mercoledì 7 ottobre 2015

2- LA DEMOCRAZIA SOVRANA, LA CONDIZIONALITA', IL VINCOLO ESTERNO: 1947 E 1963


http://dellarepubblica.it.s3.amazonaws.com/Legislature/III-CRONOLOGIA/images/L3_60_08_09.jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/a/ae/Aldo_Moro.jpg

 Emilio Colombo with Edward Heath in 1971

ADDENDUM E RINVIO AL POST:

LA DEMOCRAZIA SOVRANA, LA CONDIZIONALITA', IL VINCOLO ESTERNO E IL "VINCOLONE" (TTIP).

1. Dai commenti di Arturo e risposte conseguenti - che vi invito a leggere integralmente in continuità col presente "addendum"- sta emergendo l'importanza emblematica delle vicende del 1963.
Una riorganizzazione in un unico post di tali vicende, come pure delle proiezioni chiarificatrici che gettano sul precedente del 1947, sarebbe ormai difficile e "dispersivo" per i lettori: sia perchè è un lavoro in progress, sia perchè il materiale già accumulato non entrerebbe in un post di lunghezza "normale".
Si tratta in entrambi i casi (1947 e 1963) del prevalere, di un indirizzo politico costruito in varie forme extra ordinem, cioè, - per espressa ammissione, rispettivamente, di De Gasperi e di Colombo e Moro-, non corrispondenti agli esiti elettorali (1947) ed alla prassi costituzionale che si era andata formando (1963). 
Questo indirizzo extra ordinem, in entrambi i casi, produsse delle politiche, segnatamente deflattive, imperniate sulle "indicazioni", più o meno informali, della banca centrale.

2. E' interessante notare che la spesso denunciata "instabilità" di governo del dopoguerra, non pare tanto imputabile al sistema emergente dall'uso della legge elettorale proporzionale, ma ad un fenomeno di segno opposto: cioè all'esistenza di "forze" capaci di determinare l'indirizzo politico-governativo nel fondamentale campo delle politiche economiche, ma non elettoralmente "pesate" e, nondimeno, "pesanti". Queste componenti del gioco politico non sono numericamente rappresentabili, in termini di decisività nella formazione delle maggioranze "teoriche" (cioè elettoralmente espresse), ma decidono (le politiche economiche del dopoguerra così come di promuovere la "costruzione europea").
Queste forze, peraltro, si formano (o preestistono e si rinnovano, nella loro azione, rispetto alle epoche precedenti, incluso il fascismo) e si rafforzano nel quadro politico dell'epoca. 
Più ancora, emerge che esse trovano in istituzioni come la Banca centrale e in, più o meno chiare, pressioni dei partners europei e internazionali in genere (le tracce di ciò emergono dalle fonti, dirette e storiche, citate da Arturo), un canale di determinazione dello stesso indirizzo politico-economico che bypassa il processo elettorale, rendendolo appunto "idraulico" (cioè tollerabile a condizione che sia compatibile con esiti pre-determinati al suo esterno).

3. A conferma dello sviluppo dei fatti, ho aggiunto alcuni dati economici rilevati da Wikipedia.
Il 1963 fu indubbiamente un anno di inflazione più acuta, rispetto alla media anteriore e posteriore dell'economia italiana (se eccettuiamo il periodo immediatamente susseguente all'espansione dovuta agli effetti del Piano Marshall, cioè i primissimi anni '50):

Tasso annuo di inflazione in Italia dal 1960. È evidenziato l'anno dell'introduzione dell'euro (1999). Dati: Istat- "Inflazione italiana" di T,C&S - Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikipedia - https://it.wikipedia.org/wiki/File:Inflazione_italiana.jpg#/media/File:Inflazione_italiana.jpg


4. Ma il 1963 appare anche l'anno di uno storico minimo della disoccupazione, confermando in pieno la curva di Phillips e dunque spiegandoci la "lamentela" di Carli sul calo dei profitti e sulla forza sindacale ritenuta di ostacolo ai (consueti) temi di investimento e competitività:

Evoluzione del tasso di disoccupazione in Italia tra il 1960 ed il 2012. Fonte: AMECO database - "Italian unemployment rate" di T,C&S - Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Italian_unemployment_rate.png#/media/File:Italian_unemployment_rate.png



5. Che il problema NON fosse il debito pubblico, neanche allora, ce lo conferma questo ulteriore grafico
I dati sul modesto incremento della spesa pubblica nel periodo considerato (fine anni '50-inizio anni '60), li avete visti nel post da cui partiamo, al punto 8.
Rimarchevole il fatto che, essendo il debito pubblico rilevato in rapporto col PIL, nel 1962-1963, esso stava addirittura calando (insomma non si poteva utilizzare tale dato come strumento di ricatto propagandistico...ancora: la crescita nominale era dunque superiore al deficit pubblico):

Andamento del debito pubblico italiano in rapporto al PIL dopo il 1960. È evidenziato il limite del 60% fissato dal patto di stabilità. Dati: FMI.

6. Da notare, infine, che neppure il saldo delle partite correnti era negativo, anzi: secondo i dati del FMI (che trovate rappresentati qui), il saldo era stato in media positivo per 0,5 punti di PIL tra il 1953 e il 1962 (un dato solo poco più debole di quanto registrato in Francia e Germania, ma superiore al declinante saldo medio degli USA).
Nel periodo 1963-1976, poi, lo stesso saldo era stato ancor più largamente positivo, nella media, per un valore di 0,7 punti di PIL, alla pari con quello tedesco e mentre la Francia registrava un saldo medio (-0,3) negativo (gli USA tenevano con uno 0,4 medio: il loro vero "tracollo" si registra, post Bretton Woods e in concomitanza con la vicenda post-Viet Nam, nel periodo di accelerazione della "costruzione europea", 1977-1995, dove gli USA registrano un -1,5 medio; nello stesso periodo, l'Italia "eurocostruttiva" inverte, non casualmente, la precedente tendenza, con un -0.4 negativo medio di saldo, mentre la Francia si attesta su un medio -0,1 e la Germania prevale sul mercato europeo con un medio +1,1).

7. Insomma, intorno al 1963, il rapporto debito/PIL era sotto controllo (anzi, declinante), la spesa pubblica e il deficit non preoccupanti sotto il profilo della concomitante crescita economica: certo, passò l'idea che "il miracolo economico si interruppe nel 1963".  
Ma non per via delle politiche espansive di spesa pubblica, dovrebbe essere ormai evidente, quanto per l'esigenza "redistributiva pura", (in senso inverso rispetto al dettato costituzionale), di tornare a politiche deflattive, consigliate da Banca d'Italia e...partners internazionali vari.
Cioè, era giunto al suo nodo centrale un problema distributivo e di dislocazione del potere socio-politico: esattamente il fenomeno, arcinoto su questo blog, evidenziato da Kalecky e che troverà, poi, nella "costruzione europea" il più forte aggancio per il "quarto partito", interno e tutto italiano, che continua a spingere in tale direzione...

8. Ci pare quindi appropriato concludere ribadendo quest'altra citazione, eloquentemente riassuntiva, riportata da Arturo in precedenza (qui): 
"Del mismo modo que Kalecki (1943) había sugerido que el papel social de la doctrina de la finanzas sanas era mantener el nivel de desempleo suficientemente alto para contener las demandas salariales de los trabajadores, se podría decir que la doctrina del banco central independiente que sigue un programa de metas de inflación tiene esencialmente el rol de controlar las demandas de los trabajadores, y acotar las posibilidades de los gobiernos progresistas de buscar el pleno empleo
Galbraith et al. (2007) muestran que esto ha sido verdadero, inclusive para el caso estadounidense, donde por lo menos formalmente el Fed tiene un compromiso con el pleno empleo. De la misma manera, la Unión Monetaria Europea (UME) estaba diseñada, en alguna medida, para mantener elevados niveles de desempleo y bajas presiones salariales (Arestis y Sawyer, 2001; Pivetti, 1998)."

ADDENDUM: Il 1° commento ci induce a guardare anche al dato della crescita nel periodo del 1963
Credo che i grafici contenuti in questa analisi del 2012 diano risposta alla domanda di Chiara. 
Il 1963 segna un punto di arrivo di una fase di raffreddamento della crescita, anche se non di recessione
Certamente, dato che in precedenza l'inflazione era già in ascesa e la disoccupazione in discesa, i tassi di cambio reale crescevano, - all'interno del sistema dei cambi di Bretton Woods (fissi sul dollaro con possibilità di aggiustamenti a condizioni predeterminate di deficit CAB e posizione netta sull'estero)-, minacciando in prospettiva la competitività estera di un'economia a vocazione esportatrice.
Più ancora, intanto, i profitti calavano, date le agitazioni salariali e il disordine sindacale che vi si accompagnava, mentre gli interessi reali (e i rendimenti sui titoli pubblici) dovevano essere negativi.
Se ne ricava, per l'epoca, una situazione evidentemente considerata intollerabile dal punto di vista politico (Kalecky docet), cioè del controllo effettivo sulle istituzioni: in altri termini, l'ordine pubblico (proprio, la "piazza") era considerato un problema prioritario nei suoi risvolti socio-economici. Ergo un problema redistributivo, come detto nel finale:
"Usando i soli dati della Banca Mondiale si può notare come in Italia vi sia stata decrescita (nominale) del Pil in 5 occasioni prima di quest'anno: nel 1975 (-2,1%); nel 1993 (-0,9%); nel 2003 (Pil sostanzialmente fermo con crescita di 0,0%; nel 2008 (-1,2%), e nel 2009 come riportato sopra (-5,5%). Quindi oltre al 2009 anche il 1975 ha fatto registrare una decrescita "tra il 2 e il 3%". Usando i dati reali, anche il 1980 può essere considerato un anno di recessione - secondo l'Fmi a causa di un'inflazione aumentata repentinamente dal 14,8% al 21,2%, erodendo la crescita del Pil (vedi serie storiche Istat per l'andamento dell'inflazione dal 1970 ad oggi).
Per poter tornare indietro nel tempo fino al 1945, ci affidiamo invece a questo studio di Bankitalia (p. 35, Figura 1) che indica il Pil pro capite dal 1861 ad oggi, indicizzato al 1861. Si può vedere dal grafico riportato qui sotto come il Pil non abbia avuto momenti di decrescita dal 1946 al 1960, ultimo periodo che mancava all'analisi per poter finalmente dare un giudizio alla dichiarazione di Bersani. Anche se questo dato riguarda il Pil pro capite, è evidente che dato un denominatore costantemente in crescita nel periodo osservato (la popolazione è aumentata ogni anno dal 1946 al 1960, ed effettivamente solo nel 1987 sembra esserci stato una decrescita demografica), anche il numeratore (il Pil) deve essere stato positivo."




26 commenti:

  1. Mi sono persa qualcosa.. Come ci riuscirono? Con disoccupazione sotto il 4% salari in crescita debito basso..su cosa fece leva la propaganda? Solo sull'inflazione?

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    1. Dovresti trovare una risposta nell'addendum ora pubblicato, che specifica quanto detto sul problema "distributivo".

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  2. Aggiungo un paio di elementi con l'aiuto del solito Graziani (op. cit., pp. 84-5): "[...] in quegli anni, nei mercati internazionali prevaleva una situazione di stabilità monetaria: fra, il 1960 e il 1965, gli indici dei prezzi, all'ingrosso negli. Stati Uniti e nella Germania occidentale, due paesi .guida per i mercati mondiali, si presentavano stabili (negli Stati Uniti, l'indice dei prezzi non agricoli crebbe appena di mezzo punto, in Germania, di. 3-4 punti). Il padronato italiano si trovò quindi stretto fra due vincoli. Da un lato, le rivendicazioni salariali avevano imposto aumenti di costo; dall'altro, i mercati internazionali impedivano di aumentare i prezzi di vendita. E chiaro che in tale situazione i profitti degli imprenditori venivano compressi. Le difficoltà degli imprenditori trovano una denuncia esplicita nelle Relazioni annuali della Banca d'Italia, nelle quali il governatore Carli, che occupava la carica dal 1960, affermò con estrema chiarezza che gli imprenditori italiani, stretti fra salari crescenti e prezzi esterni stabili, vedevano seriamente compromessa la propria posizione. Si sarebbe ovviamente potuto ricorrere a una svalutazione della lira rispetto alle altre valute nazionali [...], ma, per quanto l'eventualità di una svalutazione venisse ventilata in diversi ambienti, le autorità monetarie internazionali non risultarono inclini ad autorizzarla.
    In queste circostanze, avvenne quello che doveva necessariamente avvenire, e cioè che l'inflazione interna e l'aumento della domanda globale furono accompagnate da un disavanzo crescente della bilancia commerciale, che ruppe l'equilibrio nei conti con l'estero raggiunto negli anni del miracolo. Anche di fronte a questa situazione, le autorità decisero tuttavia di non abbandonare la parità esterna della lira. L'interpretazione ufficiale fu che il disavanzo nella bilancia dei pagamenti era dovuto in prevalenza a movimenti speculativi provenienti da chi non aveva fiducia nella volontà e nella capacità delle autorità italiane di ripristinare l'equilibrio interno ed esterno; e che tali movimenti speculativi andavano combattuti con provvedimenti immediati. Le autorità monetarie internazionali, accettando tale interpretazione, furono pronte a finanziare il disavanzo della bilancia dei pagamenti italiana mediante la concessione di prestiti: nel marzo 1964, il governatore della Banca d'Italia stipulò sul mercato finanziarlo statunitense un prestito di un miliardo di dollari, ammontare che parve allora assai elevato. Tale prestito venne reso ampiamente noto al pubblico, nell'intenzione esplicita di sottolineare la volontà delle autorità italiane di combattere la speculazione al ribasso contro la lira, e al tempo stesso di risanare la situazione senza ricorrere alla svalutazione della moneta italiana."

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  3. Facciamo un salto a pag. 88: "Le esportazioni di capitali non erano una novità. Esse erano cominciate fin dal 1963, quando il primo governo di centro-sinistra aveva istituito una nuova imposta (la cosiddetta imposta cedolare) sui redditi dei titoli azionari, e aveva, proceduto alla nazionalizzazione dell'industria elettrica. Da allora, finanzieri, e capitalisti avevano cominciato a vendere titoli sulle borse italiane, trasferendo i proventi all'estero e comprando tìtoli stranieri (o magari anche titoli italiani, che però essendo acquistati all'estero sfuggivano all'applicazione dell'imposta). Il trasferimento all'estero avveniva per molte vie. Alcune di queste erano più avventurose e consistevano nel far passare clandestinamente attraverso la frontiera pacchi di biglietti di banca italiani, che poi venivano ripresentati alla Banca d'Italia e convertiti in valuta straniera; altre, quasi ufficiali, si basavano sulla collaborazione delle banche italiane e dellee banche corrispondenti all'estero.
    In queste condizioni, sostenere che la bilancia, dei pagamenti era passiva, e che tale passivo giustificava una politica di restrizione della produzione interna, era doppiamente in malafede. In primo luogo perché seguendo questa strada, si comprimeva la produzione interna e si creava disoccupazione soltanto per compensare le fughe di capitali; il che significava lasciare lavoratori disoccupati per consentire ai finanzieri di. portare i loro capitali al riparo dal fisco. In secondo luogo perché le fughe di capitali avvenivano, come abbiamo detto, attraverso le banche; e la Banca d'Italia avrebbe fatto meglio a esercitare più seriamente le proprie funzioni di controllo sull'intero sistema bancario, invece di lamentarsi, accusare gli speculatori, ma nella sostanza chiudere un occhio e permettere che le fughe di banconote continuassero. Ma nessun provvedimento amministrativo di qualche efficacia contro le fughe di capitali venne preso, se non molto più tardi, nel 1970 e successivamente nel 1974 (Izzo e altri 1970)."

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    1. Quadro fedelmente ipotizzato, in base ai dati, dal post (addendum incluso), con l'aggiunta dell'allegra gestione della vigilanza sulla "fuga dei capitali" (la libertà e la proprietà, anzitutto, vanno tutelate, no?)

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  4. Un grazie ad Arturo, come sempre, per le tante fonti di studio.
    Ed una domanda, o forse una constatazione, non lo so, fate vobis. Nel 1955 si stipula a Roma l'accordo bilaterale italo-tedesco per il reclutamento e il collocamento della manodopera italiana nella Repubblica federale tedesca. Questo immagino possa aver inciso sui "costi" salariali del padronato, anche alla luce di quanto evidenziò Baffi "Nuovi studi sulla moneta", Milano, Giuffrè, 1973, p.11 in cui afferma che la migrazione di manodopera verso la Germania portò, negli anni '60 ad un "paradossale" connubio di sviluppo economico (Aumento produzione e produttività), scarsità di manodopera, aumenti salariali e pertanto squilibrio esterno... Si sa che l'emigrazione è stata sempre valvola di sfogo nel Novecento per l'Italia... politica controproducente?

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    1. Eh sono stati generosi, come da tradizione.
      Intanto, in quegli anni, vigeva la retorica delle "rimesse" degli emigrati: poi, il "paradosso" deriva dalla sostanziale inattitudine a considerare la domanda interna (C+, specialmente I, rivenienti dal risparmio) come fonte di sviluppo.
      Cioè, registrata una crescita del PIL, con grande stupore, non gli veniva in mente che anche i cont esterni potevano essere mantenuti in ragionevole equilibrio effettuando gli investimenti.

      Infatti, poichè aumentava l'inflazione, la cosa migliore (astuzia) non fu investire ma ricorrere all'esportazione di capitali e puntare sul rafforzamento (auto)speculativo dei cambi delle valute estere piuttosto che sulla continua innovazione tecnologica.

      Quest'ultima, come noto, albergava proprio nell'industria pubblica che, però, aveva il difettuccio di creare occupazione a salari comparativamente crescenti.
      Da qui l'unica soluzione per la competitività diveniva la deflazione, Stato brutto e, poi, ovviamente, il vincolo sul cambio (una volta venuto meno Bretton Woods: infatti il rapporto Werner viene tirato fuori nel 1971).

      Naturalmente, indovinare i pochi grandi nomi che la pensavano così (un salotto buono) ci fa capire pure le dinamiche "ideologiche" di Bankitalia
      Animal spirits privati e propensione composita all'investimento di rischio: non (troppo) pervenuti....(Che poi alla fine si riduce

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    2. Generosi si... ma ieri, come oggi, la colpa è sempre del Sindacato, cioè dei lavoratori... interessante poi come sempre la ri-lettura di Spaventa Giavazzi, la ri-scoperta del sussidio indiretto alle imprese accompagnato da tagli al salario indiretto (se non erro)... Ieri come oggi, la "cura" è sempre la stessa per i soli noti... da cavallo...

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  5. Tra l'altro mi pare che l'interpretazione kaleckiana risulti avvalorata da un confronto con la svalutazione della seconda metà degli anni '70. In quell'ormai celebre paper di Giavazzi e Spaventa si dimostra che il costo della disinflazione fu relativamente basso proprio perché svalutazione e inflazione avevano preventivamente garantito un aumento dei profitti ("The costs of subsequent disinflation were low precisely because inflation and currency depreciation had boosted firms' profitability"), in modo assai più rapido e indolore delle manovre di stabilizzazione praticate in altri paesi europei. Manovre che non hanno quindi lo scopo puramente economico dichiarato (anche da Carli: restaurare i margini di profitto), ma una più ampia portata politica. Il che giustifica il giudizio keynesiano di restaurazione "inintelligente".

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    1. Scrivo da una terra splendida, misteriosa e affascinante.. in quella fase del ciclo minskyano che prevede un massiccio afflusso di capitale estero: tutti sorridono, tutti sono rilassati mentre il Paese si ammoderna. Nessuno si aspetta che, nonostante l'esteriorità sia preservata e in qualche modo ingraziosita dalle nuove "possibilità", la struttura economica, e i rapporti che sottende, stia cambiando radicalmente.

      La cosmesi del Fogno liberale lascerà presto nudo il teschio della struttura sociale, e le catene arrugginite strette intorno ai metacarpi della sovranità politica: eventi pretestuosi paventeranno fughe di capitali, corse agli sportelli e il regime carcerario delle condizionalità sarà l'unico rigore con cui il "nuovo uomo" verrà riformato.

      Le stelle imperiali sono già presenti dappertutto: solo l'atavico disprezzo per la germanicità - sulle orme della Thatcher - ha risparmiato l'orrore greco ed argentino della fase finale del ciclo di Frenkel.

      La documentazione testimonia in modo rigoroso che è sempre esistito un "doppio Stato": lo Stato di diritto e lo stato di natura, la legislazione e la Legge, la sovrastruttura e la struttura.

      Si è "agevolmente" dimostrato che il mercato È razionale: l'ordine che rappresenta premette che i decisori si coordinano in modo oligopolistico, e, poiché la loro volontà diventa realtà, ciò che avviene è razionale.

      QUINDI esiste una signora Germania bionda che parla tedesco, esiste una signora Francia che tiene rigorosamente le baguette appena acquistate sotto le ascelle, e, tornando alle contraddizioni tra New Deal/Piano Marshall e politiche più o meno effettuate, anche gli USA sono una signora che porta i jeans ed è affetta da schizofrenia.

      La ragione di Kalecki è in perfetta coerenza con la sociologia marxiana: tutte queste signore apparentemente irrazionali - forse a causa degli estrogeni dell'opinione pubblica - condividono il medesimo talamo con il medesimo amante: il grande capitale; la cui globalizzazione comporta un coordinamento che trova ostacolo solo nelle sovranità nazionali non appiattite al dogma liberale.

      Come faceva notare Strauss, a differenza del "libertarismo classico", il liberalismo comporta l'esistenza della schiavitù.

      Il problema della questione "storicista" è che tendenzialmente esclude una restaurazione neo-medievale, mentre il neoliberalismo sovrastrutturato alla teoria neoclassica, fa presupporre, per analogia, che il Grande Fratello sia preparato a gestire "ingegneristicamente" coloro che non avranno altro da perdere che le proprie catene.

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    2. Colgo l'occasione di questo tuo commento che riassume i punti che mi servono (spero tu non me ne voglia): "... il costo della disinflazione fu relativamente basso proprio perché svalutazione e inflazione avevano preventivamente garantito un aumento dei profitti... "
      e
      ".... Manovre che non hanno quindi lo scopo puramente economico dichiarato (anche da Carli: restaurare i margini di profitto)..."

      Se si può dire che il "quarto partito" cura il benessere dell'impresa mentre il primo, il secondo e il terzo curano il benessere dei cittadini (compresi i titolari d'impresa), allora è abbastanza evidente che bisogna prendere in considerazione i primi fondamentali della impresa.

      A cosa serve?
      A produrre beni e servizi, ovvero a produrre profitti?

      I rappresentanti del "quarto partito" sembrano puntare, con la loro azione, ad agevolare la produzione di profitti da parte dell'impresa.

      Invoco ora "Il Capitale" - K. Marx
      LIBRO TERZO
      TERZA SEZIONE
      Legge della caduta tendenziale del saggio del profitto.
      Capitolo 13 e14

      V. Giacché ha recentemente scritto un documento che si segnala :
      http://www.sinistrainrete.info/teoria-economica/5661-vladimiro-giacche-stagnazione-secolare-o-caduta-tendenziale-del-saggio-di-profitto.html
      nel quale fornisce dati che indicano come la "tendenza" alla caduta sia diventata un evento assai reale. D'altra parte Marx fornisce nel cap. 14 un gruppo di "influenze antagoniste che contrastano o neutralizzano l'azione della legge generale". Analizzando queste "influenze antagoniste" ci si rende conto che l'impresa le sta mettendo (da decenni) progressivamente tutte in opera (e quindi dal punto di vista dell'impresa la caduta non è più da tempo una tendenza ...).
      Per la discussione dei punti si rimanda ai testi citati.

      Segue (chiedo venia per la sbrodolata

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    3. Fine

      Dai documenti citati e tenendo conto della realtà (vedere ad es : http://www.academia.edu/7794413/Il_postfordismo_e_la_finanziarizzazione_delle_imprese tra gli innumerevoli contributi) sembra di capire che l'impresa abbia deciso di aprire un nuovo filone di attività affiancandolo a quello preesistente.
      Quest'ultimo è tutto o quasi calato all'interno dell'economia reale monitorata, per intenderci, dal Prodotto interno lordo (PIL).
      L'attività affiancata è praticamente tutta fuori dal PIL e dall'economia reale. E', a tutti gli effetti, una nuova attività il cui "fatturato" viene stimato (unico modo noto per averne un'idea) a circa 10 volte la consistenza del PIL derivante dall'economia reale (su scala planetaria). E tali attività corrispondono, in particolare, al punto VI del cap. 14 prima indicato.
      Si può ancora designare l'attività di tale impresa come impresa tout court?
      Come dire tutte le imprese perseguone le "influenze antagoniste"?
      La risposta sembra negativa.
      La micro e piccola impresa (fino a 10 dipendenti, fino a 50 dipendenti) può destinare risorse operative al presidio delle "influenze antagoniste"? La risposta sembra decisamente negativa.
      Quindi si sta parlando della sola media (e non è neanche così ovvio) e grande impresa. Se ci si cala nella realtà nostrana la media e grande impresa incidevano nel 2006 rispettivamente per il 4.5% e per lo 0.5% sul totale di tutte le imprese italiane (fonte http://www.confcommerciovenezia.it/public/comunicazione/materiale_news/scheda_pmi_italia.pdf)
      Do per fermo che la struttura generale sia rimasta inalterata (in caso diverso mi corigerete ...).
      Cosa ne deriva?
      Se si possono continuare anche oggi a identificare i rappresentanti del "quarto partito" in quei politici, anche diversamente economisti, che curano il benessere "dell'impresa" (mentre gli altri tre partiti continuano a curare il benessere di tutti i cittadini compresi i titolari "d'impresa" e i titolari d'impresa), ne deriva che le istanze dei rappresentanti del "quarto partito" siano volte a favorire più o meno qualche percento delle imprese e cioè "le imprese" (e non sono certamente il 5% totale nei dati riportati perché risulta assai dubbio che la media impresa fino a circa 100 dipendenti possa dedicare risorse a curare le "influenze antagoniste").
      C'è da capire per quale motivo "le imprese" non abbandonino al loro destino la loro quota d'impresa (fonte di innumerevoli noie: lavoratori, sindacati, caduta del saggio di profitto, ...) per dedicarsi stabilmente alle sole "influenze antagoniste" indicate al punto VI del cap. 14?
      Io non lo so. Posso solo fare una ipotesi: per iniettare nelle loro quote d'impresa (monitorate attraverso il PIL) quanto raccolto attraverso il "fatturato finanziario".
      Ma, ancora, perché? (Ma tu perché ritorni a tanta noia? Perché non sali il dilettoso monte ...)
      So con assoluta certezza che il capitale della grande impresa può contare su una buona cultura economica: conosce Marx e si rende conto che i suoi suggerimenti di microeconomia sono da applicare (chissà come l'hanno presa Friedman e suoi compagni di merende ...).
      Pertanto se il "fatturato finanziario" (insieme alla altre "influenze antagoniste") viene utilizzato per stabilizzare le rispettive componenti d'impresa, ci deve essere un motivo estremante solido.
      L'unica spiegazione che mi è disponibile è la seguente: il "fatturato finanziaro" è del tutto inerte, una cosa morta e assolutamente inutile. L'operazione di riciclaggio nella componente d'impresa è essenziale per renderlo vivo e utilizzabile.

      Non mi chiedete perché, non sono un economista.

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    4. Urca, ti rendi conto che questo è materiale per "dover" scrivere diversi libri (con tante fonti e dati documentati)?

      La caduta dei profitti è un trade-off che appunto Kalecky illustra molto bene.
      Ma il capitalismo non rende conto solo della sua prodigiosa capacità materiale di produrre beni e servizi: esso stabilizza una nuova gerarchia ristretta.
      Che però non così sprovveduta da non strutturare un rete discendente di complicità-associazioni in compartecipazione.

      Bazaar, già (autonomamente) ti fornisce qualche risposta.

      La elusiva definizione di imprenditore, come rielaborata da Schumpeter, un altro pezzetto di realtà esplicativa.

      La finanza prospera sulle popolazioni invecchiate; e le popolazioni invecchiano (cioè si riproducono sempre meno), in una lunga fase iniziale, proprio laddove si finanziarizza, per un fatto demografico ineluttabile legato alla deflazione prevalente.

      Ma tutto questo presuppone che l'accumulo del risparmio diffuso, via Stato sociale, in precedenza ci sia stato, allungando, appunto, l'aspettativa di vita della popolazione.
      Dunque, è un tira e molla continuo nello sviluppo delle dinamiche sociali interne al capitalismo, dato che il parassita distrugge il metabolismo del corpo ospitante, per definizione.

      Sono come dei parassiti che si manifestano quando un corpo è a lungo ben pasciuto e non si cura più di lottare per tenersi "democraticamente" sano: cioè capace di ricordare come e perchè trovasse quel nutrimento che lo ha reso così appetibile (ai parassiti).
      E questo spiega l'atteggiamento delle piccole e medie imprese: non si ricordano più perchè. E forse non l'hanno mai saputo..

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    5. Non me ne rendevo conto (ma non sarei certo in grado di provarci).
      Restituisci con chiarezza la realtà nel tuo commento.

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    6. @AP: accipicchia, ne hai messi in tavola di concetti! :-) Bocconi senz'altro troppo grossi anche per me, ma un paio di osservazioni le faccio. La conclusione a cui arrivi è quella di Marx: il capitale produttivo di interesse è un titolo di credito su futuri profitti, che però devono essere realizzati nel settore della produzione. L'impressione che il capitale si autovalorizzi, cioè che si passi direttamente da D (denaro) a D' (D + x) autonomamente, senza riferimento al settore produttivo, fa sì che "la forma feticistica del capitale e la rappresentazione del capitale come feticcio sono complete" (Il capitale, vol. III, Torino, UTET, 1987, pag. 495). Quando il capitale produttivo di interesse circola autonomamente, come avviene nel mercato finanziario, come dice Marx, "ogni capitale sembra raddoppiarsi, e a volte anche triplicarsi, a causa dei diversi modi in cui lo stesso capitale o anche solo gli stessi titoli di credito appaiono in mani diverse sotto forme diverse" (Ivi, pag. 595), mentre naturalmente esso esiste solo come "titolo di proprietà, pro rata, sul plusvalore da realizzare per suo mezzo" (Ivi, pag. 591), nel settore produttivo, da parte dell'imprenditore che ha ricevuto quello che Marx chiama "capitale reale" per contrapporlo al "capitale fittizio" di cui parliamo qui, in cui "ogni legame con l'effettivo processo di valorizzazione del capitale va, fino all'ultima traccia, perduto, e si consolida la rappresentazione del capitale come automa che si valorizza da sé". (Ivi., pp. 590-91).
      Ora, pur ritenendo Marx un autore fondamentale, non lo so se sono completamente convinto dalla sua analisi del capitalismo, soprattutto della teoria del valore lavoro e della summenzionata "legge", che forse poi così legge non è, della caduta tendenziale del saggio di profitto. Una presentazione generale del pensiero economico marxiano, che mi è stata utilissima, direi indispensabile, è quella contenuta nell'introduzione al Capitale di Michael Heinrich, di cui esiste una traduzione in inglese (lo consiglio davvero caldamente). Sono questioni teoriche di grande interesse, ma sul piano pratico non poi così drammatiche, sia perché le più recenti analisi storico-filologiche, condotte dallo stesso Heinrich, non solo rivelano che la legge della caduta è filologicamente sospetta, ma più in generale ci restituiscono un Marx sempre più keynesiano ("Marx’s mature crisis theory starts to look very much like a Keynesian explanation, with the emphasis on aggregate demand, banking, money and credit cycles."); sia perché come avrai notato le proposte concrete di diversi marxisti non sono granché diverse da quelle sostenute qui (vedi per esempio Giacchè, ma in fondo anche Brancaccio, se si guarda alle sue analisi senza la bardatura tattica che vi apparecchia attorno). Sono comunque questioni su cui devo lavorare ancora un bel po'.

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    7. La distinzione tra marxismo e keynesismo è fondamentalmente di "appartenenza": i grandi post-keynesiani sono tendenzialmente anche marxisti.

      Appartenenza, però, significa ideologia e "partito reale": niente di meno keynesiano e marxiano...

      Dal punto di vista culturale e di filosofia politica ci sono differenze abissali, (a partire dallo "status" degli interlocutori a cui è rivolta la produzione scritta): dal punto di vista economicistico sono uno il naturale sviluppo dell'altro. Ci sarebbero numerose riflessioni da fare...

      Comunque, per mille motivi, tutta la "post-modernità" prende in considerazione entrambi i contributi dialettici: se la teoria neoclassica e il neoliberalismo nascono con l'esplicito intento di sterilizzare il marxismo, il consumismo e le teorie neomalthusiane sono strumentali de facto a sterilizzare il keynesismo.

      (Sul "consumismo" e sulla controrivoluzione neoliberale invito alla lettura di... "Momo" di Ende)

      Sulla "caduta tendenziale del saggio di profitto", invito alla lettura dei lavori del club di Roma che attribuiscono all'EROEI strutturalmente decrescente determinato dal "limite delle risorse" la causa della crisi in essere... Se la causa è dal lato dell'offerta, allora la soluzione alla crisi non sarà una rivoluzione che porterà alla "dittatura del proletariato"... ma un'involuzione che porterà a rapporti di produzione di tipo medievale in una condizione sociopolitica da "sorveglianza orwelliana".

      Cosa ne deduco?

      Che Marx e Keynes sono fondamentali per il ripristino delle democrazie sostanziali; ma non sono sufficienti.

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    8. E che lodicoaffa'? Bravo Bazaar :-)
      (Non sono sufficienti a ripristino di..? Forget it. La dialettica del mondo, politicamente, è mossa da ondate "dialettiche" di livore)

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    9. Commento per ringraziare tutti di aver illuminato certe parti che (mi) rimanevano in penombra. L'accenno di Bazaar alle conclusioni romane mi sollecita un chiarimento. Tali conclusioni sono, come ben noto, completamente sbagliate e tali risultano i loschi tentativi contemporanei di resuscitare il cadavere. Mi amareggia che, per l'ennesima volta nella nostra evoluzione di bipede implume, ci dovremo cacciare in un vicolo cieco. Datosi che più una teoria strampalata viene razionalmente confutata su basi scientifiche inattaccabili e più tale maleolente fardello viene divulgato come verbo dalle "casalinghedivoghera" (absit iniuria verbis) che infestano le reti di comunicazione.

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    10. Direi che tutti i post-keynesiani sono legati all'approccio classico del sovrappiù e quindi alla determinazione conflittuale della distribuzione, un paradigma a cui il marxismo certo appartiene ma che non è di per sé marxismo (ammesso che sia poi così facile separare il marxismo da ciò che non lo è...;-)).
      In effetti lo scopo del marginalismo è negare l'esistenza di quello che è un elementare dato di realtà, cioè il conflitto sociale, per sostituirlo, appunto...col livore: "E fortissima [in Einaudi] era la denuncia dei mali insiti in uno Stato, come quello italiano, il cui «congegno» appare «costruito per modo da concedere potenza ai pochi i quali vivono attorno al governo», e in una borghesia costituita in una «*casta* [!!!] politica, che è istintivamente contraria» alle necessarie riforme [pure!], «composta di gruppi aventi di mira unicamente il loro interesse personale»" (M. L. Salvadori, Liberalismo italiano, Roma, Donzelli, 2011, pag. 89. La citazione è tratta dal primo volume delle Cronache economiche e politiche di un trentennio: quindi articoli scritti tra fine Ottocento e primo Novecento). Ovvero "la casta" è una trovata einaudiana: ne tirassero mai fuori una originale!

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  6. Ciao Quarantotto, scusami della mia limitatezza, ma faccio fatica a comprendere come mai negli anni 70 con il cambio flessibile, in un contesto fortemente inflattivo, dopo la guerra dello Yom Kippur, la classe dirigente italiana ha lasciato deliberatamente che i salari crescessero di più della produttività? Come testimone lavoratore/studente sul campo di battaglia, ti posso assicurare che se nelle piccole aziende, dove non c'era il sindacato, i ritmi di lavoro erano elevatissimi nelle aziende sindacalizzate ( guardando con la testa di oggi e non quella di allora) il lavoro che si faceva in 15 si poteva fare benissimo in 11/12 senza ammazzarci di fatica. Il Docente di economia politica, con il quale ho sostenuto l'esame nel 1987, quindi a distanza di 14 anni dalla guerra del kippur, sosteneva che la politica inflazionistica era stata voluta dagli Stati Uniti, per ridurre i margini di guadagno dei paesi produttori dopo l'aumento del petrolio di 4 volte. Sarà vero? I fatti dicono che quell'evento fu funzionale per distruggere da un punto di vista prima teorico e poi pratico le teorie Keynesiane. Fu puro caso? Chissà perchè il caso si mette sempre di traverso per i popoli e sempre dritto per le Elites.

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    1. E' interessante il quesito: le risposte possono trovarsi, tenendo conto del complessivo sviluppo degli anni '70, diciamo il 1° post-Bretton Woods, in USA, negli effetti sociali interni "importati" dal disastro politico-militare del Viet-nam e, (in connessione, al tempo evidente) in Italia, con la notoria avanzata elettorale del partito comunista.

      La correzione a uno stato di cose apparentemente divenuto fuori controllo, fu quindi drastica e, dialetticamente, solo in apparenza sorprendente: in effetti, gli eventi provarono che in Viet-nam (nel panorama geopolitico) la sconfitta poteva tramutarsi in vittoria.

      E iniziarono le "puntate" sul declino dell'impero sovietico accoppiate all'inevitabile via libera alla revanche neo-classica, non solo strsciante e culturale, ma di tipo governativo (l'asse Nobel a Hayek e irresistibile ascesa di Friedman): cioè da "quarto partito" (per usare l'espressione italica), si afferma il partito unico della deflazione (monetarismo in USA, geopolitica del libero mercato come affermazione della "democrazia", finanziarizzazione come esplicito sistema di stabilizzazione del disordine sociale).

      Naturalmente, ci sono, e si possono ulteriormente scrivere, interi libri.

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  7. L'ultimo "padre costituente"
    (otc .. gossip news)

    Giusto per compensare la "tensione" prodotta da quest'ultimi post che ripropongono con filologia micrometrica le risultante storiche e la memoria dei primi decenni di vita della Costituzione Italiana del '48, verrebbero da rimembrare le "segrestanello" (dal conio di Francesco Saverio Nitti) oppure "il dritto come il manico di un ombrello .. dalla voce tersa come la brina" (da quello spigoloso uscito dal "cil"Indro Montanelli) ..
    http://www.corriere.it/politica/10_aprile_09/conti-colombo-cocaina_58fc7886-439b-11df-9c20-00144f02aabe.shtml

    Vabbè .. non di solo pane vive l'Uomo

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    1. Al di là di questo, diciamo, "privato", mi fa piacere che hai aperto il link sotto l'immagine.
      Spero che lo facciano anche altri: non guasta rammentare i protagonisti con nome e cognome e imprese compiute

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    2. Delle "stature" - o misurazioni lombrosiane - di qualche "protagonista", verrebbe - giocondando con la fonetica - "de’ grand'avi tuoi Le imprese ti rimembra" (Parini) poi, col lume della candela, s'ha da"rimembrare", "rammentare" e .. "rammendare" i nomi&cognomi degli "eroi della sesta" guardando le "gnocche&fighetti della settima".

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  8. A proposito di padri costituenti. Oggi, il voto del Senato darà la definitiva spallata alla Costituzione del '48. Forse più formale che sostanziale e forse perfino "naturale", dato che, dal 1978, la Politica (di ogni colore) ha favorito l'affermazione di una costituzione materiale che faceva a pugni con quel testo. Cose già dette qui più volte, e sintetizzate anche da Bagnai: il "governo della finanza" è un governo delle minoranze a scapito del benessere di una maggioranza, quindi logico che la democrazia sostanziale non possa e non debba sopravvivere in un contesto del genere. Al massimo, viene ammessa la sopravvivenza dei fantasmi di quelle istituzioni per mascherare il nuovo "ancien regime".
    Per quanto riguarda le risorse culturali per uscire dalla crisi, non ci sono. Portiamo, a drammatica conferma, quest'ultima testimonianza. La "base rossa" del PD.

    http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/10/12/pd-riforme-e-verdiniani-parla-la-base-pd-della-bolognina-renzi-passera-dal-40-al-25-per-cento/424202/

    Riassunto: la "base della Bolognina" non capisce che, accettando queste riforme, dovrebbe, poi, festeggiare il 25 aprile a Predappio. Come si può accettare una forma di governo para-fascista e dire "no" al "partito della nazione"? Ma sono convinto che alla fine si faranno pecore e diranno di si anche al "partito della nazione", dopo aver dato al nuovo duce la legittimazione plebiscitaria che vuole. No, Renzi non passerà al 25 per cento perché questa gente ipocrita alla fine lo voterà lo stesso. Al pari dei loro referenti politici (Bersani & Co.), hanno perso ogni credibilità. Rimarranno a disquisire di questioni astratte nelle loro torri d'avorio, aggrappati alle loro pensioncine retributive (che reputano -a torto- intoccabili) fino a quando l'avidità della classe dirigente liberista non sfonderà anche la loro porta.

    Il prezzo più alto, probabilmente, sarà pagato dai loro figli e dai loro nipoti. Il conto sarà salato. Eppure, c'è perfino da dubitare che quei figli e quei nipoti maturino una coscienza politica in grado di permettergli di maledire i loro genitori e nonni.
    Diceva Preve, in una intervista a proposito della classe intellettuale di sinistra ormai corrotta "non se ne andranno prima di avere inquinato i pozzi". Vogliamo una prova provata di questo inquinamento? Eccola: quei figli e quei nipoti, saranno introdotti alla cultura da quegli insegnanti che stanno dimostrando (vedi gli insulti rivolti a Bagnai) una totale incomprensione dell'attuale momento storico e della genesi della crisi. Come potranno sviluppare un senso critico, se imparano la cultura da gente del genere?
    C'è un solo modo: la forza dei fatti dovrà essere talmente dirompente da spazzare via ogni sovrastruttura culturale, politica e ideologica. E perché ciò avvenga, dovranno precipitare a livelli di povertà e disperazione che oggi, nonostante quello che già si vede, non immaginano nemmeno nei loro sogni più bui.

    Di solito, nonostante i danni prodotti dall'uomo, la natura riesce sempre a recuperare. Perfino a Chernobyl lo ha fatto. C'è da sperare, allora, che questo valga anche per le vicende umane, ossia per la storia. Forse i pozzi si ripuliranno "naturalmente". Ma la natura ha anche i suoi tempi. E non sono veloci.

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  9. Per maledirli i genitori e i nonni li maledicono, sì: per essere stati delle cicale, però...

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