sabato 23 maggio 2015

L'OCSE E L'ILLUSIONE FINANZIARIA AL SERVIZIO DELL'IMMINENTE NEO-WELFARE BANCARIO (l'ingiustizia sociale, no?)


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i paesi sviluppati con maggiori disparita?? di reddito 
"I paesi sviluppati con maggiori disparita?? di reddito
Uno studio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico dimostra come la disparità di reddito ostacoli la crescita economica e rovini il tessuto sociale.

Nel rapporto OCSE si vede come la differenza tra ricchi e poveri cresca sia in tempi di prosperità sia in periodi di crisi, e come i grandi gruppi si spartiscano i profitti maggiori lasciando poco o niente alle famiglie.

L’Italia si trova nella parte bassa della classifica, ma non tra i 10 stati peggiori, che sono, nell’ordine: Cile, Messico, Turchia, Stati Uniti, Israele, Regno Unito, Grecia, Estonia, Portogallo e Giappone."

2. E qui incominciano gli "avvertimenti" dell'Ocse.
Straovvia l'assenza di qualunque riferimento all'assetto del mercato del lavoro e alle politiche di contenimento del deficit pubblico, imposte a colpi di condizionalità e di trattati di liberoscambio.
Per il Cile e per il Messico, come pure per gli Stati Uniti, abbiamo abbondantemente illustrato. 
Per il Portogallo rinviamo al "solito" grande Riccardo Seremedi e per il Giappone al dettagliato studio di Sofia (rammentiamo la "strana" assonanza tra il rapporto di lavoro "Arbaito" e il modello Walmart...).
Ma abbiamo anche visto come funziona nel Regno Unito sull'inerzia del para-welfare post Thatcher (in salsa iperfinanziaria blairiana). 
Sulla Grecia non c'è bisogno di spiegazioni: l'OCSE, denuncia qualcosa che pare implicare la "consueta" responsabilità delle politiche nazionali, senza alcun segno di pentimento e senso della realtà (a differenza del FMI, che, a sua volta, non ne trae le conseguenze). 
Insomma, la "condizionalità" per l'OCSE è un oscuro fenomeno estemporaneo, come un cambiamento climatico innescato da forze incontrollabili su cui è inutile spendere parole e additare meccanismi causali.

3. Infatti, arrivando sul pianeta giusto adesso, con un volo "last minute", e cercando "sotto il lampione", l'OCSE "constata e invita", come se nulla fosse: in pratica senza memoria alcuna di decenni delle sue prediche precedenti, sulle riforme strutturali, a cui certo non dedica alcun riferimento nè una rinuncia al considerarle la "soluzione":
"In cambio, la disparità influisce negativamente sul PIL: si vede, infatti, come nei 34 stati membri dell’OCSE l’aumento delle disuguaglianze tra gli stipendi dal 1985 al 2005 abbia causato un rallentamento della crescita complessiva, con una media di 4.7 punti percentuali in meno tra il 1990 e il 2010.
I ricercatori hanno messo i cosiddetti “paesi sviluppati” in una tabella in base alla differenza di reddito nella popolazione. L’OCSE sostiene che il rapporto non riguardi solo l’economia, ma anche la politica e il sociale.
L’Organizzazione ha invitato i leader mondiali ad adottare politiche contro la polarizzazione tra ricchi e poveri, contro le differenze di genere e la concentrazione dei grandi patrimoni.
“Introiti più bassi non permettono alle persone di realizzare il loro capitale umano, con ripercussioni negative sull’intera economia”, si legge nel rapporto dell’OCSE."


4. Perciò non si cresce e l'output-gap è spaventosamente evidente; ma per l'OCSE ciò non ha nulla a che fare, parrebbe, nè con le politiche fiscali nè col mercato del lavoro costantemente "consigliati" dall'OCSE medesimo; mentre l'invito a correggere le ingiustizie, si appunta contro i "grandi patrimoni", oltre a un fantastico invito al diritto cosmetico "contro le differenze di genere": di cui proprio non può scorgere la connessione coi tagli al welfare e la denatalità, finendo per caldeggiare "l'esercito industriale di riserva" aggiuntivo delle "in-quanto-donne"; e fingendo di ignorare che, col mercato del lavoro idolatrato dall'OCSE, l'allineamento di genere può solo andare nel senso dell'abbassamento retributivo per tutte/tutti, dato che predica "a tutte le genti", pur sempre, la massima flessibilità del lavoro in base alla sue irrinunciabili classifiche, ad indicatori ben calibrati.



5. Alla fine della giostra, una volta ritradotto, il senso dell'invito è "tassate i grandi patrimoni": che poi sarebbe a dire, di individuarli, - in una società globalizzata a crescente indebitamento privato!-, in termini di basi imponibili a valori di mercato nazionali; cioè mediante tasse prelevabili solo sui patrimoni radicati nei territori e non debitamente occultati dalla liberalizzazione dei capitali e dallo shadow banking off-shore. 
Ragion per cui, un vero ricco, spesso non figura come intestatario di nulla (o quasi, se non è uno sprovveduto), per le autorità fiscali di singoli Stati, "invitate", senza alternative serie e veritiere, a punire i pesci medi, e medio-piccoli; cioè coloro che, nelle neo-statistiche della ricchezza territoriale al ribasso, figureranno come parassiti che affamano il resto della società (pur costituendo in pratica una parte maggioritaria della società...già impoverita).

6. Una tassazione patrimoniale che così pressantemente suggerita, farà accelerare oltretutto lo scoppio delle bolle immobiliari (e, ovviamente, non solo) innescate dal denaro facile riversato nel settore finanziario dalle "banche indipendenti".
Ma si tratta di prendere il malloppo, utilizzando gli Stati (obbedienti all'ordine internazionale dei mercati) e il moralismo dell'ingiustizia sociale (senza indicarne le cause), finchè si è in tempo: cioè, prima che si dissolvano i valori di mercato, comunque destinati al periodico sboom (in tutti i paesi ex avanzati, e assoggettati alle politiche supply-side della competitività, predicate dall'OCSE, dove i salari sostengono i consumi solo perchè "garantiscono" livelli di indebitamento insostenibili nel tempo, per ogni genere di beni: di consumo e patrimoniali veri e propri).
7. Tutto pare quindi tendere ad un obiettivo: trasformare il gettito fiscale relativo alla intensificata caccia ai ricchi...sprovveduti, - individuando soglie opportune di patrimoni "indecenti" (come già avviene sempre più per le "pensioni d'oro")-, in soldini da versare in welfare bancario di soccorso alle banche mutuanti nonchè detentrici dei derivati sui mutui, nell'intreccio "Repo" dalle due parti dell'Atlantico. 
Questi crediti (aggiuntivi alla marea delle sofferenze, dovuta alla mai menzionata crisi da domanda innescata dal mercato del lavoro predicato dall'OCSE), in realtà, sono già a rischio bolla, comunque, anche senza inviti dell'OCSE, ma per la sola inerzia della finanziarizzazione, di scoppiare entro poco tempo.
Insomma, quando il rischio sub-prime (di ogni genere) si fa duro, l'OCSE si rammenta della ingiustizia sociale e torna alla carica per il grande festino del patrimonio delle famiglie.
Tanto per ricordare:

8. TRE UOMINI IN BARCA (Renzi, Mentana e....Barca)? O TRE UOMINI E UNA PECORA (PATRIMONIALE)?

"Mettendo in gioco l'illusione finanziaria, vorrà dire che le "entrate straordinarie" ce le becchiamo comunque, ma in una forma che verrà fatta apparire come una cosa positiva
Vale a dire: la patrimoniale (una tantum, cioè straordinaria) dovrebbe essere di 400 miliardi, perchè questo è il livello della colpa che avete accumulato vivendo al di sopra delle vostre possibilità e, naturalmente, provocando la disoccupazione giovanile (che è naturalmente colpa di chi, responsabile di un'assurda distribuzione della ricchezza e del reddito, si è comprato casa o ha maturato una pensione o ha comunque risparmiato, provocando il problema, centralissimo, del debito pubblico): ma siccome loro sono buoni, internazionalisti e "di sinistra", e ci tengono all'occupazione giovanile ma anche alla "ricrescita" (il punto non è mai chiarito nei suoi meccanismi causali, ma si tratta di aritmetica ordoliberista, cioè pop di facciata ed "esoterica" nelle sue radici), la faranno per un pò meno oppure in comode rate pagabili in 3-5 anni.
...Interviene a questo punto una correlazione tra risparmio=riserva di liquidità da spendere e livello della domanda aggregata; un fenomeno che tende ad accentuarsi quando la politica fiscale crea univoche e costanti attese di pressione fiscale comunque crescente, facendosi valere, non tanto nella mentalità corrente, quanto nella teoria economica innestata di forza sul corpo sociale, una delle principali "equivalenze ricardiane": cioè si considera che il debito pubblico equivalga, in modo totale o consistente - come in definitiva assume la riduzione predicata dal fiscal compact- alla capitalizzazione di futuri incrementi di imposizione fiscale adottati per ripagarlo (cosa che presuppone come assioma incontestabile la banca centrale indipendente "pura", attualmente sancita dai trattati europei). 

...E il fenomeno in esame ci riporta un effetto diretto della tassazione patrimoniale, del tutto trascurato
Cioè quello della "propensione marginale al consumo" connessa al risparmio stesso, quale ci ha segnalato StefanoC., nella misura individuata da Bankitalia, in modo, peraltro alquanto prudente, se non sottostimato: e questo in relazione alle eccezionali condizioni congiunturali, legate proprio alla suddetta  equivalenza ricardiana, che il bench mark USA considerato da Bankitalia non sconta nella stessa misura. Se non altro perchè, come tutti ben sanno, quella realtà non ha affatto una banca centrale indipendente "pura".
Ma anche superando queste non trascurabili obiezioni, che ci indicherebbero una propensione marginale al consumo del nostro risparmio, specialmente monetario-finanziario, ben più alta, l'effetto di una patrimoniale una tantum, - specie in una situazione di auspicata ma improbabile "ricrescita fenice" e di sicura recessione appena vissuta con crescita attuale intorno allo zero (ma solo nell'ultimo e provvisorio trimestre 2013)-, risulterebbe comunque devastante.  Sfefano stesso evidenzia la cosa in questi termini:
"Ho trovato qui sull' "effetto ricchezza": http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td04/td510_04/td510/sintesi_510.pdf
Per quanto concerne la sola ricchezza finanziaria, la propensione marginale al consumo è simile nei due paesi [USA e ITA], pari a circa 9 centesimi per ogni euro di ricchezza finanziaria. ...
Per quanto concerne la ricchezza reale (essenzialmente abitazioni e altri immobili), la propensione marginale al consumo delle famiglie italiane è pari a circa 2,5 centesimi per ogni euro di ricchezza reale."
Dunque una patrimoniale che innescasse una perdita anche solo del 10% del valore reale degli immobili (via credit crunch o tassa ricorrente) produrrebbe una calo di 12 miliardi in meno in termini di consumi. (5000mld*10%*2.5%=12.5miliardi)."





10 commenti:

  1. Aspettavo l'argomento. Flassbeck ha ripetutamente criticato Piketty e la sua idea di ridurre le disuguaglianze passando dall'imposizione fiscale, in particolare patrimoniale, anziché dai salari. Nell'articolo linkato riferisce di un vecchio libro di Piketty (L'économie des inégalités, Parigi, La Decouverte, 2004 [1997]), che rievoca una delle più famose patrimoniali della storia, quella mitterandiana dell'81. Sono andato a cercarmi il libro per verificare la citazione (pag. 48): "Ils [les salariés] ont connu une forte progression de leur niveau de vie de 1968 à 1982, puis une relative stagnation de 1983 à 1995, alors que les richesses produites continuaient d’augmenter, et rien ne semble présager un retournement décisif pour la fin des années quatre-vingt-dix. Comment pourraient-ils ne pas associer augmentation du niveau de vie des salariés et redistribution capital/travail? La vision de droite selon laquelle seule la croissance et non la redistribution capital/travail permet une véritable augmentation du niveau de vie (cf. Introduction) n’est valable que dans un long terme historique (cf. supra) qui n’a aucun sens du point de vue du temps politique qui intéresse légitimement les travailleurs concernés.
    En outre, comment pourraient-ils ne pas associer la redistribution capital/travail aux luttes sociales et aux augmentations de salaires, et donc à la redistribution directe et non pas à la redistribution
    fiscale? De fait, jamais aucune redistribution fiscale n’a redistribué 10 % du revenu national sur une si courte période. Pour donner un ordre de grandeur, les mesures de redistribution fiscale décidées par le gouvernement socialiste à son arrivée au pouvoir en France en 1981, qui furent pourtant dénoncées en leur temps comme le sommet du « matraquage fiscal » par la droite, à savoir essentiellement la création de l’impôt sur les grandes fortunes et de la surtaxe sur les tranches supérieures de l’impôt sur le revenu, représentaient moins de 10 milliards de francs de 1981 (cf. [Nizet, 1990, p. 402, 433]), soit 0,3 % du revenu national de l’époque!
    En théorie, rien n’interdit à un gouvernement d’opérer une redistribution d’une plus grande ampleur en utilisant des impôts et des transferts fiscaux. Mais le fait est que cela ne s’est tout simplement
    jamais vu sur une période aussi courte."

    Come chiosa Flassbeck, Piketty "il giovane" aveva ragione: senza una correzione nella distribuzione primaria le disuguaglianze non possono essere combattute; la redistribuzione fiscale può essere solo un'aggiunta.

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    1. Ma poi non è neanche redistribuzione fiscale, allorquando il gettito viene utilizzato, sullo sfondo di in un mercato del lavoro che deprime i salari (e le basi pensionistiche), solo per ridurre il debito pubblico e per effettuare politiche supply side.

      Ma più che altro, nella conguntura ciclica attuale e, ancor più imminente (ad ESSI ben nota), se il gettito è essenzialmente utilizzato per costituire flussi di garanzia del "fondo pubblico di riserva" (comunque denominato) per il soccorso agli a.d. bancari e ai loro azionisti di riferimento...

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    2. Il commento contiene un'implicita clausa di "sospensione della...consapevolezza".

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  2. Buon giorno
    Dalle analisi di Borghi sembrerebbe che in Italia la disuguaglianza si riduca in tempi di crisi e aumenti in tempi di prosperità economica.
    https://storify.com/borghi_claudio/qualche-luogo-comune-su-ricchezza-tasse-e-patrimon
    A me questa analisi sinceramente sembra un pò strana, sembrerebbe che la crisi economica e l'Euro abbiano reso il nostro paese più giusto che in tempi di crescita economica fuori dall'euro. Borghi giustifica questa ridotta disuguaglianza esclusivamente col fatto che in Italia le famiglie abbiano la casa di proprietà come bene rifugio, ma non analizza per nulla la questione redditi da lavoro o del tasso di disoccupazione. Inoltre, questa analisi si basa su grafici vecchi almeno di 5 anni, ove, a mio avviso, gli immobili erano sopravvalutati, da cui i risultati statistici favorevoli all'Italia. Oltre a ciò vorrei anche capire se nei grafici che Borghi espone (fonte Ocse) siano inclusi anche i proprietari che devono ancora finire di pagare il mutuo, e magari hanno ancora 10 anni di rate da pagare. Fatte queste considerazioni è poi innegabile che i prezzi degli immobili stiano calando vertiginosamente e i tempi medi di vendita si stanno allungando, si veda http://www.borsinoimmobiliare.it . Ne consegue che se io sono costretto a vendere casa perchè sono disoccupato o la mia misera pensione o reddito da lavoro non mi permette di pagare le spese (bollette, cibo), sarò costretto a venderla ad un prezzo di mercato molto più basso di quello che l'ho pagata, e sicuramente più basso di quello che i grafici Ocse evidenziano.
    Se considerassimo i soli proprietari di case come indice di benessere, ridotta disuguaglianza e aumentata giustizia sociale, allora la Romania dovrebbe essere il paese più prospero del mondo, il che mi induce a qualche dubbio di fondo sulla validità di tali analisi.
    http://www.imperialtransilvania.com/it/2015/03/23/leggi-notizia/argomenti/business-2/articolo/2015-lanno-della-ripresa-immobiliare-in-romania-1.html

    Se andiamo a vedere i livelli di stipendio della Romania ci accorgiamo però che sono la Cina dell'Europa, quindi non mi pare che siano una nazione cosi "giusta" e da imitare.
    Non a torto certi analisti dicono che l'elevata percentuale di case di proprietà in un paese è un fenomeno che viene considerato come tipico di paesi ancora scarsamente industrializzati, con minore mobilità e con sistemi sociali più rigidi. Inoltre, il considerare la casa in un'ottica del tutto privatistica, fondata sul controllo da parte delle grandi immobiliari e del sistema bancario, in Italia ha fatto in modo che non si sviluppasse un welfare adeguato che tutelasse il diritto alla casa come bene pubblico.

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  3. Perchè poi non consideriamo come indice di benessere la prosperità industriale? Se la nostra produzione industriale è calata del 25% dall'inizio della crisi, vuol dire che siamo comunque meno diseguali perchè le famiglie hanno una casa ma non hanno i soldi per pagare le bollette perchè disoccupati?
    Borghi prende questa strada per arrivare a sostenere il fatto che in Italia non c'è disugualglianza per cui non è necessaria una ridistribuzione del reddito tassando i proprietari di case. Adesso, se l'ultima cosa è sacrosanta, cioè il non tassare i proprietari di case assunti come straricchi, considerazione che anche lei sostiene, la prima a me non sembra affatto vera, cioè che in Italia le classi subalterne se la spassino, o per lo meno, vivacchino più o meno bene in tempi di crisi, e ci sia perciò ridotta disuguaglianza. Questa analisi, cioè la presunta ridotta disuguaglianza italiana, poi non tiene nemmeno conto del fatto che c'è sempre un 1% della popolazione che è straricco, e che si è arrichhito ancor di più nella crisi economica, e può permettersi di evadere le tasse in paradisi fiscali, occultando la ricchezza, ed è quindi escluso dalla possibilità di tassazione e quindi di riditribuzione del reddito.
    Secondo me invece questa presunta ricchezza diffusa e ridotta disuguaglianza è una propaganda per dirci che l'euro ci ha avvantaggiato nei confronti, ad esempio, della Germania, e potrebbe dare il via a ulteriori considerazioni sulla redistribuzione del nostro patrimonio ai "poveri" paesi del nord Europa che, in un'ottica del tutto orwelliana, si sarebbero impoveriti a spese della sempre più ricca ed eguale Italia.
    Se fossero vere le considerazioni di Borghi sul fatto che in tempi di crisi abbiamo avuto ridotte disugualglianze, allora poi perchè uscire dall'Euro e dall'Europa? Sono una manna per l'Italia, e abbiamo finalmente risolto tutti i problemi! Anche se poi i figli di 50 anni disoccupati (e che non avranno mai diritto ad una pensione) stanno ancora in casa dei genitori 90enni tenuti in vita a suon di flebo.
    Bagnai, nel suo libro "l'Italia può farcela" dice:"l’impatto della flessione della quota salari sulla disuguaglianza è stato (ed è tuttora) troppo spesso ignorato dagli economisti.."
    Poi, sempre Bagnai:"La rimozione della scala mobile non ha avuto un particolare impatto sulla disinflazione, che in Italia ha seguito un percorso comune a quello di tutti gli altri paesi Ocse, dotati o meno di indicizzazione salariale (i punti di svolta sono comuni a tutti, quello superiore si colloca intorno al 1980, e in Italia l’inflazione era già diminuita di ben 10 punti rispetto al suo massimo, prima che nel 1984 intervenisse il decreto di San Valentino). Viceversa, lo smantellamento dell’indicizzazione ha avuto un impatto sulla dinamica dei salari reali, ovviamente appiattendola (come dimostra Pastore, 2010), e quindi – ma questo ormai non dovrebbe stupirci – sulla disuguaglianza, aumentandola (come dimostra Manacorda, 2004)."
    Non considerare i salari reali, i redditi da lavoro (e il tasso di disoccupazione), come indice di disuguaglianza di un paese, e vedere solo le case di proprietà, mi sembra un'enorme ingenuità!
    Di questo che ho detto sopra però vorrei anche sapere quali sono le sue considerazioni.
    Grazie

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    1. Oddio, dibattito su analisi Borghi e contrappunto dati Bagnai. Potrei dire; OT, dato che nessuno degli aspetti che consideri sono trattati nel post.
      Una cosa è certa: i grandi redditi, legati oltretutto ai grandi patrimoni "mobilizzati" sono essenzialmente occultati al PIL e bisognerebbe guardare al PNL (oltre che al RNL, togliendo i mezzo lo scabroso problema degli ammortamenti rispetto al valore aggiunto che si calcola nel PNL). Scontando elusione fiscale e mascheramenti vari...

      Insomma, sul piano reddituale e patrimoniale temo che i residenti ci dicano sempre di meno...

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    2. Ma Borghi mette dei grafici dove ci dicono che "i livelli di disuguaglianza che si osservano in Italia sarebbero inferiori a quelli di tutti i paesi considerati nell'analisi (Svezia, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Germania e Finlandia). Sinceramente a me sembra Orwell e la conseguenza è quella che noi ci siamo avvantaggiati nei confronti del "poveri" tedeschi o svedesi, per cui dovremmo ridistribuire la ricchezza a loro!

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    3. E anche il dire di Borghi che "Bo, comunque questo grafico Italia. Da noi aumenta disuguaglianza quando si cresce. Stagnazione livella" e che "i pensionati ricevono pensioni più alte rispetto ai contributi versati" Mah! Cosa ne pensa lei?

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    4. Trovo scorretto proseguire in OT con obiezioni relative ad analisi di Borghi: una volta che le hai fatte qui hai forse chiarito qualcosa dimostrandogli che erra?

      E' ovvio che non è corretto nè il metodo (tanto più che obblighi me a dover conoscere le sua analisi per una risposta nel merito che spetta a lui stesso) nè la sede (dovendo le obiezioni essere dirette all'autore: che egli sia risposto a rispondere o meno: questa non è comunque la sede).

      Inoltre, mi pare che ignori la risposta che ti ho dato, che sarebbe stata il legittimo spunto da cui fare una replica (la questione del RNL=reddito nazionale lordo, non Prodotto Interno lordo è importante ai fini di identificare la posizione distributiva reddituale degli italiani).

      Infine, la diversità di distribuzione, più giusta in Italia, di ricchezza e reddito, in astratto - (non entro nel merito, ma Claudio sa fare rilievi esatti e non ha motivo di alterarli) - non ha nulla a che vedere con la redistribuzione all'interno di un'area valutaria o mercato comune et similia: questa dipende dai rispettivi saldi commerciali e dalle correlazioni reciproche delle posizioni nette sull'estero (in quanto i paesi appartenenti siano reciprocamente coinvolti nella relativa determinazione).

      Mi pare che tu non abbia compreso questo aspetto fondamentale dell'economia interdipendente (pretesamente tale) all'interno di un'Unione che è fra Stati e dunque procede dalle rispettive contabilità nazionali, come ha spiegato tante volte Alberto, facendo riferimento ai famosi squilibri delle partite correnti alla base della crisi euro e di ogni esigenza di compensazione-correzione: questa procede da saldi intercorrenti tra paesi e non tra individui, anche nel caso esistesse un governo federale (e funziona così negli USA come pure in Italia tra Regioni, sebbene in misura ormai irrisoria e teorica).

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  4. Grazie per la risposta, in verità lo avevo già chiesto a Borghi e lui si è limitato a replicare che da noi c'è meno disuguaglianza perché siamo proprietari di case, una risposta che non mi ha convinto; per questo ho chiesto anche a lei delucidazioni in merito. Io continuo ad essere convinto che l'analisi di Borghi perda di vista certe cose, come ad esempio il livello di welfare svedese, per cui anche se non sei proprietario di casa, hai comunque una protezione sociale piuttosto ampia; e poi naturalmente le considerazioni che ha fatto lei. Ho compreso benissimo che l'economia è solo falsamente unita in Europa, quello che mi preoccupa è che questo preteso maggiore benessere italiano (per me ancora tutto da dimostrare) sia un pretesto per accuse da parte dei paesi come Germania e Svezia nei nostri confronti (per dire che l'Europa ci ha avvantaggiato) al fine di accampare diritti futuri nel prosieguo di un'unione economica più stretta, cioè quella che Draghi vorrebbe, se ho capito bene

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