mercoledì 31 agosto 2016

IL TASSAMETRO DELL'EURO: IL COSTO VERTIGINOSO DEL "DIFFERENZIALE CULTURALE".


https://seeker401.files.wordpress.com/2014/10/unnamed1.jpg?w=497&h=229
https://seeker401.wordpress.com/2014/10/25/the-trilateral-commission-and-technocracy/, già citato in KALDOR, KEYNES, CAFFE': LA TRILATERAL E LA COSTITUZIONE DEL LAVORO.

1. Dal post di ieri ritengo importante serbare, sempre "a futura memoria" questo commento di Arturo che ci riporta alle basi (più) fondamentali di quella che, un tempo, era la teoria generale sulla forma di Stato e dell'intero diritto pubblico coerente con la Costituzione del 1948 (che, in un rigoroso concetto della gerarchia delle fonti di diritto, è tutt'altra cosa rispetto a quella oggi "vigente" a seguito del vincolo esterno, della riforma "federalista" del Titolo V, del 2001, nonché dell'accumularsi delle sentenze della Corte costituzionale su questi temi. E stiamo parlando della Costituzione "al netto" delle modifiche ulteriori su cui saremo chiamati a decidere con il referendum...). 
In pratica, Arturo evidenzia un "differenziale" tra una cultura istituzionale attuale, che ci lascia totalmente impotenti nella difesa della Costituzione, e la scienza giuridica ed economica che, invece, era stata capace di affermarsi e di dare vita alla stessa Costituzione (del 1948):
"L'improponibile assimilazione dell'EU all'URSS presuppone l'equivalenza "interventismo = komunismo" (o almeno ≠ liberal-liberismo).
A confutare questa sciocchezza, non bastassero tutte le fonti già citate (da Ruini a Mirowski), aggiungiamo, per l'aspetto storico, il buon vecchio Giannini (Diritto pubblico dell'economia, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 26-31) e la sua analisi dello Stato liberale:
"La formula «non intervento» del pubblico potere è affermata, ma non svolta: dovrebbe essere principio vincolante per il legislatore; ma in realtà non lo è, perché la normativa designata a regolare i rapporti tra privati si arricchisce continuamente di norme imperative, come tali restrittive dell’autonomia privata (si consideri la sempre maggior disciplina normativa dei titoli di credito e dei contratti commerciali); si potrebbe intendere nel senso più ristretto, di vincolo per il legislatore a non adottare norme, sia pubblicistiche sia soprattutto di diritto privato, incidenti sui diritti di proprietà e d’impresa.”
Se però dalle teorie passiamo ai fatti, ciò che avviene nello Stato borghese si presenta come molto sconcertante, poiché la disciplina pubblica dell’economia anziché diminuire aumenta di dimensioni e si perfeziona negli strumenti tecnici e operativi.
In altre parole, finché Leroy Beaulieu riusciva, come economista, a farsi capire quando propo­neva la nota metafora «lasciar fare, lasciar andare», il giurista non ci riusciva quando parlava di principio di astensione.

(Questa l’ho trovata molto carina).

“Dunque, procedendo nella ricognizione, risulta che lo Stato borghese liberale passa intere province — se ci è lecita la metafora - dalla sfera privata a quella pubblica, e ciò non con atti episodici o temporanei, bensì seguendo idee organiche e adottando decisioni destinate a permanere, cioè, in termini oggi più usati, introducendo modificazioni di struttura.
Vi è però ancora di più: che quando si profilano difficoltà per l’economia, derivanti da congiunture internazionali, da eventi della natura, da turbative politiche interne, i pubblici poteri non hanno esitazione a porre in essere degli «interventi» di sostegno dei ceti di operatori economici in difficoltà.
“La vicenda ha formato oggetto di studio soprattutto da parte di sociologi e di economisti, e di note teorie; però ha anche un notevole rilievo giuridico, in quanto la decisione di intervento e l’intervento hanno un loro costo, che grava non sugli ausiliati dall’intervento, ma sull’intera collettività. 
E' quindi vero che la classe di potere trasferisce sulla collettività il costo dei propri conflitti interni.
La differenza stava, e sta, nella finalità dell'intervento, come diceva a suo tempo Mortati (e ripete praticamente negli stessi termini oggi il sunnominato Mirowski).

2. Come, storicamente tutto ciò abbia a che fare con la costruzione europea e l'euro, lo abbiamo a lungo analizzato. 
Riassumo l'attitudine culturale delle nostre elites, e i riflessi che essa ha dispiegato nella lunga vicenda di disattivazione della democrazia costituzionale, citando un precedente commento in risposta a Bazaar
"Non dobbiamo dimenticare che l'effettività del modello costituzionale - e quindi della piena occupazione all'interno del principio-cardine "lavoristico"- fu posta in contestazione nel dopo Costituente con grande spiegamento di mezzi.
La vicenda storico-economica italiana non può essere riletta prendendo a esempio, diciamo, operativo e paradigmatico, Basso o Mortati o, se vogliamo, - quanto alla comprensione dei principi fondamentali-, Calamandrei (per rimanere ai più grandi finora citati): le vicende che, notoriamente, seguirono al Piano Marshall nella sua applicazione italiana, non devono far dimenticare che:
a) l'Italia è un paese che si richiama alle sue capacità manifatturiere e "mercantilistiche" tradizionali, e in questo senso si spiega l'amore-odio per il modello economico tedesco (segnatamente ordoliberista);
b) che quest'ultimo fu appositamente promosso, nel dopoguerra, dagli USA come caposaldo di riferimento per rendere inattaccabile l'economia di mercato, oltre qualsiasi livello di concessione tattica al "sociale".

Non è dunque un caso, culturalmente, che ci sia stato il "1978" (e a fortiori il "1992"): anzi, all'opposto, una continuità prepotente, sfuggita alla comprensione della massa e persino combattuta con crescente mancanza di convinzione dal PCI, era stata fissata a Costituzione appena...sfornata e proseguita come revanche senza troppi tentennamenti (basti pensare che lo Statuto dei lavoratori arriva nel 1970 - e dalla lettura dei lavori della Costituente ciò "potrebbe" apparire clamoroso-, mentre, poi, le crisi petrolifere gli diedero poco tempo di "vitalità", prima di farlo divenire un elemento spurio e di colpevolizzazione incessante da parte di una classe dirigente inferocita. Fino al "regolamento" di conti odierno).
...
L'art.81, infine, come ben sappiamo, fu una mezza sconfitta per i neo-liberisti italici (certamente degli inguaribili nostalgici del "primo" De Stefani): la parola "indebitamento" come oggetto di divieto dovette attendere i deficit-caps ipotizzati dall'Atto Unico e da Maastricht. Cioè la crisi del sistema sovietico: neppure Einaudi sperava, prima di ciò, che si potesse "eccedere" nell'uso della leva monetaria per forzare la disoccupazione (e quindi sedare il "socialismo" contrario alla prevalenza del mercato) oltre certi limiti.
Perciò Mitterand (post elezioni francesi e non in campagna elettorale), il Consiglio del Castello sforzesco, e gli Andreatta, Amato, Ciampi e, naturalmente, Prodi sono stati così rilevanti: avevano una discesa davanti e la sfruttarono efficacemente.
Non così "efficientemente" in termini di (esplicita abrogazione della) Costituzione: ma a quel punto, per l'opinione di massa, e per la sovrastante "opinione pubblica", questo era divenuto un prezzo trascurabile.
Oggi addirittura un enunciato che la Corte costituzionale deve fare da sè oppure subire un'apposita legge costituzionale!"

3. Ma un'ottima focalizzazione sulla perdita irreversibile che deriva alla democrazia costituzionale, cioè a quella sostanziale, dall'adozione del vincolo esterno come "super-norma", e quindi, in termini molto concreti, dal protrarsi della vigenza della moneta unica, l'abbiamo incontrata in questa risposta di Alberto nei commenti al suo ultimo post:
"...E sai il problema qual è? Che ognuno porta con sé un pezzo di verità, con la sola eccezione di quei cialtroni che ci attribuiscono l'idea bislacca secondo cui l'uscita dall'euro risolverebbe tutti i problemi! Questa visione demagogica è propria di chi l'euro lo ha proposto (la frase "lavorerete un giorno in meno ecc." è verosimilmente apocrifa, o almeno non ne ho trovato la fonte, ma la sua intonazione demagogica, il mito irenico dell'eurone che ci protegge e ci dà la pace, la riscontriamo ogni giorno). 

Viceversa, uscirne non risolverà tutti i problemi (pur essendo condizione necessaria), e questo per due motivi che spesso sfuggono: il primo è quello evidenziato in questo post, ed è, se vogliamo, di ordine culturale. Capire che la chiusura di una strada va segnalata con una certa cura è dato che sfugge - e trent'anni di dominio belga non è che ce l'abbiano imposto né insegnato. Ci sarà da lavorarci. 
La seconda, più importante, riguarda il fatto che le istituzioni che sono state sbriciolate col cuneo del cambio fisso (dal sistema pensionistico a quello della contrattazione salariale) non si ricostruiscono in un giorno. Per questo sono particolarmente deluso dai colleghi che "usciamo a sinistra". 
In effetti, uscire a sinistra significa innanzitutto uscire il prima possibile, per il semplice motivo che ogni giorno di permanenza è un giorno in cui con la scusa della competitività si smantellano istituzioni che poi è difficile ricostruire, non fosse altro perché se ne è persa la memoria".

Naturalmente, aggiunta di neretto e sottolineatura, sono miei. Alberto ne sarà scontento, probabilmente. Ma non riesco a trovare un modo migliore per conservare la felice espressione di "quello che non vogliono capire".

19 commenti:

  1. Certo.

    Il problema della "memoria", di "come si stava prima", è un tema ricorrente - quasi ossessivo - nella narrativa distopica di George Orwell: sia ne "La Fattoria degli Animali", sia in "1984".

    (Ah... il "socing" è l'attuale "economia sociale di mercato")

    Ne "La fattoria degli animali", gli animali si chiedevano come si stava prima della rivoluzione.

    Il riferimento alle "purghe staliniane" era evidente.

    (Come era evidente che in quegli anni la propaganda neoliberista gettava nello sconforto i socialisti occidentali e, come riuscirà in seguito ad ottenere, gettava le fondamenta per promuovere il liberalismo come unica possibilità ad una generica libertà antiautoritaria, insomma, TINA... ed eccoci serviti)

    All'entusiasmo iniziale, la società organizzata nella "Fattoria", viene lasciato il passo ad un progressivo, lento deterioramento che riporta le nuove "istituzioni" a riproporre le stesse dinamiche ingiuste e classiste "dell'ordine precedente".

    In modo che solo "i più saggi" riuscivano a percepire il cambiamento, e solo i "più vecchi" si ricordavano "come era prima".

    E questa domanda ho avuto occasione di farla ai russi "non della finzione" nati ai tempi di Lenin, sia ai loro nipoti nati ai tempi di Brezniev:

    Le persone nate al tempo di Brezniev mi rispondono che del comunismo si ricordano solo l'indigenza e le "code". Non si ricordano bene come era esattamente, ma sicuramente mediamente peggio di ora.

    (Quelle nate al tempo di Eltsin sono spesso piene di tatuaggi e di ferraglia in faccia, e mi rispondono che sanno solo che a differenza della loro mamma sono cresciute con i film "americani", non con quelli di Fellini)

    Le due vecchierelle con cui ho conversato - una è appena morta - erano nate al tempo di Lenin ed erano ancora staliniste convinte.

    (Una delle due era economista, e, quando ha capito che ero un "capitalista", ha smesso di rivelarmi gli importanti segreti dell'economia pianificata...)

    Poi si legge Losurdo, e si comprende l'importanza della storia e del revisionismo... va spezzato quel frame che impone che il liberalismo sia qualcosa che popperianamente si oppone ai "totalitarismi autoritari".

    (Nella guerra fredda è stata la "TV" a far la differenza, e questo Vladimir pare averlo capito)

    In 1984 la questione si ripete: come si stava prima dei "Trattati di Oceania"? Nessuno si ricorda.

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    1. Beh qua siamo al comma 22, ovvero alla trappola per scimmie.

      Quanta Storia moderna, e relativa analisi critica strutturale, era insegnabile ai russi, almeno a partire da Tolstoj, una volta che occorreva liberarsi del marxismo burocratico istituzionale? Intendo come sistema scolastico pubblico: devono aver avuto enormi problemi sul come rivedere i programmi scolastici e lo stesso finanziamento della sQuola.

      E immagino che siano stati ampiamente "consigliati" al riguardo dal FMI, dalla WB e dai think-tank dei soliti noti.
      Ergo chi è nato ai tempi di Eltsin deve, quantomeno, essere rieducato anche solo per comprendere, per sommi capi, la linea di Putin.

      Passare da una dittatura autoritaria di burocrati autorappresentativi (in tal senso un'oligarchia, la nomenklatura, più sinceramente dichiarata e persino vagamente meritocratica), alla democrazia idraulica non è comunque una bella esperienza.
      Almeno per i giovani: te credo poi che ne nasca una crisi demografica...

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    2. Nelle riviste eurasiste si parla esplicitamente del fatto che nel dopo Gorbachev gran parte dei libri di testo che finivano nei banchi degli studenti di qualsiasi età erano di case editrici del giro del solito Soros....

      Come affermava Zinoviev, riabilitando la figura di Stalin, la shock doctrine degli anni '90 ha fatto molto più danni che della Grande Guerra Patriottica.

      (E non la "grande guerra comunista"... per gli imbecilli del "socialismo cosmopolitico" al tempo della globalizzazione)

      La tragedia del neoliberalismo non è solo quella della sofferenza sociale e dei morti: è precipuamente quella per cui questo si fonda sul tradimento.

      Questa è l'unica e vera grande corruzione: il tradimento.

      Non c'è una via di mezzo: o sei un patriota o sei un traditore.

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  2. I livelli di nevrosi previsti da Orwell si sono oramai pienamente realizzati, non tanto nei malati gravi che sempre più si vedono per strada in giro a parlar da soli, vittime direttamente dell'esclusione sociale, ma proprio dai livelli di stress da manicomio rilevati tra gli studenti.

    Il regime totalitario liberale rimuove stordendo con tutti i suoi "monitor" qualsiasi briciolo di coscienza tanto dei "prolet" quanto, soprattutto, dai membri "del "partito esterno"; conseguenza del brocardo "i più istruiti sono anche i più indottrinati".

    I prolet, stando anche alle statistiche, sono sottoposti a dura cura malthusiana: dai "monitor" solo orribili suoni ritmati con personaggi scimmieschi che emettono lamenti, mentre conturbanti culi femminili ciondolano in primo piano...

    Ogni dieci anni la spazzatura culturale diventa sempre più ripugnante.

    Ma la generazione prima?

    Non era così terribile: gli Oliver Onions e i Cavalieri del Re erano meglio di Beatles e Rolling Stones...

    Il punto è che dal Jazz alla musica leggera abbiamo a che fare con mercificazione - QUINDI controllo - dell'arte e della cultura.

    Quindi la degenerazione delle sovrastrutture istituzionali e coscienziali trascende la percezione e la memoria comune. E coinvolge molto più gli "esclusi" da coloro che appartengono al "Partito interno". Ma anche coloro che ne fanno parte sono oggetto della manipolazione coscienziale e percettiva che gli è strumentale al mantenimento del potere e dei privilegi.

    Se cambiano i libri di storia, si manipola la memoria storica e percettivamente cambia la Storia.

    Alberto unisce creatività esistenzialista al più rigoroso empirismo essenzialista, lasciando però agli "happy few" la possibilità di intuire il pensiero che li armonizza.

    Volendo essere rigorosi, anche il Gadda alle prese con l'Isonzo era parte di un processo storico in cui il carattere italiano era sovrastrutturato alla medesima essenza dell'euro, che è una delle tante ostensioni dell'essenza del vincolo esterno.

    L'esperienza con i "cartelli irlandesi" l'ho vissuta anch'io, proprio in Irlanda.

    Più che "rispettoso" è roba da malati di mente.

    Comunque, ciò che avviene a Roma ben difficilmente avviene a Milano: Nietzsche odiava Roma perché era la "capitale del cristianesimo", e voleva ristorarsi nella sua antitesi - secondo lui addirittura costruita in sua antitesi - ovvero all'Aquila. In Italia ogni città è una lingua e un popolo.

    E, guarda un po', ognuno di questi popoli riflette la dominazione che ha ricevuto.

    Come lasciava intendere chiaramente Keynes, è la cultura economica la prima coscienza che impatta sulla civiltà.

    La barbarie è il liberismo.


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    1. La tua descrizione della vita dei "prolet" mi ha fatto istantaneamente venire in mente l'episodio della serie britannica Black Mirror intitolato Fifteen million merits. Dagli un'occhiata, se ti capita: credo che ti piacerà.

      Per quanto concerne la vecchierella morta, spero che non sia stata la tua conversazione "capitalista" a stenderla.

      À propos de Vladimir, ho appena finito di leggere La fabbrica del falso (la nuova edizione uscita recentemente). Si nota, a posteriori, che è stato scritto in grandissima parte prima che avesse l'eureka; detto questo, rimane comunque un libro fortemente consigliato. Ecco, posso chiedervi (a voi lettori del blog) quando l'avete avuto voi (in realtà, sarebbe più corretto chiedere quando ve ne siete resi conto, di aver capito)?

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    2. Non era proprio il Vladimiro di cui parlavo... :-)

      Mi riferivo all'evoluzione della propaganda russa e su come si sia pian pianino globalizzata, trovando piccoli spazi per bucare il pensiero unico atlantista, mainstream in buona parte del pianeta grazie a strumenti tipo la CNN.

      A differenza di quel pozzo di conoscenza di Arturo, per capire i precisi meccanismi con cui il "vincolo esterno" ci stava ammazzando, ho dovuto attendere Bagnai.

      Per capire l'abc della democrazia costituzionale - ovvero come le istituzioni si elevano sulla struttura economica reale - ho dovuto aspettare di leggere Euro e (o?) democrazia costituzionale.

      Dopo mi si è aperto un mondo.

      (Non capivo veramente la differenza tra regione, stato federale e stato nazionale; tra politica e amministrazione)

      Considerando che sono cresciuto di fatto in un ambiente liberale e federalista, posso dir di aver fatto la mia metanoia.

      Altrimenti l'unica idea politica che probabilmente mi sarebbe rimasta sarebbe stata un qualche "fogno" di federalismo bucolico e kantiano.


      Insomma, mi sono sempre interessato di tematiche "esistenzialiste" e quasi nulla di tematiche sociali, e se ho capito perché la cultura occidentale è una glossa a Platone e, oltre ad approfondirle per dovere civico, mi ci sono appassionato, è colpa della passionarietà tutta italiana che traspirava dagli articoli di Alberto e Quarantotto.

      Quando "ho capito"?

      Io francamente non ho capito nulla.

      Non c'è sera che non mi addormenti chiedendomi con una smisurati meraviglia e stupore il senso di ciò di cui son cosciente.

      Più approfondisco, più rimango intimorito dal mistero che circonda questa esperienza collettiva - in quanto oggettivamente intersoggettiva - chiamata vita.

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    3. Sei un grande: sei arrivato al problema centrale della intersoggettività, uno dei confini indeterminati della fenomenologia. Era inevitabile. Ma non ne dubitavo...

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    4. @Winston: l'ho capito grazie alla Francia, o meglio grazie ai Francesi. Il mio padrone di casa, come mi piace chiamarlo, un giorno mi ha soffiato nell'orecchio: "Ma cosa conosci degli effetti dell'euro?". All'epoca non conoscevo nulla, e diedi una risposta sicuramente idiota. Poi andai a
      questa riunione (eravamo sotto elezioni europee) e sentii per venticinque minuti Emmanuel Todd martellare brillantemente: "Il faut sortir de l'euro". Uscita di lì, benché avesse quasi sfiorato l'effetto saturazione, mi dissi che dovevo documentarmi. Lessi Sapir e non incontrai difficoltà alcuna ad accettare le sue tesi. E' per questo, tra l'altro, che il primo che sento parlare male dell'erasmus lo azzanno. Fossi rimasta tutto il tempo da queste parti, occhi bassi e schiena curva come nella patria accademia è d'obbligo, invece di conoscere altre realtà al momento di un dottorato a lungo sognato, chissà dove sarei ancora e quante cose considererei normali che ora mi paiono inaccettabili.

      Detto ciò, "ho capito" anche perché il mio ambiente me lo ha reso possibile. Vengo da una famiglia modesta e io stessa sono abbastanza povera. I miei però sono marxisti, non idealisti e da sempre furiosamente antistalinisti, nonché con il culto dello studio e del servizio pubblico. Questo per dire che in famiglie eretiche si insegna, anche senza saperlo, a non aver paura dell'eresia e a diffidare del pensiero corrente. Quindi, forse, benché il mio livello di istruzione mi mettesse antropologicamente più a rischio di una persona meno esposta ai condizionamenti istituzionali e propagandistici, avevo anche sviluppato anticorpi. E l'approccio allo studio universitario con la sua attenzione alle fonti e alla dimostrazione delle ipotesi proposte, alla fin fine mi ha più aiutato che danneggiato.

      Inoltre, non sembri una contraddizione, la mia mamma, che ha studiato giurisprudenza, mi ha inculcato un sacro rispetto per la Costituzione. Ragion per cui quando mi sono ritrovata precaria, mi sono andata a scartabellare la Costituzione economica e da lì, oltre a rifiutare in blocco l'operazione Hayek a Ventotene, la convizione che tutta l'evoluzione giuridica da Treu in poi fosse incostituzionale (mi perdoni l'imprecisione il Presidente...) ha domandato il solo tempo di lettura.
      Qui adesso sto trovando le dimostrazioni. Ma già leggere nel libro bianco di Delors come, al di là di molta fuffa, la sola enunciazione pratica o quasi del programma della UE fosse abbassare i salari medio bassi e ridisegnare il welfare nel senso dei sussidi (reddito di cittadinanza et similia), è stato sufficiente a distruggere qualsiasi residua incertezza sulla reale natura di un mostro assassino della nostra speranza di vita.

      A legare i due temi ci sono stati poi il blog, La Costituzione nella palude e, per la ricostruzione storica dello smantellamento della Costituzione stessa attraverso quello dell'economia italiana, Il tramonto dell'euro.

      La difficoltà sta come sempre nel confronto con gli altri. Non perché non sia abituata a essere eretica, mi trovo da sempre in questa situazione. Ma la solitudine pesa orribilmente, anche perché mi trovo in un ambiente che, aldilà dei "lo dice Salvini" che ormai sfociano nel pittoresco, non capisce il peso o l'importanza di queste problematiche, o comunque non ha gli strumenti culturali non dico per discuterne (nemmeno io li ho), ma per incuriosirsene a livello attivo, o almeno profondo.
      E questo è molto duro, quasi troppo.

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  3. p.s.

    Ho finito di leggere la discussione al post: un'altra osservazione brillante è sulla relazione tra "piazzaloretismo " e "complottismo ".

    Però, a ben vedere, deriva da una conoscenza ottocentesca ben diffusa nel socialismo marxista: è la struttura sociale a favorire la leadership di criminali psicopatici e solo retroattivamente questi operano per consolidare e perpetuare il sistema distopico.

    Questo è materialismo storico dei komunisti mangia bambini: appenderei il duce non uccide il liberismo che lo ha portato al potere.


    Ma le risorse culturali per capire un'intuizione ottocentesca fondamentale, che fine hanno fatto?

    Il punto è che anche la cultura è un'istituzione, e questa è sovrastruttrata ai rapporti di produzione e alla demografia.

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  4. Sul Fatto economico di ieri 31-08 un articolo dalla orrifica lucidità sulla tenuta della UE.
    L'emblematico titolo : Il mercato unico può salvare l'UE da se stessa. Dopo essermi preso la pena di leggerlo mi è balenato un titolo appena diverso ma a mio avviso più calzante : Solo TTip può salvare la UE.

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    1. Sono degli inguaribili romantici. Come Soros...

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    2. …la cui "filosofia" (testualmente) il Prodi dall' occhio inumidito elogiava

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  5. http://www.doppiozero.com/materiali/che-cosa-sognano-gli-algoritmi

    Non c'entra direttamente con l'obliterazione della memoria di masse consumatrici (anzitutto di informazione) mitridatizzate coi metodi Junker e Goebbels e coi cori all'unisono di stampa e tv sparaballe - seppure, a ragionarci su, il nesso s'intravede.

    Dividerei "quelli che non vogliono capire" in due categorie: gli idioti (e vi comprendo i mossi da malafede, interesse o apologia del mainstream come credenza fanatica da beghine, anteriore a ogni principio di realtà), e quelli che non POSSONO capire, le masse stravolte da indottrinamento pop.

    Fa orrore, quanto a stampa e tv, che la psicologia degli operatori (comunicatori, informatori, speakers, dettatori di o.d.g. ergo costruttori di news e prescrittori di temi da discussione con relativi clichés d'apoggio, "personalità autorevoli" - penso a un Daverio che esalta la Hartz IV anziché parlare di Antonello da Messina o Pinturicchio - e via defecando) - che la psiche di costoro, dicevo, si comporti esattamente come gli algoritmi dell'articolo cui rinvio, producendo gli stessi effetti.

    Terribile (e disgustoso).

    Pur impiegando il medesimo medium, Quarantotto e Bagnai (e il Pedante) si salvano in forza di quello che Sklovskij chiamava "principio di straniamento" (vedi ultimo post su Goofynomics, o la sintassi ardua del Presidente o insomma l'adozione di forme indipendenti dalla natura del medium) e soprattutto movendo, se non da un "sistema del mondo", da visioni e metodo coerenti, da un'epistemologia che tiene.

    Per questo sono loro debitore.

    Quanto al successo pratico, vedo solo l'immagine finale di un'altra distopia: quattro gatti clandestini in riva a un fiume, che si ripetono a memoria La Costituzione nella palude.

    Mio nonno me l'ha insegnato così, cosa fosse il fascismo (ed era fascista!).

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  6. In realtà l'ultimo capoverso lo è... :-)
    Mi riferivo all'oralità, al passaparola, alla discussione informale tra persone che si stimano - e, in tale dimensione, all'attendibilità di una parola sia pure "di parte" (il caso estremo essendo appunto mio nonno fascista, che ovviamente non c'entra niente con lei e Bagnai).
    E poi la dottrina, che davo per scontata, e quella che il Prof. chiama Cultura: qui ve n'è in abbondanza. Può non bastare, temo.

    E appunto, il penultimo passaggio invece viene da sotto pelle: mi guardo attorno, vedo, sento...

    Basculo tra ottimismo e disperazione, ma in fondo le mie impressioni soggettive contano niente.

    Forse è già molto salvarsi l'anima (con un supplemento d'impegno: le mie classi come l'orticello di Candide).

    È stando su Facebook, che mi scoro: come dicevo, quegli algoritmi impastano anche tg e talk. Golia oggi ha l'arma atomica...

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  7. Gentile Quarantotto,
    ad un certo punto lei dice che il sistema pensionistico è stato sbriciolato dall'€uro (cosa che a me proprio non sembra, anzi!)..ma in che senso?

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    1. Non ha letto con attenzione: in realtà lo ha affermato il prof.Alberto Bagnai. Peraltro, qui è argomento trattato anche in appositi post, DOCUMENTANDO COI DATI QUESTA EVIDENTE CONCLUSIONE.
      Può fare ina ricerca sul blog e capire perché...

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  8. Capita sovente in una particolare stagione della vita, assai appresso l'età nella quale "noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce", - dopo che il susseguirsi inesorabile dei lustri, le alterne fortune e le avversità dell'umana esistenza hanno infiacchito financo l'animo più risoluto - che l'individuo senta il desiderio inderogabile di una regressione nel mondo caldo e sicuro dell'infanzia, il vagheggiamento di un luogo che ci affranchi dal caos e dalle contraddizioni della società contemporanea: è il mito del "fanciullino" pascoliano presente in "un cantuccio dell'anima" di ognuno di noi, che si affaccia alle "cose del mondo" con stupore e aurorale meraviglia, come se fosse la prima volta.
    Così, di repente, quando la speranza parea oramai perduta e l'anima razionale preda delle angosce e delle dubbiezze più dilaceranti, ecco il miracolo!: il "fanciullino" s'è ridestato, urla, scalpita e prorompe in una risata fragorosa.
    Codesto "stato di grazia" - tanto gradito, quanto inaspettato a chi pensava di essere rotto ad ogni esperienza - ci è stato donato dalla godibilissima lettura di alcuni articoli di Flavio Felice.
    Docente di Dottrina Economica e politica presso la Pontificia Università Lateranense e presidente del think-tank "Tocqueville-Acton", il Felice - a cui porgiamo deferenti il nostro ringraziamento per un'azione sì meritoria - è dichiaratamente un ordoliberista convinto, che nutre una sorta di amore intellettuale e sublimato per Hayek, Von Mises, passando per Einaudi e Spinelli, e via continuando con tutta la brancata.
    Autore instancabile di saggi e articoli sulle virtù etiche del "libero mercato" - contrapposto alle accascianti oscitanze del totalitarismo statale patriottardo - l'economista cattolico fa parte di un milieu culturale che passa da Jesus Huerta de Soto, Michael Novak e Rocco Buttiglione (presenti nel comitato scientifico del T-A), per arrivare fino all'American Enterprise Institute, il think-tank neo-con(dom) per antonomasia, nel quale il Nostro è adjunt scholar.
    Consapevoli che la vera felicità non è tale se non è condivisa, riportiamo alcuni articoli che, ne siamo certi, procureranno gran sollazzo al fanciullino che s'asconde in voi:
    Dopo la Brexit serve un’Europa “nazione di nazioni"
    L’inclusione creativa che sconfigge le miserie
    Rifondare l’Europa sull’inclusione. Un riferimento sottovalutato di Francesco all’economia sociale di mercato
    Si consiglia di prestare particolare attenzione ai due articoli dedicati a Papa Francesco - uomo-sandwich del Washington Consensus e tenutario del Relais Cappella Sistina - dove il Felice, con un periodare dialetticamente asessuato e incline all'anacoluto, ci informa che la miseria si sconfigge con l'inclusione creativa,senza che la dipendenza e sudditanza dagli altri e dalle istituzioni stesse porti a mortificare ogni “soggettività creativa”.
    Dopo il successo del calendario "Un anno con Papa Francesco" è prevista l'uscita nei migliori negozi di Ha da passa' 'a nuttata con Papa Francesco, il kit di sopravvivenza per notti all'addiaccio.

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    1. Ahahahah! Siamo tornati alla vena umoristica dei bei tempi :-)
      Ma ti capisco; di fronte a "inclusione creativa" e "soggettività creativa" era impossibile astenersi...

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