mercoledì 28 dicembre 2016

IL QUARTO PARTITO? PARTITO: MA NON TROVA LA VIA DEL RITORNO


http://image.anobii.com/anobi/image_book.php?item_id=011b01c006101abcdc



[Dal vocabolario Treccani]:  eiziale agg. [dal lat. exitialis, der. di exitium: v. esizio1]. – Rovinoso, che reca gravissimo danno: fu un errore e.; è stato un provvedimento e. per le nostre industrie; che reca grave danno alla salute, mortale: quel clima è e. per gli Europei; la minima emozione potrebbe essere e. al malato.

1. Dagli editoriali a reiterazione pluridecennale dei giornaloni, e dai frequenti interventi nei talk show di politologi & filosofi, nonché espertologi a vario titolo, dovremmo prendere atto che, ormai, siamo una "democrazia liberale"
Nonostante la clamorosa smentita che, (solo) in astratto (da quel che pare), ha dato l'esito del referendum costituzionale, l'Italia sarebbe divenuta de facto una democrazia liberale, per dichiarata correlazione con la costruzione europea, come predicato dai più accessi sostenitori di questa tesi
La democrazia italiana si sarebbe trasformata extra ordinem in tale nuova forma - opposta a quella della "democrazia sociale",  che pure è stata disegnata nei principi fondamentali e immutabili della nostra Costituzione-, in virtù delle necessità e degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'Unione politica e monetaria europea. 
Tali "sostenitori", culturalmente e accademicamente consolidatisi, sono divenuti maggioranza politica, mediante vari metodi elettorali e rivolgim€nti istituzionali, lungo una vicenda politico-internazionale di cui abbiamo più volte indagato le origini.

2. La definizione politico-teorica del "liberalismo" di questa democrazia "all'€uropea" oscilla tra varie formulazioni: tra esse campeggia il socialismo liberale, in cui le "liberalizzazioni" (e privatizzazioni) economiche portano il mercato al centro del "sociale", ma per il..."bene comune", trattandosi dunque di un modo retorico, e smentito dai suoi stessi teorici italo-tedeschi (pp.9-10), di denominare "l'economia sociale di mercato", formula chiarita dall'uso del termine "sociale" come "innocuo vezzo linguistico"..per tacitare gli "agitati sociali"
Ma esistono formule più avanzate, e meglio adattate all'irreversibile "sfida del globalismo", come quella della democrazia post-liberale che comunque preserva il carattere "liberale" della ipotizzata "democrazia" nel transito dallo Stato-nazione all'Europa
D'altra parte, l'innocuo e strumentale vezzo linguistico, di cui sopra detto, campeggia al centro delle previsioni del principale trattato €uropeo e sta ad indicare che la democrazia liberale è quella che si fonda sull'economia di mercato tout-court e sulla tutela delle "mere" libertà negative della cittadinanza, assunta, quest'ultima, come riflesso della qualità di operatore del mercato, anche solo come consumatore (v.p.6).

3. E dunque, nonostante le varie implicazioni della sovranazionalità dell'economia liberale di mercato che l'€uropa intende realizzare, assorbendo (sempre per il "bene comune" che, peraltro, coincide con l'esistenza stessa del superiore "ordine del mercato) la sovranità dei singoli Stati-membri, la democrazia liberale rimane pur sempre definibile nei termini illustrati da Costantino Mortati e così riassumibili, muovendo dal concetto specifico di sovranità che tale tipo di democrazia ammette (pp.11-11.2):
"...la funzione sostanziale del potere sovrano è quella di assicurare la pacifica coesistenza di interessi diversi e anche contrastanti tra loro; "come" questa essenza della sovranità sia concretamente attuata dipende da quali interessi, cioè da quali tipologie di gruppi sociali che ne sono portatori, siano considerati "bisognevoli di tutela".
...Così, se gli interessi considerati "meritevoli" e quindi da tutelare sono, in base al principio di eguaglianza formale, quelli di "tutti i cittadini" formalmente indistinti, al vedersi garantite delle libertà negative, cioè delle sfere soggettive di esclusione dello stesso potere di comando (altrimenti "incondizionato" dello Stato),  avrò la democrazia parlamentare "liberale" (in quanto ispirata a tale concetto di "libertà"): in essa soltanto il parlamento (eletto dai portatori degli interessi riconosciuti come titolari degli stessi), con le sue leggi, potrà stabilire dei limiti alle libertà (tipiche quelle personale, domiciliare, di espressione pubblica del pensiero e, soprattutto, di intrapresa dell'attività economica), ma non potrà comunque comprimerle oltre i limiti ammessi dai Bill of rights (o dalle costituzioni "liberali" che li ricalcano). Non a caso la Magna Carta, invocata come riferimento positivo della Costituzione britannica, è detta "libertatum".
...Dunque, in questo tipo di democrazia, "valori" (cioè le valutazioni storico-politiche che portano a considerare meritevoli certi, e non altri, interessi da tutelare mediante il potere sovrano) e fini (cioè gli obiettivi che, verso il "lato interno", potrà porsi l'esercizio della sovranità) sono obiettivamente funzionali all'economia di mercato, intesa come "free competition" e "free trade".  In questo tipo di Stato (liberale), la sovranità stessa, come potere dotato di certi contenuti strumentali e dipendenti dagli interessi effettivamente tutelati, definisce un regime/"forma di Stato" che si disinteressa del conflitto sociale: cioè non conferisce rilievo giuridico supremo alla soluzione del contrasto tra interessi propri di tutti i gruppi, o meglio classi sociali, considerate ciascuna portatrice di interessi meritevoli di tutela Ciò che noi sappiamo essere, invece, la caratteristica della nostra Costituzione e quindi del contenuto e della funzione della sovranità in esso assunta (la "Costituzione nella palude" è stato scritto proprio per riorganizzare la gran quantità di materiale che il blog aveva fornito al riguardo nel corso del tempo). Mortati precisa i rispettivi caratteri della "democrazia liberale" e della "democrazia sociale", ora sintetizzati, alle pagine 140-143 del Tomo I".
4. Ora, sulla scorta di tale premessa, (su cui mi sono dilungato per consentire un utile ripasso di un percorso già approfondito), la situazione politico-economica italiana, nel preciso frangente storico che stiamo vivendo, risulterebbe piuttosto "interessante", ove fosse vista da un osservatore esterno e non coinvolto nell'agone, molto contingente e confuso, della lotta per la supremazia politica.
Interessante perché mostra una "crisi" di tale democrazia liberale "de facto", tutta incentrata sulla leggerezza con cui è stato affrontato, pur in una visione ideologica "di mercato", il problema della perdita di sovranità nazionale e delle implicazioni di ciò sulla specifica "elite" liberale nazionale!
La "questione bancaria", determinata dalla perdita della sovranità monetaria unita alla perdita della sovranità fiscale, che ha condotto al presunto magico rimedio dell'Unione bancaria, e quindi alla perdita di sovranità anche nella vigilanza bancaria, pone infatti un grave problema di identità e addirittura di perdurante posizione di controllo politico-istituzionale, alla classe dirigente naturale, cioè a pretesa legittimazione scientifica, di una "democrazia liberale".

5. La sintesi di questo non trascurabile problema è che, desovranizzando e affidando la sovranità sottrattta all'odiato Stato (democratico e sociale, cioè costituzionale) all'ordine sovranazionale dei mercati instaurato dai trattati europei, non solo si perde il controllo dell'economia reale, cioè si deve cedere tutto il cedibile dell'industria nazionale, chiudendo il resto e deindustrializzando per sempre, ma, com'è inevitabile, si perde anche il controllo nazionale del sistema bancario; e, per di più, non prima di aver speso (pro-investitori esteri!) denaro pubblico, in situazione di soggiogamento ai mercati finanziari (simultaneamente interessati ad impadronisri dei nostri asset bancari!) per via della perdita della sovranità monetaria e fiscale.

6. Alberto Bagnai, ad ajuvandum di quanto qui esposto, esprime così la visione (politico)-macroeconomica di tale situazione:
"Ora che gli italiani hanno dato prova di essere meno stupidi di quanto certe aziende e certi organi di vigilanza pensavano che fossero, e pare quindi stiano evitando di immolarsi sull'altare della conversione "spintanea" delle loro obbligazioni in azioni, naturalmente interviene lo Stato. Il fatto che lo Stato intervenga ci dice una cosa ovvia: che può intervenire, e che quindi sarebbe potuto intervenire prima, evitando le massicce perdite del comparto bancario che avevamo in qualche modo delineato qui.
Resta poi una facile previsione: questo salvataggio non ci salverà.
Intanto, esso viene proposto e gestito all'interno della logica imposta dall'abbandono della sovranità monetaria: la logica della guerra fra poveri. Ci diranno che il contribuente ha salvato il risparmiatore. Già, proprio quello stesso contribuente al quale si chiede, anzi, si impone, di salvare uno stato che non ne ha bisogno, per il semplice motivo che è sufficientemente "austero", quello stesso contribuente che si vuole immolare sull'altare di un obiettivo la cui inutilità è chiaramente disvelata dal moralismo di cui si ammanta, diventa improvvisamente specie protetta, soggetto da tutelare, nel momento in cui si delinea il collasso (in questo caso vero) della finanza privata. 
Voi direte: bè, meno male! Invece no, non esattamente. 
Porre il problema in termini di antagonismo fra contribuente e risparmiatore, due soggetti che, fra l'altro, largamente coincidono, serve solo a fomentare un conflitto insensato per nascondere quello che fino a pochi anni fa era ovvio: il prestatore di ultima istanza del sistema bancario dovrebbe essere la banca centrale, la sua banca centrale, sua di lui, sua di quel sistema bancario. Siamo al sovvertimento totale della logica economica, così macroscopico da passare inosservato, quello che Claudio Borghi descrive così: siamo passati da un sistema in cui la Banca centrale garantiva il risparmio salvando le banche, a un sistema nel quale i cittadini salvano le banche coi loro risparmi, che sono sempre di meno perché la Banca centrale crea deflazione!
La guerra fasulla fra contribuente e risparmiatore è inutile, e la fomenta chi vuole farci dimenticare questa semplice verità. Se, come diceva un anno fa Barbagallo nell'audizione della quale il post linkato sopra riporta ampi stralci, dal 1936 in Italia non succedeva un disastro simile, è perché la Banca d'Italia, finché è stata la Banca d'Italia, fra mille inavvedutezze che la stanno rendendo un'istituzione poco credibile manteneva però la possibilità di emettere moneta per salvare gli istituti di credito. Nessun risparmiatore ha mai perso una lira, e nessun contribuente ha mai dovuto salvare nessun risparmiatore, finché la Banca centrale ha potuto svolgere questa sua funzione essenziale. Ma ora non può. Intervenendo tempestivamente, cosa che si può fare se si opera a livello nazionale, non se si dipende dalla sovrastruttura corrotta e inefficiente chiamata impropriamente Europa (in realtà, Unione Europea), si spende molto meno. 
Un anno fa sarebbero bastati tre miliardi (che erano stati stanziati, e che la Commissaria Vestager ci impedì di spendere per mantenere in piedi la finzione del "mercato" moralizzatore e disciplinatore, fustigatore del moral hazard...), un anno fa sarebbero bastati tre miliardi (che c'erano) per evitare il disastro delle quattro banche. Ora venti miliardi, da trovare nel bilanco pubblico (perché Bankitalia non è più liquida nella sua moneta), saranno appena sufficienti per dare un calcio al barattolo (come dicono gli anglofili), cioè per tirare a campare un altro po'.
Ma il problema non è risolto, il salvataggio non ci salverà, per un problema di struttura, che fra quattro anni tutti riconosceranno (perché tanti ce ne sono voluti a Giavazzi per riconoscere che il debito pubblico non c'entrava, e altrettanti glie ne occorreranno per riconoscere che invece l'euro c'entra)".
7. Dunque, ecco il problema "esiziale" (come si dice in termini "dotti"), di identità e di "controllo", per tale classe dirigente, che può riassumersi nella formula del "Quarto Partito". Abbiamo visto in cosa esso consista: essenzialmente nel plesso di potere istituzionale ed economico che fa capo a Banca d'Italia e a Confindustria, e del quale le parole di De Gasperi nel 1947 (qui, p.2) fornirono la sostanziale definizione, mentre Guido Carli ce ne ha ricostruito in dettaglio l'essenziale ruolo di "costituzione materiale" (qui, pp.6-8), da sempre contrapposto all'attuazione della Costituzione formale del 1948.
E il problema che si pone al Quarto Partito (che oggi più che mai potrebbe avere senso anche nella numerazione metaforicamente attribuitagli da De Gasperi), si manifesta ora in modo drammatico e, anzi, piuttosto brutale.

8. Alla base di ciò sta un gigantesco errore di calcolo a cui, però, non corrisponde una tangibile capacità di reazione all'altezza dell'urgenza e della drammaticità della situazione.
Prova ne è che questo plesso di potere economico-istituzionale, al di là del diretto coinvolgimento in questa crisi bancaria dagli incombenti contorni "e devastanti", non pare essere in grado di formulare una linea di reazione praticabile e veramente capace di tutelare, quantomeno, i propri interessi e, a monte di ciò, neppure un'analisi dei meccanismi causa/effetto che possa servire come base logica per trovare questa linea.
Basti vedere come Bankitalia, ancora nell'aprile 2016, nella "audizione del governatore Visco, in sede di "Indagine conoscitiva sulle condizioni del sistema bancario e finanziario italiano e la tutela del risparmio, anche con riferimento alla vigilanza, la risoluzione delle crisi e la garanzia dei depositi europee", eviti di interrogarsi sul legame, riconosciuto da tutti i più prestigiosi istituti economici mondiali, compreso ormai il FMI, tra recessione post 2011, moneta unica e politiche economico-fiscali imposte dal suo mantenimento in vita.

9. A sua volta, Confindustria, dopo aver paventato 4 punti di PIL in meno (in tre anni...), a seguito della mancata approvazione della riforma costituzionale (!?), si limita a prendere atto, sulla questione bancaria, del "fallimento del mercato", senza darsene una spiegazione nè scientifico-strutturale nè politico-morale:


10. Ogni risposta, pur di fronte al precipitare degli eventi, è articolata continuando ad ignorare le cause strutturali degli squilibri interni all'area euro, della cui esistenza pure si accorge, ma senza porre mai in discussione la reale convenienza e la sostenibilità della moneta unica. 
Su questo punto, Confindustria è ferma allo studio del CSC del 2014 in cui dichiara che uscire dall'euro sarebbe un "disastro". Ma non ha risposte, se non indicare, appunto, non persuasive cause esogene, sempre individuate nell'andamento dell'economia internazionale, per il disastro, molto reale e sempre più tangibile, che si sta verificando a causa della permanenza nella moneta unica.

Dunque, allo stato attuale delle prese di posizione, il Quarto Partito, nel senso storico-funzionale indicato da De Gasperi e Carli, non trova risposte e non pare essere in grado di fronteggiare la perdita della convenienza a sostenere la propria identità internazional-globalista e la conseguente deriva (in accelerazione) della perdita del controllo istituzionale, che si profila sul piano socio-politico.

Senza però pensare che, se anche questi populismi non ci fossero, ovvero fosse più opportuno trovare delle definizioni meno rudimentali del profondo malcontento del popolo italiano, (e non solo), e quindi, se anche tutto andasse, sul piano del consenso e del controllo istituzionale, nella direzione da loro auspicata e la più €uropeista possibile, la situazione di deterioramento degli attivi bancari, di dilagante insolvenza di famiglie e imprese, di destrutturazione industriale, di precarizzazione e disoccupazione diffusive di un livello un tempo inconcepibile di povertà, rimarrebbe persistente e irrisolvibile.
Irrisolvibile perché si persevera nell'errore di calcolo ignorando ogni evidenza che arriva prepotentemente dalla realtà:

21 commenti:

  1. Quando sento parlare di liberali, di libertà, della democristiana Libertas, bè: trovo sempre un grande autore che chiarisce l'ovvio agli imbecilli che non si sanno collocare nella Storia:

    « Quella che viene chiamata "libertà di volere" è essenzialmente la passione della superiorità rispetto a colui che deve obbedire: "Io sono libero, 'egli' deve obbedire" [...] quell'intima certezza che si sarà ubbiditi, e tutto questo appartiene ancora alla condizione di chi impartisce ordini. » Nietzsche, "Al di là del bene e del male"

    Non ci può essere libertà metodologicamente individualista senza dialetticamente manifestarsi una schiavitù: libertà e potere sono il medesimo ente visto da due punti diversi.

    Quello dell'oppresso, e quello dell'oppressore.

    Buona "democrazia" liberale a tutti.

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    1. Hai colto che il tema, nella sua esenza fenomenologica, è il passaggio extraordinem, inavvertito nella sua studiata "gradualità", alla "democrazia" liberale.

      Il punto, - peraltro non nuovo nella Storia italiana- è che l'oligarchia che questa "democrazia" porta al potere (de facto) non si rende conto che rendere periferica un'intera Nazione altrimenti prospera se governata nella sua sovranità, significa rendere periferici se stessi.

      E quindi, significa subordinarsi in una gerarchia di cui si perde il controllo molto presto ed in cui l'occupante straniero non va molto per il sottile nel selezionare quali patrimoni depredare e quali "ausiliari" locali considerare utili o superflui.

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    2. Sì, tu approfondisci facendo emergere il ruolo del partito collaborazionista, il "quarto", che è, in realtà, inserito nel network internazionale di coloro che manipolano la politica istituzionale e militare tramite la forza economica ed è a sua volta inserito in una gerarchia di rapporti di forza interna alla classe dominante cosmopolita.

      Ma la chiave per l'ermeneutica di questo "linguaggio politico", rimane apparentemente invariata.

      Se il liberalismo visto come "liberismo interno" a cui è sovrastrutturata la propaganda liberale nasconde beceri e violenti impulsi decisionisti ed autoritari di "volontà di potere" (più che di "potenza", stando con il Nietzsche più dionisiaco-umanista), ed è funzionale a cristallizzare i rapporti di forza tra dominanti e subalterni a livello nazionale, il liberalismo visto come "liberoscambismo esterno", mette - mi si scusi il pathos - gli imbecilli del "quarto partito" delle nazioni dominate sotto l'attacco colonialista ed imperialista delle classi dominanti delle nazioni egemoni.

      Questo per dire che il "liberalismo" se lo può permettere solo la classe egemone del "centro dell'impero": proprio per l'impeccabile riflessione sul senso di "libera volontà" riportata prima.

      La contradditorietà di parole e atti dei nostri grotteschi "dirigenti", riflettano la profondamente marcia "falsa coscienza" della tradizione liberale classica.

      A differenza degli anglosassoni, per cui la "coscienza è unico lusso che non si possono permettere", i nostri dominanti dimostreranno, per l'ennesima volta, di essere indegni, senza una minima onorevole dignità, e - come tutti i gruppi sociali di falliti in mala fede - potranno solo recriminare vomitando autorazzismo addosso ai propri connazionali subalterni.

      Non si meritano nulla: se non di sparire dalla Storia con il massimo dello spregio e del disonore.


      (Il peggior frame della modernità è quello per cui "liberale" = "antiautoritario": il fascismo è semplicemente liberalismo totale)

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    3. Che poi, tanto disquisire di libertà per dover infine riconoscere, come diceva qualcuno, che “pochissimi sanno essere liberi e pochissimi sanno cosa vuol dire esserlo”. A meno che, al momento giusto, non ci sia chi interviene provvidenzialmente (e soprattutto con pieno titolo giuridico) a chiarirci le idee:

      “Appellandosi anche all'articolo 41 della Costituzione che prevede la libera iniziativa economica dei privati, citando le direttive comunitarie sul tema, ma anche riferendosi a decisioni del passato, la Cassazione ha ritenuto che non sia necessario essere in presenza necessariamente di una crisi aziendale, una calo di fatturato o bilanci in rosso per procedere a un licenziamento. Il provvedimento può essere così giustificato anche per migliorare l'efficienza di impresa o per la soppressione di una posizione o anche per adeguarsi alle nuove tecnologie. In poche parole, se l'attività dei privati è libera, deve esserlo anche la possibilità di organizzarla al meglio.”

      Certo, parlare di rivoluzione copernicana è forse eccessivo. Però il punto a favore segnato dalla Costituzione materiale nella sua lunga marcia di riallineamento con quella formale, ‘autenticizzata’ al netto di illusorie e fuorvianti pretese di tutela di libertà in ultima analisi autolesionistiche come quella del lavoratore ottusamente abbarbicato al suo pleonastico impiego, mi pare di innegabile rilievo.

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    4. Ma il via libera a lo "aziendalorum" come causa di licenziamento era stato già dato dalla legge Fornero. Siamo solo alla presa d'atto, tenuto conto dei tempi dei giudizi civili.

      Quattro anni fa, avevamo dettagliatamente previsto questi esiti:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/01/lart18-e-all-that-jazz-la-colpa-e-dei.html
      Che dunque vale la pena di rileggere (anche perché già trasposti in "Euro e/o democrazia costituzionale")!

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    5. Ripasso sempre utilissimo. Diciamo che, con i pronunciamenti della Cassazione, cominciano a maturare e cadere le pere più grosse.

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  2. Posto questi dati sulla manipolazione del tasso di disoccupazione in Italia:
    "Detto questo il voucher è anche un’ottima scusa per l’ISTAT per gonfiare il numero degli occupati: infatti, come possiamo leggere dal glossario dell’istituto statistico , i lavoratori a voucher vengono considerati “Occupati”, anche se han svolto UNA SOLA ORA LAVORATIVA AL MESE. Ora chi percepisce 500 euro all’anno lavora poco più di 4 ore al mese, quindi, per l’Istat è a pieno titolo un occupato. Potete capire l’attendibilità della rilevazione nell’indicare il vero stato dell’occupazione in Italia.
    Si tratta di un’occupazione fittizia, che serve solo a fare numero. Un po’ come i carri armati o gli aerei di Mussolini. Va bene per gli annunci governativi, ma alla nazione non serve a nulla.
    I lavoratori a voucher sono 1,4 milioni, Se domani sparissero (e non c’è nessun interesse a trasformare in contratti a tempo parziale di 10 ore mensili al massimo in contratti a tempo determinato), la disoccupazione salirebbe di un 6%, ed il numero degli occupati scenderebbe dai 22,2 milioni di ottobre 2016 a 20,8 milioni. I miracoli del Jobs Act sparirebbero d’incanto ed il tasso di disoccupazione tornerebbe al 12,3 %.
    ATTENZIONE, per i lavoratori non cambierebbe nulla! Semplicemente si cancellerebbe una parte della finzione statistica che viene portata avanti ad uso degli annunci roboanti del governo"
    http://scenarieconomici.it/un-effetto-curioso-che-si-avra-conleventuale-sparizione-dei-voucher-la-verita-sul-mondo-del-lavoro/
    Quello che però mi sembra che i media di regime a comando estero con l'aiuto dei collaborazionisti interni vogliono divulgare (tranne poche eccezioni di qualche articolo sparso qua e la) è l'immagine di un paese che, nonostante la "crisi" (come la chiamano loro), risulta sempre straricco: ci dicono che abbiamo più dipendenti pubblici di tutto il mondo, le pensioni più alte della galassia, gli stipendi più alti d'Europa; che quelli che non lavorano sono tutti laureati benestanti e schizzinosi, oppure "furbi" cassaintegrati che nello stesso tempo lavorano anche in nero; che gli italiani sono al 99% proprietari di case (cioè anche un 40enne disoccupato senza reddito, impossibilitato a crearsi una famiglia, che è a carico dei genitori con la pensione minima, i quali, dopo vent'anni di mutuo e sacrifici, si sono comprati un appartamento in periferia, risulta un benestante che vive in una casa di proprietà.)

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  3. Tutto questo ce lo dicono perché, facendoci apparire più ricchi di quello che siamo, dopo decenni di abbandono della Costituzione e di implementazione massiccia del neoliberismo sfrenato, ci vogliono convincere che saranno necessari ancora ulteriori sacrifici, che non ne abbiamo fatti ancora abbastanza, che abbiamo la colpa di essere i più ricchi del pianeta, però immeritatamente ricchi, perché la nostra ricchezza sarebbe solo dovuta al furto e al parassitismo, all'assistenzialismo; che gli altri paesi sono tutti più "virtuosi"; che la loro "vera" ricchezza se la sono meritata coi "sacrifici"; e quindi ci sarà la necessità, per allinearsi ai paesi "virtuosi", di ulteriori manovre per comprimere i salari, smantellare il welfare, sequestrare i risparmi, licenziare i pubblici dipendenti, e tutto in nome della "competitività" ed, in fondo, anche come castigo per esserci permessi di più di quello che in effetti ci meritavamo e che non ci siamo guadagnati attraverso la "durezza del vivere".
    La mia impressione è che i media a comando estero e aiutati dai collaborazionisti interni, in Italia, abbiano anche questo ruolo; cioè convincere un povero di essere in realtà un ricco approfittatore, farlo sentire in colpa, e poi depredarlo di tutto quello, poco, che gli resta.
    E' chiaro che se dici a un povero di essere straricco, e glielo dici 100 o 1000 volte, gli spiattelli dalla mattina alla sera immagini di bimbi rinsecchiti africani, questo magari poi si convince alla fine di esserlo, anche se gli resta solo un paio di mutande e una minestra al dì. Secondo me ci faranno sentire straricchi anche quando la maggior parte di noi sarà costretta ad andare alla Caritas a chiedere l'elemosina. Ci verrà fatto apparire come privilegio immeritato anche un panino col salame offertoci gratis da un volontario della Comunità di Sant'Egidio, finché non saremo tutti morti, ammenoché non inizi un forte movimento di rifiuto di questa propaganda e di queste politiche antiumane, sterminazioniste, genocide e naziste. Ma con voi è già iniziato.

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  4. Illuminante riflessione e citazione da Nietsche di Bazaar.
    Il liberalismo può stabilirsi nella incoscienza vera o simulata dei veri impulsi dominanti la vicenda umana.
    Specie quella attinente all’occidente dalla rivoluzione francese in poi.
    Il feudalesimo di Hayek è una parodia di feudalesimo perché ricorre al dogma liberale e ciò che ottiene in realtà è solo la disintegrazione della società.
    L’essenza del liberalismo/liberismo è la resa incondizionata del nemico cioè del consorzio umano.

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  5. Ciao Bazaar, condividendo in toto quello che asserisci, ne consegue una domanda terribile: è possibile in questo Paese ricomporre il conflitto sociale in maniera civile, quando una parte (la nostra "elites"), che nello scenario globale sono perdenti, non riconosce all'altra nemmeno la dignità di essere Uomo?.

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    1. Il caso ha voluto che la risposta sia contenuta nell'efficace definizione data dal commento di Domenico, qui sopra.

      In una progressione implacabile di gerarchizzazione dentro l'ordine del mercato, che FINGE di disconoscere la dimensione nazional-statuale, è inevitabile che il liberoscambismo globale conduca a un colonialismo razzista altrettanto mondializzato.

      Vale a dire, imposto su masse sterminate - e "sterminabili"- equalizzate nella pari miseria .

      Come in precedenza si ebbe con quello britannico: solo a dimensione non direttamente militare ma finanziarizzata, mediante il diritto internazionale privatizzato.

      A quest'ultimo, peraltro, sottostanno gli armamenti strategici nucleari, per ora "statual-statunitensi": un domani, come auspicano ESSI, formalmente in mano ad organizzazioni industrial-finanziarie private e globali.

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    2. Un domani .. ??

      Un "limitato" abecedario dei "nuovi" lanzichenecchi del "nuovo" medio-evo (il certo tedio-evo): Blackwater Worldwide (riciclata in Accademi), AirScan, C3 Defense, Global Solution, Kellogg Brown and Root, Aegis Defence Services, Silver Shadow ..

      Meglio, molto meglio, fermarsi.

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    3. Tirando le somme: l'unica strada perché le cose cambino sarà, in sostanza, una rivoluzione?

      Già Giolitti lo ammoiniva nel 1899: "E' difficile calcolare le conseguenze di una [ ... ] politica la quale, lasciando intatta la causa del malcontento e togliendo alle classi popolari ogni speranza di migliorare la loro condizione per vie legali, creerebbe una situazione rivoluzionaria."

      Sembra esattamente la via che l'ordoliberismo vuole percorrere. E dato che, in fondo, altro non si tratta se non di "violenza economica", essa potrà crollare -se mai sarà- solo sotto i colpi di un'altro tipo di "violenza".

      Siamo veramente ridotti a questo? E' davvero l'unica strada?

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    4. Domanda che implica l'angoscia del momento.
      Ma un angoscia che, a quanto pare, sentiamo solo in pochi.
      Consapevolmente.
      (Vedrai il post di domani sulla sentenza 275/2016)...

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    5. Esercito privatizzato anche sè molto efficiente non potrà mai concorrere contro veri eserciti. Tutta questa Hybris neoliberista si andrà a schiantare bruttalmente.

      Adesso capisco perchè Putin è così rilassato. A lui basta a sedersi sulla riva del fiume ed aspettare che l'occidente si autodistrugga con il suo neoliberismo è globalismo fuori controllo.

      Sè si distrugge la nazione, si distrugge anche l'esercito. È questo sarà il momento dove i vari imbecilli liberisti, liberali o lebertari dello "statobrutto privatobello" cadranno dalle loro nuvole rosa è si andranno a schiantare bruttalmente per terra. Benvenuti nel mondo reale.

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  6. Stefano Pollini sembra uno di quei formatori per disoccupati tra i più "consapevoli". Egli, ci dice, rifiuta in parte la logica di frasi come questa:“Il lavoro non si cerca. Il lavoro si attrae. Il lavoro si attrae diventando la persona più competente, più capace, che sia in grado di aggiungere più valore di chiunque altro. E a quel punto il lavoro magicamente appare”; perché, egli ci dice, non è affatto detto che, anche se uno si impegna e si attiva, il lavoro appaia magicamente. Però, egli ci dice, non è detto che tutti i disoccupati debbano essere considerati delle vittime, perché anche loro stessi, con i loro comportamenti, posso avere margini di successo nelle loro strategie per la ricerca di lavoro; e quali sarebbero questi comportamenti secondo il nostro educatore? ecco un esempio:
    "Da alcuni anni mi rendo conto come il tema sia delicato: sebbene condivida la critica che Ferrario rivolge “ai troppi psicantropi più o meno amerikanoidi” che scaricano sul disoccupato la responsabilità della sua situazione, è anche vero che in aula e durante il tirocinio ho visto molti disoccupati con pretese e aspettative difficili da giustificare.

    In un tirocinio, un aspirante pizzaiolo si è rifiutato di scaricare il camion con la legna per il forno, sostenendo che lui era un pizzaiolo, non addetto allo scarico merci. Un altro pizzaiolo, eccellente in aula, dopo una settimana di tirocinio è stato cacciato dal titolare perché dopo il terzo giorno si è messo a criticare in modo pesante le modalità di lavoro e di preparazione della pizza, inimicandosi tutti i colleghi (e chiaramente anche il titolare). Un partecipante al corso per disoccupati per “addetto alla contabilità” si lamentava perché dopo una settimana di tirocinio non aveva ancora svolto mansioni da “contabile” ma solo attività di “segreteria”. E stava “perdendo” tempo.
    Però c’è stato anche il caso di un partecipante al corso per “addetto al montaggio industriale” che durante il tirocinio aveva poco da fare e si è messo lavare i vetri dell’azienda che lo ospitava. Da solo, senza che nessuno glielo avesse detto. L’azienda, che inizialmente non pensava di assumerlo, al termine del tirocinio gli ha fatto un contratto."
    http://www.informazionesenzafiltro.it/limprenditivita-un-falso-miraggio/

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  7. Ci sarebbe da chiedergli innanzi tutto: "CHE CONTRATTO GLI HA FATTO AL TERMINE DEL TIROCINIO A QUESTO LAVAVETRI VOLONTARIO?"
    A parte questo, sono solo io a vedere in queste strategie "di successo" per la ricerca di lavoro, paragonate a quelle grottesche di insuccesso (il pizzaiolo choosy che si rifiuta di scaricare i camion) qualcosa di profondamente sbagliato? Queste strategie sembrano suggerire più o meno esplicitamente che più ti prostri per il datore di lavoro, più non lo contraddici, più gli lecchi il culo, essendo disposto a sobbarcarti anche il triplo del carico di lavoro, e più, naturalmente, avrai la possibilità di ottenerlo, UN CONTRATTO; i consigli potrebbero anche continuare con la disponibilità a fare un pompino tutti i giorni al datore di lavoro durante il tirocinio, senza che lui te lo chieda, così, di tua iniziativa, e magari poi lui ti fa UN CONTRATTO; oppure, senza che lui te lo chieda, digli pure che a te i soldi non interessano, che lavori aggratis con un QUALSIASI CONTRATTO. E via dicendo...Magari mi sbaglio, ma chi divulga tali strategie di assunzioni di responsabilità tra i disoccupati per me ha un solo ruolo: quello di CAPORALE, di SCHIAVISTA, di EDUCATORE ALLA COMPETITIVITÀ AL RIBASSO DI DIRITTI E SALARI; e non importa che il tipo si vanti di una laurea in filosofia, e di aver "negli ultimi anni .. approfondito in particolare i processi comunicativi e decisionali, studiando come le nostre conoscenze influenzino la nostra visione del mondo e le nostre scelte quotidiane." E il suo approfondimento mi sembra che risalti leggendo anche quello che dice verso la fine:
    "Da questo punto di vista condivido la frase citata inizialmente in cui il lavoro non è qualcosa che si cerca, come se fosse qualcosa di già dato, che è la fuori e ti aspetta (come era negli anni ’50-’60 dove ogni diplomato o laureato aveva il lavoro già pronto e doveva solo scegliere), ma richiede un minimo di attivazione. Da qui ad affermare che “a quel punto il lavoro magicamente appare”, è palesemente falso..."
    MA IL TIPO SI È CHIESTO FORSE PERCHÉ NEGLI ANNI '50-'60 CERCARE LAVORO ERA PIÙ SEMPLICE? SI È MAI POSTO IL PROBLEMA CHE LA NOSTRA COSTITUZIONE DICE CHE IL LAVORO È UN TUO DIRITTO E LO STATO DEVE INTERVENIRE? E CHE NON BISOGNEREBBE QUINDI ARRIVARE A LECCARE IL CULO ALL'IMPRENDITORE, O FARE IL CRUMIRO, PER LA PAURA DI NON OTTENERLO O DI PERDERLO? SI È MAI CHIESTO SE TUTTE QUESTE INFINITE STRATEGIE ADATTATIVE CHE LUI PROPAGANDA TRA I DISOCCUPATI, CHE LUI GROTTESCAMENTE AFFERMA ESSERE RESPONSABILIZZANTI MA NON COLPEVOLIZZANTI, SIANO O NO QUALCOSA DI LESIVO DELLA DIGNITÀ UMANA?

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    1. Perché costoro possano interiorizzare il principio universale dell'inviolabilità della dignità umana, sarebbe necessaria una crescita spirituale, culturale ed umana che è dono riservato a pochi.

      Questi poveri pirla, hanno quel difetto che non si fa mai correggere, che è quello della grulleria.

      Gli manca proprio la premessa iniziale per non dover marcire prima di maturare: un pensiero che non sia il semplice residuo istintuale di un primate.

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    2. Carissimi, la crescita spirituale ripartira' da un nuovo umanesimo, ovvero quello vecchio, che l'Europa ha coltivato da Erasmo in poi. Hanno colpito la scuola, prima di.tutto. e ora capiamo perche'.addestrare a essere schiavi invece che istruire e' stato il programma del quarto partito. Bisogna tornare indietro.

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  8. …masse sterminate e STERMINABILI equalizzate nella pari miseria

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  9. Tutto cambierebbe se ci fosse un alleato esterno che è decisamente dalla nostra parte e che sia in grado di rovesciare le sorti del conflitto. Solo allora questi vermi si muoveranno e ci verranno a raccontare una storia diversa. Per ora aspettano, alla finestra, perché ancora non è chiaro se l'alleato c'è o meno.
    Io spero tanto in questo anno decisivo. Vorrei anche ringraziare e augurare un bellissimo anno al Presidente e a voi tutti che intervenite con spunti eccellenti.

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