domenica 31 luglio 2016

CONFESSIONI DI MENTI RAFFINATISSIME- Parte 1


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Questo post di Bazaar doveva inizialmente essere il "semplice" commento ad un articolo particolarmente disturbante e "esagerato", quello di Irwin che trovate indicato nel prologo.
Invece, è poi divenuto un post sperimentale, nella struttura e nell'uso delle fonti anche multimediali, grazie a uno di quei momenti di grazia che consentono di trascendere, per un felice momento, le strutture sintattiche e logico-concettuali che normalmente rinchiudono il discorso entro l'orizzonte costrittivo della cronaca, dell'inseguire eventi parziali. 
Questo ordinario orizzonte, infatti, pur quando (come nel caso dell'articolo di Irwin), tenta di dare un'interpretazione "epocale", rimane costretto dai limiti implacabili di un presente che appare ingannevolmente proiettabile nel tempo, in tutte le direzioni.
Il post di Bazaar risulta suddiviso in due parti, come il primo e il secondo tempo di un film, e, in effetti, assomiglia dichiaratamente a una sceneggiatura.

L'assurdità delle menti raffinatissime, giunte ormai ad un inconsapevole delirio, può essere compresa con una serie di flashback. 
Perché quello che ci sta accadendo - si sia o meno desiderosi di comprenderlo e, comprendendolo, di "porre fine ad esso"-, equivale agli effetti di uno schema di cui sono omogeneamente intrise varie generazioni recenti, che giungono al culmine di "alterazione" che coinvolge la nostra. Uno schema probabilmente "finale", che segna il rabbioso tramonto di un modo di essere "umani", talmente aberrante, che occorreranno secoli per relativizzarlo e per vederlo come quella rozza follia che è stato: e lo è stato per un periodo molto più lungo, purtroppo, di quello che la reductio ad hitlerum, e la connessa retorica sedativa e sempre più vuota, ci vogliono dare ad intendere.

PROLOGO

Il primo luglio – una settimana dopo l'esito del referendum britannico sull'Unione Europea – viene pubblicato nella sezione economica del New York Times un articolo di Neil Irwin: “How a Quest by Elites Is Driving ‘Brexit’and Trump.

Sul prestigioso quotidiano, il giornalista economico argomenta come mai la volontà unica dell'élite di ricercare la globalizzazione “a tutti i costi” – dove i costi sono esclusivamente sociali e la ricchezza globale sempre più concentrata – sarebbe il motore del dissenso verso la UE e del consenso verso Trump.

Un articolo surreale e per certi versi indisponente, in cui,  per quanto si faccia finta – as usual –  di non conoscere i dati a disposizione della comunità scientifica, con toni colloquiali e trasparenza viene ammessa la realtà dell'ordine sociale attuale.

L'autore, quasi fosse un vescovo, si rivolge ad un'élite globale senza mai nominare la parola "democrazia", dando per scontato che viviamo in una società medievale in cui è solo "per carità" che l'élite dovrebbe pensare ai propri connazionali.
Il messaggio pare essere: “non è il caso di ammorbidire la stretta con cui stiamo strangolando l'umanità? Non ci sta sfuggendo di mano la situazione?”

È difficile comprendere fino in fondo quanto lo facciano e quanto lo siano: ma costoro [ESSI] – se effettivamente non siamo in democrazia - influenzano gli apparati polizieschi e le strutture militari.

Considerando che gli USA importano cultura dall'Europa (e non solo) da secoli, e vantano i più prestigiosi atenei (non più, RIP, soltanto “università”) del mondo, ecco il profondo quesito che Neil Irwin pone alle élite concludendo la riflessione:
« Che cosa dovrebbe fare un'élite politica? Sicuramente l'unico modo in cui una società può diventare più ricca nel corso del tempo è aumentare il reddito nazionale. E se una rigorosa analisi dimostra come la politica X finirà con lo svantaggiare poche migliaia di persone, generalmente questa non è una ragione per abbandonare l'idea.

Ma è d'obbligo riflettere sulle singole vite. La vita non riguarda solo il denaro, e i posti di lavoro non riguardano solamente il reddito. Un senso di stabilità, di finalità, di posizione sociale – tutte queste cose hanno importanza in un modo che i modelli economici non fanno un buon lavoro nel tenerne conto. Se c'è una lezione fondamentale dal successo di Trump e della Brexit, è che il dinamismo e l'efficienza suonano molto meglio alle persone sicure che alla fine risulteranno vincenti. »  Pensa un po', chi l'avrebbe mai detto... Anno 2016!
L'articolo pone a noi ben altra qualità di riflessioni; ma, a parte qualche nota in calce, si lascerà parlare i protagonisti stessi, archetipi presenti e passati, in una scenografia kubrickiana.

Ricordando che il Superuomo efficiente trova qua la sua essenziale teorizzazione.

Gustiamoci questa sensazione « di vivere in un mondo nel quale il cittadino è divenuto un mero spettatore o un attore forzato » [C.W. Mills]

Popcorn, e proviamo a rilassarci come “meri spettatori”...


Confessioni di menti raffinatissime: economia, assiologia e religione.  

« Io biasimo i compassionevoli perché perdono facilmente il pudore, il rispetto, la sottile sensibilità per le distanze, perché da un momento all'altro la compassione inizia a puzzare di plebaglia e somiglia moltissimo alle cattive maniere.[…]
Annovero il superamento della compassione tra le virtù più nobili: io ho narrato, come “tentazione di Zarathustra”, l'episodio in cui gli arriva un grande grido di aiuto: la compassione, come ultimo peccato, cerca di coglierlo di sorpresa, di estraniarlo da lui stesso. Rimanere padrone di sé, mantenere l'altezza della sua missione incontaminata dalle tante motivazioni più basse e più miopi che agiscono nelle cosiddette azioni altruistiche: è questa la prova, l'ultima prova che uno Zarathustra deve affrontare – la sua vera e propria dimostrazione di forza...  » Friedrich W. Nietzsche, “Ecce HomoAutunno 1888, “Perché sono così saggio




Intro: giornali globali per élite globali. Allucinati al funerale di gloriose rivoluzioni. [Tempo di lettura: 2m e 6s - clicca per tenere  il passo coi tempi...][1]

« Vi sono certi fenomeni ai quali nelle nostre società si dà il nome di ETICI o MORALI, che tutti credono conoscere perfettamente, e che nessuno ha mai saputo rigorosamente definire. Non sono mai stati studiati da un punto di vista interamente oggettivo. Chi se ne occupa ha una qualche norma che vorrebbe imporre altrui, e da lui stimata superiore ad ogni altra. » (Vilfredo Pareto, Manuale di Economia Politica con un'introduzione alla Scienza Sociale”, II, 18)
***

« Notiamo che l'incivilimento europeo è frutto di infinite guerre e della larghissima distruzione dei deboli compiuta dai forti; con quelle sofferenze si è comprata la prosperità presente[2]ciò è bene o è male? » (II, 35, Ibid. Pareto)




« È notevole come in tale materia il sentimento[3] ha tanto impero sugli uomini, da far perdere ai più l'uso della retta ragione. Per esempio ora, in Francia, molti uomini, che del resto paiono ragionevoli, ammirano le parole vuote di senso della celebre Déclaration des Droits de l'homme.
[...]
[F]ermiamoci solo sulla proposizione che le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull'utilità comune. Ciò ci giova ben poco per risolvere i quesiti dell'ordinamento sociale, e rimuove solo la difficoltà, che ora sta nel determinare quell'utilità comune. Basta leggere Aristotile per vedere come la schiavitù si possa difendere sostenendo che è d'utilità comune; ed analoga difesa si può fare della feudalità, tanto odiata dai rivoluzionari che composero quella bella Déclaration.[...]
In sostanza, tutti quei ragionamenti pseudo-scientifici sono meno chiari ed hanno minor valore della massima cristiana che dice: ama il prossimo tuo come te stesso. [...]
E massime più o meno simili si trovano presso molti popoli. Esse risultano da sentimenti di benevolenza verso altrui, e dal bisogno che prova l'uomo debole, per difendersi, di chiedere aiuti ai sentimenti di eguaglianza.»  (V. Pareto, Ibid. II, 39 e segue qui) 



« L'origine di quegli errori sta nel non volere intendere che la sensazione piacevole, o spiacevole, è fatto primitivo, che non può essere dedotto col ragionamento. Quando un uomo prova una sensazione, è assurdo volergli dimostrare che ne prova un'altra. Se un uomo si sente infelice, è cosa sommamente ridicola volergli dimostrare che è felice, o viceversa.[4] [...]
Un uomo è solo ed unico giudice in ciò che a lui piace, o non piace.» (V. Pareto, Ibid. II, 29)
***
« Per sapere se il furto è, o non è, morale, dobbiamo noi paragonare i sentimenti spiacevoli del derubato, ai sentimenti piacevoli del ladro, e ricercare quali hanno maggiore intensità? »[5] (V. Pareto, Ibid. II, 37)  [Pareto che applica il criterio di efficienza alla morale...]





1 – Молоко плюс. Clero e omelie al tempo del totalitarismo liberale. [Tempo di lettura: 3m e 41s - clicca per tenere il passo coi tempi...][6]






Il liberal & democrat New York Times si rivela spesso una preziosa fonte d'informazione per vagliare il mood – il sentiment – delle élite.

Ecco, appunto, iniziamo da qui: le élite.

Quel gruppo sociale appartenente alla  classe dominante che, secondo il grande sociologo americano Charles Wright Mills, influenzerebbe l'indirizzo di governo della comunità sociale di riferimento al di là di qualsiasi effettivo processo democratico.

Giova ricordare che tra i più grandi reazionari teorici dell'elitismo si distinguono proprio gli Italiani, che, essendo pure storicamente campioni di liberismo, possono vantare i padri stessi dell'elitismo moderno: Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto[7].

Italici liberismo ed elitismo che – data la posizione subalterna nelle relazioni internazionali della nostra Patria nella modernità – rimarranno mistero della fede per i futuri filologi: una nazione che esprime teoreticamente il più antiumano[8] elitismo e che, al contempo, si autodisprezza in quanto – stando con i giornaloni nostrani –  “razzialmente” inferiore.

(Citofonare Freud... oppure analizzare le sovrastrutture ideologiche e coscienziali delle aree economiche periferiche in rapporto al controllo della propaganda da parte delle élite del centro imperialista)

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Ci viene rivelato ciò che una volta erano il tenebroso governo ombra, lo Stato profondo, lo Stato parallelo (che – moroteo – “convergeva” allo Stato di diritto ben prima dell'infinito), i misteriosi poteri forti,  l'inarrivabile terzo livello: le spaventevoli menti raffinatissime.

Ecco: un altro punto fondamentale: le menti raffinatissime.

Abbiamo scoperto, insomma, che questo misterioso super-potere, super-statuale e super-nazionale, è emanazione di questa cosmopolita élite che, ora, pretende apertamente di avocare a sé la sovranità democratica degli Stati-nazione, in quanto, giustamente, costituita da individui dotati di menti “raffinatissime” (e, tendenzialmente, “illuminate”).

Qualche riflessione sulle menti di questi duci dell'umanità proveremo a farla.







2 – Se le élite hanno edificato un panglossiano mondo migliore tra tutti quelli possibili –  paretianamente efficiente – com'è che la plebaglia vota populista? [Tempo di lettura 3m e 46s: clicca per tenere il passo coi tempi...][9]



« La verità circa la natura e il potere delle élite non è qualcosa di segreto che gli uomini d'affari conoscono ma non vogliono raccontare. [...] Non importa quanto grande sia il loro effettivo potere, costoro tendono ad essere meno acutamente consapevoli di questo che della resistenza degli altri al suo utilizzo »[10]  (Charles Wright Mills, “The Power Elite”, p.4)
***
« Una volta JM Keynes definì il capitalismo come “la sorprendente convinzione per cui gli impulsi più ripugnanti degli uomini più ripugnanti, in un modo o nell'altro,  possano concorrere per i migliori risultati nel migliore dei mondi possibili”. » (Sir George Schuster, “Christianity and Human Relations in Industry”, 1951)


A quanto pare, ciò che prima fu dietrologia, ciò che dopo è stato cospirazionismo, ora rimbalza su tutti i media e può occupare delle belle mezze paginonone su quotidiani con influenza globale; per l'occasione con penna e talare di Neil Irwin[11]dal pulpito del New York Times.

Il nostro giornalista, con un MBA alla Columbia University in cui è proprio specializzato in giornalismo economico, si chiede – di fronte ad una platea di lettori “non casuali” –
 « quale lezione dovrebbe trarre un membro tesserato dell'élite economica dal successo di Donald J. Trump? E dalla decisione degli elettori britannici di lasciare l'Unione Europea? »

E ce lo vediamo, di fronte a una vista mozzafiato su Manhattan, il lettore tipo: in abito leggero, con le gambe accavallate, di fronte ad una spremuta d'arancia fresca e un dolcetto, che, serenamente, si gusta, come un bimbo, un  bicchiere di latte più biscotti; il giornale chiuso a fianco e il dito che scorre sul tablet.

La fronte si corruga e il dubbio lo assale.

***
« Non è tipico dei dirigenti americani leggere libri, ad eccezione dei libri sul “management” e sui misteri. [...] Coloro che si avventurano in questi campo [...] sono visti dai loro colleghi con stupore misto a incredulità. »  (C.W. Mills, Ibid.)
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In realtà, la risposta all'oscuro quesito si trova già nel titolo, che, eloquente, spiega che è stato « un obiettivo estremamente difficile da raggiungere ricercato [“quest”, ndt] dall'élite, a guidare alla “Brexit” e al successo di Trump ».

Questo “difficile obiettivo”, come chiunque abbia avuto la disgrazia di frequentare qualsiasi corso universitario dopo gli anni Novanta, di economia o di diritto, di lingua inglese o lingua spagnola, consiste ne “la globalizzazione”, visto che, l'attesa domanda « cosa è la globalizzazione? », « what is globalization? », « ¿qué es la globalización? »,  se l'è sentita porre ad ogni sessione d'esame per tutta la durata del corso di laurea.

(La risposta all'esame, però, non consisteva ne « la distruzione delle nazioni, delle democrazie e dei popoli, per costruire un governo mondiale tecnomedievale dove tutto è “fluido” come la diarrea »)

***
« In Europa, dal medio evo sino verso il secolo XVIII, non era lecito di discorrere delle religioni che non fossero la cristiana, se non come di funesti errori; ora è sorta una religione umanitaria-democratica, e questa sola è vera e buona; le altre, compresa la cristiana, sono false e perniciose. » (V. Pareto, Ibid. II, 20)  [Paragona la cultura democratica al fanatismo religioso]
***

Il nostro lettore-tipo prosegue nel difficile compito di comprendere qualcosa che non sia un foglio excelIrwin informa che gli elettori (alias, “la plebaglia che vorrebbe partecipare alla vita economica e politica come da superstizione democratica”) « rigettano le logiche che sottostanno alle dinamiche dell'economia globalizzata che, sulla carta, sembrano costruire un mondo molto più ricco ».

Sulla carta?

Certo, quella di giornale, quella di alcuni testi universitari d'ultima generazione e, notoriamente, sulla carta igienica.

(Che non è molto differente dalle precedenti, ma è sicuramente più utile)

Il nostro Neil prosegue: « Per i banchieri, i trader, gli uomini d'affari internazionali e altri che compongono l'élite economica (compresi i giornalisti come me che ne sono membri periferici), questo è motivo di introspezione, o almeno lo è tra coloro che non sono troppo narcisisti per curarsi di ciò che pensano i propri concittadini. »

Il nostro lettore-tipo ha un fremito: il sacerdote dell'informazione confessa di essere – in quanto tale – “membro tesserato” dell'élite , e che, come conviene dato il ruolo morale e religioso, umilmente si colloca nella “periferia”, ai margini del governo della classe dominante.

È un momento di introspezione: ne sarà capace? Il lettore-tipo, ticchettando i polpastrelli sullo schermo del dispositivo, rapidamente rotea gli occhi cercando di fare un esame per trovare la coscienza.

(L'emozione lo spinge a pensare all'opzione “find” del tablet)

Istintivamente si guarda allo specchio della parete a fianco:  « non sono così narcisista. Non sono un egomaniaco » – Si dice – « Prima dell'MBA avevo anche degli amici un po' sfigati, e davo loro attenzione... qualche volta...  »



Bene, don Neil, nella sua confessione sacramentale di fronte al Mercato, esorta alla riconciliazione – chiaramente senza pentimento –  con la ragione. Per step. Con calma.

***
« Per chi è abbastanza ricco da potere permetterselo, avere torto è addirittura una fortuna. Un dio che venisse sulla terra non potrebbe fare altro che torti – addossarsi la colpanon la pena: questo solo sarebbe divino »  (F.W. Nietzsche, Ibid.)
***

Il sermone: « [Fratelli,] ecco una spiegazione generale di ciò che potrebbe essere mancato nella marcia verso un'economia globale iper-efficiente: l'efficienza economica non è quella libidine che abbiamo supposto essere. ».

Un mancamento coglie d'improvviso il lettore-tipo: una scarica di adrenalina gli stringe gola e petto.

Un dubbio esistenziale – per la prima volta dopo la scoperta che i bambini non li porta la cicogna – preme in fondo al suo stomaco. No, non è il plumcake.

Lui: che aveva superato qualsiasi budget gonfiando ricavi e stritolando i costi.

Lui: che poteva contemporaneamente fare un pranzo di lavoro nel New Jersey ed assistere ad una cena di lavoro a Londra nascondendo il tablet in confcall sotto il tovagliolo.

Lui: che aveva raggiunto quasi la perfezione raggiungendo il bagno dalla scrivania dell'ufficio in soli trentanove passi.

Lui: « Îö »

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D'altronde, come insiste don Neil – « “Efficienza” suona bene in teoria. Quale razza di mostro non vuole ottimizzare le possibilità? Minimizzare gli sprechi e  sfruttare al meglio le risorse limitate? »

Quale MOSTRO potrebbe mai non pensare di organizzare il pianeta secondo efficienza paretiana? Quale ripugnante creatura può non venerare la Weltanschauung di Vilfredo Pareto? Quale psicopatico potrebbe desiderare qualcosa di diverso? « Giusto, è assolutamente scandaloso » pensa il lettore-tipo. 

L'atroce dubbio trova possibilità in una più mite conclusione; segue l'omelia: « L'élite economica e politica potrebbe amare l'efficienza molto più di quanto fanno gli umani normali »

L'umano “normale” è la solita corda sottesa tra lo scimmione e l'animale domestico.

« Giusto: evidentemente il “lavoro di Dio” non può neanche essere apprezzato da quella paccottiglia di Üntermenschen » Il lettore-tipo è indignato. Per qualche secondo desidera intensamente rimuover loro quel diaframma che ha allontanato i “normali” dalla durezza del vivere.

La luce, per un momento, sembra sorridere.

***
«  La maggior parte degli uomini d'affari americani ha talmente imparato bene la retorica delle relazioni pubbliche che, in alcuni casi, arriva ad usarla anche quando sono soli, iniziando quindi a crederci. » (C.W. Mills, Ibid. p.5)
***

Torna a rilassarsi.

Qui il peyote ingerito prima della liturgia comincia a fare effetto:

« Probabilmente [probabilmente...]  le persone che guidano il mondo [!!!], in altre parole, hanno passato decenni a perseguire obiettivi che non fanno leccare i baffi  ad una grande parte dell'umanità. Forse [forse...] che a perseguire un PIL sempre più alto [!?] manchi di una fondamentale comprensione di ciò che muove la maggior parte delle persone? » 

Questa esplosione di PIL pare sia arrivata solo alle teenager americane a forza di mangiar carne agli ormoni (o almeno così mormorano ai centri estetici): senza citare in merito le evidenze quantitative del prof. Ha-Joon Chang armonizzate in una prospettiva storica, l'efficientissima globalizzazione ha portato ad una contrazione della crescita della ricchezza mondiale e ad una polarizzazione della distribuzione del reddito proprio come da trickle-down theory; di seguito il grafico:












[1]      Henry PurcellMusica per il funerale della regina Maria, 1695
[2]      La distruzione creatrice!
[3]      Pareto intuisce che è il pathos a dare sostegno ai Principi universali, ma, chiaramente, non lo riconosce come “intelligenza emotiva” in grado di dare un supporto epistemologico sulle orme di un'analisi fenomenologica dell'etica dei valori: il pathos è visto sempre e solo come animalesca istintualità ed irrazionalità. Possiamo facilmente dedurre che l'elitismo tipico del totalitarismo liberale desidera l'apatia delle masse, in modo molto diverso dall'espediente totalitario del nazifascismo.
[4]      Un buon Pareto in versione fenomenologica che, come tutti i filosofi liberali, si dimentica di definire cosa sia la “felicità” stessa: dà per scontato il relativismo assiologico, ma non dubita del valore assoluto del sentimento di felicità. Almeno che la definisca come appagamento di un piacere. Ma, a questo punto, bisognerebbe categorizzare il “piacere”: fisico, psicologico... spirituale? C'è differenza tra ebbrezza, gioa o estasi?
[5]      Quindi, se non sai di essere turlupinato, occhio non vede cuore non duole: l'atto è morale. Il problema diventa morale se – e solo se – gli oppressi hanno coscienza di essere tali. Quando lo schiavo accetta la sua mercificazione e il suo totale asservimento con un sorriso come un Pariah, bene, il problema etico è risolto.
[6]      Georg Friedrich HändelSarabanda (1685-1759), Organo.
[7]      Un approfondimento su Mosca e Pareto arruolati per castigar la décadénce, è visionabile qui.
[8]      “Antiumano” in quanto, secondo Pareto, “La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo” non è che « parole vuote ». Certo, se dovesse dare una risposta alla Nietzsche, replicherebbe che sarebbe scorretto appellarlo “antiumano”: sarebbe più-che-umano, super-umano, oltre-umano: insomma “diversamente umano”.
[9]      Dmitri Dmitriyevich ShostakovichValzer N°2, 1956 circa.
[10]     Ossia: il potere oligarchico viene strutturalmente abusato senza che venga avvertito un congruo senso di responsabilità.
[11]     Interessante questo commento di un lettore che, oltre a evidenziare che nel libro sulla crisi finanziaria il giornalista espone la connessione tra deregolamentazione finanziaria e la distruzione materiale del futuro di intere generazioni, evidenzia che nel mondo della finanza, simboleggiato dal governo delle banche centrali, esiste un certo “abuso di matematica”. 

venerdì 29 luglio 2016

SANITA' PUBBLICA: IL PUNTO DI NON RITORNO NON E' COSI' LONTANO...


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Riceviamo e pubblichiamo questo post di Sofia che è la cronaca drammatica del...non-paradossale verificare sul "campo", in prima persona, ciò che si è evidenziato sul piano dell'analisi istituzionale ed economica.

1. Ho scritto in merito agli effetti dell’austerity sulla sanità e al costo (effettivo) della sanità privatizzata, analizzando norme, riportando dati, facendo analisi e traendo conclusioni, forse prevedibili e scontate e forse lontane mille miglia dalla realtà.
Ma avere la necessità (e quindi la sfortuna) di dover varcare la soglia di una struttura ospedaliera per assistere un parente, dover affrontare certi percorsi burocratici, vedere coi propri occhi, toccare con mano è cosa ben diversa, difficile da fotografare e riportare con obiettiva lucidità e freddezza, troppo forte il disgusto, l'amarezza, il senso di sconforto. 
Troppo sconvolgente l’impatto con una realtà che più di tutte costringe ad una presa di coscienza: che il punto di non ritorno (del pareggio di bilancio) non è così lontano come si immagina, aleggia già sulle nostre teste, fa tremare sotto i nostri piedi una delle poche certezze rimaste, che ci si era illusi di poter conservare, ossia l'inviolabilità ed intoccabilità del diritto alla salute e di un sistema sanitario nazionale gratuito ed accessibile a tutti, la certezza delle cure soprattutto per eventi sanitari gravi. 

2. I tagli alle strutture ospedaliere in un’ottica di concentrazione e accorpamento ha fatto scomparire gli ospedali più piccoli e facilitato l’espandersi di strutture immense, equiparabili a Ministeri quanto all’applicazione di impietose regole, ma con l’ulteriore svantaggio che pur trattandosi di un luogo in cui devono muoversi e spostarsi infermi ed inabilitati, nessuno si preoccupa di come siano percorribili centinaia di metri del percorso blu e dieci piani per raggiungere il reparto in cui sarai ricoverato. Solo se chiedi allo sportello informazioni si vantano di avere un utilissimo servizio di noleggio carrozzine (percorrere almeno 200 metri, prendere l’ascensore, scendere al piano -3, lasciare un documento di riconoscimento, salire in reparto e poi, ovviamente, riconsegnare la carrozzina da dove è stata prelevata!).
Entrare in un ospedale è come entrare in un manicomio dove medici e infermieri sotto organico, dopo essere costretti a turni massacranti, ti rivolgono sguardi pieni di odio, finiscono per rendersi immuni alle richieste di rassicurazioni e cure dei malati, scaricano le loro isterie o la loro stanchezza sui parenti accompagnatori dei malati, che pure sacrificano famiglia e lavoro per assistere, per sostenere e spesso per sopperire a un sistema che non è in grado di accudire come dovrebbe. 
Medici e infermiere sempre reticenti a rilasciare informazioni perché il SSN risente troppo delle cause di risarcimento del danno per la mala-sanità, addetti alle pulizie che all’occorrenza stanno all’accettazione o cambiano la flebo, così come infermiere che all’occorrenza servono anche i pasti.

3. Un sorriso è raro, un po' di comprensione è un miraggio.  Eppure a volte arriva; da medici o infermieri che lottano come guerrieri senz'armi, nonostante tutto, ancora carichi di senso di appartenenza ad un ordine speciale e senso di responsabilità, per difendere il loro ideale di professione, l'unica che salva vite umane, nel vero senso della parola.
Eppure, di fronte ai loro visi bui e impassibili, tra lettighe che sfrecciano senza sosta in pronto soccorso, tra codici rossi e gialli, tra gente che arriva in continuazione (da quello in fin di vita per un incidente stradale, all'anziano che nei vuoti di memoria ha preso le pillole una volta di troppo), come criticarli?
Stipendi bloccati, straordinari non pagati, concorsi inesistenti, anni di studio e specializzazione per un perfetto precariato a tempo indeterminato e forse una sola possibilità di uscirne: andare all'estero dove la preparazione dei medici italiani è ritenuta tra le più qualificate, e sempre che alle spalle ci sia stata una famiglia con abbastanza soldi per sostenere lo studio aggiuntivo delle lingue o uno stage in America. 

4. Ore infinite passate in sala di attesa, impossibile non osservare i dettagli.
Sul tabellone alle 10 del mattino, servono il numero 596, non per servire un cappuccino, ma per somministrare flebo, misurare la pressione, spedire pazienti in radiologia per una TAC nei casi più gravi.
Se i letti in reparto non ci sono, il pronto soccorso accoglie su barelle stipate ovunque, anche davanti all’ingresso del gabinetto, pazienti più disparati, casi clinici più vari, senzatetto compresi se hanno alzato il gomito, per diverse ore, ma anche per un paio di giorni, nella speranza che un posto si liberi.
Ed è sfortunato chi è costretto a tale ignobile attesa massacrante, piena di speranza che almeno ti facciano un emocromo perché i tagli impongono che l’assistenza d’emergenza sia ridotta ai minimi termini.
Molto più fortunato, invece, è chi arriva con un bell’infarto, che ottiene subito (si spera) tutte le attenzioni dell’equipe medica e un letto pressoché certo.
Sale d'attesa piene di indistinti sguardi persi e una varietà di corpi vaganti, rassegnati, idrofobi, isterici, punk tatuati, prostitute, pensionati, sedie a rotelle parcheggiate agli angoli con sopra corpi rassegnati all'inquietudine; il pazzo che si dondola a scandire il tempo, la barbona che gira nei corridoi con la valigia (sempre la stessa valigia, vuota, esattamente come lo sguardo, alla ricerca di certezze, di punti di riferimento inesistenti se non per il fatto che quelle quattro mura, almeno, sono sempre là).
E poi ancora, il bambino cinese che ha ingoiato l’ago, il romeno caduto dall'impalcatura, neri, indiani, pakistani, il turista tedesco, l’anoressica depressa, il reduce ubriaco, e poi predicatori, lestofanti, commercianti, tutti diversi e tutti uguali di fronte all'attesa che quei corpi e i loro fardelli siano passati ai raggi x o che i loro parenti escano indenni dai loro mali (nonostante possano aver bisogno dello psicologo per dimenticare una giornata passata al pronto soccorso). 
“Infermiera ho freddo!” – “Mi spiace non abbiamo più coperte”. 
“E lei! Tenga quel piede sollevato!!” -  Ok ma allora datemi dei cuscini! Mi spiace siamo a corto di cuscini”. 
Medici che escono dalle sale operatorie con sacchetti di plastica legati alle caviglie perché non hanno calzari.
Che non hanno il forcipe per far nascere i bambini.
Che non hanno il filo giusto per le suture in camera operatoria.
Infermerie che non hanno i farmaci, sale operatorie che non hanno la rianimazione, camerate con i letti rotti, comodini che cadono a pezzi, pulsanti di chiamata che non funzionano, sedie a rotelle con le ruote rotte e piene di ruggine. Spazi che vengono lavati e puliti una volta al mese. 

5. Fine luglio, le ferie. Personale ulteriormente ridotto, interi reparti che all'improvviso scompaiono negli accorpamenti momentanei (ortopedia in uno con cardiologia) e infermieri che devono saper fronteggiare qualunque malato alla faccia di qualunque sia la propria specializzazione o la propria esperienza.
Ma si sa. 
I tagli, gli sprechi, la corruzione, le raccomandazioni. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità ed ora si paga un prezzo: che sia la costante del disservizio che diventa normalità, che sia rassegnazione di fronte a una lista di otto mesi per una ecografia, che sia impazienza, che sia consapevolezza che occorre mettere mani al portafogli per pagare l'assicurazione privata, l'ambulanza privata, il medico privato, il fisioterapista privato, l'infermiera privata. 
Che sia vuoto di memoria per cui l'art. 32 della Cost. appare come uno sconosciuto
Che sia speranza, quella di non aver mai bisogno del SSN, di quelli che pensano che "tanto non toccherà mai a me" e invece si ritrovano su una barella a imprecare o a pregare di potersi rialzare sulle proprie gambe. E scappare.