mercoledì 31 agosto 2016

IL TASSAMETRO DELL'EURO: IL COSTO VERTIGINOSO DEL "DIFFERENZIALE CULTURALE".


https://seeker401.files.wordpress.com/2014/10/unnamed1.jpg?w=497&h=229
https://seeker401.wordpress.com/2014/10/25/the-trilateral-commission-and-technocracy/, già citato in KALDOR, KEYNES, CAFFE': LA TRILATERAL E LA COSTITUZIONE DEL LAVORO.

1. Dal post di ieri ritengo importante serbare, sempre "a futura memoria" questo commento di Arturo che ci riporta alle basi (più) fondamentali di quella che, un tempo, era la teoria generale sulla forma di Stato e dell'intero diritto pubblico coerente con la Costituzione del 1948 (che, in un rigoroso concetto della gerarchia delle fonti di diritto, è tutt'altra cosa rispetto a quella oggi "vigente" a seguito del vincolo esterno, della riforma "federalista" del Titolo V, del 2001, nonché dell'accumularsi delle sentenze della Corte costituzionale su questi temi. E stiamo parlando della Costituzione "al netto" delle modifiche ulteriori su cui saremo chiamati a decidere con il referendum...). 
In pratica, Arturo evidenzia un "differenziale" tra una cultura istituzionale attuale, che ci lascia totalmente impotenti nella difesa della Costituzione, e la scienza giuridica ed economica che, invece, era stata capace di affermarsi e di dare vita alla stessa Costituzione (del 1948):
"L'improponibile assimilazione dell'EU all'URSS presuppone l'equivalenza "interventismo = komunismo" (o almeno ≠ liberal-liberismo).
A confutare questa sciocchezza, non bastassero tutte le fonti già citate (da Ruini a Mirowski), aggiungiamo, per l'aspetto storico, il buon vecchio Giannini (Diritto pubblico dell'economia, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 26-31) e la sua analisi dello Stato liberale:
"La formula «non intervento» del pubblico potere è affermata, ma non svolta: dovrebbe essere principio vincolante per il legislatore; ma in realtà non lo è, perché la normativa designata a regolare i rapporti tra privati si arricchisce continuamente di norme imperative, come tali restrittive dell’autonomia privata (si consideri la sempre maggior disciplina normativa dei titoli di credito e dei contratti commerciali); si potrebbe intendere nel senso più ristretto, di vincolo per il legislatore a non adottare norme, sia pubblicistiche sia soprattutto di diritto privato, incidenti sui diritti di proprietà e d’impresa.”
Se però dalle teorie passiamo ai fatti, ciò che avviene nello Stato borghese si presenta come molto sconcertante, poiché la disciplina pubblica dell’economia anziché diminuire aumenta di dimensioni e si perfeziona negli strumenti tecnici e operativi.
In altre parole, finché Leroy Beaulieu riusciva, come economista, a farsi capire quando propo­neva la nota metafora «lasciar fare, lasciar andare», il giurista non ci riusciva quando parlava di principio di astensione.

(Questa l’ho trovata molto carina).

“Dunque, procedendo nella ricognizione, risulta che lo Stato borghese liberale passa intere province — se ci è lecita la metafora - dalla sfera privata a quella pubblica, e ciò non con atti episodici o temporanei, bensì seguendo idee organiche e adottando decisioni destinate a permanere, cioè, in termini oggi più usati, introducendo modificazioni di struttura.
Vi è però ancora di più: che quando si profilano difficoltà per l’economia, derivanti da congiunture internazionali, da eventi della natura, da turbative politiche interne, i pubblici poteri non hanno esitazione a porre in essere degli «interventi» di sostegno dei ceti di operatori economici in difficoltà.
“La vicenda ha formato oggetto di studio soprattutto da parte di sociologi e di economisti, e di note teorie; però ha anche un notevole rilievo giuridico, in quanto la decisione di intervento e l’intervento hanno un loro costo, che grava non sugli ausiliati dall’intervento, ma sull’intera collettività. 
E' quindi vero che la classe di potere trasferisce sulla collettività il costo dei propri conflitti interni.
La differenza stava, e sta, nella finalità dell'intervento, come diceva a suo tempo Mortati (e ripete praticamente negli stessi termini oggi il sunnominato Mirowski).

2. Come, storicamente tutto ciò abbia a che fare con la costruzione europea e l'euro, lo abbiamo a lungo analizzato. 
Riassumo l'attitudine culturale delle nostre elites, e i riflessi che essa ha dispiegato nella lunga vicenda di disattivazione della democrazia costituzionale, citando un precedente commento in risposta a Bazaar
"Non dobbiamo dimenticare che l'effettività del modello costituzionale - e quindi della piena occupazione all'interno del principio-cardine "lavoristico"- fu posta in contestazione nel dopo Costituente con grande spiegamento di mezzi.
La vicenda storico-economica italiana non può essere riletta prendendo a esempio, diciamo, operativo e paradigmatico, Basso o Mortati o, se vogliamo, - quanto alla comprensione dei principi fondamentali-, Calamandrei (per rimanere ai più grandi finora citati): le vicende che, notoriamente, seguirono al Piano Marshall nella sua applicazione italiana, non devono far dimenticare che:
a) l'Italia è un paese che si richiama alle sue capacità manifatturiere e "mercantilistiche" tradizionali, e in questo senso si spiega l'amore-odio per il modello economico tedesco (segnatamente ordoliberista);
b) che quest'ultimo fu appositamente promosso, nel dopoguerra, dagli USA come caposaldo di riferimento per rendere inattaccabile l'economia di mercato, oltre qualsiasi livello di concessione tattica al "sociale".

Non è dunque un caso, culturalmente, che ci sia stato il "1978" (e a fortiori il "1992"): anzi, all'opposto, una continuità prepotente, sfuggita alla comprensione della massa e persino combattuta con crescente mancanza di convinzione dal PCI, era stata fissata a Costituzione appena...sfornata e proseguita come revanche senza troppi tentennamenti (basti pensare che lo Statuto dei lavoratori arriva nel 1970 - e dalla lettura dei lavori della Costituente ciò "potrebbe" apparire clamoroso-, mentre, poi, le crisi petrolifere gli diedero poco tempo di "vitalità", prima di farlo divenire un elemento spurio e di colpevolizzazione incessante da parte di una classe dirigente inferocita. Fino al "regolamento" di conti odierno).
...
L'art.81, infine, come ben sappiamo, fu una mezza sconfitta per i neo-liberisti italici (certamente degli inguaribili nostalgici del "primo" De Stefani): la parola "indebitamento" come oggetto di divieto dovette attendere i deficit-caps ipotizzati dall'Atto Unico e da Maastricht. Cioè la crisi del sistema sovietico: neppure Einaudi sperava, prima di ciò, che si potesse "eccedere" nell'uso della leva monetaria per forzare la disoccupazione (e quindi sedare il "socialismo" contrario alla prevalenza del mercato) oltre certi limiti.
Perciò Mitterand (post elezioni francesi e non in campagna elettorale), il Consiglio del Castello sforzesco, e gli Andreatta, Amato, Ciampi e, naturalmente, Prodi sono stati così rilevanti: avevano una discesa davanti e la sfruttarono efficacemente.
Non così "efficientemente" in termini di (esplicita abrogazione della) Costituzione: ma a quel punto, per l'opinione di massa, e per la sovrastante "opinione pubblica", questo era divenuto un prezzo trascurabile.
Oggi addirittura un enunciato che la Corte costituzionale deve fare da sè oppure subire un'apposita legge costituzionale!"

3. Ma un'ottima focalizzazione sulla perdita irreversibile che deriva alla democrazia costituzionale, cioè a quella sostanziale, dall'adozione del vincolo esterno come "super-norma", e quindi, in termini molto concreti, dal protrarsi della vigenza della moneta unica, l'abbiamo incontrata in questa risposta di Alberto nei commenti al suo ultimo post:
"...E sai il problema qual è? Che ognuno porta con sé un pezzo di verità, con la sola eccezione di quei cialtroni che ci attribuiscono l'idea bislacca secondo cui l'uscita dall'euro risolverebbe tutti i problemi! Questa visione demagogica è propria di chi l'euro lo ha proposto (la frase "lavorerete un giorno in meno ecc." è verosimilmente apocrifa, o almeno non ne ho trovato la fonte, ma la sua intonazione demagogica, il mito irenico dell'eurone che ci protegge e ci dà la pace, la riscontriamo ogni giorno). 

Viceversa, uscirne non risolverà tutti i problemi (pur essendo condizione necessaria), e questo per due motivi che spesso sfuggono: il primo è quello evidenziato in questo post, ed è, se vogliamo, di ordine culturale. Capire che la chiusura di una strada va segnalata con una certa cura è dato che sfugge - e trent'anni di dominio belga non è che ce l'abbiano imposto né insegnato. Ci sarà da lavorarci. 
La seconda, più importante, riguarda il fatto che le istituzioni che sono state sbriciolate col cuneo del cambio fisso (dal sistema pensionistico a quello della contrattazione salariale) non si ricostruiscono in un giorno. Per questo sono particolarmente deluso dai colleghi che "usciamo a sinistra". 
In effetti, uscire a sinistra significa innanzitutto uscire il prima possibile, per il semplice motivo che ogni giorno di permanenza è un giorno in cui con la scusa della competitività si smantellano istituzioni che poi è difficile ricostruire, non fosse altro perché se ne è persa la memoria".

Naturalmente, aggiunta di neretto e sottolineatura, sono miei. Alberto ne sarà scontento, probabilmente. Ma non riesco a trovare un modo migliore per conservare la felice espressione di "quello che non vogliono capire".

martedì 30 agosto 2016

CRISI (?) UEM: IL METODO INTERGOVERNATIVO TRA LENIN, EINAUDI E I TERREMOTATI.

A fraught political climate discourages grand plans for integration

1. Il semplicistico articolo del Financial Times riportato in immagine, ha almeno il pregio di fotografare la realtà politica bloccata (in un'incombente tragedia) a cui ci ha condotto l'organizzazione internazionale denominata UE, contrabbandata come orientata a perseguire "la pace e la giustizia tra le Nazioni", secondo il mai applicato e verificato rispetto dell'art.11 Cost, sia in sede di ratifica del relativo trattato che di sindacato della Corte costituzionale. 
Traduco l'estratto dal FT sopra riportato, con opportuni commenti esplicativi (linkati):
"Nel lungo termine, la supremazia dei governi nel sistema UE minaccia ulteriori seri problemi. 
Risulta in rigidi limiti "de facto" a ulteriori passi (ndr.; come se gli automatismi fiscali e i divieti di solidarietà interstatale, - tipici dell'ordoliberismo alla base delle fondamentali norme dei trattati: cioè la FORMIERTE GESELLSCHAFT di Erhard, tanto ammirata da Einaudi-, non fossero una ben evidente previsione "di diritto" verso una più stretta integrazione economica, finanziaria e politica che devono intraprendere i 19 dell'eurozona, prima o poi, se la valuta unica deve sopravvivere (ndr.; sempre con la sua rozzezza, che ignora il contenuto del trattato, il FT "dimentica" che il compimento della "integrazione", in senso hayekian-monnetiano in queste materie, sarebbe invece un autentico vanto dei propugnatori dell'UE). 
Si indurisce come permafrost il disaccordo sui deficit di bilancio e altri aspetti di politica economica che separano la Germania e i suoi supporters, da una parte, da Francia, Italia e i loro sostenitori, dall'altra (ndr.; anche questa contrapposizione è frutto di una grossolana semplificazione, smentita dalle politiche francesi, del tutto scoordinate da quelle degli altri paesi "mediterranei"). 
Infine, rende politicamente irrealistica la revisione dei trattati UE (ndr.; vero, ma per ragioni molto diverse da quelle adombrate dal FT)." 

2. Ma perché il Financial Times ce l'ha tanto col "metodo intergovernativo" che è la fisiologia delle organizzazioni internazionali e che, volutamente, non è superabile in un'organizzazione internazionale dichiaratamente "neo-liberista" e liberoscambista allo stato più puro?
Chissà se il FT pubblicherebbe e, prima ancora, avrebbe le "risorse culturali" per comprendere un'argomentazione profetica e difficilmente obiettabile come quella avanzata da Bazaar nel riproporci il pensiero di Lenin (oddio! "Comunisscta!", contro la "libbbertà!" e la "proprietà!"):
In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un accordo per la spartizione delle colonie. Ma in regime capitalistico non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la forza. Il miliardario non può dividere con altri il "reddito nazionale" di un paese capitalista se non secondo una determinata proporzione: "secondo il capitale" (e con un supplemento [l'aumento di produttività a favore dei profitti!, ndr], affinché il grande capitale riceva più di quel che gli spetta). Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione e l'anarchia della produzione [ovvero privatizzazioni e anarco-liberismo, ndr]. Predicare una "giusta" divisione del reddito su tale base [parla di quota solari? quella compressa da sme ed euro?, ndr] è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può dividere se non "secondo la forza". È la forza che cambia nel corso dello sviluppo economico.
3. Come tutto questo si rifletta nel programmatico totalitarismo neo-liberista, del tutto estraneo alla rozza vulgata dell'assimilazione a un'improponibile EURSS, lo abbiamo visto qui, pp.7-10  (e non fa mai male ripeterlo). 
Come ci conferma l'Einaudi delle "Prediche inutili" a commento favorevole del disegno di Erhard, (p.9):
“La stabilità della moneta non vive da sé. Viga il sistema aureo o quello della moneta regolata, affinché ad esempio il principio del mercato comune europeo duri, occorre (p. 172), come in passato per il regime aureo, non ricchezza o forza, ma solo la modesta nozione che né uno stato né un popolo possono vivere al disopra delle «proprie condizioni ».
O il mercato comune sarà liberista o correrà rischio di cadere nel collettivismo (p. 208):
Nel mercato comune... o si fa strada lo spirito del liberismo ed avremo allora un’Europa felice, progressiva e forte, o tentiamo di accoppiare artificiosamente sistemi diversi ed avremo perduta la grande occasione di una integrazione autentica. Una Europa dirigisticamente manipolata dovrebbe, per sistema, lasciar paralizzare le forze di resistenza contro lo spirito del collettivismo e del dominio delle masse, e illanguidire il senso di quel prezioso bene che è la libertà.
La politica di armonizzare, uguagliare, compensare è (p. 208): quanto mai pericolosa... Lo sviluppo tendenzialmente inflazionistico in alcuni paesi (con rigidi corsi dei cambi!) è da riferire, non da ultimo, anche alla concessione di prestazioni sociali superiori alle possibilità di rendimento dell’economia nazionale.

3. Dunque, il discrimine che rende improponibile qualsiasi accostamento dell'UE all'URSS, è la sua matrice neo-ordo-liberista che determina, come obiettivo inderogabile, la "pianificazione" di uno smantellamento dell'intervento statale, (costituzionalmente orientato), "inammissibilmente" volto a garantire l'equilibrio socio-economico, cioè temperando l'accentramento del potere istituzionale nelle oligarchie. 
Da qui, nella verità storica, l'interventismo normativo minuzioso e accanito, con cui si è imbrigliata non certo l'economia oligopolistica finanziaria dominante, - le cui lobbies governano a Bruxelles, incontrollate e incontrollabili, il processo normativo UE-, ma l'azione degli Stati nel perseguire l'interesse sovrano delle rispettive comunità nazionali: in nome del mercato comune "liberista" e della "integrazione autentica" (che il FT non comprende o fa finta di non comprendere).
4. Questo imbrigliamento tecnocratico e copiosamente normativo, funzionale alla disattivazione degli Stati, affinché nessuno si permetta, neo-liberisticamente, di "vivere al di sopra delle proprie condizioni", trova conferma nell'analisi, - compiuta da una fonte USA rimasta "umana"-, delle "chances" che NON ha mai avuto l'Italia di svolgere politiche di prevenzione e messa in sicurezza del proprio territorio, - e dei suoi valori artistici, antropologici e culturali (una risorsa molto più "produttiva" di quanto non possa comprendere un tecnocrate del Nord €uropa, e non solo dal punto di vista turistico). 
Sentite questo schematico, ma crudamente realistico, quadro ricostruttivo svolto dall'ultimo bollettino dell'EIR- Executive Intelligence Review, n.35 del 1° settembre 2016 (fonte già qui citata in precedenza). Lo facciamo precedere dall'andamento degli investimenti pubblici in Italia, tratto da fonte governativa su dati Bankitalia: si vedono dei picchi per le "ricostruzioni" post terremoto de L'Aquila, - e, di già, ben minori dopo quello di Reggio-Emilia del 2012: ma era già arrivato Monti e vuol dire che, complessivamente, se ne tagliarono massicciamente altri. Ma tali episodici picchi risultano simmetrici a quelli negativi, da €uro-austerità, che precedono le immancabili "sciagure": 
http://www.programmazioneeconomica.gov.it/wp-content/uploads/2015/05/6.51.png 
Il sisma che ha colpito le province di Rieti e Ascoli Piceno, causando 291 vittime e 2500 sfollati, è un dramma e una denuncia delle politiche di bilancio dell'UE.
Se negli anni fossero stati fatti i necessari investimenti, oggi non ci sarebbero vittime da piangere. Ad Amatrice non tutti gli edifici sono crollati; quelli costruiti con criteri antisismici o messi in sicurezza sono rimasti in piedi. A Norcia, più o meno equidistante dall'epicentro, non è crollato alcun edificio e non ci sono state vittime, perché dopo il sisma del 1997 sono stati fatti gli investimenti necessari.
Un piano antisismico nazionale è all'ordine del giorno da decenni, ma un governo dopo l'altro non hanno fatto che promesse. Se vogliamo un colpevole, va ricercato nella politica di bilancio imposta all'Italia in maniera esasperata dopo il 1992, ma già adottata precedentemente in maniera progressiva
E' stato calcolato che negli ultimi quarant'anni sono stati spesi 150 miliardi per la ricostruzione e solo un miliardo in prevenzione
Secondo Armando Zambrano, presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, ne basterebbero meno, cento miliardi, per mettere in sicurezza gli edifici nelle zone a rischio.
I tagli al bilancio hanno anche portato ad un'incredibile riduzione delle facoltà universitarie di geologia, indispensabili per una mappa del territorio. Da ventinove nel 2010, sono ridotte a otto oggi, a causa di una legge che impone di sciogliere tutte quelle con meno di quaranta docenti.
La ricerca sui precursori invece non ha subìto tagli, perché non è stata mai finanziata. Questo campo di ricerca è molto promettente. Anche se oggi non siamo ancora in grado di prevedere i terremoti, gli scienziati sono fiduciosi che un sistema multiparametrico potrà, nel futuro, permettere di prevederne con esattezza almeno alcuni tipi.
Ad esempio, già è possibile stabilire una correlazione tra l'emissione di gas Radon e gli eventi sismici. Giampaolo Giuliani ha rilevato un'emissione anomala di Radon circa venti giorni prima del terremoto, così come aveva fatto in precedenza del terremoto dell'Aquila. Allora egli fece l'errore di sbilanciarsi in una previsione, sbagliando l'epicentro. Se le autorità lo avessero ascoltato, avrebbero evacuato gli abitanti di Sulmona, trasferendoli forse proprio a l'Aquila. 
Stavolta, Giuliani ha pubblicato i dati sulla pagina FB ma si è guardato bene dal fare una previsione. Tuttavia, le emissioni di Radon sono un parametro chiave, e la ricerca va incoraggiata nel quadro di un sistema che includa molti altri parametri, compresi quelli rilevabili dallo spazio.
Lo scienziato russo Sergej Pulinets ha pubblicato sul suo sito FB alcuni nuovi parametri, chiamati "correzione del potenziale chimico", misurati dallo spazio, relativi al terremoto di Amatrice. Essi mostrano un picco undici giorni prima del sisma.www.facebook.com/Planet-from-Space-1191425220883300/"
Pulinets si ripromette di avere un quadro più completo da presentare all'assemblea della Commissione Sismologica Europea che si terrà il 4 settembre a Trieste.
Il prof. Pier Francesco Biagi dell'Università di Bari, un pioniere della ricerca italiana sui precursori, ha dovuto chiudere i tre rilevatori che aveva sul territorio nazionale per mancanza di fondi. Un quarto, chiuso in precedenza e mandato in Romania per lo stesso motivo, era situato ad Antrodoco, a trenta chilometri dall'epicentro del sisma.
Biagi chiede da tempo un centro di ricerca nazionale, ma i suoi appelli sono rimasti inascoltati. All'indomani del sisma dell'Aquila, il 20 agosto 2009, egli pubblicò una nota in cui svolgeva due considerazioni: sono in errore - egli scrisse - sia quei singoli ricercatori che propongono, a qualunque livello, previsioni sismiche, aveva aggiunto che sono altresì in errore quei ricercatori che sostengono che la previsione dei terremoti è impossibile.
"I risultati ottenuti negli ultimi vent'anni hanno rivelato che la previsione di un terremoto non è possibile in assoluto. Quando le ricerche in questo campo avranno definito meglio le tecniche e il grado di attendibilità una qualche previsione potrà essere fatta con successo anche se non ovunque e non sempre. In ogni caso dovrà essere definita un'Istituzione statale a questo preposta".
La parola chiave è ancora "nazionale". Per questo, l'Italia non deve chiedere a nessuno la "flessibilità" di varare un programma per la salvezza delle vite dei suoi cittadini, ma se la deve prendere in piena sovranità".

5. Così è andata: da Maastricht in poi, tra criteri di convergenza e privatizzazioni per ottenere gli avanzi primari di bilancio, non c'è stato scampo per le popolazioni minacciate: la prevenzione operativa, pianificata mediante impulso alla ricerca pubblica e realizzata con precisi interventi di spesa pubblica sul territorio, era divenuta "vivere al di sopra delle proprie possibilità".
La "parodia dell'incubo del contabile", cioè l'integrazione "liberista", senza alternative, (politica, finanziaria, fiscale e, soprattutto, monetaria...alla faccia del FT),  aveva preso il sopravvento.

domenica 28 agosto 2016

GRANDI DISASTRI, PACE E CORRUZIONE: SPINELLI E HAYEK €NUNCIANO LA VIA




1. Com'è ormai tradizione del blog, riteniamo molto utile fissare alcune informazioni che dovrebbero essere incorporate nella comprensione consapevole del momento storico, e del ciclo economico che stiamo vivendo, per come emergono dai commenti e in raccordo a precedenti post. 
Questa volta, come in molte alter occasioni, diamo il dovuto risalto a vari interventi di Arturo (che sempre ringraziamo...).
Il primo riguarda la reale visione di Spinelli sulla costruzione €uropea, ritraibile da un discorso (del 1985) che, nell'attualità, - e quando le dinamiche che erano auspicate esplicitamente (e implicitamente ma necessariamente) nel "Manifesto" si sono consolidate in modo coerente -, costituisce una sorta di interpretazione autentica dell'ideologia e della prassi politica concepita a Ventotene. 
Un tale carattere ne consiglia la lettura integrale e con attenzione, specie per quei lettori che dispongono del quadro critico che emerge dal complesso del blog.
"Sapendo evidentemente di essere fra amici, il nostro si lascia andare a un'inconsueta dose di sincerità:  
"Ci sono essenzialmente due metodi che sono contemporaneamente in opera; c'è il tentativo che fa perno intorno alla Comunità e a tutti i suoi successi ed insuccessi, e c'è il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli europei. E c'è contemporaneamente il tentativo di un'Europa che sia fatta dagli americani. E vorrei che non ci sdegnassimo inutilmente, e in fondo non seriamente, di questa seconda alternativa. L'unità imperiale sotto l'egida americana è certo anche assai umiliante per i nostri popoli ma è superiore al nazionalismo perché contiene una risposta ai problemi delle democrazie europee, mentre il ritorno al culto delle sovranità nazionali non è una risposta.".
Ohibò. Ma l'Europa unita non doveva essere contraltare dell'Amerika? (Che però stranamente la finanziava...).
Niente paura: grazie a una volontaristica Umwälzung (rovesciamento) sarà proprio così: 'st'Europa antiamerikana gliela facciamo sotto il naso coi loro soldi. Che gonzi questi yankee!
"L'unità fatta dagli europei è in realtà la sola, vera alternativa all'unità imperiale. Il resto è schiuma della storia, non è storia. Le due forme stanno procedendo insieme e noi le vediamo sotto i nostri occhi; e guardate, non si può abolire l'una nella misura in cui si sviluppa l'altra. Perché l'una corroderà alla lunga l'altra; ma è attraverso queste due che l'Europa va muovendosi. Sta di fatto che nella misura in cui non si sviluppa o regredisce una di queste forme, si sviluppa l'altra."
E le polemiche sullo storicismo, e l'accusa alla dialettica di essere impostura intellettuale...?
Se mai servisse un'esemplificazione della definizione di europeismo come "aborto dell'imperialismo", eccola qui. Senza parole."

2. Aggiungo, a raccordo dei due passaggi, la citazione di questo ulteriore e intermedio tratto dallo stesso discorso, che conferma l'idea che i cittadini, disgustati dallo Stato-nazionale-brutto, sarebbero favorevoli agli USE senza stare troppo a sottilizzare, e che, perciò, devono essere condotti (irreversibilmente) a pensare che nessun problema e nessuna salvezza possano avere soluzione sine €uropam: una convinzione che, oggi, in tempi di interrogativi angosciosi sulle possibilità finanziarie di una qualsiasi ricostruzione post-terremoto, o dopo un'alluvione, o anche solo per mantenere una parvenza di SSN conforme all'orrendo e nazionalista art.32 della Costituzione, mostra la sua potenza persuasiva orwelliana: 
"Suppongo che voi siate senz'altro per un'Europa fatta per gli europei e dagli europei; e vorrei che ci chiedessimo dove sta l'ostacolo maggiore. Facciamo attenzione, perché è un ostacolo un po' diverso da quelli che si incontrano di solito nella vita politica. 
Praticamente non è nel mondo economico; il mondo economico è aperto, in momenti più difficili è un po' più timoroso, in momenti di sviluppo più coraggioso; ma il mondo economico, in genere, è aperto. Non è nel mondo culturale
Non è nel mondo politico
Non c'è nella coscienza media dei cittadini una grossa resistenza ed infatti tutti i sondaggi che periodicamente si fanno in Europa -ad eccezione della Danimarca che si chiude in sé stessa- dimostrano che in tutti i Paesi, anche in quelli che si dice siano i più reticenti, la maggioranza è favorevole alla costruzione europea. 
L'ostacolo, il vero ostacolo sono le grandi amministrazioni nazionali, che gestiscono buona parte del potere anche politico, che sono fatte per gestire politiche nazionali, ed in particolare le diplomazie che sono fatte per determinare se e in che misura occorre cooperare con altri Stati, mantenendo però la gestione delle politiche in mano ad esse stesse. 
Le amministrazioni riescono ad essere dominate dalla direzione politica se questa ha grandi e forti visioni di quel che si deve fare, delle riforme da introdurre e via dicendo. 
Ma se le ideologie si riducono a come sono ridotte oggi, a poco più che slogan per i piccoli militanti così necessari ai grandi partiti per le grandi occasioni elettorali, se prevale il desiderio di andare al potere per gestirlo così come è -sia pure dichiarando che si vogliono fare altre cose fino al momento in cui si arriva al governo- quando si arriva al governo si gestisce quel potere. Allora il peso culturale e pratico delle amministrazioni pubbliche è enorme ed è quasi insormontabile ed ha per sua natura un'influenza immobilizzante e conservatrice".
3. Insomma, dotare di risorse - che l'€uropa non darà mai (e ci torneremo!) e anzi vuole siano ridotte al pareggio di bilancio funzionale allo "Stato minimo" hayekiano- l'intervento pubblico solidale e per i più essenziali bisogni sociali della comunità nazionale, come prevede la Costituzione democratica del 1948, è roba "immobilizzante e conservatrice"
Il "mondo economico", ma guarda un po', non è di ostacolo; e nemmeno il "mondo culturale". 
C'è da supporre che oggi Spinelli sarebbe abbastanza soddisfatto, dato che questi due mondi tendono a coincidere, e i "cittadini" ne sono l'hayekiana conferma, in termini di opinione di massa €uroconforme. Pur se, magari, adombrato da qualche incidente di percorso come la Brexit e i "partiti populisti" da rieducare. Ma l'efficacia del processo €uropeo, come sappiamo, ha avuto ben altri e più pragmatici elaboratori, diciamo Robbins, Monnet, Amato, meno brutali e più efficaci di Spinelli nel raggiungere i risultati auspicati.
Basti segnalare come, - con questa "sottigliezza" del distinguere, in termini addirittura di possibilità di scelta "liberale" (!), tra USE promossi dal modello imperiale americano ovvero dal presunto spontaneismo entusiastico dei "popoli" alla ricerca della "pace" (liberati dalle orride burocrazie nazional-sovrane e pronti ad abbracciare senza resistenze il mercato del lavoro privo del deprecabile "sezionalismo" della tutela sindacale)-, Spinelli non si sia poi curato di una qualche...contraddizione circa effetti geo-politici che non si potrebbero non definire "imperialisti" o, se non altro, molto poco pacifici



4. Ma non si può dimenticare Hayek, che i links finora inseriti ci attestano, in base a fonti dirette, come l'ideologo di riferimento di questa bella costruzione di pace. 
Dal più specifico di questi link (in specie al post sempre di Arturo), ricaviamo una premessa sulla "pace":  la pace si raggiunge mediante la rimozione delle cause del conflitto bellico; questo, nella condivisa visione di Hayek e Ventotene, sarebbe determinato dall'esistenza stessa degli Stati nazionali e della loro tendenza a pianificare le politiche economiche nell'interesse della comunità nazionale; la soluzione è un governo mondiale, (di cui gli Stati uniti d'europa sono una tappa ma non il fine ultimo), che assorba irreversibilmente gli Stati ed elimini ogni possibilità di politiche sovrane di cura dell'interesse dei popoli su base nazionale. 

L'eliminazione di queste politiche nel quadro del governo mondiale, si afferma attraverso il "free-trade", massima espressione di pacifismo (!) e di mondo autodisciplinato da regole di pura condotta”, uniche garanti degli interessi generali, laddove, lo Stato, ogni possibile Stato nazionale, "altera il mercato a favore di interessi particolari" (qui si ha la perfetta coincidenza tra il "Manifesto" ventotetiano e quanto Hayek afferma in “The Economic Conditions of Interstate Federalism,” New Commonwealth Quarterly, V, No.2 (September, 1939), ristampato in F. A  Hayek, Individualism and Economic Order, Chicago, Chicago Press University, 1948, pp. 255–72).

5. Il risultato in termini di "giustizia sociale" non è affatto una preoccupazione, di fronte a tanta fede nella democrazia automatica garantita dai "mercati" (il "mondo economico" che non...si oppone: e ci mancherebbe!).
I federalisti €uropei risultano, giova ripeterlo, sostenuti dalla forza finanziaria degli USA, è un fatto ampiamente documentato. Riassunto storico: L’Unione Europea è sempre stata un progetto americano. E’ stata Washington a guidare l’integrazione europea alla fine degli anni ’40, e a finanziarla di nascosto sotto le amministrazioni Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson e Nixon.
Non c’è mai stata una strategia divide et impera.
La Dichiarazione Schuman che ha dato il tono alla riconciliazione franco-tedesca – e avrebbe portato a tappe verso la Comunità Europea – è stata cucinata dal segretario di Stato Dean Acheson in una riunione a Foggy Bottom. “Tutto è cominciato a Washington”, ha detto il capo dello staff di Robert Schuman.
E’ stata l’amministrazione Truman ad intimidire i francesi per far loro raggiungere un modus vivendi con la Germania nei primi anni del dopoguerra, anche minacciando di tagliare il piano Marshall in un furioso incontro con i recalcitranti leader francesi nel settembre 1950.
Il movente di Truman era evidente. L’accordo di Yalta con l’Unione Sovietica si stava incrinando. Voleva un fronte unito per scoraggiare il Cremlino da un’ulteriore espansione dopo che Stalin aveva inghiottito la Cecoslovacchia, a maggior ragione dopo che la Corea del Nord comunista aveva attraversato il 38 ° parallelo invadendo il Sud.
Per gli euroscettici britannici, Jean Monnet (ritratto nell’immagine di copertina, ndVdE) aleggia nel pantheon federalista, eminenza grigia della malvagità sovranazionale. Pochi sono consapevoli del fatto che Monnet ha trascorso gran parte della sua vita in America, e che ha servito come gli occhi e le orecchie di Franklin Roosevelt in tempo di guerra.
Il Generale Charles de Gaulle pensava che fosse un agente americano, come del resto era, in senso lato. La biografia di Monnet a cura di Eric Roussel rivela come egli abbia lavorato a braccetto con le amministrazioni successive.
Il generale Charles De Gaulle fu sempre molto sospettoso dei moventi americani
E’ strano che questo imperioso studio di mille pagine non sia mai stato tradotto in inglese dal momento che è il miglior lavoro mai scritto sulle origini della UE.
Né molti sono a conoscenza dei documenti declassificati degli archivi del Dipartimento di Stato che mostrano che lo spionaggio degli Stati Uniti ha finanziato di nascosto il movimento europeo per decenni, e ha lavorato in modo aggressivo dietro le quinte per spingere la Gran Bretagna nel progetto.
Come ha riportato per primo questo giornale quando il tesoro è stato reso disponibile, un memorandum del 26 luglio 1950 ha rivelato una campagna per promuovere un Parlamento europeo a tutti gli effetti. È firmato dal Generale William J. Donovan, capo dell’Office of Strategic Services (OSS) americano al tempo di guerra, precursore della Central Intelligence Agency (CIA).
La facciata chiave della CIA è stato l’American Commitee for United Europe (ACUE) [Comitato Americano per l’Europa Unita, ndT], presieduto da Donovan. Un altro documento mostra che nel 1958 questo organismo ha fornito il 53,5 per cento dei fondi del Movimento europeo. Il consiglio direttivo includeva Walter Bedell Smith e Allen Dulles, direttori della CIA negli anni Cinquanta, e una casta di funzionari ex-OSS che si si muovevano dentro e fuori dalla CIA.
I documenti dimostrano che l’ACUE ha trattato alcuni dei ‘padri fondatori’ della UE come braccianti, e ha attivamente impedito loro di trovare finanziamenti alternativi che avrebbero spezzato la dipendenza da Washington.
Non c’è nulla di particolarmente malvagio in questo. Gli Stati Uniti hanno agito astutamente nel contesto della guerra fredda. La ricostruzione politica dell’Europa è stata un successo strepitoso.
6. E se si gode di cotanti costanti e risalenti appoggi, si può benissimo ignorare, nel senso di non esplicitare a qualsiasi costo, che l'obiettivo reale fosse quello indicato da M.S.Giannini: lo Stato monoclasse”, caratterizzato cioè dalla concentrazione del potere nelle mani di una ristrettissima oligarchia che poteva scaricare sulla maggioranza della popolazione, lavoratori in primis, i costi dell'instabilità che il regime economico più conforme ai loro interessi provocava. 
Ce lo dice Eichengreen, con grande chiarezza (in Globalizing Capital, Princeton University Press, New Jersey, 2008, pag. 2). Supponendo infatti che la pace sia l'assenza di Stati nazionali, cioè il super-Stato mondiale dedito al free-trade globale, la moneta unica mondiale è la soluzione "vincolo" per questa idea di pace
E la moneta unica del free-trade mondiale deve ricalcare il gold-standard, sempiterno strumento di maintenance di cambi fissi tra le varie aree dell'intero orbe terracqueo. Ve lo traduco dal citato post di Arturo:
"Ciò che era cruciale per il mantenimento dei tassi di cambio fissi,.., era la "protezione" dei governi dalla pressione esercitata nel senso di sacrificare la stabilità dei cambi ad altri obiettivi (ndr; di ordine socio-economico; parliamo di livelli dell'occupazione e dei redditi delle "conservatrici" e guerrafondaie schiere di lavoratori).
Vigendo il  gold standard del diciannovesimo secolo, la fonte di tale protezione era l'isolamento (ndr; della valuta) dalle politiche domestiche. La pressione esercitata sui governi del ventesimo secolo nel senso di subordinare la stabilità valutaria ad altri obiettivi non era una caratteristica del mondo ottocentesco.
Poiché in quel contesto il diritto di voto era limitato, i lavoratori comuni che soffrirono al massimo grado dei tempi duri, erano miseramente posizionati a resistere agli incrementi dei tassi di interesse adottati dalle banche centrali per difendere i cambi fissati.
Né i sindacati né i partiti politici si erano sviluppati al punto che i lavoratori potessero insistere che la difesa del tasso di cambio fosse temperata dalla ricerca di altri obiettivi politico-economici. La priorità annessa dalle banche centrali alla difesa dei tassi prefissati nel gold standard rimaneva fondamentalmente incontestata. I governi erano perciò liberi di intraprendere qualunque misura volessero per difendere i propri currency pegs
.
Insomma, l'800 dell'europa colonialista e liberoscambista, rimane un mondo ideale, sede di pace e di giustizia universali, a cui non c'è alternativa...in ogni possibile concezione del futuro.

7. Si comprende, perciò, l'importanza del movimento €uropeista, specialmente nello scenario dell'idea conservativa del "libero mercato" che agitava gli USA rispetto al quadro europeo post-bellico, rispetto al difficile compito di dover disattivare il ruolo del suffragio universale (e il formale allargamento della base democratica), usando lo strumento dell'attribuzione dell'etichetta della "pace".  
La pace come "bene superiore" a cui si può e si deve sacrificare il controverso "bene" della democrazia.
Questa suggestione emotiva e psicologica di massa, ben sfruttabile nell'Europa reduce dalla gigantesca guerra civile del 1939-1945, in una gigantesca operazione propagandistica giunta al suo culmine ai nostri giorni, risulta perciò abilmente innestata, con varie e improbabili circonlocuzioni politico-economiche, su obiettivi di sostanziale ripristino di assetti istituzionali propri di un capitalismo ottocentesco (aggiungendo la più volte segnalata tattica della "gradualità", cioè della trasformazione strisciante del quadro delle democrazia sociali inavvertita dalle masse).
Da qui, se siamo riusciti a mettere insieme i vari "puntini" in modo sufficientemente chiaro, l'equazione "Europa"="Stati Uniti d'europa verso il governo mondiale unico"="moneta unica"="pace".

8. Le "circonlocuzioni", spesso risibili dal punto di vista logico e scientifico, che animano i federalisti €uropei (in conto terzi, siano questi gli stessi finanziatori USA, siano, comunque, le oligarchie beneficate dal neo-Stato "monoclasse" sovranazionale), trovano peraltro un appoggio economicistico autorevole in Hayek. Del quale abbiamo parlato in molte occasioni (i links sono inseriti anche nella prima parte di questo post), ma che costituisce un pozzo inesauribile di legittimazione di qualsiasi misura e soluzione adottata in chiave europeistica per la "pace". Dal nucleo fondamentale del suo pensiero, discendono come corollari i più dettagliati elementi dello scenario socio-economico che siamo oggi "vincolati" a vivere in ogni occasione.
Ed è qui che vale la pena di riportare l'ulteriore recente contributo di Arturo che ci dà la misura dettagliata ed attuale dei problemi che paiono divenuti irrisolvibili, una volta che la pax €uropea e il suo ottocentesco oligarchismo sono divenuti paradigma culturale di massa praticamente irremovibile (incluso il problema della "ricostruzione" post terremoto". 
Il brano riportato di Hayek, nel criticare come inaccettabili tutti i pubblici interessi (differenziati da quello dell'ordine naturale del mercato) perseguiti dallo Stato nazionale democratico, ci rende conto dell'importanza, per i "federalisti", del processo decisionale governativo svincolato dalle pressioni elettorali della "maggioranza", dell'importanza annessa a un concetto estesissimo di "corruzione", e della stessa diffidenza instillata verso lo Stato pluriclasse, visto come marcio organismo che vive di ricatti e di politiche inevitabilmente distorsive a favore di "malcontenti" pigri, riottosi e furbacchioni:
"Hayek, che non delude mai, offre elementi chiarificatori anche stavolta:
"La discriminazione per assistere i più sfortunati non sembrava vera discriminazione. (Recentemente si è coniato il termine senza senso di "meno privilegiati" per mascherare tale discriminazione.) Per mettere in una posizione materiale più eguale gente inevitabilmente molto diversa nelle condizioni dalle quali in gran parte dipende il loro successo nella vita, è necessario trattarle in modo ineguale.
Tuttavia, rompere il principio di eguale trattamento sotto l'impero della legge anche per motivi caritatevoli, aprì inevitabilmente le porte all'arbitrio, e per mascherarlo ci si affidò alla formula "giustizia sociale"; nessuno sa precisamente a cosa si riferisca tale termine, ma proprio perciò servì da bacchetta magina per spezzare tutte le barriere, in favore di misure parziali. Dispensare gratifiche a spese di qualcun altro che non può essere identificato facilmente, divenne il modo più facile per comperare l'appoggio della maggioranza
Tuttavia, un governo o un Parlamento che diventi un'istituzione benefica si espone inevitabilmente al ricatto
Spesso non è più un "compenso" ma diventa esclusivamente una "necessità politica" determinare quali gruppi devono essere favoriti a spese di tutti.
Questa corruzione legalizzata non è colpa dei politici; essi non possono evitarla se vogliono guadagnare posizioni in cui poter fare qualcosa di buono; diventa una caratteristica intrinseca di ogni sistema in cui l'appoggio della maggioranza autorizza misure speciali per soddisfare particolari malcontenti."
(Hayek, Legge, legislazione e libertà, EST (Il Saggiatore), Milano, 2000, pag. 477). Come per esempio il "malcontento" dei terremotati.
Quindi ogni deviazione dall'uguaglianza formale e dall'allocazione di mercato è corruzione. La solidarietà è corruzione. Corollario è che dev'essere politicamente neutralizzata ogni comunità in grado di alimentarla, cioè di rendere accettabile agli occhi delle maggioranze che venga favorito qualcuno (pongasi: i terremotati) "a spese" di tutti, "inganno di cui gli agenti degli interessi organizzati hanno imparato molto bene a sfruttare l'efficacia." (Ibid., pag. 295).

L'universalismo à la Hayek dev'essere quindi inteso non come un allargamento della solidarietà a tutti, ma come uno svuotamento di quella limitata, ma effettiva, che già esiste o può esistere:  
"Può a prima vista sembrare paradossale che il progresso della morale porti a una riduzione delle obbligazioni specifiche verso gli altri; tuttavia deve augurarselo chiunque crede che il principio del trattamento uguale di tutti gli uomini, il quale è probabilmente l'unica possibilità per mantenere la pace, è più importante dell'aiuto speciale alla sofferenza tangibile".

giovedì 25 agosto 2016

AMATRICE ERA UN BORGO ITALIANO, MOLTO ANTICO (SUMMA VILLARUM). MA ORA C'E' LA "SOLIDARIETA'" €UROPEA

1. Non farò un vero e proprio post sul terremoto nel centro d'Italia: vi darò delle tracce da seguire.
Anzitutto rinvio al post di Alberto su Goofynomics: conscio del fatto che molti di voi lo avranno già letto.
Sottolineo che, ad esempio, come da titolo, l'antichissima Amatrice fu già colpita da eventi simici: ma nel '600 fu possibile ricostruirla e portarla di nuovo in vita. Non seguendo le norme antisismiche, al tempo non esistenti, ma almeno fu ricostruita. E anche restaurata in ciò che di più antico vi era.

http://www.visitlazio.com/documents/563196/597231/amatrice_8.JPG/6846efb0-72fa-43cf-86ff-cd76a7c7f90e?t=1392130270963?t=1392123070963&imageThumbnail=3

Con la "Grande Società" €uropea, dichiaratamente governata dai "mercati", di ciò c'è molto da dubitare, vista anche l'esperienza de L'Aquila.
Quest'ultima, pur essendo un capoluogo di regione, e potendo quindi contare sulla localizzazione "istituzionale" di uffici pubblici, statali e regionali, si trova nella situazione di città ricostruita in tempi tali - un processo che durerà ancora 10 anni-, che il suo destino rimane segnato dal concomitante svilupparsi antropico della irr€versibile crisi economica italiana:  
"La città ha avuto uno sviluppo molto forte quando è diventata capoluogo di regione, quando si è sviluppata l’università e con l’arrivo delle multinazionali sostenute dalla Cassa del Mezzogiorno. 
Quando c’è stata la scossa già c’era stata la deindustrializzazione, la digitalizzazione aveva colpito la città amministrativa, l’università era in una fase di stallo.
...La città fisica ora è il doppio della città sociale. All’Aquila potrebbero abitare 150 mila persone, gli abitanti però sono appena 70 mila.
...Il primo problema è mettersi con attenzione a decidere che città fisica si vuole. Quelle sono scelte irreversibili perché non si può poi abbattere le case costruite. Il punto di partenza della riflessione però deve essere nazionale, visto che la ricostruzione la paga l’Italia. A oggi la città sociale e quella economica possono essere travolte dalla città costruita. Basti considerare le case che sono state edificate e che ora sono vuote."

2. Ma quale punto di vista "nazionale" si può assumere nell'ambito del vincolo €sterno che sta lentamente togliendo la ragion d'essere stessa di ogni vitalità del territorio?




3. Aggiungo, poi, altri tweets dotati di links che mi pare giusto segnalarvi.
Su come sia stata riformata la Protezione civile in tempi di pareggio di bilancio e di "la presente legge non comporta nuovi oneri per il bilancio dello Stato":





Su come l'emergenza sia stata circoscritta al semplice primo intervento in termini temporalmente limitati e improrogabili:


4. E questo insieme di "misure", virtuose e in pareggio di bilancio, naturalmente, dipende dal "lovuolel'europa" come massima regola ordinamentale ammissibile, di fronte ad ogni problema della società italiana. Ed al lordo: cioè anche includendo i fantasmagorici "fondi €uropei" (che sono la parziale restituzione di una nostra ben superiore contribuzione):
Perché, in Italia, ma proprio in Italia, di UEM e di divieto degli aiuti di Stato si muore, socio-economicamente, prima ancora che fisicamente...Altrove si prospera:
Sicché si attaglia particolarmente il finale del post di Alberto citato all'inizio:
5. I contenuti del post appena citato, si riallacciano agli "estratti" da questo post di qualche anno fa (oggi attualissimo): 

"La corruzione, comunque la si voglia vedere, è il prezzo attribuito a titolo privato ad un pubblico decidente come compenso di intermediazione per l'assetto di interessi= "effettiva distribuzione della ricchezza", conseguente ad una concreta decisione del pubblico potere.
Ora, più elevato è il numero delle opzioni alternative insite nella decisione, cioè più numerosi sono i momenti di discrezionalità (tecnica e amministrativa), più elevata è la probabilità e la stessa organizzazione del fenomeno corruttivo.
Facciamo un esempio; se occorre costruire una strada o una linea ferroviaria da un luogo pianeggiante ad un altro, passando per una pianura (appunto), e, si badi bene, senza che in mezzo vi sia una ampia serie di insediamenti industriali (manifatturieri o anche agricoli) o di insediamenti civili aventi un particolare valore giuridicamente tutelato (storico, archeologico, architettonico, paesaggistico), la probabilità che l'opzione decisionale del pubblico potere sia limitata ad un'unica soluzione tecnicamente razionale (con limitate varianti), condurrà ad una bassa probabilità di corruzione.
In tutti i casi in cui ricorrano diverse condizioni, o meglio, come in Italia, ricorrano simultaneamente tutte le condizioni di massima variabilità delle opzioni e di massima comprensenza di interessi rilevanti, e variamente comprimibili, nell'ambito della decisione da assumere, le probabilità di corruzione, cioè di compensi di intermediazione per il perseguimento di un assetto piuttosto che un altro, sono molto elevate.
Ma anche supponendo, in questa situazione di complessità di "variabili", che non vi sia alcun accordo illecito e si applichino solo le regole previste per l'adozione della decisione (cioè decisione puramente legale), si avrà probabilmente:
a) connaturale -quindi inevitabile- complessità (normativa, ma prima ancora, "di fatto", cioè nella realtà naturale) del processo decisionale e quindi sua conseguente lunghezza temporale;
b) controvertibilità elevata della decisione assunta;
c) alto margine di erroneità nel merito (cioè tecnico-razionale) della decisione stessa;
d) spostamento della correzione degli errori o delle violazioni di legge (non dolose), che hanno importato indebito e irrazionale sacrificio di taluni interessi in luogo di altri,  nella sede giurisdizionale;
e) esito della verifica giurisdizionale di legittimità-razionalità (ragionevolezza e attendibilità) della decisione pubblica dipendente da vari sottofattori:
- e1) volume delle risorse dedicate dall'ordinamento alla predisposizione del controllo giurisdizionale, cioè sufficiente in base a realistiche considerazioni di politica della giustizia;
- e2) tendenza inevitabile al prevalere degli interessi economicamente più forti che possono dedicare maggiori risorse sia alla introduzione delle loro ragioni nel contenzioso-processo, sia a precostituire momenti decisionali pubblici di difficile sindacabilità nel merito da parte dello stesso giudice.
...Quali che siano le risposte che un ordinamento fornisce a tutte queste problematiche - e in Italia, afflitta dalla trentennale crociata contro spesa corrente e investimenti pubblici, è facile immaginare quale sia il "livello" sub-ottimale di risposta- un fenomeno sarà comunque registrabile con certezza: l'assetto perseguito, cioè gli interessi materiali sottostanti, saranno sempre realizzabili a costi più elevati rispetto a realtà geo-politiche che non soffrano di una comparabile situazione di "congestione-complessità" degli interessi in conflitto
... 
Tutto questo per dire che, realisticamente, se non è possibile avere i costi, e quindi l'inflazione che hanno altri paesi, più poveri di storia, di arte, di bellezza e di esigenze composite di tutela, del nostro, non si entra in un sistema di moneta unica con questi paesi.
Anche perchè poi questi stessi paesi, accortisi di questa ricchezza collettiva, che si riflette anche in quella privata (un appartamento sul Canal Grande, a Fiesole, o a Piazza Navona, vale necessariamente di più di uno comparabile di Magonza, per quanto questa sia una bellissima cittadina...ricostruita), invece di cooperare alla sua tutela, sopportandone i costi come la pretesa natura politico-unitaria dei trattati UE imporrebbe, vorranno appropriarsene, spingendo per la liquidazione di tali beni come garanzia dei loro crediti (determinati dai differenziali di inflazione deliberatamente perseguiti!). 

E questo a meno che, dal giorno dopo l'entrata nell'UEM, non si fosse deciso che deportazioni di insediamenti umani, senza indennizzo se non meramente simbolico, abbandono antropico di siti storici e paesaggistici (dalle coste a Pompei), e irrilevanza della tutela della salubrità e dell'ambiente urbano e lavorativo, sarebbero stati immediatamente portabili a compimento in nome della moneta unica e quindi, "dell'Europa".
Il che, in fondo, è sempre meglio del raggiungere, mediante un prolungato stillicidio di tagli e austerity, gli stessi risultati, ripetendo ipocritamente "lovuolel'europa", sperando che la gente non se ne accorga.
O, meglio ancora, che pur accorgendosene, debba stare zitta perchè colpevole di "aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità".
Perchè questo è quello che sta accadendo da trent'anni, da quando cioè si è innalzato il "vincolo esterno" al di sopra della Costituzione.

6. Dal che per ogni evento che il pubblico interesse del popolo di uno Stato democratico e sovrano può dover fronteggiare, torniamo a Keynes:


7. Questa, in due tweets, comunque, è l'offerta di solidarietà effettiva pervenuta dall'€uropa: nel giorno del terremoto!
La prima è il massimo dell'ostilità anticooperativa possibile al di fuori della guerra armata, chiaramente realizzabile solo dentro l'euro, e cioè grazie ai magici trattati della "pace" (ne avevamo già parlato qui); la seconda è la militarizzazione mercatista del lavoro fino all'estremo più..."consigliato" dall'ordoliberismo: