lunedì 6 aprile 2015

(Parte Seconda) DIRITTO AL LAVORO E PIENO IMPIEGO. LA "NUOVA ECONOMIA" ANTILIBERISTA DELLA COSTITUZIONE FONDATA SUL LAVORO.



1. Come raccordo alla Parte Prima ho scelto di riportare, (strutturandolo nel testo complessivo della trattazione), il commento svolto da Arturo in quella occasione.
E non tanto perchè è "adesivo" a quanto qui sostenuto, ma perchè, si pone nello spirito costruttivo che contraddistingue la ricerca "comune" di questo blog e, in particolare, la straordinaria capacità di Arturo di fare una selezione critica di fonti pertinenti e illuminanti. 
In questo caso, il commento ci illustra come sul piano costituzionale alcune conclusioni interpretative siano un percorso "vincolato", dal quale non si può deragliare:

"Che la ricostruzione corretta del pensiero dei costituenti sia quella indicata, non credo possano esserci dubbi: 
"[...] la maggior parte dei costituenti (non tutti: alcuni parlavano a questo proposito di «vera irrisione»[Colitto, UQ], di «promessa sulla carta»[questo è il solito Nitti]) – erano convinti che tutti sarebbe [sic] stati, se avessero voluto, lavoratori, e che dunque un’esistenza libera e dignitosa sarebbe stata assicurata a tutti attraverso il lavoro per tutti; attraverso, cioè, una condizione di piena e stabile occupazione adeguatamente retribuita. Assicurare il diritto al lavoro sarebbe stato, così, al tempo stesso, assicurare il diritto alla vita; e garantire i lavoratori sarebbe equivalso a garantire tutti. «Lavoratori tutti»[Della Seta, gruppo Repubblicano]: questa sarebbe stata la vera unica garanzia universale di un’esistenza libera e dignitosa.”  
Questa la fonte.
Che, utile per i riferimenti, si produce nel tentativo di quadrare il cerchio.

Da un lato "Non  è  dunque  in  discussione  che  la  Repubblica  non  debba  tralignare  d’un  filo  nel  suo impegno  di  promuovere  le  condizioni  che  rendono  effettivo  il  diritto  al  lavoro,  come prescritto  dall’articolo  4,  I  comma:  il  lavoro  per  tutti  è  -  e  resta  -  «un  obiettivo costituzionale». Anzi "l’obiettivo"  costituzionale,  perché  «non  raggiungere  la  piena occupazione è comunque contrario a costituzione»".
Dall'altro però "[...] quando non si può lavorare perché il lavoro non c’è, non si può, per non cadere nella  trappola della  resa  al  fallimento delle  politiche  occupazionali, far  gravare per intero  il  fardello  di  quel  fallimento  sulle  spalle  dei  cittadini  che,  senza  loro  colpa,  sono rimasti  tagliati  fuori dall’occupazione  (o  da  un’occupazione  stabile),  relegandoli  nel “ghetto dei superflui”". Si trattarebbe insomma di vedere nel reddito di cittadinanza la concretizzazione di quello che Mortati chiamava "risarcimento per mancato procurato lavoro". 
Se però la stessa autrice ammette che "in  assenza  di  politiche  del  lavoro,  tale  misura  si  troverebbe  a  «svolgere funzioni  vicarie  per  le  quali  essa  non  è  adatta,  giacché  non  attrezzata  in  termini  né infrastrutturali,  né  finanziari,  neppure  nel  più  virtuoso  dei  contesti»,  né  per  creare  lavoro, né per reggere senza di esso" il ragionamento perde ogni coerenza. 
L'illusione qui non è quella del pieno impiego ma della possibilità di difendere i diritti fondamentali staccandoli dal loro fondamento lavoristico. Ovvero, per dirla con Antonella Stirati: "In presenza di elevata disoccupazione e bassi tassi di occupazione, come avviene in Italia soprattutto nel Sud, un sistema ampio e generoso di trasferimenti diventa di difficile realizzazione in generale – e impossibile nel quadro di accettazione dei vincoli di bilancio pubblico e delle politiche di austerità.
Dunque politiche per l’occupazione e politiche di ampliamento del welfare non vanno viste in contrapposizione/alternativa ma come necessariamente intrecciate e complementari."

2. Abbiamo dunque illustrato come nella fase redazionale degli articoli costituzionali dedicati a tutela statale del lavoro (in tutte le sue forme) e previdenza, sia necessariamente emersa, nei lavori dell'apposita sottocommissione:
"...l'affermazione del diritto al lavoro come obbligo per lo Stato di perseguire politiche di pieno impiego, collegando questo stesso obbligo, con immediatezza e senza equivoci, agli strumenti di politica economico-industriale dettati nella c.d. Costituzione economica.
Quando quindi, nell'oggi, ci immergiamo nella (assolutamente doverosa) considerazione della possibile attuazione legislativa dell'art.38 Cost, - se non altro come fondamento di legislazione denominata "flexicurity" o, in un suo frammento suggestivo e non meditatamente proposto, "reddito di cittadinanza"-,  non possiamo, e NON DOBBIAMO, dimenticare la "pregiudiziale" a questi aspetti,
sancita dalla volontà, normativa e vincolante, dei Costituenti: cioè che la precondizione in assenza della cui realizzazione effettiva non si può affrontare il problema "attuativo" di livello "assistenziale" (in senso lato),  è il perseguimento del pieno impiego attraverso l'utilizzazione degli strumenti di politica economico-industriale previsti nella Costituzione economica."


3. Gli interventi salienti relativi alla redazione dell'art.4 cost, quello proprio dedicato al "diritto al lavoro", ci illustrano, con una eloquenza che porta ai suoi "picchi" l'enunciazione dei valori fondamentali della Costituzione, come questa visione del lavoro sia la chiara proposizione al massimo livello normativo di un modello di equilibrio economico, come dirà l'on. Laconi nel suo intervento, un "economia nuova". 
La sintesi che viene raggiunta e illustrata dagli altri interventi, ci racconta, senza equivoci, di un'armonia, politica e di popolo Costituente, convergente sul modello keynesiano, in consapevole contrapposizione al liberismo e, come vedrete, altresì alla ricerca della "terza via" che, stante la coeva riproposizione delle tesi ordoliberiste, cercava una ri-vitalizzazione dello stesso liberismo per farlo sopravvivere alle macerie del conflitto mondiale.
Su questi punti rinviamo all'enfasi (in carattere rosso) posta nei chiarissimi interventi dell'on.Cevolotto (dove è evidente anche la presa di distanza dal modello di pianificazione "totale" che poteva rivelarsi dalla impostazione data da Togliatti), e del Presidente Ruini (di cui rammentiamo la inequivocabile definizione del vero senso dell'art.11 Cost.): quest'ultimo opera una sintesi dell'intero discorso svolto e risponde a Einaudi ed alla sua evidente "aspirazione"  a voler ipotizzare la reviviscenza del liberismo in forma di "terza via" (nel post sopra linkato, sull'ordoliberismo, sono illustrati i legami profondi dello stesso Einaudi con Roepke), ipotesi che viene liquidata come di vaga praticabilità e oggetto di evidente dubbiosità.

4. Gli interventi riportati sono spesso lunghi, ma ho scelto di lasciarli nella loro interezza perchè appaiono costituire una ricchissima e non ulteriormente sintetizzabile esposizione di argomenti che verranno costantemente fatti riemergere nei decenni successivi e fino ai nostri giorni.
I lavori della Costituente - e vi prego, come lettori "attrezzati" dalla frequentazione dei contenuti di questo blog, di dedicargli l'attenzione accurata che meritano- confutarono queste perplessità "sul nascere"
Il problema che ci troviamo a fronteggiare oggi è come questi argomenti avversi alla democrazia costituzionale, non abbiamo mai rinunciato ad alzare la testa. 
L'intervento dell'on.Ghidini, oltre a darci l'interessantissima cronaca della progressiva revisione dell'atteggiamento iniziale di Calamandrei, ci dice come fosse ben presente, fin da allora, la coscienza del fatto che "un giorno le forze regressive possano avere la prevalenza".  
Oggi sappiamo quanto ciò sia sempre stato vero.

La "costruzione europea" è stata, negli ultimi 30 anni, lo strumento più potente per rimettere in discussione la confutazione, compiuta in "Costituente", del liberismo e di ogni ipotesi di "terza via" (che risale agli anni '30-'40 del secolo scorso e, quindi non presenta nulla di nuovo, rispetto al modello accolto in Costituzione), confutazione operata dalla schiacciante maggioranza dell'Assemblea Costituente: il nostro problema dell'attualità si rinviene dunque tutto in questa ondata di restaurazione proposta cosmeticamente come "nuova", e che nuova non è.
La compromissione del modello costituzionale si misura anche nella più volte esaminata strategia del neo-liberismo e del liberoscambismo, che accompagna il primo nella nuova etichetta istituzionalizzata (nell'UEM, nel Washington Consensus, nelle tensioni geopolitiche attuali, nella proiezione del TTIP): quella della programmatica disarticolazione dei partiti di massa, garanti della democrazia "sostanziale" (nel modo oggi evidenziato anche da Rodrik), come tutori della soluzione del problema del lavoro e, dunque, del conflitto sociale.

5. A tal proposito, per la sua straordinaria attualità, segnaliamo la consapevole enunciazione al riguardo compiuta, nel suo intervento, dall'on. Laconi: è da sottolineare come i partiti di massa a cui fa esplicitamente riferimento siano in realtà tutti i partiti più importanti che prendevano corpo in quell'epoca.  
Non solo, cioè, quelli di ispirazione marxista: il partito di massa, cioè quello capace di dare risposte generali sul modello sociale e sul pieno impiego (inteso come dimensione macroeconomica di tutela prioritaria del lavoro), sono la modalità irrinunciabile di attuazione dell'impegno assunto dalle istituzioni con la Costituzione.
Su questo punto, l'augurio è che il Potere Costituente dell'intero popolo italiano, cioè la sua "armonia complessa" (per usare le parole di Lelio Basso che troverete nel suo celebre intervento), la sua identità realizzata nella Costituzione, sappia ritrovare la via della piena democrazia mirando, nella sua ritrovata unità, al ripristino della legalità costituzionale. 
Contro ogni attacco proveniente da ogni gruppo di potere "internazionalizzato", ma privato ed oligarchico

Sperando di aver dato sufficienti informazioni, di contesto storico ed economico, che possano servire da utile guida alla comprensione degli interventi dei Costituenti, vi lascio ad un "buona lettura".




[Il 9 settembre 1946 la terza Sottocommissione della Commissione per la Costituzione comincia a trattare il tema del dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro partendo da una relazione dell'onorevole Colitto.]
Fanfani ricorda che i temi assegnati ai relatori Colitto e Togni, seppure distinti, non consideravano che due aspetti di un unico diritto: del diritto alla vita, e quindi delle garanzie che lo Stato deve assumersi affinché di tale diritto ogni cittadino possa pienamente godere. È vero che questo diritto rientra fra quelli assegnati alla prima Sottocommissione; tuttavia, in attesa di coordinare i lavori con quella, ritiene opportuno fissare anzitutto in un articolo questo diritto primordiale, dal quale discendono i diritti al lavoro e all'assistenza.
Propone pertanto di suddividere in questo modo la materia: nel primo articolo affermare il diritto del cittadino alla vita: «La vita dell'uomo è sacra e la Repubblica preverrà o eviterà le guerre; punirà quanti attentino alla vita dei cittadini; predisporrà tutti i mezzi che consentono la sua piena manifestazione, determinando un orario massimo di lavoro, il riposo festivi, le ferie annuali, predisponendo e coordinando le opere di assistenza igienica e sanitaria per tutti».
In un secondo articolo bisognerebbe parlare del diritto-dovere al lavoro: «Ogni cittadino ha il dovere di lavorare, ma ha pure il diritto naturale a una continua occupazione, sia pure liberamente scelta, secondo la vocazione personale».
In un terzo articolo, infine, occorre prendere in considerazione il modo con cui lo Stato può garantire il diritto al lavoro e le circostanze di disoccupazione involontaria: «La Repubblica predispone il godimento del diritto al lavoro mediante l'incoraggiamento generale e il coordinamento dell'attività economica promossa dai privati, la politica dell'impiego totale, l'attività dei pubblici uffici di collocamento, la stipulazione di accordi sull'emigrazione».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della seduta.]

Cevolotto ritiene che l'impostazione data dall'onorevole Togliatti al suo primo articolo non debba suscitare obiezioni da parte di alcuno. Quando egli dice che ogni cittadino ha il dovere di svolgere un'attività socialmente utile, dice cosa sulla quale tutti debbono essere d'accordo. Chi è senza lavoro, non per sua colpa, è assistito dallo Stato. Anche questo è giustissimo.
Osserva però che quando il relatore, nel primo capoverso del suo articolo, vuol dire come lo Stato garantirà al cittadino questo diritto al lavoro, usa una formula che introduce un altro concetto sul quale bisogna bene meditare. Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini — si dichiara nell'articolo — lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l'attività produttiva dei singoli e di tutta la Nazione secondo un piano che dia il massimo rendimento per la collettività. Quindi, intervento dello Stato nella produzione, intervento cui si arriva attraverso la garanzia del diritto al lavoro.
Fa presente in proposito che mentre un ritorno in materia economica al liberismo sarebbe una proposizione assolutamente superata, è da domandarsi se una regolamentazione totalitaria dell'attività produttiva sia veramente utile e scevra di pericoli in una economia come quella italiana. Ricorda che si sono già avuti esempi di questo intervento dello Stato nel dirigere tutta la produzione: intervento che trovò il dissenso immediato anche di economisti socialisti
Denuncia il pericolo che tale intervento non sia nell'interesse della collettività, e cita l'esempio tedesco che era diretto alla guerra ed ha prodotto la guerra. Quanto all'esempio della Russia, interessantissimo, osserva che quel paese si trova in condizioni particolarissime perché, a parte la sua situazione privilegiata di nazione che ha tutte le materie prime, la sua pianificazione industriale non è entrata nel giuoco internazionale, cosicché non è possibile asserire se, economicamente, il sistema sia stato utile e vantaggioso.


Laconi. [...] Ma vi è una parte più importante e più discussa fra questi diritti nuovi che noi dobbiamo affermare nella nuova Costituzione, ed è quella che concerne il diritto del lavoro; il diritto al lavoro appunto, il diritto ad una retribuzione adeguata, il diritto al riposo, all'assistenza, all'assicurazione; diritti che per la prima volta si trovano affermati in un documento costituzionale italiano, e non soltanto italiano.
La libertà delle organizzazioni sindacali, il riconoscimento della loro personalità giuridica, la validità dei contratti collettivi, il diritto di sciopero: questo è il contenuto della parte che concerne i diritti, dei cittadini in ordine ai rapporti economici.
Che valore hanno queste affermazioni? Molti hanno osservato che affermazioni di questo genere, nella situazione presente del nostro Paese, non possono avere altro che un vago valore programmatico.
Taluno ha obiettato che da molte parti e da uomini che hanno avuto esperienza di Costituzioni moderne si è osservato che le Costituzioni non sono programmi e che non conviene quindi introdurre nelle Costituzioni elementi programmatici che le facciano deviare dalla loro natura e dalla loro funzione normale. 
Ma io penso, onorevole Bozzi e onorevole Calamandrei, che non si tratti di elementi puramente ideali e vagamente programmatici che noi inseriamo nella nuova Costituzione italiana. 
Io credo che non siano dei principî e delle affermazioni che si possano affidare ad un preambolo, onorevole Mastrojanni, per rinviarle ad una lontana attuazione, quando «le condizioni del nostro Paese saranno mature».
Credo che non si tratti di questo, ma che si tratti di ben altro
L'affermazione di questi diritti oggi nella Carta Costituzionale italiana ha, per le masse lavoratrici d'Italia, un valore preciso. Nel corpo della Costituzione italiana questa parte oggi costituisce un documento a sé: la Carta dei lavoratori italiani, onorevoli colleghi.
Io so che qualcuno potrà ironizzare sul fatto che io non usi la denominazione «Carta del Lavoro»; qualcuno potrà ironizzare su questo, ma io non ho alcuna esitazione ad usare un termine mistificato dal fascismo, ed usarlo nel suo significato vero e nella sua reale portata, oggi che la democrazia italiana si trova in grado di affermare la libertà dei lavoratori e di riconoscere i diritti del lavoro in una Carta costituzionale.
Quale valore ha questa Carta, che significato, che portata può avere oggi nel corpo della Costituzione italiana introdurre una Carta che riguardi i lavoratori, che concerna i loro diritti? Molti hanno parlato di compromesso, ed hanno detto che si tratta soltanto di tendenze diverse tra diversi partiti che son dovuti giungere ad un punto medio, ad una soluzione che riscuotesse il consenso di una maggioranza. Questo è vero, ma non è un fatto negativo; è un fatto altamente positivo.
Se oggi questi principî, queste affermazioni hanno un valore ed hanno un significato nella nostra Carta costituzionale, è in quanto dietro di essi vi è un patto fra forze sociali e politiche che si impegnano, nel corso della vita del nostro Paese, a realizzare questi principî, a rendere effettivi questi diritti.
In questo senso è possibile l'affermazione di diritti e di principî che non possono trovare immediata garanzia, nel senso che non si tratta soltanto di speranze — come l'onorevole Tupini ha voluto benevolmente dire — ma di impegni, di impegni che sono stati assunti dai grandi partiti di massa, allorquando si sono presentati alle masse elettorali, allorquando hanno detto alle masse lavoratrici: «Noi siamo il vostro partito». 
Allora, onorevoli colleghi, questi impegni sono stati presi, non più tra il popolo da un lato ed il sovrano assoluto dall'altro, per riuscire a strappare determinate concessioni e determinate garanzie, ma fra gruppi e gruppi sociali, fra partiti e partiti. Questi impegni sono stati presi e, inserendoli nel quadro della nuova Costituzione italiana, noi diamo una garanzia al popolo che essi non sono cosa vana, che non sono state parole sparse al vento in un momento di eccitazione o per scopi di propaganda elettorale, ma propositi sinceri che noi abbiamo ferma intenzione di tradurre in atto.
Io penso, quindi, che sia del tutto assurdo pensare ad uno spostamento di questa parte verso il preambolo. Penso che essa debba rimanere nel luogo che attualmente ha, e debba anzi acquistare un distacco ed un rilievo maggiori di quello che oggi non abbia.
Si è osservato che, comunque, anche se questa parte rimarrà al suo luogo, anche se l'affermazione di questi principî e di questi diritti verrà fatta nella Costituzione italiana, con tutto ciò mancano garanzie, mancano sanzioni. Domani, qualcuno diceva, quando i lavoratori italiani fiduciosi e creduli si presenteranno a chiedere che vengano attuati, che vengano tradotti in pratica i diritti affermati sulla Carta, essi rimarranno delusi perché lo Stato non potrà garantire nulla.
Questo è vero. Noi non siamo in grado oggi di stabilire delle garanzie e delle sanzioni per la realizzazione e la concretizzazione di questi diritti; ma qualcosa possiamo fare: noi possiamo fissare i principî, possiamo stabilire le direttive entro le quali dovrà orientarsi il legislatore di domani, possiamo aprire la strada a questo legislatore, togliere alcuni limiti alla sua azione. 
In questo senso possiamo introdurre alcuni elementi di una economia nuova, possiamo predisporre l'intervento dello Stato nella vita economica, possiamo prevedere la necessità e la facoltà per lo Stato di attuare determinati piani generali che possano coordinare le diverse attività economiche secondo un'unica direttiva e rivolgere l'attività produttiva del Paese verso gli interessi delle grandi masse lavoratrici. 
Noi possiamo, introdurre nel corpo della Costituzione la facoltà per lo Stato di nazionalizzare le grandi imprese che rivestono ormai il carattere di monopolio di fatto o che interessano servizi essenziali per la collettività; noi possiamo introdurre la possibilità per il legislatore futuro di stabilire determinati limiti alla grande proprietà terriera, di abolire il latifondo
Ma non solo possiamo fare questo; possiamo — e già ve ne è cenno nel progetto di Costituzione — prevedere gli organi attraverso i quali lo Stato potrà concretare queste riforme e potrà attuare questi piani. È in questo senso che, nel progetto di Costituzione, si parla di Consigli di gestione, in questo senso si parla di cooperative, in questo senso, da parte del Relatore della terza Sottocommissione, onorevole Di Vittorio, fu presentata la proposta d'introdurre nell'ordinamento del nostro Stato un Consiglio del lavoro, in cui le diverse categorie che partecipano al ciclo produttivo intervengano in proporzione della loro rilevanza numerica, in proporzione del loro peso effettivo nella vita della Nazione.
Capua. Torniamo alle Corporazioni! (Commenti).
Laconi. Ella non ha ragione di parlare di questioni corporative. Gli amici della sua parte hanno sostenuto tale indirizzo nel corso della discussione e lo hanno costantemente affermato. Il principio corporativo è legato ad altro. È legato intanto alla pariteticità delle rappresentanze, che in questo momento io escludevo, se ella è stato attento alle mie parole; è legato anche ad un criterio non democratico, come lei sa, perché la rappresentanza non era elettiva; ed è legato soprattutto alle funzioni che a questi organi si danno. 
Quando noi parliamo di un Consiglio del lavoro, noi non vogliamo privare la rappresentanza politica della sua funzione e dei suoi poteri; noi vogliamo soltanto affiancare il legislatore con organi che gli portino la voce viva degli interessi delle grandi masse e gli facciano sapere quali sono le istanze e le esigenze che egli deve soddisfare. In questo senso noi abbiamo proposto un Consiglio del lavoro come organo di Collaborazione col Governo e di controllo da parte dei lavoratori dell'opera e dell'attività del Governo e delle Assemblee legislative. Sono questi indubbiamente elementi nuovi, elementi di una nuova economia che si trovano fatalmente in contraddizione con la vecchia.
Indubbiamente ha ragione l'onorevole Calamandrei quando, leggendo passo per passo, comma per comma, un medesimo articolo, vi trova insieme principî che si riferiscono a concezioni diverse e che egli ha provato in dottrine economiche diverse. Ma questa contraddizione è nella vita e nella realtà italiana di oggi
Il problema è questo, onorevole Calamandrei: vi è oggi in Italia la possibilità di introdurre determinati elementi di una economia pianificata, coordinata in modo da poter venire incontro alle necessità delle grandi masse lavoratrici, rispettando i metodi della democrazia, rispettando la libertà?
Se questo non è possibile, ci troveremmo nella situazione che diceva l'onorevole Bozzi, dispersi fra due mondi senza avere possibilità di soluzione, senza trovare una via di uscita? Noi pensiamo di no. 
Noi pensiamo che non vi sia una assoluta opposizione tra questi due mondi; che non siano necessari fatalmente l'urto, lo scontro, il caos. Pensiamo che si possa attuare una rivoluzione sociale ed economica attraverso metodi pacifici e democratici. In questa fiducia confortateci, non scoraggiateci.

Basso. [...] L'operaio che vive oggi nella grande fabbrica, l'operaio che vive oggi nella disciplina della divisione del lavoro, l'operaio che fa continuamente la stessa vite, lo stesso dado, la stessa molla, sa che la sua vite, sa che il suo dado, sa che la sua molla non hanno alcun senso, presi in se stessi; ma che fanno parte del lavoro collettivo. L'operaio sa che il suo lavoro, la sua opera, la sua stessa vita, assumono un valore nell'armonia dello sforzo collettivo. L'operaio sa che la macchina che esce dalla sua officina non è una somma di pezzi freddi e uguali, ma è l'armonia dell'opera complessiva, sa che la macchina non è una semplice somma di viti o di dadi, ma che le viti e i dadi hanno un senso in quanto sono parti della macchina.
Ed è da questa esperienza che nasce la nostra esperienza; oggi la società non si può considerare una somma di individui, perché l'individuo vuoto non ha senso se non in quanto membro della società. Nessuno vive isolato, ma ciascun uomo acquista senso e valore dal rapporto con gli altri uomini; l'uomo non è, in definitiva, che un centro di rapporti sociali e dalla pienezza e dalla complessità dei nostri rapporti esso può soltanto trovar senso e valore.
E allora anche le nostre concezioni politiche e giuridiche assumono un significato diverso. Non si tratta più di contrapporre l'individuo allo Stato, intesi quasi come entità astratte e lontane l'una dall'altra. Si tratta di realizzare invece la vita collettiva dalla effettiva partecipazione di tutti i mezzi.
Ecco allora il senso dell'espressione dell'articolo primo del nostro progetto, che è per questa parte opera mia, e che l'onorevole Calamandrei citava l'altro giorno, là dove si dice che la «Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»; appunto, perché oggi non concepiamo più l'uomo come individuo contrapposto allo Stato, ma, al contrario, concepiamo l'individuo solo come membro della società, in quanto centro di rapporti sociali, in quanto partecipe della vita associata. La Repubblica, espressione della vita collettiva, trae il suo senso e il suo significato solo dalla partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale.
Ed ecco anche il senso del lavoro, inteso come fondamento della Repubblica; altra espressione che è stata criticata. 
Perché noi non facciamo, e non vogliamo fare, una Repubblica di individui, ma vogliamo fare non una Repubblica di individui astratti, una Repubblica di cittadini che abbiano solo una unità giuridica, vogliamo fare la Repubblica, lo Stato in cui ciascuno partecipi attivamente per la propria opera, per la propria partecipazione effettiva, alla vita di tutti. E questa partecipazione, questa attività, questa funzione collettiva, fatta nell'interesse della collettività, è appunto il lavoro; e in questo, penso, il lavoro è il fondamento e la base della Repubblica italiana.
Ed ecco perché noi pensiamo che sia errata la concezione a cui parecchi colleghi si sono sovente inspirati nella redazione degli articoli, e che si trova nel progetto della nostra Costituzione che la democrazia si difende, e si difende la libertà, e si difendono i diritti del cittadino, limitando i diritti dello Stato, limitando l'attività o le funzioni dello Stato. Concezione che si inspira sempre a quella che noi riteniamo una contrapposizione superata fra individuo e Stato

Noi pensiamo che la democrazia si difende, che la libertà si difende non diminuendo i poteri dello Stato, non cercando di impedire o di ostacolare l'attività dei poteri dello Stato, ma al contrario, facendo partecipare tutti i cittadini alla vita dello Stato, inserendo tutti i cittadini nella vita dello Stato; tutti, fino all'ultimo pastore dell'Abruzzo, fino all'ultimo minatore della Sardegna, fino all'ultimo contadino della Sicilia, fino all'ultimo montanaro delle Alpi, tutti, fino all'ultima donna di casa nei dispersi casolari della Calabria, della Basilicata. Solo se noi otterremo che tutti effettivamente siano messi in grado di partecipare alla gestione economica e politica della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia.
E questo è il senso profondo, onorevole Calamandrei, degli articoli sul lavoro, che ella e molti altri colleghi hanno criticato; ella in forma particolare, quasi con spavento, dicendo che questi articoli sono formulati in modo che i cittadini domani, leggendo la Carta costituzionale, potrebbero dire: «Non è vero». 
Certo, non è vero oggi che la democrazia italiana, che la Repubblica italiana sia in grado di garantire a tutti il lavoro, che sia in grado di garantire a tutti un salario adeguato alle proprie esigenze familiari.
Ma il senso profondo di questi articoli nell'armonia complessa della Costituzione, dove tutto ha un suo significato, e dove ogni parte si integra con le altre parti, sta proprio in questo: che finché questi articoli non saranno veri, non sarà vero il resto; finché non sarà garantito a tutti il lavoro, non sarà garantita a tutti la libertà; finché non vi sarà sicurezza sociale, non vi sarà veramente democrazia politica; o noi realizzeremo interamente questa Costituzione, o noi non avremo realizzata la democrazia in Italia.

Ghidini. [...] Vi fu anche consenso pieno nell'assegnare al lavoro una dignità preminente su tutti gli altri coefficienti della vita nazionale.
Il lavoro è indubbiamente alla base dell'organizzazione, civile, politica e sociale del Paese e il testo lo afferma anche prima di scendere ai «Rapporti economici-sociali». Lo afferma nel primo articolo del Progetto di Costituzione: «La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Appunto in applicazione a di questo principio noi abbiamo affermato il diritto al lavoro. Abbiamo affermato questo diritto e contemporaneamente il dovere del lavoro, non come un dovere personale, ma come un dovere soprattutto sociale, perché è in virtù del lavoro di tutti che la società può vivere e prosperare.
Ma a questo dovere corrisponde il diritto del lavoro. Intanto io adempio a questo dovere in quanto abbia effettivamente il diritto di lavorare; diritto e dovere, in questo caso, sono termini correlativi, uno si lega indissolubilmente all'altro.
Ma a questo punto è nato il dissenso, anche in seno alla Sottocommissione, sebbene la grande maggioranza abbia deciso nel senso di affermare il diritto al lavoro. È nato da una concezione diversa su ciò che deve formare il testo e ciò che deve formare il preambolo, partendo dalla distinzione fra diritti e aspirazioni.
Non voglio tediare l'Assemblea ritornando sopra quanto è stato già detto. Io, per mio conto, sono di questa opinione: che ci troviamo effettivamente di fronte a dei diritti.
L'obiezione che si muove sotto il profilo giuridico è questa, sostanzialmente: si tratta di una pretesa che non può avere immediato soddisfacimento, che non può essere classificata tra le esigenze e i bisogni esigibili da parte dei cittadini, e se non è esigibile, non è nemmeno azionabile e, quindi, sfugge alla nozione del «diritto». 
Per conto nostro, la nozione del diritto è diversa. Siamo in materia di diritto pubblico, dove penso che il rigore sia minore che nel diritto privato. In verità vi sono dei diritti, tali senza contestazione, che almeno in certi periodi della vita nazionale, nostra e anche degli altri Paesi, non sono stati garantiti. Per esempio il diritto alla vita, alla inviolabilità del domicilio, il diritto alla integrità personale, al patrimonio, ecc., sono indiscutibilmente diritti e nessuno li contesta. Sono diritti consacrati nelle leggi e sono muniti di sanzione. 
Sono, quindi, indubbiamente dei diritti, eppure vi sono dei periodi nei quali essi non sono completamente, totalmente, interamente, ma solo parzialmente e scarsamente attuati. È storia di ieri la insufficienza delle forze dello Stato per impedire l'aggressione al diritto alla vita, all'integrità personale, alla difesa del patrimonio; diritti che sono tali anche verso lo Stato, perché lo Stato ha tra i suoi fini di tutelare la vita, gli averi, ecc., dei suoi consociati.
Ma una ragione anche più grave mi persuade che l'argomentazione contraria è soltanto capziosa, di una verità apparente, non reale. È lo stesso onorevole Calamandrei che ci ha aperto la strada. In una seduta delle nostre adunanze plenarie, egli aveva sostenuto che nel testo si devono collocare solo diritti completi e sanzionati; ma in una riunione successiva — forse cedendo alle lusinghe dell'onorevole Togliatti, come disse — parmi che si sia ricreduto, se è suo, come risulta, un ordine del giorno nel quale dopo di avere ribadito il concetto suesposto aggiunge, derogando dal principio: «Riconosco che, come speciale categoria dei diritti, trovi posto fra gli articoli della Costituzione l'enunciazione di quelle essenziali esigenze individuali e collettive, nel campo economico e sociale, che, se anche non raggiungono oggi la maturità dei diritti perfetti e attuali, si prestano per la loro concretezza, a diventare veri diritti sanzionati con leggi, impegnando in tal senso il legislatore futuro».
...
La Costituzione è affidata all'avvenire. Non si può negare in modo assoluto che un giorno le forze regressive possano avere la prevalenza. Noi abbiamo il dovere di immaginare anche il peggio, anzi le leggi son fatte in previsione del peggio, perché se le cose dovessero sempre andare nel migliore dei modi, sarebbe perfettamente inutile che ci fossero dei codici e si formassero delle leggi. Ora, fate l'ipotesi che la nostra rappresentanza fosse completamente eliminata e sedessero in questa Camera solo rappresentanti della Nazione aventi un orientamento politico regressivo, e volessero formare una legge la quale contrastasse questi diritti al lavoro, li limitasse, o li annullasse. La Corte costituzionale dovrebbe dichiarare l'incostituzionalità di questa legge.
Sotto il profilo, almeno negativo, mi pare indubbio trattarsi di un diritto azionabile.
Non solo, e tutto concedendo, se anche fosse vero, secondo la tesi estrema avversaria, che il diritto al lavoro non è attuabile nella sua forma principale, resterebbe però sempre alla base di diritti sussidiari, di diritti sostitutivi, i quali sono di immediata attuabilità. Voglio parlare dei diritti alla retribuzione adeguata del lavoro, al riposo retribuito, alla assistenza sociale, alla previdenza e alla organizzazione sindacale, che difende i diritti del lavoro attraverso lo sciopero, la formazione dei contratti collettivi e la partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende. Il diritto al lavoro, non è una trovata originale della Commissione dei 75, ma è una realtà obiettiva, una realtà del diritto, una realtà della coscienza universale. Buona parte delle Costituzioni degli altri Paesi hanno affermato il diritto al lavoro.
E finalmente, richiamo i colleghi a un argomento tratto dalla lettera della disposizione. È l'articolo 31 (oggi art.35, ndr.). È bene leggerlo attentamente. Gli uomini di legge hanno fra le mani una bilancia per pesare le parole, una bilancia la quale ha una sensibilità che è ancora maggiore della famosa bilancia dell'orafo. 
L'articolo 31 dice che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro. Non dice nemmeno «assicura», nemmeno «garantisce». 
La parola «riconosce» è stata il frutto di una lunga ed elaborata discussione svoltasi dinanzi alla Commissione. In altri testi si dice «riconosce od assicura». Invece, ripeto, il nostro articolo 31 dice: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto». Badate a quest'ultima parte dell'articolo, colla quale si volle significare che l'obbligo dello Stato è di promuovere le condizioni per rendere effettivo il diritto al lavoro
Io credo che le censure che furono mosse siano più che altro il frutto di uno spirito accanitamente critico e anche di un certo pessimismo, perché se è vero che la legge costituzionale non è destinata soltanto a registrare le conquiste del passato, ma anche a segnare l'indirizzo per l'avvenire, è pessimistica la critica al «diritto del lavoro», fondata sulla pretesa impossibilità di assicurare in un domani più o meno prossimo il lavoro a tutti gli uomini di buona volontà.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. [...] Il maggiore degli economisti italiani viventi, il nostro Einaudi, ha scritto che il capitalismo storico è al tramonto. Se altri non vi è, sarò io a dire la grandezza del capitalismo, che ha preso in mano, un secolo fa, un'Europa di pochi milioni di uomini, e ne ha aumentato la popolazione con un ritmo sconosciuto al passato, ed ha diffuso la civiltà sugli altri continenti, ha conquistato i più grandi progressi della scienza e del progresso tecnico, ha creato la grande industria e l'agricoltura intensiva, ha portato il tenore di vita delle masse ad un livello non mai raggiunto, ha preparato le loro vittorie di domani, è stata l'epoca più prospera e gloriosa di tutta la storia. 
Ma noi non possiamo ancora vivere con le forme di quel tempo. 
Gli economisti — i migliori — riconoscono che il loro edificio teorico, la scienza creata dall'Ottocento, non regge più sul presupposto di una economia di mercato e di libera concorrenza, che è venuto meno, non soltanto per gli interventi dello Stato, ma in maggior scala per lo sviluppo di tendenze e di monopoli delle imprese private
Quando vedo i neo liberisti, come l'amico Einaudi, proporre tale serie di interventi per assicurare la concorrenza, che qualche volta possono equivalere agli interventi di pianificazione, debbo pur ammettere che molto è mutato
Non pochi vanno affannosamente alla ricerca della terza strada
La troveranno? Non lo so. Questo so: che si avanza la forza storica del lavoro
Non potevamo rifiutarci a questa affermazione. 
Mazzini diceva che noi tutti un giorno saremo operai; i cattolici hanno il codice di Malines e quello di Camaldoli, dove sono stati stabiliti i principî d'una economia del lavoro. 
Ho sentito da questa parte (Accenna a destra) chi pur faceva vive critiche: «Se per socialismo si intende un rinnovamento sociale, anche noi siamo socialisti». 
Allora, perché avremmo dovuto rifiutarci a riconoscere che la nuova Costituzione è basata sul lavoro e sui lavoratori? 
Parlando di lavoratori, noi intendiamo questo termine nel senso più ampio, cioè comprendente il lavoratore intellettuale, il professionista, lo stesso imprenditore, in quanto è un lavoratore qualificato che organizza la produzione, e non vive, senza lavorare, di monopolî e di privilegi. 
Sono cieche le correnti degli imprenditori che non rivendicano — se sono ancora in tempo lo dirà la storia — la loro vera funzione ed il titolo glorioso di lavoratori
Perché dobbiamo avere paura del nome e dei diritti del lavoro?
Il diritto al lavoro: qui vi sono due opposizioni; una di forma, per il rinvio dell'affermazione al preambolo, ed un'altra che è contro il diritto al lavoro, perché ne ritiene impossibile la garanzia. Vorrei che anche la prima corrente chiarisse bene i suoi propositi, e se è favorevole al principio vedesse di sacrificare lo scrupolo alla sostanza.
Si è obbiettato: se proclamate il diritto al lavoro, e non potrete mantenere subito l'impegno, verrà l'esasperazione, per la tradita promessa. Ma l'esasperazione non c'è anche adesso con tutte le dimostrazioni di disoccupati al Viminale? 
La Costituzione non poteva tacere del diritto al lavoro, e lo ha formulato nel modo più cauto e con grande equilibrio, come vi ha detto l'onorevole Ghidini. Lo Stato riconosce il diritto e promuove le condizioni per attuarlo. Il principio è posto; e va realizzato nei termini concreti e graduali delle possibilità.
Dovere del lavoro: l'abbiamo pur qui inteso nel senso più ampio, anche del lavoro intellettuale, e di ogni attività e funzione che concorra allo sviluppo materiale e spirituale della società. 
Non abbiamo creduto che in una Costituzione nuova come la nostra si potesse dimenticare il motto paolino, che è così cristiano, ma è scritto anche nella Costituzione di Stalin: «Chi non lavora non mangia». E che, si chiede, non si può oggi vivere di rendita? Sì, almeno per ora, ma nessuno può essere inerte redditiero; e deve farsi attivo e compiere qualche lavoro socialmente utile.

3 commenti:

  1. a proposito di pieno impiego:
    http://italian.irib.ir/notizie/economia/item/185399-il-10-degli-europei-non-avr%C3%A0-mai-un-lavoro-nemmeno-a-fine-crisi (parola di Draghi, eh!)

    RispondiElimina
  2. "Quando vedo i neo liberisti, come l'amico Einaudi, proporre tale serie di interventi per assicurare la concorrenza, che qualche volta possono equivalere agli interventi di pianificazione, debbo pur ammettere che molto è mutato. "

    Da notare la totale marginalizzazione dei liberali/liberisti (a proposito quanti rappresentanti avevano a seguito del suffragio universale che aveva eletto i rappresentanti della costituente?)

    Addirittura si osserva in questo stralcio come non si facessero remore di perculare quello che era il piu' importante economista italiano per credibbbbilta' internazionale (come diremmo oggi) dell' epoca con argomentazioni da ko.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Bravo Marco, non ti è sfuggita la questione del suffragio universale...rigorosamente proporzionale.
      Che sempre deve caratterizzare la legittimazione di chi volesse mettere mano alla Costituzione e non intendesse alterarne "l'armonia complessa"..
      http://orizzonte48.blogspot.it/2014/07/laudizione-i-costituzionalisti-e-il.html
      (non lo si rilegge mai abbastanza...almeno "fuori di qui").
      Quanto a Einaudi, certo la elegante "liquidazione" della Terza Via avrebbe imposto anche un certo rispetto per la Carta, o comunque una certa cautela (vedendo scritto "economia sociale di mercato"), ai nostri "costruttori europei", privi di cultura (nella maggioranza dei votanti i trattati) o stranamente immemori...

      Elimina