martedì 26 aprile 2016

LA COSTITUZIONE PATAFISICA NELL'ERA DEL SONDAGGISMO= LEGALITA' ACEFALA= DIRITTO SENZA GIUSTIZIA







1. In margine al "tradizionale" post del 25 aprile, raccolgo e riverbero (in fondo a questa mia "ispirata" introduzione) un commento di Francesco Maimone che merita di non essere disperso.
Il suo commento mi appare particolarmente capace di riflettere una serie di problematiche essenziali che sono così attuali e drammaticamente riflesse nelle nostre vite, pur laddove, come cittadini "comuni", ignorassimo alcuni principi fondamentali della scienza giuridica che, nei tempi moderni, ha dato luogo alle soluzioni di "giustizia nel diritto" e alla stessa idea del "costituzionalismo": cioè all'idea di una società garantita dall'assunzione, da parte delle costruzioni costituzionali, del ruolo di condurre un processo di democrazia partecipata e pluriclasse che non fosse soggetto alla continua revisionabilità o al continuo "stato di eccezione" imposto da poteri di fatto, cioè dai poteri economici prevalenti.
Cioè ESSI, se volete...

2. A introduzione del commento-post di Francesco, ribadisco i termini della questione "giustizia e diritto" quali analizzati in un post degli "inizi" di questo blog: mi conforta, tra l'altro, sapere che, a distanza di anni, qualche segnale di vita mi confermi di non essere più del tutto solo (Arturo e Bazaar, naturalmente voi siete eccettuati, come pure Sofia, perché da lungo tempo "corresponsabili" del blog e immersi nella mia stessa solitudine):
"Il problema è, mi accorgo, che questo non è un tempo per i Calamandrei, i Carnelutti, i Basso, i Ruini e i Mortati
E forse ciò nasce dal fatto che le ideologie "borghesi" non sono più indotte alla "mediazione", cioè ad una concezione "redistributiva" reale, per assenza della minaccia del marxismo-leninismo-stalinismo, che certamente aveva sospinto le "elites liberali" che avevano combattuto il nazi-fascismo a prevenire la prospettiva di una nuova dittatura.

Però, rimane il fatto che un diritto "senza valori", intendendoli come qualcosa che si è consolidato e chiarito in conseguenza di lotte e sofferenze che hanno avuto, in forme più estreme, avversari non dissimili da quelli di oggi, rinuncia alla funzione di "giustizia" propria delle sue definizioni più alte.
Definizioni come quelle offerteci da uno dei massimi pensatori giuridici, Thomas Viehwegnel già menzionato "Topica e giurisprudenza" (cap. VIII, pagg.118 ss.); citando, a sua volta, Josef Esser, uno dei fondatori della "giurisprudenza degli interessi", corrente di reazione al giuspositivismo e alla sua "neutralità" apparente, che si era prestata a legittimare persino il nazismo. 

Viehweg chiarisce:
"...anche dei concetti che in apparenza sono di mera tecnica giuridica. dei semplici "elementi costruttivi", della giurisprudenza, ricevono il loro significato semplicemente dalla questione della giustizia. 
...Per esempio nel quadro della determinazione concettuale "dichiarazione di volontà (concetto giuridico fondamentale, che vale per i contratti come per i trattati internazionali ndr.), è comprensibile soltanto se significa "la fissazione dei principi di giustizia nella questione del vincolo negoziale e della lealtà negoziale"
E questa giustizia si connota nella tutela dell'affidamento generato nei destinatari della dichiarazione e nella costante tutela della libertà di espressione della "volontà", esente da errori nonché da raggiri posti in essere dal "dichiarante" .
E' dunque questa la cornice in cui ha senso comprendere la questione del "vincolo esterno", acriticamente accettata dalla comunità dei giuristi italiani: quale libera volontà, esente da errori e raggiri, ha potuto esprimere la comunità nazionale su cui il vincolo è stato imposto? 
Come si è veramente tenuto conto dell'affidamento in essa creato, cioè il "fogno" di pace e prosperità dei popoli europei, drammaticamente contradetto fino alle più estreme evidenze di sua negazione?"



3. Ecco dunque il commento di Francesco (che muove da un passaggio del post di ieri):
“Sta di fatto, che l'ordinamento costituzionale, è valso e vale tutt'ora, cioè fino a che la sua identità sistematica rimanga intatta - e come ciò sia ancora sostenibile a pieno titolo, lo abbiamo visto ne "La Costituzione nella palude"- a stabilire un obbligo di perseguimento della democrazia sostanziale (e non di quella filosofica-formale, scissa dal dato delle fonti di diritto immodificabili), a carico delle istituzioni di governo e di tutti i "pubblici poteri".

Il post tocca un punto fondamentale, un "a priori" che si riteneva fosse patrimonio ormai acquisito anche nella c.d. sfera laica (cioè anche di chi non è esperto di diritto) di un qualsiasi cittadino medio, ma che invece sembra (almeno dalle mie quotidiane esperienze) non abbia attecchito abbastanza nell'organo cerebrale. 
Il dissolvimento dell’impianto sistematico della Costituzione (intesa come la più alta manifestazione giuridica di un ordinamento) trae infatti origine da una progressiva e foraggiata de-alfabetizzazione giuridica di cui il “sondaggismo” ne è la più compiuta espressione a valle. 

Concetti quali diritto oggettivo, precettività di una norma giuridica (anche e soprattutto costituzionale, almeno dal 1956), vincolo giuridico, obbligatorietà ed efficacia del diritto vigente sono divenuti materia di “opinione”, in nome – s’intende – della libertà di un pensiero inesistente. Con il risultato che una qualunque norma nel codice della strada potrebbe essere avvertita come più vincolante di una norma costituzionale (che, si presume, veicoli interessi un ciccinin più importanti). 

E’ davvero un rompicapo: un ordinamento giuridico decapitato ove il corpo pretende di sopravvivere senza la testa in disfacimento, un edificio che pretende di stare in piedi senza fondamenta, una legalità acefala

E cos’è il sondaggismo se non un soggettivismo che termina nel nichilismo logico ed etico? Perfettamente congruente (e non per mera coincidenza, mi pare ovvio) con l’individualismo metodologico di Carl Menger e sodali. 
Se la conoscenza è necessariamente frammentaria, parziale, se gli oggetti non hanno qualità intrinseche, ma il loro valore è il risultato di una proiezione delle credenze umane su di essi, allora ogni teoria sociale che sostenga la possibilità di ‘costruire’ una società orientata al perseguimento di un fine dato è destinata a fallire, perché ogni teoria sociale è (deve essere) riducibile ad una teoria dell’azione individuale (Hayek). 

Una neo-sofistica in cui la Costituzione diviene oggetto di opinione, e non di necessaria applicazione (in quanto DIRITTO VIGENTE, EFFICACE, OBBLIGATORIO E VINCOLANTE), di carotaggio ad uso mediatico, e non di fedele osservanza da parte di TUTTI i consociati, legittima (com’è avvenuto ieri nelle dichiarazioni di alcune figure istituzionali) ad “opinare” a ruota libera anche su quello che è stata la Resistenza. 
I diritti costituzionali fondamentali non abitano il mondo dell'opinabile così come non è opinabile l'assunzione di un farmaco salva vita. Discussione chiusa.
Tant'è, in principio fu la fisica, poi fu la metafisica ed oggi viviamo nel regno della patafisica."

14 commenti:

  1. Mi pare un circolo vizioso: l'infedeltà costituzionale dei partiti della c.d. Prima Repubblica ha determinato una crisi di effettività e di fiducia nell'attuazione della Costituzione, che è diventata una crisi di paradigma. Zagrebelsky l'ha detto chiaramente (Intorno alla legge, Einaudi, Torino, 2009, pagg. 297-8): "Intendo: nel tempo in cui è finita l’epoca che era dei nostri maestri e che, in parte, era ancora quella della generazione alla quale anch’io appartengo, in cui l’unità (potenziale) di senso era la concezione della costituzione come progetto che aveva da essere realizzato. La dottrina era la voce di questo progetto. Non mancavano certo le discussioni e anche le divisioni. Comune, però, era la fede circa un progetto di cui la scienza del diritto costituzionale si faceva organo; comune era l’atteggiamento di partenza nei discorsi sulla Costituzione. Questo atteggiamento implicava, per cosi dire, «autonomia e indipendenza da ogni altro potere», rivendicate in nome della Costituzione. Ciò non escludeva di per sé la partecipazione di costituzionalisti alle attività di partiti e di altre organizzazioni sociali: anzi, poteva essere un modo per realizzare il proprio compito. Ma, se c’era un «partito della Costituzione», questo si esprimeva nella scienza del diritto costituzionale e formava una comunità, certo plurale e dialettica, ma unita dal medesimo intento di far vivere quella che era avvertita essere la Costituzione di tutti. Si è parlato, con un’espressione che è di Leopoldo Elia, a proposito del comitato direttivo della Giurisprudenza costituzionale dei primi tempi, come di una sorta di Cln costituzionale. Anche l’autorevolezza della giurisprudenza della Corte costituzionale si basava forse sull’innesto tra attività giudiziaria e sostegno della dottrina costituzionalista, che operava senza essere divisa da opzioni radicali di campo. Oggi non è piu così. I partiti costituenti e i loro eredi diretti non esistono più. La Costituzione ha cessato di essere la loro costituzione in senso materiale e non è più un dato iniziale, da intendere nel suo contenuto per svolgerlo nella pratica, ma è diventato un testo da interrogare per ricavare risposte. L’interpretazione ha ceduto il campo all’ermeneutica.”

    Fino a non molto tempo fa un costituzionalista che avesse voluto attenersi all'impostazione tradizionale si sarebbe trovato in questo imbarazzo: "Tra l’essere ed il dover essere, l’ostinazione nel voler fingere che nulla sia cambiato e che i tradizionali criteri concettuali, il valore degli atti normativi (della legge), la struttura dell’ordinamento, i principi di sistema siano rimasti invariati, porterà la scelta a cadere, dapprima sul "dovrebbe essere, però...", per poi chissà dove collocarsi." (F. Bilancia, La crisi dell'ordinamento giuridico dello Stato rappresentativo, CEDAM, Padova, 2000, pag. 221). Si potrebbero fare alcuni esempi di questo atteggiamento, magari puntellato dalla fiducia in un qualche sviluppo positivo, o almeno accettabile, europeo, come dici anche tu nel libro.

    Solo ora che cominciano a vedersi la portata distruttiva dell'abbandono della Costituzione nel suo vero significato da un lato e a sfumare le prospettive redentrici europee dall'altro è pensabile assistere, forse, a qualche ripensamento. Al tempo in cui ci sono costituzionalisti che citano - e purtroppo non sto scherzando - Plateroti (!) come fonte autorevole (per dire la strada che c'è da fare).

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    1. Nella sua fede nella natura "politica" della Costituzione materiale, legata al concetto dei partiti costituenti in cui si potesse (oltretutto) militare, Zagrelbesky ci dà due indicazioni (prevalentemente involontarie, nel senso di inconsce):

      a) che un "partito della Costituzione" non aveva senso, o ruolo esclusivo ed escludente, come fatto generazionale, (a cui pure ammette di appartenere), dato che la trasmissione nel tempo della forza normativa del disegno costituente, come dice Basso, stava e sta nel popolo partecipante effettivo della sovranità: la tutela "generazionale" dei costituzionalisti non poteva altro che imprigionare, com'è infatti accaduto, tale Spirito in un'elite, per di più "a esaurimento" (ma non per questo legittimata al cupio dissolvi, autorefenziale);

      b) l'ermeneutica, arricchita da tutti i suoi strumenti di teoria generale (la storia, la topica, la giurisprudenza dei concetti, la fenomenologia e la stessa economia, come comprovano i passi qui riportati di Caffè) consente di far vivere costantemente lo spirito della Costituzione assunto da Basso, da Ruini, da Ghidini, perché non ha mai cessato di appartenere a tutti, nè poteva cessare in questa sua natura.

      Nella forza logica e normativa dell'ermeneutica, intesa come processo critico di continua Resistenza e adeguamento della democrazia sostanziale, non c'è alcuna deminutio: i vecchi invecchiano, e passano.
      Il miglior pensiero, consapevole di dover salvaguardare la democrazia keynesiana e di non doverne mai spegnere il ricordo, rimane e si trasmette oltre la vita umana.
      Come il senso della comunità sociale solidale di una Nazione che, nella sua sovranità, non si lasci mai ingannare e riportare nella schiavitù e nella sconfitta di quel conflitto sociale che la Costituzione aveva inteso risolvere così nobilmente...

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    2. Va da sè che la posizione descrittiva di Bilancia, pur essenso un senso comune ampiamente condiviso tra gli attuali costituzionalisti, è self-defeating, proprio perché tutto interno a una tradizione che diviene relativizzabile come mero fatto generazionale (e, se vogliamo, di rassegnazione alla impossibilità a una tensione etica inesauribile).

      Comunque, grazie delle più che appropriate e significative citazioni, come al solito apportatrici di importanti focalizzazioni...

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    3. Aggiungo un'altra citazione di Bilancia: “Altrove [in un suo precendente lavoro] si è segnalata la possibilità di procedere, a fronte dei richiamati stravolgimenti nel sistema delle fonti di produzione giuridica, alla selezione di differenti opzioni di studio. Secondo categorie sistematico-formali, per denunciare la persistente illegittimità costituzionale di tutti i nuovi processi di produzione giuridica. Oppure in una prospettiva politico-sostanziale, alla ricerca dei criteri di legittimazione dei nuovi poteri normativi, assumendo la loro effettività quale strumento per orientare la comprensione di senso delle trasformazioni in corso. In quel caso si segnalò, quale punto di partenza, proprio la crisi politica della legge. In un quadro più ampio, ora, si è tentato di interrogarci sulla crisi dello stato rappresentativo quale fondamento politico della legge. Comunque senza alcuna intenzione di legittimare l’esistente, limitandoci ad una rassegnata descrizione dei fenomeni segnalati, che rappresenti un grido di allarme, prima che sia troppo tardi per poter rimpiangere il sistema democratico, i suoi corollari politici e le sue declinazioni normative nella definizione della forma di stato.”

      A mio modo di vedere le debolezze del lavoro stanno, tanto per cambiare, soprattutto sul piano economico. Concedendo la fondatezza di alcuni capisaldi della vulgata (per esempio lo sperpero di denaro pubblico che i governi tecnici avrebbero "risanato") si finisce, anche senza volerlo, per accreditare all'esistente una fantomatica razionalità pratica, magari rispetto a uno "stato di necessità", e così a legittimarlo. Il censimento delle devastazione provocate dal diritto europeo e a trazione europea all'ordinamento costituzionale resta però utile.

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    4. Ma non c'è dubbio: non ti sfuggirà l'intima correlazione che c'è tra il sistema di garanzia (della non negoziabilità dei diritti fondamentali "veri") della "gerarchia delle fonti", fissata in Costituzione, e la tutela stessa del lavoro come soluzione di risoluzione armonica del conflitto sociale.

      Se non si comprendono le ragioni logiche e storiche di questa soluzione non si può apprezzare, se non in termini formali (di per sé irresponsabilmente neutrali), il "sistema della fonti".
      E la sua funzione di opposizione allo "stato di eccezione" costantemente determinale dai "puri rapporti di forza" politica instaurabili dal governo dei mercati.
      Ma, mi domando, ci sarà un momento in cui porsi questi interrogativi e recuperare la lezione dei Costituenti diverrà un'esigenza improrogabile?

      La risposta, obiettivamente, non potrà che essere esterna al mondo dei costituzionalisti e alla "scuola " e continuità di cooptazione che hanno inerzialmente instaurato al loro interno...

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    5. Un Bilancia che non si sbilancia.

      Riassumiamo:

      a) c'è la Legge;

      b) c'è la legislazione;

      c) c'è una Costituzione rigida che impone come legiferare;

      d) la Legge è incompatibile con la legislazione;

      I costituzionalisti fanno l'esegesi dell'ermeneutica per interpretare il significato di "rigida".

      Mi piacciono determinanzione e forti principi morali.

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    6. Eh ma tu sei troppo brutalmente riduzionista alla logica hayekiana: come la "doppia verità" questa non deve essere presentata apertamente nello sviluppo culturale reso al pubblico.
      La Legge e l'ordine spontaneo insofferente alle regole della legislazione (cioè i mercati dei "liberi mercanti", sovrani per conto dell'Onnipotente), va elegantemente designato come "effettività dei nuovi (???) poteri normativi" (e da dove potrebbero mai scaturire se non dalle forze irresistibili dei cari VECCHI mercati?), di cui teorizzare la "legittimità" (tratta da quale Potere Costituente? Come al solito non si sa e non si deve specificare), al fine di farne "strumento per orientare la comprensione di senso delle trasformazioni in corso".
      Semplicemente patafisico: la scienza dell'immaginario che riscopre la Legge senza nominarla (e Hayek che aleggia indisturbato creatore del nuovo ordine mondialista e sovranazionale...spontaneo).

      Ma leggere la Teoria generale di Keynes e un pochetto di Federico Caffè e POI rileggersi Lelio Basso, non sarebbe più semplice e lineare, anche a fini di condivisione del linguaggio con i destinatari del processo normativo?

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  2. COSTITUZIONE, SOVRANITA'e MURI ...

    non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri, non costruire muri ...

    ma di che muri si parla ? una membrana cellulare è un muro o un filtro necessario alla vita ? uno stato costituzionale e sovrano è un muro o un filtro verso interessi privati, finanziari e speculativi ? una frontiera è un muro o un limite che definisce le responsabilità, gli oneri e i compiti per gli equilibri sociali?

    In questi ultimi anni in Italia e in EU la situazione è mutata profondamente, i problemi economici e sociali hanno velocemente cambiato forma e non permettono di riconoscere nemici e amici, concorrenti e collaboratori, e - come è naturale - le generazioni si sono susseguite con passaggi difficili tra chi non vuol mollare e chi non riesce a prendere in mano la situazione nuova.

    Pertanto sarebbe URGENTE e NECESSARIO il "processo critico di continua Resistenza e adeguamento della democrazia sostanziale", cioè re-interpretare nella situazione attuale la Resistenza del 1945 per perseguire l'effettività dei principi costituzionali (avendoli capiti !!! ndr) .

    Fare chiarezza e agire di conseguenza

    Invece, sembra preferito, non fare questo sforzo e piuttosto dimenticare , fino a rimuovere tali principi.

    Soprattuto coloro che hanno ricevuto onori, fama e potere grazie ai recenti sviluppi dell'economia e dalla socità, quella che si definisce la "governance" italiana e europea, dovrebbero tutelare massimamente i principi costituzionali e farsi garanti di una giustizia effettiva. Essi dovrebbero rimuovere i MURI che impediscono a ciascuno di avere i diritti e i doveri della democrazia sostanziale, di poter lavorare dignitosamente, di poter vivere e crescere in pace.

    Questo non sembra accadere.

    Le Regole uguali per dis-uguali nella EU sono libertà o un muro per chi è in difficoltà ?
    la gestione monetaria per la stabilità e la crescita ( crescita si fà per dire ndr) è equità o un muro per chi è in debito ?
    la gestione del credito è uguaglianza o un muro per chi è povero?
    la gestione economica è cooperativa e solidale o un muro per chi ha bisogno di un lavoro dignitoso ?


    « [...] Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine.- [...] Nell'uomo nascente il Padre ripose semi d'ogni specie e germi d'ogni vita. E a seconda di come ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno in lui i loro frutti. [...] se sensibili, sarà bruto, se razionali, diventerà anima celeste, se intellettuali, sarà angelo, e si raccoglierà nel centro della sua unità, fatto uno spirito solo con Dio, [...]. »
    (Giovanni Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate

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  3. In una società privata della libertà si esprimono opinioni soltanto su ciò che si percepisce come irrilevante e non pericoloso, per dare sfogo alla disperazione e, talvolta, 'fare gruppo', bastonare il cane che affoga.
    Il diritto è forza organizzata, diceva Hans Kelsen. E questo la gente lo capisce benissimo, più di molti giuristi.
    Quindi, per riprendere l'esempio del bel commento di Francesco Maimone, la regoletta del codice della strada è, in termini di forza applicata, a tutti gli effetti una norma, perché viene resa effettiva (in realtà creata) da un'amministrazione che si dota di strumenti (v. autovelox) per riscontrare la violazione della norma e per irrogare una sanzione sentita come realmente afflittiva.
    C’è un modo ormai consolidato di produrre diritto, che è caratteristico del neo-liberismo (in questo caso il prefisso ‘neo’ mi sembra giustificato, perché il processo normativo nel modello liberale tradizionale era qualcosa di ben diverso):
    a) si crea una norma generale confusa, illogica, sostanzialmente una non-norma
    a)1) stante l’assoluta, pianificata incompetenza tecnica dei componenti degli organi elettivi (tutti a casa dopo 2 mandati!), la formazione della non-norma è a carico del potere esecutivo / amministrativo, l’unico che possiede il bis-linguaggio tecnico-maccheronico di cui consta la non-norma
    b) il repentino passaggio da blob normativo a minuziose, softwaristiche, meccanicistiche regolazioni di dettaglio avviene ad opera del summenzionato potere amministrativo (da intendersi in senso ampio, comprensivo, per i settori penale e amministrativo, della magistratura stessa).
    Ed è quest’ultimo aspetto l’unico che viene percepito a livello popolare (la multa dei vigili, la cartella di equitalia, la dichiarazione dei redditi, l’ISEE, l’APE, l’EAS, il defibrillatore a bordo campo ...)
    Tale produzione normativa è il portato di una società in cui gli individui hanno interiorizzato e modellato se stessi secondo il paradigma liberista: per chi è competitivo, antisociale, (auto)distruttivo, calcolatore, l’esistenza stessa di una norma, cioè di una regola generale e astratta valevole per tutte le persone che si trovino nella situazione considerata dalla norma stessa, è qualcosa di non più pensabile.
    Figuriamoci se possa essere soltanto concepita e presa seriamente l’esistenza di una Costituzione come quella italiana, che con un linguaggio comprensibile pone al potere un obbligo generale di agire per realizzare l’uguaglianza sostanziale dei cittadini... cioè proprio quello che essi aborrono!

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    1. S', questo fenomeno dilagherà in modo orwelliano con la pretesa digitalizzazione dela pa., resa una corsa ad ostacoli oltre ogni limite di buon senso col sistema della password e dei PIN per prestazioni previdenziali e di ogni genere, in modo da rendere inintelleggibile la variazione in peujs dei diritti fondamentali e assoggettarli a kafkiane decadenze e preclusioni gestite in totale arbitrarietà (sub-sub-normativa) da enti-killer di ogni salvaguardia costituzionalmente garantita.
      Spesso nell'indifferenza (se non nell'approvazione) della stessa Corte costituzionale

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  4. E’ il diritto stesso come abbiamo imparato a conoscerlo (noi con tradizione di civil law) che purtroppo sta subendo una metamorfosi sulla spinta mercatistica. Anche in materia giuridica il pensiero virulento di Hayek dimostra di farsi strada. Hayek ritiene che ogni formazione sociale sia spontanea, non è progettata dall’uomo e soprattutto non ha alcun fine. E il diritto segue le stesse sorti (Costituzioni incluse); le uniche norme valide sono quelle che di volta in volta sono fissate dai giudici e non quelle fissate da un “legislatore” con comandi “costruttivisti”. La giustizia, quindi, si realizzerebbe interamente con l’attività del magistrato il quale, lungi dall’interpretare preesistenti norme scritte, dovrebbe solo verificare se i comportamenti siano o non siano in linea con le regole derivanti dall’ordine spontaneo, cioè con le “concezioni diffuse intorno a ciò che è giusto” (Hayek, Legge, legislazione e libertà, 146). Il giudice non interpreta una norma scritta in vista della sua applicazione, ma crea la regola egli stesso, perché il comando come comunemente inteso nella tradizione di civil law “determina l’atto da compiere e a chi lo riceve non lascia la possibilità di giovarsi delle proprie cognizioni o di seguire le proprie simpatie”! (Hayek, La società libera, 177).
    Tale mutamento - strumentale al processo di globalizzazione, alle esigenze del mercato (come rilevato da Arturo), alla velocità di scambio delle merci, imponenti la continua rincorsa ad una giustizia efficiente e pratica – comporta:
    - un “protagonismo sempre più accentuato delle corti e del diritto pretorio, una crescita della discrezionalità del potere giudiziario… e un suo attivismo senza precedenti, che si traduce in quella che è stata definita espansione globale”; in nome dell’efficienza “il processo di globalizzazione sembra avanzare verso l'affermazione di espertocrazie mercenarie, partigiane e avvocatesche, che sfruttano strategicamente le opportunità e le risorse di una litigation society. Volendo individuare una categoria di giuristi che sia, in questo contesto, titolare di un potere effettivo è necessario far riferimento alla figura del cosiddetto 'mercante di diritto', presente presso i grandi centri federali o nazionali del potere esecutivo, in veste di specialista del lobbying politico e del contenzioso d'affari” (http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/migranti/surace/cap1.htm#n29) (quello che accadrà con l’approvazione del TTIP mi pare emblematico);
    - il diritto (anche costituzionale) rinuncia così ad alcune sue esigenze quali la valenza simbolica, la capacità di aggregare intorno ai valori comuni, il rigore delle procedure, la certezza giuridica, per aprirsi invece alla logica della deroga e ad obiettivi di semplice gestione (Farrarese, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, 74). Insomma, cede alle necessità contingenti e transeunti del liberoscambismo affaristico. (segue)

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  5. Tuttavia “Le costituzioni aspirano all’eternità ordinamentale. Sebbene anche le leggi – fatta eccezione per quelle che si qualificano dichiaratamente e volutamente temporanee – siano pensate per durare, solo la costituzione ambisce a prescrivere le regole del gioco di un ordinamento che vivrà come tale solo perché e fino a che quelle regole, dettate da quella costituzione, nella sua specifica identità sostanziale, dureranno. Così descritta, si tratta di un’ambizione che è logicamente destinata ad essere sempre soddisfatta: l’ordinamento e la “sua” costituzione stanno e cadono assieme, sicché la morte di una costituzione e la morte dell’ordinamento che ne è fondato non possono essere distinte… Nondimeno, se si esaurisse in questo, la tensione ad aeternitatem della costituzione sarebbe poca cosa, risolvendosi nella pretesa di durare tanto quanto le vicende dell’ordinamento di riferimento, di fatto, le consentono di durare. In realtà, quel che una costituzione vuole è molto di più: è plasmare i destini di una comunità politica per il periodo di tempo più lungo possibile. Tende, insomma, non solo all’eternità nell’ordinamento, ma all’eternità dell’ordinamento… le costituzioni, sebbene manifestino una naturale inerzia, sono comunque destinate al moto”. Con almeno due fondamentali precisazioni dell’Autore:
    1) “È evidente che le costituzioni (scritte) sono manifestazione dell’idea – di matrice illuministica – che il reale possa essere modellato da un atto di volontà politica, e cioè da un atto di ragione finalizzato al governo della pólis. Se cedessero alla pressione del fatto sociale solo per salvare se stesse, da un lato rinnegherebbero la propria stessa matrice specificamente politica; dall’altro si salverebbero solo formalmente, perché diverrebbero irrimediabilmente altro da sé. Il solo fatto di aver adottato una costituzione scritta, specie quando è lunga e “PER VALORI”, non kelsenianamente limitata alle regole dell’organizzazione istituzionale, attesta il rigetto della prospettiva antilluministica dell’ordine sociale spontaneo (ed è, dunque, davvero sorprendente che alcuni si accostino ad una costituzione di questo tipo qual è la nostra come se fosse possibile dimenticare questo suo fondamentale tratto genetico)”
    2) “Quando si postula la necessità dell’adattamento delle costituzioni al fatto… non si può intendere, puramente e semplicemente, il passivo recepimento delle esigenze che dal fatto promanano, perché se questo accadesse la contraddizione, storica, logica e ideologica nella quale si cadrebbe sarebbe insostenibile” (M. Luciani, Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della Costituzione Repubblicana, in AIC, 1/2013, 1-2. L’autore, al riguardo, alla nota 8 cita L. Patruno, L’elasticità della Costituzione, secondo cui “l’elasticità serve alla costituzione “per modificare il reale non per esserne modificata”).

    Lo scontro è in atto e sappiamo chi è in straordinario vantaggio

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  6. Stessa cosa potrebbe dirsi per il processo civile telematico (obbligatorio), ovvero l'apoteosi della prevalenza dello strumento (la modalità telematica di deposito degli atti giudiziari) sulla sostanza del diritto, in cui alle questioni giuridiche, se ne sostituiscono altre, ma di carattere prettamente informatico. Una riforma che ritengo essere di carattere discriminatorio ed autoritario.

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    1. Intelligenza (?) artificiale per deflettere l'attenzione dall'arretramento della giustizia nel diritto: nel nome degli investitori esteri che non possono tollerare ritardi (alla loro capacità di condizionamento e rivisitazione delle regole del gioco E id ogni esito possibile del gioco. In nome della produttività)

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