riferirsi alla fase pre-accordo e alle intenzioni negoziali, sulla concessione di flessibilità, ormai assorbite e riflesse nella Comunicazione, non ha più alcuna rilevanza giuridica e, ovviamente, di "buona fede" (c.d. precontrattuale).

7. Ma, nel complesso, le dichiarazioni di Renzi sono in contrasto (a questo punto dovrebbe essere chiaro) col quadro giuridico e vincolante della stessa flessibilità: la Comunicazione evidentemente, calata nei prevedibilissimi "rapporti di forza" non contiene ciò che intende il governo italiano
Comunque, al di là della insufficiente formulazione letterale (a fini di tutela dell'interesse italiano a garantirsi una ragionevole ripresa economica), la sua applicazione, com'era prevedibilmente scontato, è rimessa anch'essa a tali scontati rapporti di forza interni alla UEM: rapporti di forza che con la negoziazione "a monte", non si poteva realisticamente mutare (altrimenti, non avremmo dovuto accettare il fiscal compact nei suoi contenuti attuali nè eseguirlo anticipatamente con l'introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio).
La Comunicazione della Commissione sulla flessibilità, in ogni modo, e questo non dovrebbe sfuggire ad ogni livello, politico e mediatico, nazionale, è una fonte debole, di ragno inferiore allo stesso fiscal compact, e inidonea perciò a mutarne il quadro.
La stessa, poi, proprio per tale sua natura di fonte inferiore, non contiene affatto clausole che si possano obiettivamente intendere come restrittive della durezza del fiscal compact, visto che non solo l'applicazione omogenea e paritaria di quest'ultimo è, fin dall'inizio, lasciata a una totale discrezionalità (v. i casi Francia e Spagna) della Commissione stessa, talmente estesa da sconfinare putualmente nell'arbitrio, ma che la Comunicazione aggiunge discrezionalità arbitraria a quella precedente, lasciando intatto, il quadro "estorisvo" nei confronti dell'Italia (soltanto).

8. Avrebbe avuto alternative il nostro premier di fronte a questo quadro, comunque gestito in base ad un serie apparentemente senza fine di erronee valutazioni e fatti compiuti, imposti da una controparte più forte?
Probabilmente no.
Ma questo solo perché, nella realtà dei fatti, non è mai esistita o emersa, nella continuità dell'atteggiamento istituzionale italiano, alcuna vera consapevolezza della essenza economica dei problemi effettivamente legati all'adesione e alla permanenza nella moneta unica.
Si naviga a vista, affrontando come fossero degli iceberg imprevedibili, e mandati da una meteorologia inclemente, ostacoli e pesanti attacchi in realtà orchestrati (Bail-in, ESM, OMT) e programmati (ERF, TTIP) da anni, e con una chiarezza inequivocabile, anche nei loro inasprimenti più recenti: ci riferiamo alla già ben avviata manovra che porterà, (finora persino col voto degli europarlamentari italiani!) al rating sui titoli del debito pubblico dell'area UEM e alla definitiva devastazione dei bilanci della banche italiane e degli stessi conti pubblici.

9. Della discussione di tutti questi fondamentalissimi aspetti non c'è traccia nei resoconti dell'incontro Merkel-Renzi: e non si dica che l'eventuale loro trattazione sia necessariamente coperta da riservatezza diplomatica

Un'obiezione del genere scadrebbe nel ridicolo: anzitutto perché, il governo italiano dovrebbe aver imparato (in teoria), quanto i rapporti di forza attuali consiglino di prevenire il fatto compiuto di provvedimenti €uropei contra Italiam dopo una lunga, ben manifesta, e mai contrastata gestazione.
Non basta la questione dell'Unione bancaria (quale ormai chiaramente denunciata anche da Bankitalia)? Non basta la sostanziale e ormai plateale "presa in giro" sulla "flessibilità"
E prevenire il fatto compiuto, e l'imbarazzo del "perdente", si può tentare di ottenerlo proprio appellandosi alla rispettiva opinione pubblica; e questo, se non altro, per non doversi poi trovare a fare salti mortali e giri di parole per trovare delle giustificazioni (come fa Padoan nel frangente attuale, ma anche prima..).

10. Ma poi c'è un altro motivo che fa ritenere che su questi argomenti non avrebbe senso non discutere in un vertice con la Germania e, poi, renderne conto all'opinione pubblica italiana.
La pubblica ostensione di questa circostanziata continuità €-aggressiva rispetto all'Italia, per una conduzione intelligente delle nostre relazioni internazionali, è essenziale per far comprendere agli USA che se vogliono confidare sulla nostra qualità di alleati sempre fedeli, molto più affidabili e rispettosi dell'atlantismo della Germania, il loro intervento non può essere ignaro delle difficoltà distruttive che ci impone l'appartenenza alla moneta unica.
Se ha un senso appoggiarsi a chi si ritiene il "più forte" è proprio per evitare che i rapporti di forza interni all'eurozona, - sbilanciati a favore della Germania in un modo che gli ambienti statunitensi denunciano apertamente ma in modo generico (da anni)-, rendano l'Italia una vera e propria polveriera di instabilità economica e finanziaria (determinata dal crescendo demenziale dei diktat €uropei). 
Cosa che assume contorni ben più rilevanti della (pessimamente "non" risolta) questione greca e pone, ora e non chissà quando, un'urgenza che gli USA non si possono permettere di ignorare....

giovedì 28 gennaio 2016

ANTI-POPULIST OR "ANTIPOPULACE"? THE WOLF OF ELITE WARNS...(democracy is not mobocracy)


http://blogs.baruch.cuny.edu/his1000spring2011/files/2011/02/democracy2-500x336.gif


1. Dai commenti alll'ultimo post traggo alcune premesse che ci consentono di procedere nell'indagine su "cosa attenderci", (almeno finché resteremo in vita):
"C'è qualcosa di orrendamente spaventoso e violento nel continuare ad associare l'UE alla fine dei nazionalismi "cattivi", eliminando, dal panorama del messaggio politico e dell'opinione pubblica, ogni traccia della responsabilità degli imperialismi mercantilisti come causa delle passate guerre e delle attuali crisi europee.

Quanto agli USA sono i primi che giocano, incentivandola dai tempi del dopoguerra, sulla pan-europeizzazione di questo messaggio: di certo per conservare una supremazia geo-politica ormai indistinguibile da quella global-finanziaria.

L'UE è sostanzialmente il più grande esperimento di liberismo-sovranazionale "reale" mai compiuto: dalla durezza distruttiva di ogni sua manifestazione, - acclamata propagandisticamente in odio ai nazionalismi democratici!!!- discende un fondamentale ancoraggio per tutto il baraccone finanziario-mondialista.

In pratica: finchè continua a vivere qualcosa di assurdo come l'autoritarismo disumano del "fogno" €uropeo, il resto del baraccone mondialista col suo monumentale schema-Ponzi, appare una cosa remota e quasi ragionevole. In confronto..."
E anche:
"Sia (invocare, per una soluzione del problema bancario italiano) l'art.43, che il più "diretto" (in tema sistema bancario) art.47 Cost., presuppone che si riaffermi che la c.d. Costituzione economica costituisca una parte fondamentale della stessa Carta, in quanto proiezione diretta degli articoli sul fondamento lavoristico: dunque non soggetta a revisione ex art.139 nè, profilo estremamente importante in questo frangente, derogabile da alcun trattato ai sensi dell'art.11 Cost (e questo in tema di protezione della legalità costituzionale sarebbe il...minimo sindacale).

Ma non appena fatto ciò:
a) verrebbe meno la supremazia del diritto europeo: praticamente nella sua interezza, perchè è un trattato economico (dunque incide sulle stesse materie) e, laddove finge di non esserlo, pone standards di diritti civili più bassi della nostra Costituzione;

b) chi iniziasse una simile riaffermazione del diritto costituzionale e della sovranità democratica, dovrebbe ammettere di aver navigato "in", se non di aver apertamente propugnato, decenni di illegalità costituzionale.

Entrambi gli effetti sarebbero quindi tollerabili e sostenibili solo per forze politiche non compromesse nè con il "fogno" €uropeo, nè con l'attacco sistematico del neo-liberismo alla Costituzione.
E allo stato forze politiche (rappresentate in parlamento) del genere, in Italia, non ce ne sono. Neanche si avvicinano all'orizzonte, peraltro..".

Infine, per rimanere alla specifica situazione italiana, un pro-memoria, sempre dal precedente post (la memoria è particolarmente corta e difettosa nel sistema mediatico italiano):
"Ma pure 'sta storia dei vecchi governi (che avrebbero dovuto intervenire prima, negli anni scorsi, sulle sofferenze bancarie): ma non erano queli che attraverso l'austerità dovevano furiosamente "abolire" il debito pubblico attraverso il pareggio di bilancio, panacea di ogni male e per il ritorno alla crescita'
E quindi come si poteva intervenire creando nuovo debito?

Questo per la "traiettoria" del lovuolel'europa del post 2011.
Poi, rimane il fatto che nel 2010-2011, mentre i tedeschi mettevano su spesa pubblica in ricapitalizzazioni per 200 miliardi e garanzie per 380, IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO NON AVEVA I PROBLEMI ATTUALI DI VOLUME DEI NPL: SEMPLICEMENTE PERCHE' QUESTO è STATO INDOTTO DALLE POLITICHE DEI PRECEDENTI GOVERNI, cioè dal lovuolel'europa...per la stabilità e il ritorno alla crescita.

Il problema tedesco, e inglese e francese, era determinato dalla crisi del 2008, per perdite sui derivati ben appostate nei loro sistemi bancari, problema da cui noi eravamo esenti.
Per la cronaca...
"

2. E dunque, mentre il sistema Gacs per risolvere, esclusivamente sul lato dell'offerta, il problema delle sofferenze bancarie, minaccia concretamente di non risolverlo, (e ovviamente non può sul lato della domanda, cioè dell'economia reale), è più produttivo, per la comprensione, andare a scandagliare l'evoluzione politica del paradigma economico globale; e ciò visto che l'UEM, del paradigma mondialista finanziario, è null'altro che un segmento adattato, ordoliberisticamente, alle democrazie avanzate europee.
Per captare questa aria-che-tira, ricorriamo ad una voce autorevole che, forse meglio di chiunque altro, ci può dare conto del panorama politico-economico: Martin Wolf
Di questo eminente "chief economics commentator at the Financial Times", vi linko la biografia Wikipedia in inglese, da considerare accettabilmente attendibile, e dalla quale emerge che Wolf, nel complesso delle sue variazioni di approccio all'economia, risulta apparentemente indefinibile. Apparentemente soltanto: come cercheremo di ricostruire deduttivamente, confermando le "epigrafi" di apertura" tratte dal precedente post.

3. Cosa ci dice Wolf, in questo articolo tradotto dal Sole 24 ore?
Alcune cose molto indicative che selezionamo e commentiamo:

I perdenti economici in rivolta contro le élite

di Martin Wolf

Anche i perdenti possono votare. La democrazia è questo, ed è giusto che sia così. Se si sentono sufficientemente imbrogliati e umiliati, voteranno per Donald Trump negli Stati Uniti, per Marine Le Pen in Francia o per Nigel Farage nel Regno Unito. Sono quelle persone, specialmente negli strati popolari autoctoni, che si lasciano sedurre dalle sirene di politici che mettono insieme il nativismo dell'estrema destra, lo statalismo dell'estrema sinistra e l'autoritarismo di entrambe.
Sopra ogni altra cosa, queste persone rigettano le élite che dominano la vita economica e culturale dei loro Paesi: sono le stesse élite che la settimana scorsa si sono riunite a Davos per il Forum economico mondiale. Le possibili conseguenze fanno paura. Le élite devono elaborare risposte intelligenti, e potrebbe già essere troppo tardi.

Allora: l'idea di Wolf sulla democrazia emerge con chiarezza lampante da questo incipit.
La democrazia è che votino anche i "perdenti", cioè, essenzialmente, gli "strati popolari autoctoni", cosa che potremmo più esplicitamente definire "il popolo", cioè, almeno nella nostra Costituzione, il titolare della sovranità: Wolf sente il bisogno di spiegarlo proprio perché, obiettivamente (altrimenti la precisazione perderebbe la sua necessità logica) si rivolge ad un pubblico al quale ciò deve apparire alquanto singolare e mal tollerabile, sicchè, sia pure con una certa nonchalance di toni, ciò va rammentato.
Nel loro (di ESSI) interesse, come conferma la parte finale del periodo riportato.
E se Wolf ad ESSI si rivolge vuol dire che è perfettamente cosciente della legittimità effettiva che attribuiscono al processo elettorale i suoi interlocutori: la democrazia, dunque, è essenzialmente (solo) il fatto che si voti, ma le politiche, come chiariscono tutti i passaggi successivi del suo ragionamento, sono normalmente stabilite dalla "elite".
Bisogna vedere come si orienta questa elite, nel rapporto con gli elettori, ma rimane il fatto che Wolf dà atto che il controllo del processo elettorale, cioè il suo esito finale, deve necessariamente collocarsi all'interno delle opzioni che spetta alle elites stabilire.

4. Come noi abbiamo molte volte visto, questa è la concezione della democrazia e del processo elettorale "idraulici", negli esatti termini teorizzati da Hayek.
Wolf, in base alla sua biografia, emerge come un seguace di Hayek caratterizzato, nel corso di un'evoluzione piuttosto "flessibile" - è pur sempre di base un "filosofo"-, dal voler conciliare le moderne teorie neo-classiche (cioè neo-liberiste...matematizzate) con alcune forme di keynesismo (diciamo che, nel corso del tempo, sviluppa un certo eclettismo neo-keynesiano "spurio"). Egli, proprio allo scopo di meglio preservarla, appare aver rielaborato la teoria della democrazia idraulica nel senso di volerla mantenere senza che trasmodi nella "dittatura funzionale" in realtà preferita da Hayek.
Quindi, nel suo eclettismo strategico (cioè mirato a una preservazione del governo delle elites economiche, cui comunque tale prerogativa spetta naturalisticamente), Wolf:
a) fa coincidere il potere sovrano con le determinazioni dell'indirizzo politico affidate alle elites;
b) ritiene che queste elites debbano cercare di rimanere all'interno della legittimazione elettorale, perchè esistono dei limiti di rispettabilità che non possono essere abbandonati;
c) questa rispettabilità va mantenuta: evidentemente per meglio governare il processo di globalizzazione senza incorrere in strappi autoritari i cui costi non sono preventivabili e cioè potrebbero risultare troppo elevati per una elite "razionale". Questo risultato va quindi perseguito attraverso una ricalibratura strategica di "immagine" mediatica e istituzionale.

5. Prosegue Wolf (seleziono i passaggi essenziali):
L'ala destra della classe dirigente porta avanti da tempo un progetto fatto di aliquote fiscali basse, apertura all'immigrazione, globalizzazione, limitazione dei costosi programmi di welfare, deregolamentazione del mercato del lavoro e massimizzazione del valore per l'azionista. 
L'ala sinistra porta avanti un progetto fatto di apertura all'immigrazione (di nuovo), multiculturalismo, laicismo, diversità, libertà di scelta sull'aborto e uguaglianza di razza e di genere. I libertarians sposano le cause di entrambi gli schieramenti: è per questo che sono una minoranza minuscola.
Pian piano, le élite si sono distaccate dalle lealtà e dagli interessi nazionali, dando vita a una superélite globale. 
Non è difficile capire perché le persone comuni, in particolare se di sesso maschile e native del luogo, si sentono alienate. Loro sono i perdenti, almeno in senso relativo: non ricevono una parte equa dei benefici. Si sentono usati e abusati. Dopo la crisi finanziaria e il lento recupero del tenore di vita, le élite sono viste come una massa di predatori incompetenti. Non c'è da stupirsi che in tanti siano arrabbiati, c'è da stupirsi al contrario che in tanti non lo siano.
...
..la retribuzione dei lavoratori ordinari da metà anni 70 in poi è cresciuta molto meno della produttività. Le spiegazioni sono un miscuglio complesso di innovazione tecnologica, liberalizzazione degli scambi, cambiamenti nella governance delle aziende e liberalizzazione finanziaria. 
Ma il fatto è indiscutibile: negli Stati Uniti (ma anche, in misura minore, in altri Paesi ad alto reddito), i frutti della crescita si concentrano al vertice della piramide.
Infine, la quota di immigrati sulla popolazione è aumentata sensibilmente.  
È difficile sostenere che questo abbia portato importanti benefici economici, sociali e culturali alla massa della popolazione (eppure in Italia si cerca di sostenerlo contro ogni evidenza, ndr). 
 Ma è indubbio che abbia portato benefici ai più ricchi, aziende comprese.

6. Risulta estremamente interessante la sua definizione di ala destra e ala sinistra delle "elites": primo perchè ci indica i termini sostanzialmente omogenei delle due versioni di politica economica; poi perché ribadisce ciò che al lettore non deve mai sfuggire e che abbiamo appena illustrato. Cioè che il governo della società, al di là del processo elettorale, spetta comunque alle elites.
Perché termini sostanzialmente omogenei?
Chiederselo, e capirlo, è estremamente utile, anche in termini di comprensione della situazione italiana ed €uropea.
Dunque, la destra (delle elites) persegue: aliquote fiscali basse, apertura all'immigrazione, globalizzazione, limitazione dei costosi programmi di welfare, deregolamentazione del mercato del lavoro e massimizzazione del valore per l'azionista.
La sinistra (delle elites) invece:  apertura all'immigrazione (di nuovo), multiculturalismo, laicismo, diversità, libertà di scelta sull'aborto e uguaglianza di razza e di genere.
La differenza tra queste due versioni è particolarmente sfuggente in termini di interessi materiali del popolo che costituisce la maggioranza schiacciante del corpo elettorale

7- Wolf evidenzia particolarmente che entrambe le fazioni sono sostenitrici dell'apertura alla immigrazione. Almeno, parrebbe, negli USA: questo implica necessariamente, diremmo indefettibilmente, una particolare concezione del mercato del lavoro, cioè l'instaurazione del lavoro-merce caratterizzato dalla perfetta flessibilità, che, a sua volta, ha il suo punto di appoggio necessitato, cioè creativo dello "stato di eccezione" che ne impone la necessità, nella globalizzazione finanziaria, che equivale a dire la liberalizzazione della circolazione dei capitali
Entrambe le fazioni delle elites, dunque, si inscrivono necessariamente all'interno del trilemma di Rodrik,  quello che ammette la costante realizzabilità (politico-economica) solo di due su tre dei parametri indicati, dal trilemma stesso, in: 
- "globalizzazione" (cioè, integrazione economica internazionale fondata primariamente sulla libera circolazione dei capitali);
- "sovranità statale" (cioè, affidamento dell'indirizzo politico a istituzioni essenzialmente espresse da un territorio politicamente definibile come Stato, siano esse elette o meno con un processo elettorale);
- "democrazia" (cioè, non solo determinazione della composizione delle istituzioni mediante processo elettorale, ma allo scopo di perseguire politiche nell'interesse del corpo elettorale stesso...e non solo delle elite: connotato, quest'ultimo che ci rinvia direttamente alla democrazia idraulica). 

8. La destra, quindi, risulta esplicita nel perseguire solo i primi due parametri.  

Almeno negli USA, dove non abbiamo la dicotomia tra sovranità nazionale e sovranità sovranazionale UE-UEM: ma la traslazione mutatis mutandis del paradigma USA al nostro €uro-centrico, dovrebbe risultare abbastanza semplice per chi voglia prendere atto della corrispondenza - peraltro in pejus!-  degli effetti della sovranità acquisitata dalla UEM a quelli di una globalizzazione forzata e adattata: risulta, volendo, tanto semplice che Wolf la implica proprio negli esempi che fa all'inizio del suo articolo.
Ma, a sua volta, la sinistra (delle elites), si pone sostanzialmente in linea con ciò, solo avendo una maggior attenzione a preservare l'idraulicità del processo elettorale; cioè nel ritenere di aver trovato delle formule tali da essere maggiormente condivisibili da parte degli strati "popolari"

Riuscendovi con alterne fortune: tanto alterne che Wolf si occupa proprio di questo, come appare evidente col riferimento che accomuna Trump a Le Pen come a Farage.

9. In ogni caso, nella visione di entrambe le "fazioni" della elite, la democrazia sostanziale (cioè il perseguimento di politiche di vantaggio pluriclasse, quindi redistribuito, della ricchezza e dello stesso potere politico) risulta sacrificabile.
E come persegue questo obiettivo (cosmetico) la elite di sinistra
Semplice, non parlando degli effetti sul mercato del lavoro della globalizzazione finanziaria e cioè, non parlando di flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro come priorità in essa implicita, ma parlando "d'altro": cioè delle condizioni meramente culturali di accettazione "morale" della stessa immigrazione
E quindi di condizioni scisse da ogni ammissione circa gli effetti, di ristrutturazione della società in senso oligarchico, che conseguono alla immigrazione propugnata
Questa, infatti, mette in diretta concorrenza, sul piano dei livelli occupazionali, salariali e delle prestazioni sociali (oltetutto, nei limiti della compatibilità con le politiche fiscali che devono essere deflazioniste per la convenienza comune delle elites di destra e di sinistra) gli "autoctoni" (definizione dello stesso Wolf) con gli stranieri insediatisi nel territorio nazionale.

10. Le "condizioni morali" di accettazione di questo meccanismo implicito (o meglio, "a sinistra", accuratamente nascosto), sono in pratica i "diritti cosmetici", quelli che devono preferibilmente rimanere a sostanziale costo zero per la finanza pubblica (cioè non innescare alcuna redistribuzione in senso discendente della ricchezza, se non marginale e comunque mantenendo la scissione tra aumento della produttività e livelli del reddito dei lavoratori), ma che dovrebbero smuovere le coscienze nel sentirsi "progressisti": multiculturalismo, laicismo, diversità, libertà di scelta sull'aborto e uguaglianza di razza e di genere.

Ora Wolf si accorge che, per mantenere il consenso idraulico, questa strategia non basta più: è un dato di fatto incombente, ci segnala e le elites, le avverte, devono prenderne atto nel loro complesso. Gli "hard facts" stanno prendendo il sopravvento. 
 
12. Infatti, con un occhio più alle condizioni USA che a quelle, segnatamente, italiane all'interno dell'UEM, - dove la sinistra, in realtà, in nome dell'euro, propone piuttosto politiche di drastica riduzione delle "prestazioni sociali", e quindi politiche di destra che, come dice Alberto Bagnai, finiscono per favorire la captazione del dissenso da parte di quest'ultima, in Italia e in UE -, Wolf ci dice:
"Nonostante sostenga prestazioni sociali che dovrebbero stare a cuore alle classi popolari autoctone, la sinistra rispettabile perde sempre di più il loro consenso. Vale in particolare per gli Stati Uniti, dove i fattori razziali e culturali hanno rivestito e rivestono particolare importanza. La southern strategy dell'ex presidente repubblicano Richard Nixon, che puntava a procurarsi il consenso dei bianchi del Sud, ha generato risultati politici. Ma la strategia di fondo dei dirigenti del suo partito (sfruttare la rabbia della classe media – in particolare gli uomini – di fronte ai cambiamenti nei rapporti tra le razze e i sessi e di fronte ai cambiamenti culturali) sta dando frutti avvelenati. L'ossessione per i tagli delle tasse e la deregolamentazione porta scarsi benefici alla larga maggioranza della base repubblicana."

13. L'analisi prosegue tutta sul piano della politica USA, perchè, sul versante di "destra", anche le proposte politiche italiane (e non solo, in UE) sono fermamente attestate, anche negli anti-€uropeisti nominali, alla "ossessione per i tagli delle tasse" e, ovviamente, per l'instaurazione dello Stato minimo, cioè per il drastico taglio della spesa pubblica.
Con ciò condividendo, nell'attuale panorama, tutta quella potenziale perdita di consenso che, alla prova dei fatti, raccoglierebbero in breve tempo, se provassero a realizzare le politiche che oggi insistono nel considerare irrinunciabili.
Solo che, di questo pericolo, in ritardo rispetto alle tendenza USA e, ovviamente, francesi, non sono minimamente consapevoli.

In ciò, appunto, nettamente differente è la politica economica perseguita dalla Le Pen, - più assimilabile in realtà a quella propugnata da Orban-, tanto da non avere alcuna corrispondenza con qualsiasi forza politica italiana che, pure, ad essa, ogni tanto, si richiama "a parole".

14. Quest'ultimo aspetto è ben focalizzato da Wolf, salvo che poi si trincera dietro una generica, e tutto sommato già stantìa, qualificazione di "populismo" (che, allo stato, potrebbe persino risultare controproducente agitare) per affermare un "non devono vincere", ormai più wishful thinking che l'indicazione di una linea politico-economica praticabile:

"Trump, lamentano gli ideologi del partito, non è un conservatore autentico. Ma è proprio questo il punto. Trump è un populista
Come gli altri candidati di primo piano, propone tagli delle tasse insostenibili, che fanno apparire assurda l'idea che i Repubblicani siano ostili ai disavanzi di bilancio. Ma – e questo è l'elemento cruciale – Trump è protezionista sui commerci e ostile all'immigrazione. Sono posizioni che fanno presa sui suoi sostenitori, consapevoli di avere un unico bene prezioso: la loro cittadinanza. Ed è un bene che non vogliono condividere con un numero indefinito di gente che viene da fuori. Lo stesso vale per i sostenitori della Le Pen o di Farage.
I populisti nativisti non devono vincere. È una storia che già conosciamo, e va a finire molto male. Nel caso degli Stati Uniti, l'esito avrebbe conseguenze preoccupanti per il mondo intero. L'America è stata la fondatrice e resta la garante del nostro ordine liberale globale. Il mondo ha un disperato bisogno che l'America sia governata da gente bene informata. Trump non risponde a questo profilo. I risultati potrebbero essere catastrofici."

15. A parte la segnalata inesattezza (grave sul piano strategico, proprio per la sua incapacità di spiegare la realtà di ciò che Wolf vorrebbe contrastare), di accomunare tout-court Trump e Farage alla Le Pen, Wolf incorre in un equivoco che abbiamo evidenziato in questo post e che è anche sintetizzato nella prima citazione (dai commenti del precedente post), collocata all'inizio di questo commento.
E questa pecca inficia, a nostro parere, pesantemente la sua semplificatoria "profezia" catastrofista.

I termini di questo equivoco li riassumiamo tra un po', perché ci fanno capire l'ambivalenza di Trump (di cui Wolf, sul piano delle politiche fiscali, e quindi di deficit spending e della democrazia economica pro-labor, appare cosciente): un'ambivalenza che, in parte, ma solo in parte, delinea l'esigenza di correzione del paradigma globalizzato che accomuna tutti quelli che lui denomina "populismi" e che, però, nella visione di Rodrik, costituiscono in realtà un recupero del parametro della democrazia sostanziale, più o meno intenso, proiettato sul recupero della sovranità statale.
Quest'ultimo, poi, ci pare il vero bersaglio del "mondialista" Wolf, che, giustamente, teme che la ristrutturazione sociale in senso oligarchico consentita dalla globalizzazione, possa interrompersi: e corre ai ripari senza però, vedremo, saper bene indicare una via d'uscita non cosmetica (che sarebbe quella di correggere il mercato del lavoro-merce, in USA come in UEM, un prezzo, per loro altissimo, che le elites non sono ancora disposte a pagare).

16. Dunque, l'equivoco in cui incorre Wolf, quantomeno nella sua frettolosa etichettatura negativa del "protezionismo" imputato a Trump, sta nella differenza di esiti e finalità cui può rispondere il protezionismo stesso:

 a) Il protezionismo adottato da Potenze imperialiste è l'altra faccia del liberoscambismo, perché ne costituisce l'evoluzione conservativa delle posizioni dominanti raggiunte e, al tempo stesso, di utile strumento anche in senso contrario alla contenibilità di tali posizioni da parte di altri competitor statuali.

b) Il protezionimsmo adottato da ordinamenti nazionali in via di sviluppo e non dominanti sui mercati internazionalizzati è invece un ragionevole strumento di crescita del c.d."infant capitalism", come spiegato da Chang ne "I Bad Samaritans" con riguardo a casi non certamente guerrafondai quali la Corea o, oggi, in UE, la "fascista" Ungheria. 

Sintetizzando (e rinviando al post citato per la completa illustrazione), se Trump, cioè un potenziale presidente degli Stati Uniti, adotta una nuova linea politico-economica di protezionismo, ciò risponde a entrambe le nature del fenomeno appena evidenziate
La corrispondenza alla prima dovrebbe risultare evidente, con l'avvertenza che, allo stato delle cose, non sappiamo quanto questa linea corrisponda a concreti progetti di mutamento dell'atteggiamento USA all'interno del FMI, del WTO e dello stesso futuro del TTIP; a tacere del trattato NAFTA, quello che tanta influenza ha avuto sull'arrivo, e sulla concorrenza salariale, dei "messicani" rispetto alla forza lavoro USA. 
La seconda natura cui, in concreto, corrisponderebbe il protezionismo alla Trump, si innesta sul tremendo dualismo sociale USA, che è un dualismo accentuato del mercato del lavoro, e che, dopo decenni di politiche di deficit-cap nonché di welfare bancario e supply side, rende opportuna una rilocalizzazione industriale e una reinfrastrutturazione pubblica del sistema economico USA. Un cavallo vincente per Trump, quest'ultimo che, altrettanto, non si può sapere quanto verrebbe in concreto realizzato (consapevolmente).
 

17. Perciò, di fronte a questo complesso quadro evolutivo, che non pare del tutto esplicitato da Wolf, le elites hanno ben poco margine di azione, proprio perchè all'interno del trilemma di Rodrik, non possono, mai e poi mai, mollare la "globalizzazione".
Questa infatti la raccomandazione conclusiva di Wolf:
"Ma anche se per quest'anno si riuscisse a evitare un risultato simile, le élite sono avvertite. L'ala destra si sta prendendo grossi rischi ad attizzare la rabbia popolare per assicurarsi meno tasse, più immigrazione e meno regolamentazione. 
Anche l'ala sinistra si sta prendendo grossi rischi a dare l'impressione che sia disposta a sacrificare gli interessi e i valori di una massa di cittadini in difficoltà sull'altare del relativismo culturale e di un controllo lasco dei confini.
I Paesi occidentali sono democrazie. Sono gli Stati che forniscono le fondamenta legali e istituzionali dell'ordine economico globale. 
Se le élite occidentali non terranno in alcun conto i timori di tanti, quei tanti ritireranno il loro consenso ai progetti dell'élite. Negli Stati Uniti, le élite di destra hanno seminato vento e stanno raccogliendo tempesta. Ma è potuto succedere solo perché le élite di sinistra hanno perso la fedeltà di ampi strati della classe media autoctona.
Non da ultimo, democrazia significa governo di tutti i cittadini. Se i diritti di residenza, e ancor più di cittadinanza, non verranno tutelati, questo risentimento pericoloso crescerà. In molti posti è già cresciuto.
Copyright The Financial Times Limited 2016
(Traduzione di Fabio Galimberti)"


18. Ma il punto è "come" intende Wolf tutelare "i diritti di residenza e ancor più di cittadinanza", pur cosciente che il "relativismo culturale", cioè i diritti cosmetici, in USA come in UEM, per la verità, non funzionano più per sedare e nascondere il conflitto sociale?
Tale tutela e "rivalutazione", essenziali per non ricorrere all'autoritarismo oligarchico (che negli USA Wolf, giustamente, ritiene scarsamente spendibile), non passano forse, inevitabilmente, (nonostante sul punto Wolf non spenda una parola) per la contro-riforma del mercato del lavoro e per il ripristino, inevitabilmente connesso, di un effettivo welfare pro-labor?
Trump stesso, - come pure i nostrani spaghetti tea-party che, solo a parole, si richiamano alla Le Pen-,  ove fosse eletto si troverebbe nella difficile posizione di dover affrontare questo nodo, in realtà "mondialista" (o meglio "antimondialista").

La consapevolezza (che specialmente Trump potrebbe avere, per diretta cognizione di causa, e al di là di criticati aspetti pittoreschi) è che, non tanto il venir meno dell'efficacia del controllo idraulico del processo elettorale, quanto la probabile incombenza di una nuova, devastante, crisi finanziaria, innestatasi sulla stagnazione-deflazione cui porta la globalizzazione finanziaria, attualizzi la prospettiva che avevamo segnalato esattamente due anni fa.

19. Eccone la conclusione essenziale:
"Una volta evocato, (dall'epicentro USA, fondamentale nel fissare il paradgma nell'intera area "atlantica"), il capitalismo sfrenato, non si può poi fermarlo a piacimento: il "lavoro-merce" diviene un problema di arretramento oltre gli stessi desiderata dell'improvvido apprendista.
Riusciranno a fermare tutto questo, se veramente sono interessati a questo tipo di "recupero" delle potenzialità dei mercati UEM (e aggiungiamo, più ampiamente, del loro stesso "mercato interno" visto come domanda e occupazione "solida" e non walmartizzata)?
...Per farlo (gli USA) devono comprendere le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica: il neo-liberismo, non è buono se legato alle "nuove" politiche monetarie, mentre diviene "cattivo" se trasposto in Europa in forma di ordoliberismo a matrice mercantilista tedesca.
Il liberoscambismo è un blocco unico di tendenze politiche che in Europa poteva affermarsi solo nella forma attuale: diversamente non sarebbe stato possibile fronteggiare in modo vincente decenni di applicazione delle Costituzioni democratiche.  Non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca.

Ma non è possibile ritenere che un ripensamento di questo genere avvenga, da parte loro, in tempi accettabilmente brevi e senza traumi al loro stesso interno.
...
Ciò, vista anche l'evoluzione della situazione mondiale, che implica un progressivo cedimento della "facciata" marmorea di una governance mondiale affidata alla grande finanza, ormai irreversibilmente screditata (adde: oggi Wolf, implicitamente e con ritardo, ce lo conferma). 
In una situazione, cioè, in cui il capitalismo finanziario finisce per essere come un condannato con la "condizionale",  questa sorta di "epigrafe", vale nell'orizzonte del breve periodo. 

Al massimo, può ancora durare fino a quando una probabile nuova crisi finanziaria imporrà di prendere quelle misure che dopo il 2008 non si ebbe il coraggio di attuare: limitazione della libera circolazione dei capitali e superamento del modello di banca universale (almeno). 

Certo non sarà senza traumi un simile "rappel a l'ordre", ma almeno implicherà la profonda revisione della composizione della governance mondiale: ne verranno travolti e dunque ripensati, FMI, WTO e la stessa UEM.

E si dirà basta con i banchieri al potere...ovunque

Avranno perso ogni legittimazione anche di mera facciata, e il controllo mediatico non basterà più: come potranno i giornalisti di regime e i banchieri istituzionalizzati chiedere ancora alle masse di disoccupati e lavoratori precari, spogliati di ogni sicurezza sociale e dei loro risparmi (e prospettive di risparmio) di sopportare ancora i costi della crisi che "loro" avranno nuovamente provocato?

Nel medio-lungo periodo, dunque (quando ancora non "saremo tutti morti", si spera), questa incomprensione, o incompleta comprensione, degli effetti del neo-liberismo, porterà inevitabilmente a ripensamenti e revisioni da parte di tutti gli attori (USA in primis): tanto più traumatici per tutti, quanto più sarà ritardata l'espulsione dai processi decisionali degli attuali componenti della stessa governance "globale".  

Ci sarà da divertirsi (in un senso del tutto eufemistico), perchè "alla prossima" salteranno anche "loro".

E il "loro" potere di ricatto sarà enormemente diminuito, fino a scemare: in fondo, dovrebbero saperlo che quando si fa sentire una massa "colpevole" e la si mette con le spalle al muro, poi non avrà più molto da perdere. 

Mentre "loro" avranno avuto, sì, "tutto"....ma poi tutto da perdere."




martedì 26 gennaio 2016

BASTA UN INVITO A "NON ESAGERARE" QUANDO TI STANNO RADENDO AL SUOLO?



http://www.mymilitaria.it/liste_04/images/panzer_frey_4g.jpg

1. Prima di tutto, per comprendere lo scenario che avevamo preannunziato, invito a rileggervi (almeno) questi recenti post:

LA GRANDE TRANVATA: LA VERA EUROPA DEI VERI TRASFERIMENTI AL TEMPO DELL'UNIONE BANCARIA

 L'ERF CI ATTENDE ALLA FINE DEL QE? E SE ARRIVA PRIMA IL BAIL-IN CON L'ESM? O ANCHE ENTRAMBI


2. Una ricostruzione della progressione germanico-euro-tecnocratica, che mostra i passi intrapresi per concretizzare lo scenario in questione, la traggo poi dalla mail che periodicamente mi invia L'EIR- Executive Strategic Review- Strategic Alert:
"Il 19 gennaio sia il capo dell'Eurogruppo Jerome Dijsselbloem che il membro del Consiglio della Bundesbank Andreas Dombret hanno proposto, autonomamente l'uno dall'altro, di allineare agli altri strumenti finanziari i titoli di stato detenuti dalle banche dell'Eurozona. Il viceministro tedesco del Tesoro, Jens Spahn, aveva trasmesso una simile proposta al Bundestag nel dicembre scorso prima di proporla a livello europeo.
Se passasse, la regola costringerebbe molte banche della periferia, che detengono una quota consistente di titoli di stato dei rispettivi paesi, ad aumentare le riserve di capitale. Un'altra tegola sulle banche italiane, che sembra si voglia spingere apposta in una situazione critica. Essa rivela anche l'intenzione di schiacciare le nazioni che stanno dietro quei titoli sovrani.
"C'è bisogno di un trattamento regolatorio più realistico dei titoli di stato detenuti dalle banche. La crisi ha chiaramente mostrato che tale esposizione non è scevra da rischi", ha scritto Dijsselbloem in un articolo sul Wall Street Journal il 18 gennaio.
Dombret ha affermato nello stesso giorno in un'intervista che "è divenuto più che ovvio che i titoli sovrani non sono esenti da rischi. Dal mio punto di vista, questo è un tema che va finalizzato, possibilmente dopo le riforme Basel III".
Dijsselbloem ha anche difeso il regime di bail-in - dopotutto, fu lui a coniare il termine "modello cipriota" per universalizzare l'esproprio dei risparmi dei cittadini al fine di salvare gli speculatori - e ha proposto di accelerare il processo di costruzione dell'Unione dei Mercati di Capitale (UMC) in modo da stabilire gli standard per "cartolarizzazioni semplici e trasparenti".

3. In parole povere, verrebbe attribuito un €-rating ai titoli del debito pubblico, massicciamente detenuti dalle nostre banche, che obbligherebbe le stesse a ponderarne il valore attualmente iscritto in bilancio per un fattore di rischio che, appunto, ne diminuirebbe il valore nominale (ai corsi attuali di piena solvibilità dello Stato italiano).
Da qui, l'obbligo di nuovi accantonamenti (che servono ad aumentare il capitale netto immobilizzato in "garanzia") per l'emergere di potenziali perdite di bilancio determinate dalla revisione dei criteri di valutazione dell'attivo, nella parte costituita dai titoli del debito pubblico. 
ADDENDUM: Marco Zanni ha già fatto un calcolo, semplice ma eloquente, di quanto ci costerebbe il disastro sistemico a cui porterebbe questo nuovo "regime" di rating del debito pubblico.

Insomma si aprirebbero nuove voragini nei bilanci delle nostre banche, in aggiunta a quelli perennemente in contestazione, relativi ai debiti inesigibili, c.d. NPL, per i quali già ballano, proprio in vista della costituzione di varie bad bank che rilevino tali crediti "non performanti", possibili perdite "sistemiche", ed esigenze di ricapitalizzazione, complessive, per almeno 25-30 miliardi, da spalmare sulle diverse condizioni di bilancio delle varie banche: diciamo "almeno" perché in realtà il flusso di trasformazione degli incagli (quali classificabili alla luce dell'attuale normativa dettata dall'EBA, altro organo UE) in ulteriori sofferenze, non si sta arrestando e, in ogni modo, non verrebbe minimamente attenuato dalle bad bank (che comunque non si come finanziare con riguardo alla garanzia che dovrebbe apprestare lo Stato a tutta l'operazione e che sarebbe, alla faccia dell'art.47 Cost., un "aiuto di Stato": cosa di cui Padoan dovrebbe andare a parlare domani con la Commissaria UE alla concorrenza Margrethe Vestager. 
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4. E tutto questo si innesterebbe, sull'attuale situazione, in via di interpretazione euro-normativa dei valori del debito sovrano: interpretazione anche retroattiva (in quanto incidente sul presupposto della conclusione del "negozio", variandola contro ogni aspettativa ragionevolmente formulabile, e quindi in contrasto con la vincolatività del principio di buona fede insito nel rebus sic stantibus). 
Quindi si ha una retroattività variativa della convenienza dell'affare rispetto al momento stipula dei contratti sottoscritti tra banche e Stato, al collocamento del debito pubblico: cosa che ricorda moltissimo la questione della tutela del "consumatore" (!) di fronte al regime deteriore delle obbligazioni bancarie subordinate, in danno dei risparmiatori italiani: ora dovremo mandare le banche a fare "corsi" di aggiornamento e lo Stato italiano a fare avvertenze sulla "speculatività" e il "rischio", in appositi moduli, per poter collocare i propri titoli?

5. Prontamente in esecuzione di tale disegno, - preannunziato da Schauble (v. il  primo post linkato) come linea principale di attuazione delle conseguenze del c.d. bail-in, in quanto strettamente complementare ai parametri del fiscal compact (che, a sua volta, è la conseguenza necessitata dell'euro) -, la Commissione UE inizia a "graduare" la sostenibilità del debito (ex) sovrano in UE e pone le premesse per il "trattamento regolatorio" indicato da Dijsselbloem e Dombret e Spahn (la Commissione, si sa, esegue prontamente ciò che desiderano i padroni tedeschi):

"Per il momento i conti pubblici italiani tengono ma le sofferenze bancarie potrebbero metterli già a rischio nei prossimi mesi, visto l'alto debito pubblico che pone l'Italia tra i Paesi a rischio nel medio periodo
E se la riforma delle pensioni (Wow! Ditelo agli spaghetti libbberisti e a Boeri!) ha messo il Paese al sicuro per il futuro, resta il nodo del rispetto della regola Ue del debito: per questo serve una "forte determinazione nel migliorare la posizione fiscale". Per la riduzione effettiva del debito ed evitare una procedura, infatti, l'avanzo primario dovrebbe essere di almeno il 2,5%-3,8% su un arco di dieci anni, uno sforzo "estremamente ambizioso", per non dire impossibile, che finora pochissimi tra i 28 sono riusciti a fare. E' l'analisi che emerge dal rapporto 2015 sulla sostenibilità delle finanze pubbliche della Commissione europea, che secondo il Mef invece "conferma ancora una volta che i conti pubblici italiani non presentano rischi nel breve termine e sono in assoluto i più sostenibili di tutti nel lungo termine". 

6. La stessa Commissione ammette, a ben leggere il report sopra citato, che il saldo primario italiano al 2,5% del PIL sarebbe insufficiente, dovendo risultare più prossimo a un 3,8%, per poter avere un rapporto debito/PIL al 110 nel 2026 (bontà loro perchè, comunque, sarebbe una diminuzione di tale rapporto inferiore al ventesimo annuale previsto dal fiscal compact!).
Ma questo a partire dal 2017 e quindi sul presupposto del raggiungimento della quasi parità di bilancio, cioè sul presupposto di una crescita che sia ben superiore a quella attualmente registrata e, comunque, una crescita che dovrebbe essere compatibile con gli inasprimenti fiscali che, nel frattempo, la stessa Commissione vorrebbe imporre
Se tale crescita non dovesse essere registrata (diciamo costantemente superiore all'1% all'anno) il saldo primario dovrebbe essere a sua volta ben superiore (persino al 3,8, se si volessero ottenere simultaneamente pareggio di bilancio e abbattimento del rapporto debito/PIL): e certamente non dovremmo ancora finire in recessione.

Ma il bello è che la Commissione ammette che anche solo mantenere il saldo primario al 2,5% per i prossimi dieci anni risulta quasi impossibile: almeno, implica, se si vuole crescere senza finire in un crescente output-gap...Essendo peraltro più probabile una crescita "0"; o anche una nuova fase di recessione, del tutto probabile in caso di shocks, prima di tutto legati al convergere delle strategie di aggressione al sistema bancario italiano che abbiamo visto sopra. 
Shocks, quindi, a questo punto, indotti proprio dall'esigenza di rispettare la disciplina fiscale, e bancaria, e sugli "aiuti di Stato", determinata dall'appartenenza all'euro, in un folle processo circolare di attacco...ai patrimoni dei cittadini italiani (che in un modo o nell'altro, gravitano dentro la questione "bancaria").

7. Di tutto questo si accorge in parte l'Huffington Post tirando un poco le somme sul quadro che rende vana, in un crescendo rossiniano, meglio sarebbe dire "wagneriano", la risolutività della stessa mission (almost impossible) di Padoan sulle bad bank:
"Il governo italiano arriva all’appuntamento che potrebbe rivelarsi decisivo sulla bad bank con ancora l’ultimo passo da compiere e che, spiegano fonti vicine al dossier, resta l’elemento dirimente per la valutazione della Commissione europea: il prezzo delle garanzie che il Tesoro metterà in campo per facilitare lo smaltimento dei crediti deteriorati. 
Fonti della Direzione generale Concorrenza spiegano che la palla è tutta nel campo italiano: “I paletti dell’Europa sono noti e cioè è fondamentale evitare che il prezzo sia troppo alto altrimenti si configurerebbe come un aiuto di Stato: spetta all’Italia indicare un valore congruo”. 
Se da una parte il governo ha la strada sbarrata è altrettanto vero che lo stesso prezzo delle garanzie non può essere fissato troppo in basso: si rischierebbe, infatti, di aumentare eventuali perdite sui bilanci delle banche. Il clima che si respira in ambienti governativi è comunque positivo e tutto improntato all’ottimismo: se domani si giungerà a un accordo, infatti, l’esecutivo è pronto a presentare un decreto sulla bad bank già nel Consiglio dei ministri di giovedì.
...
Il meccanismo, in via di definizione, prevede di velocizzare le cosiddette procedure concorsuali per ridurre sensibilmente il tempo che l’istituto impiega per far rientrare i crediti sofferenti, che derivano da prestiti e finanziamenti non ripagati da famiglie e imprese. Al Consiglio dei ministri arriverà anche la riforma delle Bcc (banche di credito cooperativo), uno dei cavalli di battaglia del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Non a caso il premier oggi è ritornato a parlare di banche, puntando su due argomenti che per il Governo sono diventati un totem: da una parte la solidità degli istituti, dall’altra la necessità di aggregazioni e fusioni. 
Dopo la riforma per la trasformazione delle banche Popolari in Spa, il Governo punta ora a dare un altro segnale in questa direzione nella convinzione che un mercato bancario frammentato non è più sostenibile come hanno dimostrato le fibrillazioni sui mercati.
Se il governo punta tutto sulle aggregazioni e spera in un rimbalzo positivo anche grazie a una chiusura positiva sulla bad bank, da Bruxelles arriva un messaggio chiaro, che è già nelle convinzioni dell’esecutivo italiano: la soluzione della banca, o meglio delle banche ‘cattive’, dove far confluire la spazzatura, non è salvifica
Dopo l’entrata in vigore delle regole sul bail-in (salvataggio interno), il sogno di una grande bad bank è sfumato e per quanto possa essere robusto il supporto del Tesoro, l’impatto sullo smaltimento dei crediti deteriorati non sarà comunque sufficiente
Ecco perché, spiegano in ambienti europei, il faro che la Commissione ha acceso oggi ha il sapore di un pressing all’Italia per spronarla a fare di più. A maggior ragione il governo italiano preme per portare a casa il maggior numero di risultati possibili: dalla bad bank ai due provvedimenti del Consiglio dei ministri di giovedì.  
La paura è che l’effetto Draghi, cioè le parole rassicuranti del governatore della Bce, sia già svanito e che le turbolenze sui mercati possano farsi ancora più consistenti, gettando alle ortiche gli sforzi messi in campo sul fronte proprio dei crediti deteriorati."

8. Infatti, anche superando il problemino dei crediti da stimare e conferire alle bad bank(s) (farlo a prezzi di mercato, come piacciono alla Commissione UE, "forse" non configurerebbe aiuto di Stato ma al tempo stesso, amplierebbe le perdite sistemiche che abbiamo visto sopra), rimane il disegno di imporre il rating e la svalutazione del debito sovrano detenuto dalle banche stesse
Che è poi come la storiella del lupo (tedesco) e dell'agnello italiano (hai voglia a spiegare che ti abbeveri al ruscello a valle del lupo: per lui rimani tu che intorbidi le acque a lui..).

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Compredendo benissimo che anche facendoci chissà quali concessioni sulle garanzie pubbliche al problematico costituirsi delle bad bank, il sistema bancario - e risparmiatori italiani- con la svalutazione del debito pubblico detenuto in bilancio, avrebbero un destino comunque segnato, il governo italiano cerca di essere rassicurante e invita (la Commissione UE, anche se per implicito) a non esagerare
"...il debito italiano, assicurano da Viale XX settembre, comincerà a scendere già da quest'anno. Lo studio di Bruxelles, infatti, ha sottolineato il vice ministro dell'economia Enrico Morando, "dice ciò che già sappiamo, ovvero che dobbiamo invertire la tendenza sul debito" invitando a "non esagerare".

9. Allora, così parla e "vuole l'€uropa":  
- le bad bank si possono fare ma solo a prezzi che fanno emergere nuove perdite; 
- ciò provocherebbe l'attualizzazione del rischio cui sono legate le garanzie dello Stato e, quindi, l'aggravarsi della situazione di indebitamento pubblico;  
- da qui, si arriverebbe ad attribuire il rating svalutativo del debito pubblico detenuto dalle banche, provocando ulteriori perdite al sistema
E anche che l'unico rimedio "interno", sarebbe una bella imposizione straordinaria sulla ricchezza mobiliare, cioè un prelievone sui conti correnti. O anche sul patrimonio immobiliare. Con gli effetti che tutti sappiamo.
Che poi non sono molto diversi dal ricorso all'ESM e alla trojka - cioè del "rimedio esterno", in termini di espropriazione della ricchezza nazionale. 

10. Vi pare folle? 
Macchè: l'importante è non ricordarsi mai che tutto questo dipende dall'appartenenza all'euro.  
Guai a chi ce lo tocca!
E poi dicono (Juncker e Merkel), chissà perchè, che la moneta unica è messa in pericolo dalla sospensione di Schengen!...?

Ma se fanno di tutto per costringere il governo italiano a reagire di fronte a un meccanismo distruttivo lanciato come l'offensiva di una panzer-division!
Perché mi sa tanto che non basta un "invito a non esagerare" quando ti stanno radendo al suolo!