giovedì 27 agosto 2015

LE GERARCHIE CONTANO...

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Le gerarchie contano.
Ma non quelle formali, regolate dalle leggi (Hayek direbbe dalla "legislazione", regolazione statale strettamente asservita alla Legge, naturale, fenomeno biologico - per lui- che riduce l'essere umano al "mercato"): quando le leggi stabiliscono una gerarchia, infatti, devono esplicitare, in qualche modo, per quale interesse generale, o quantomeno pubblico e collettivo, siano dettate.
Un compito estremamente fastidioso, specialmente in democrazia: e non tanto e non solo perchè poi occorre fare i conti con il consenso legato a questa scelta (se non prometto meno tasse per tutti-tutti, avrò inevitabilmente privilegiato qualcuno a scapito di altri), quanto perchè dalla scelta trapelano obiettivi e valori che vuole realizzare chi la compie. 
E questo, se valori e obiettivi possono essere comparati con quelli legalmente superiori, cioè quelli scritti una volta per tutte, nelle Costituzioni, risulta evidentemente pericoloso.
Almeno finchè esista un sistema costituzionale e la sua gerarchia delle fonti (che è l'unica gerarchia garantista dei valori costituzionali e che dunque limita le gerarchie fra gli uomini, stemperandole nell'obbigo di realizzare solo gli interessi del popolo sovrano).

Le gerarchie che contano veramente, quindi, sono quelle che stanno scritte dentro i cuori (rassegnati e intimoriti) degli uomini: più precisamente, quelle che riescono a imporsi in base al timore che suscita chi le stabilisce, senza dover ricorrere a regole formali, preferibilmente. O peggio ancora, aggiustando le regole secondo la propria convenienza nel conservare la propria posizione di potere.
Questa sì è una prospettiva terrificante, per i "sottoposti", un elemento portatore di disperazione.

Insomma, sono il costume e l'ambiente culturale che favoriscono le gerarchie: quindi chi controlla costume e ambiente culturale è, in realtà, il vero vertice della gerarchia (che conta).

Una vera posizione di supremazia all'interno del rapporto gerarchico, implica connaturalmente la irresponsabilità del "superiore": una irresponsabilità non tanto funzionale, perchè il singolo superiore, come individuo, in qualche modo sa che se le cose non funzionano, la colpa verrà attribuita, in un inevatabile processo sociale, a chi impartisce l'ordine.
L'irresponsabilità di cui parliamo è "di genere": cioè, complessivamente, coloro che sono posti, come classe di individui, in posizione di comando gerarchico, sono considerati collettivamente fuori da un giudizio di merito, dal dover rendere conto. 
Questo garantisce una forma di irresponsabilità che veramente, nei fatti della vita, rende esente da rimproveri di colpa ogni singolo "superiore": i subordinati sanno infatti che se anche fosse individuato come colpevole un singolo esponente della classe dominante, un altro, esattamente con le stesse attitudini, prenderebbe il suo posto.

Quindi il timore su cui si basa la gerarchia, e che la rende effettivamente capace di ordinare, conformare, i sottoposti, è legato alla rassegnazione di chi si trova a subirla. Il senso dell'inevitabilità prevale; e da questa nasce l'indifferenza, l'idea che nulla possa mai veramente cambiare.

Come direbbe Funari-Guzzanti ("Onorevole Broda") sapete perchè vi dico tutto questo?
Perchè, dal caso Tsipras al "battiamo i pugni sul tavolo", passando per "tagliamo le tasse tagliando la spesa pubblica", tutto dimostra che la possibile alternanza di assetti di potere su cui si basa la democrazia costituzionale, è venuta meno.

A questo punto del discorso fatto su questo blog, questa parrebbe quasi, anzi "proprio", un'ovvietà.
Ma il punto è un altro: il "costume" di accettazione come inevitabile di questo stato di cose è mutabile?
Di sicuro non lo è se non si vota. 
Di sicuro non lo è se chi è in posizione, di fatto, di supremazia gerarchica, riesce a far passare l'idea che votare sia segno di instabilità, piuttosto che di irresponsabilità di chi detiene il potere. 
Ma è ancora peggio se chi dovrebbe contestare le cose, e che chiede di svolgere le elezioni, per "cambiare le cose" su cui si basa la gerarchia irresponsabile attuale, in fondo persegue gli stessi obiettivi e le stesse convinzioni: tagliare la spesa pubblica per tagliare le tasse.
Cioè un "altro" esattamente con le stesse attitudini avrebbe preso il posto del precedente "superiore".
Alla fine, questa è la rassegnazione. Questa è la vera sconfitta di un intero popolo.

16 commenti:

  1. Si potrebbe dire che questa fase del capitalismo - senza (quasi) freni - si mostra senza ritegno in quelle dinamiche sociologiche che venivano già denunciate nei trenta gloriosi dalle menti più raffinate.

    Che ci piaccia o meno, quel sociopatico di Hayek aveva compreso più di chiunque altro la struttura e i rapporti di forza nel capitalismo moderno: il framework giuridico, la sociologia dei rapporti di forza e il senso della filosofia politica come pura espressione del pensiero economico.

    In questo senso, a parole libere, è stato un filosofo politico che, proprio per le competenze economicistiche oltre a quelle più direttamente politologiche e di filosofia del diritto, è stato una guida per la controrivoluzione che le grandi menti reazionarie del calibro di Schmitt o Strauss non sono riuscite ad eguagliare.

    Hayek lo vede chiaramente: non solo i "costumi", ma la scala di valori stessa viene imposta dal capitalista: la massa di (ex)consumatori accetta passivamente il "gusto" dei grandi imprenditori.

    Il processo è naturale e non va intralciato dallo Stato democratico: quella massa di prolet rincitrulliti dalla TV e da Vogue devono conformarsi ed uniformarsi secondo il volere del Mercato.

    Se si comprende questo aspetto di Hayek, si comprende anche perché questa "crisi" sancisce la subordinazione dell'economia alla politica.

    Una "crisi" dovrebbe comportare scelte che TINA a monte le nega: è una scelta politica che il monetarismo di Friedman sia ideologicamente imposto in Occidente.

    Una vecchierella ortodossa, in questa pazza terra "cuore del mondo", mi ha parlato di "istituzionalismo"...

    Qualcuno mi saprebbe suggerire un collegamento con l'ordoliberismo europeo?

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    1. Hariou o Santi-Romano, istituzionalisti più illustri: ma avevano il senso dello Stato di diritto, forse un po' astratto. Ma non mi pare di poter dire che fossero accomunabili ad Hayek o agli ordoliberisti.
      Se stiamo parlando della stessa cosa...

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    2. La vecchierella era alla fine un'economista al tempo dei Soviet, e ancora impegnata nell'insegnamento universitario... Insomma tolto il foulard a fiori, dopo i canti della liturgia ortodossa, si è messa a disquisire di monetarismo, Friedman, neoclassici e di... subordinazione dell'economia alla politica e di istituzionalismo.

      Quindi immagino parlasse di Veblen, Mitchell e Commons...

      Il mio russo alla Pushkin non mi ha permesso di chiarire: il punto è che è stata assolutamente assertiva ripetendo più volte che "è l'economia subordinata alla politica", che, per noi che viviamo nella parte di mondo non libero, è piuttosto dissonante rispetto agli slogan della grancassa mediatica.

      L'ho interpretato come da commento precedente: in cima alla gerarchia non ci sono interessi economici ma squisitamente politici. Il caos finanziario prodotto dagli "agenti scoordinati" genera l'ordine politico desiderato dai gruppi sociali dominanti.

      (Ordo ab chao, Nietzsche, Dionisio e tutti i vari deliri massonici angloamericani...)

      Quindi ha accennato alla sostituzione progressiva del paradigma neoclassico con quello istituzionalista...

      (Effettivamente se avesse inteso "l'occupazione delle istituzioni" da parte "del mercato" come nel caso dell'ordoliberismo, non avrebbe senso parlare di sorpasso dell'economia neoclassica)

      Hayek e Nietzsche Vs Lenin e Fedorov?

      L'ho voluto riportare perché ciò che per noi sembrano raffinate analisi che hanno la diffusione di quelle fatte da "quattro amici al bar", dall'altra parte del muro sono trasmesse dai TG in prima serata, almeno negli aspetti più divulgativi ( e propagandistici...).

      Che bello esser sovrani a casa propria...

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    3. Credevo che per un sovietico "orotodosso" l'istituzionalismo fosse una dottrina borghese tra le più pericolose: la politica che prevale sull'economia, una condizione del tutto naturale in democrazia sostanziale, si presta a una pluralità di soluzioni e di assetti, e non sarebbe mai sufficiente ad affermare la prevalenza storica e istituzionale del proletariato (in tale visione).

      E' pur vero che ci manca di sapere cosa avrebbe detto Lenin (la fonte del pensiero poi prosciugatasi nel conformismo dell'ortodossia), delle realizzazioni delle democrazia sociali: sicuramente avrebbe segnalato la pausa tattica che si prendeva il capitalismo liberista.
      Ma lo fecero anche i Costituenti...(come evidenzio nel libro, che nel frattempo sarebbe concluso)

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    4. Infatti non era chiaro, tanto che non ho capito se lo vedeva in senso positivo (come soluzione) o negativo.

      Comunque era "ortodossa" nel senso di "cristiana ortodossa"... Ero a cena dal barbutissimo genero sacerdote :-)

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  2. Mi permetto di dare del tu.

    Molto ben descritto e facilmente verificabile ogigiorno da chiunque, il concetto di (vera) Gerarchia.

    Nella tua chiosa:
    Ma il punto è un altro: il "costume" di accettazione come inevitabile di questo stato di cose è mutabile?

    Da quanto scrivi subito dopo, mi sembra di capire che allo stato attuale delle cose, la risposta che suggerisci sia NO, non c'é alternativa praticabile.

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    1. In effetti, al post sarebbe da aggiungere che la rassegnazione è frutto di un calcolo: insomma, la massa, nella sua maggioranza, ritiene di avere ancora qualcosa da perdere e qualcosa da difendere, nonostante le evidenze del depauperamento. E' una questione quantitativa, dobbiamo supporre...

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    2. caro Luciano le sue - come di consueto - lucide considerazioni inducono in me una ricorrente domanda : la democrazia e' davvero la migliore forma organizzativa e giuridica per tutelare il bene comune e con questo l'identita' di un popolo ?
      I.G.

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    3. ...attendo con ansia la pubblicazione della sua nuova opera

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    4. è il non saper pensare al domani. rimanda a domani i problemi che puoi rimandare. tipico dell'essere umano.

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    5. La rassegnazione e' una presa di coscienza della debolezza. Sei debole perche' sei solo, non organizzato. Se sei debole, non puoi vincere la guerra. I martiri che combattono per battaglie perse in partenza non mi hanno mai impressionato, anzi. Il loro esempio mi sembra piu' dannoso che utile, un comodo luogo dove il potere puo' poi celebrarsi con le corone e le commemorazioni. Il torto e la ragione sono concetti sfuggenti, di misurabile ci sono gli interessi di classe. Quindi lo sforzo principale e' rivolto all'annullamento della coscienza di classe delle maggioranze.

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  3. Sinceramente non credo che, nella situazione attuale, prevalga la rassegnazione; forse prevale qualcosa di ben peggiore: una distruttiva e inutile competizione sociale.

    Il potere al quale siamo sottoposti in questi anni è, per molti aspetti, più evoluto di quello al quale ci hanno abituato i libri di storia. Chi ci governa credo abbia capito che il chiudere completamente i cancelli della gerarchia è controproducente.
    E' molto meglio far credere che quei cancelli continuino ad essere aperti per tutti, anche se, di fatto, sono in pochissimi ad attraversarli. Un'estensione del sogno americano a tutti i livelli, perfino quelli più alti.
    Uno Tsipras che sceglie di tradire un'intero popolo, il suo popolo, non lo fa per rassegnazione, ma perchè aspira a varcare quei cancelli: entrare nelle èlite.
    Così come l'ultimo dei giornalisti di un giornale di provincia non si fa portavoce del mainstream per rassegnazione, ma perchè aspira a cariche migliori.
    Una volta, magari, ci tenevano a bada con picca e spada e lì, forse, la rassegnazione ha una sua giustificazione, visto che la pelle ha un certo valore per ciascuno di noi; ora ci tengono a bada con la competizione; della quale, lo sappiamo bene, tutta la costruzione europea è impregnata, fino a renderla una dei pilastri formativi.
    Solo quando questa competizione si sarà estesa anche ai livelli gerarchici più alti, con una della svariate modalità attraverso le quali questo può accadere (solitamente non indolori anche per chi sta in basso), allora, forse, si assisterà ad una destrutturazione di questo modello competitivo.

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    1. La rassegnazione è allo stato di cose della "competizione", per trovare una specificazione che renda conciliabili le tue osservazioni. Dunque, alla rassegnazione, come atteggiamento psicologico, segue il conformismo, come atteggiamento sociale. E il conformismo di oggi consiste nel fatto che tutte le mezze-seghe in cerca di "ascesa sociale" divengano "più realiste del re".

      Quanto alla competizione (auspicabilmente) estesa ai livelli più alti, suggerisco di rileggere il post "LA RESA", dove si parla esattamente di questo argomento
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/10/la-resa.html (p.2)

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  4. "trippas" viene dall' alta borghesia. Il che ci conferma che non c' e' speranza finche' i "salariati" continueranno a prendersi i loro " comandanti" nel campo del nemico

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    1. Anonimo, il padre di Tsipras era un imprenditore edile (socialista): dunque, a capo di una piccola-media impresa in un settore industriale "secondario", molto tradizionale (in senso produttivo: il primario sono agricoltura e estrazione), molto ciclico e molto soggetto alla economia finanziaria e ai suoi giochi.
      Trattasi, a rigore, di media borghesia; l'alta borghesia è un'altra cosa.
      Ma certo, il modo di sentire la democrazia sostanziale di chi diventa ingegnere edile per prendere le redini dell'impresa di famiglia, non può essere molto orientato alla classe dei salariati.
      A meno che non avesse una cultura ben diversa; che certo non poteva formarsi nella cosmesi del "progressismo" e dei "movimenti". Anche in Italia abbiamo visto gli effetti di questa cosmesi...

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  5. Quest'articolo mi ha permesso di visualizzare un errore di fondo. Il conflitto non è tra pochi e molti, ma tra pochi (che priivilegiano gli interessi alle idee e ai principi) e pochi (che privilegiano le idee e i principi agli interessi, cioè quelli che leggono questo blog), con i molti che fanno da spettatori.
    Stanno vincendo i portatori di interessi perchè sanno parlare alla pancia dei molti che sono spettatori votanti.
    Guglielmo Ferrero nel suo ultimo lavoro ha evidenziato che la massa (intesa come massa del popolo) è conservatrice e non rivoluzionaria.
    I rivoluzionari, come i contro rivoluzionari sono delle minoranze.
    Dobbiamo imparare a parlare alla massa delle persone che dopo 8/9 ore di lavoro, e magari due ore di viaggio, quando arrivano a casa non hanno la concentrazione e la voglia di leggere articoli bellissimi come questo.
    Questa è la realtà con cui dobbiamo confrontarci.

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