venerdì 27 febbraio 2015

LE "RAGIONI PROFONDE DELLA CRISI SISTEMICA" USA. I SINTOMI DI UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA E...SEVERGNINI

 MinimumWageAge2
 http://www.chhsroaringred.com/?p=1973

1. Viviamo in "tempacci". Specialmente noi, che siamo prigionieri "fine pena mai" (come sostengono ESSI) dell'€uro pacificazione e, quindi, del bis-linguaggio liberista nel fulgore imperante del suo strapotere.
Dico questo perchè ben sappiamo, ormai, che ESSI, gli "odiatori dell'umanità", si affrettano ad arraffare tutto quello che possono, un "pochino" sospettando che il meccanismo non gli consentirà di farla franca per sempre (come invece ci raccontano, a reti unificate 24 ore su 24).

Sappiamo pure che gli USA - e le vicende della Grecia ce ne hanno dato un'applicazione concreta senza molte possibilità di equivocare- avallano inerzialmente tutto questo senza porsi altro problema che la risoluzione dei conflitti "espansivi" del free-trade, nel breve periodo, e l'instaurazione del libero mercato transatlantico nel medio periodo
Le due cose sono collegate in ordine logico, poichè un "free-market", - come teorizzavano gli hayekian-ordoliberisti che hanno dato vita all'€uropa- "deve" espandersi ad libitum e, possibilmente, non trovare mai un confine "finale" all'affermazione del potere oligarchico dei mercati.

2. Quando abbiamo offerto questa analisi abbiamo pure precisato che questo "avallo" al massacro dei sistemi costituzionali europei-continentali, portava in sè i germi di una forte miopìa, anzi dell' "eurostrabismo" (che affligge gli ellittici difensori della Costituzione, decontestualizzata dagli effetti dell'€uropa, sul versante italiano).

"Alla fine dei giochi, tutto questo "gioco di potere", è proprio del capitalismo sfrenato, una volta che si sia, nella forma "nuova prescelta", insediato in super-istituzioni e intenda rendersi "bene accetto", appunto, come ordoliberismo.
Il punto debole politico di questa strategia, però, - quello economico è talmente evidente che non ha bisogno altro che di attendere la catastrofe inevitabile-  è l'intrinseca visione mercantilista egemone germanica: che si trova a fronteggiare le diverse esigenze del "liberoscambismo" interatlantico, che si fonda su una diversa concezione, molto più pragmatica, della stessa piena occupazione
Quest'ultima, nella visione sostenuta dagli USA, non è un bene sacrificabile quanto lo è la tutela sociale del lavoro
I "consumatori", sebbene ora miopemente "astratti" dalla concezione "fordista" (che accetta che i salari crescano con la produttività e non debbano essere sacrificati per una gigantesca redistribuzione, chiamata attualmente "stabilità dei mercati finanziari"), devono pur sempre esserci e costituire una massa "matura" di potere d'acquisto, in assenza della quale neppure la liberalizzazione, per mezzo di un trattato, di ogni possibile servizio (pensioni=fondi finanziari privati e sanità=assicurazioni private) o settore di mercato (magari la stessa difesa), sortirebbe gli effetti auspicati: cioè quelli sui profitti delle imprese che si vedano aperti nuovi "liberi mercati".
 ...Il problema è che gli USA, non paiono coscienti di quanto, in Europa, l'operazione di distruzione del welfare, sociale e del lavoro, che pure continuano ad auspicare ("le irrinunciabili riforme strutturali"), conduca ad un assetto di forze che sono poi incontrollabili e, quindi, neppure correggibili con l'introduzione degli strumenti che essi stessi considerano come appropriati.
Non hanno capito che, una volta accettato di non contestare il legame tra limitazioni del deficit pubblico e auspicata destrutturazione definitiva del welfare, le riforme strutturali provocano un effetto politico di rafforzamento delle tendenze mercantiliste che oggi vorrebbero combattere: si tratta sostanzialmente della sindrome "dell'apprendista stregone", (opposta a quella del "questa volta è diverso"). 
Una volta evocato il capitalismo sfrenato non si può poi fermarlo a piacimento: il "lavoro-merce" diviene un problema di arretramento oltre gli stessi desiderata dell'improvvido apprendista.
Riusciranno a fermare tutto questo, se veramente sono interessati a questo tipo di "recupero" delle potenzialità dei mercati UEM?
Per farlo devono comprendere le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica (..."l'economia mutilata dell'America"): il neo-liberismo, non è buono se legato alle "nuove" politiche monetarie, mentre diviene "cattivo" se trasposto in Europa in forma di ordoliberismo a matrice mercantilista tedesca".
3. Ecco vorremmo soffermarci su quest'ultimo punto. "Le ragioni profonde della loro stessa crisi sistemica".
Non faremo analisi ulteriori in aggiunta a quelle più volte fatte e documentate dai dati e dalla non invidiabile posizione in cui si trova la Yellen, in quanto economista di rango, consapevole delle dinamiche quasi irrisolvibili positivamente in cui si trova coinvolta con le sue delicate decisioni. 
In questo, allo stato, accuratamente lasciata sola, come evidenzia un Krugman sempre più sfiduciato sull'ascolto che i "supply siders" hanno in politica.
Precisiamo che questo è un fenomeno inevitabile, una volta che ammettiamo che il sistema elettorale "liberista-astensionista" (cioè generatore di un crescente e, ad ESSI, propizio, astensionismo)  sia inevitabilmente destinato a dare il dominio dell'indirizzo politico ai finanziatori (privati) delle elezioni stesse: e questi sono, inevitabilmente, i maggiori operatori detentori della massa monetaria, cioè gli operatori bancario-finanziari che, alla fine, designano direttamente nei governi i loro "mandatari", esponenziali della super-casta, che governano mediante la "capture" dei vari ragazzi-immagine, che utilizzano come front-star delle loro lobbies elettorali. 
Un sistema ora apertamente propugnato come obiettivo finale anche in Italia.
4. Non faremo analisi ulteriori della "loro stessa crisi sistemica", ma ci limitiamo a segnalare come i fatti stiano confermando questa descrizione del fenomeno, quale sopra tratteggiata. E cioè che delle "ragioni profonde", negli USA, siano sempre più costretti a rendersi conto, avviandosi, con la dovuta titubanza, a fare esattamente l'opposto di quello che si sta facendo in €uropa, e segnatamente in Italia, dove si sta assistendo all'uno-due del jobs act e della nuova legge elettorale (anche qui con resistenze politico-istituzionali allo stato evanescenti).
E rendersene conto, implica quantomeno che i media, negli stessi USA, non siano bellamente proni nell'invocare, sempre e soltanto, "riforme strutturali" neo-liberiste e nell'addossare ogni colpa alla corruzione, all'evasione e a cittadini immiseriti, che avrebbero vissuto "al di sopra delle loro possibilità".

La conferma ci arriva dall'apertura di un qualsiasi giornale USA: ultimamente, come vi ho già detto, ho ripreso a seguire l'International New York Times, tralasciando il Financial Times, troppo orientato sul mainstream finanziario euro-centrico per essere ancora sufficientemente indicativo (pur senza giungere ai livelli di bis-linguaggio propri del Sole24ore). 
La prima "notizia" che colpisce sul NYT di oggi è quella su Wallmart (pagg.16 e 18), la catena di supermercati economici che è anche il più grande datore di lavoro degli USA (1,3 milioni di dipendenti a vario titolo...). La questione è quella dell'aumento della paga oraria a 9 dollari, nella seconda parte di quest'anno, e a 10 nel 2016.
Sentite cosa fa dire il NYT a Rashad Robinson, direttore di un'associazione per i "diritti civili" che ha appoggiato le richieste di aumento del salario e del numero delle ore lavorate (sullo sfondo dell'uso del part-time, o comunque della riduzione dell'orario di base, variabile "a capriccio" della convenienza del datore WM, cosa essenzialmente agevole per un mercato del lavoro totalmente flessibilizzato, come lo si vuole all'estremo in Italia): "La retribuzione è solo un primo passo sulla strada verso il tipo di rapporto di lavoro che tratti i dipendenti con rispetto, e parte di ciò è stabilire degli standards sugli orari e sulla programmazione del lavoro. Si tratta di creare un ambiente dove i dipendenti non siano esposti al capriccio del datore".
Prosegue l'articolo: "Al cuore del problema di migliori paghe e orari, dicono gli "esperti" (ndr. ergo: completamente all'opposto dei nostri espertoni media-militanti) è la diminuzione del numero dei posti di lavoro "middle-class". Sempre più percettori di buoni trattamenti economici che in passato avevano avuto STABILI impieghi impiegatizi nell'industria manifatturiera devono ora affidarsi su low-wage jobs a Walmart o presso altri discount retailers per mantenere le proprie famiglie". 
Su questo fenomeno di deindustrializzazione manifatturiera, non solo deflazionista ma, più strutturalmente, destabilizzatrice della stessa democrazia, abbiamo visto cosa ci dica Rodrik.
E, sempre nello stesso pezzo, un professore di relazioni industriali alla Clark University, Gary N.Chaison, (con un "sorprendente" ribaltamento della vulgata bocconiana ossessivamente ripetuta sui nostri media), fa questa semplice analisi: "Walmart ha sempre offerto posti ai margini della forza lavoro - a gente che stava giusto rientrando in questa dopo anni, ovvero, di supplemento ai redditi di un "coniuge donna". Ma ciò che invece sta incrementandosi è che siano i principali percettori di reddito familiare che lavorarano in tale contesto, poichè molti lavoratori hanno più o meno abbandonato la ricerca di "middle class job".
Ora questi lavoratori sono sospinti in posizioni tipo-Wlamart e stanno domandando paghe più alte, lavori a tempo pieno e altri benefici. Perciò non c'è bisogno che "interpreti": le maggiori paghe a Walmart sono il segno di un declino, di una fase discendente (downturn) economica. Semmai lo interpreterei come "cattive notizie permanenti".
Sono così esposte, in ben poche parole (non affette dal supporto bis-linguistico offerto ad interessi mai ben chiariti),  le "profonde ragioni" della "crisi sistemica" nonchè il legame di questa con quel tipo di mercato del lavoro e di non-modello industriale che corrisponde alle "riforme strutturali" professate fanaticamente in €uropa.
Il meccanismo di questa meravigliosa "flessibilità assoluta" al di là dell'ammontare della paga oraria funziona così: "Assumendo un gran numero di lavoratori "a ore", cioè il cui orario può espandersi o contrarsi a seconda del bisogno del business, i retailers possono meglio sincronizzare gli orari alla domanda, dicono gli esperti: affiggendo delle tabelle con limitatissimo anticipo, i managers riescono a minimizzare il rischio di assegnare troppe ore. E restringere gli orari consente anche di limitare gli straordinari e i benefici dei dipendenti".

4. E come può veramente riconquistare una stabile e permanente crescita un paese che, deindustrializza-delocalizza, in base al principio free-trade che il capitale va dove rende di più e che la domanda interna non sia rilevante, in quanto i salari comunque debbono seguire la produttività "reale" e non quella nominale, cioè quella che incorpora anche l'inflazione (per cui i salari rimangono stagnanti quanto lo è la domanda interna e, comunque, ne seguono pedissequamente ogni minima variazione, divenendo perciò pro-ciclici)?
La soluzione di "crescita" finora praticata in USA è che questa sia ottenibile mediante l'indebitamento dei consumatori. Peccato che, com'è noto, - e com'è parte del non-detto che caratterizza gli espertoni della flessibilità assoluta "competitiva"- si arrivi poi inevitabilmente al punto della insolvenza diffusa di questi consumatori e lavoratori, resi collettivamente "marginali" dal mercato del lavoro "riformato" .

5. Il fenomeno del sub-prime consume lending (cioè del credito al consumo fatto a chi non può, prima o dopo, ripagare), riscappa fuori in un altro articolo "I prestatori raggiungono un accordo sui sequestri delle auto" (pag.19). 
Qua siamo al culmine della fenomenologia della flessibilizzazione e deflazione salariale applicata anche al pubblico impiego (com'è negli USA, e come la si vorrebbe anche in Italia, tutta e subito, anzi no, anche prima). 
Sentite: è accaduto che Santander (un nome una...garanzia) con la sua "Consumer Bank USA" (operativa di credito al consumo), si sia illegalmente reimpossessata delle auto per le quali aveva fatto credito ai militari delle forze armate USA
Solo che, ci racconta il NYT, "secondo una legge federale (Servicemembers Civil Relief Act), i prestatori come Santander...devono ottenere un ordine giurisdizionale per potersi riappropriare del possesso dell'auto per cui è stato erogato il credito, se i veicoli appartengano a membri in servizio attivo delle forze armate". 
Il procuratore presso la Corte federale di Dallas (sede della società di "consumer banking"), ha perciò accusato Santander di aver, nel corso di 5 anni, violato questa legge federale per 760 volte in modo diretto e per altre 352 assumendo i reimpossessamenti avviati da altri "prestatori".
Facendola breve, alla fine, Santander ha raggiunto un accordo di "patteggiamento" per 9,35 milioni di dollari con il Dipartimento di giustizia, la somma più alta mai raccolta da US Governement come sanzione per "illegal repossession of car". L'inconveniente era quello di militari che venivano lasciati senza auto "mentre erano  in addestramento o impegnati a combattere in patria o a migliaia di miglia di distanza...".

Non a caso, l'accordo si inserisce, come riferisce sempre il NYT, in una più vasta inchiesta, modellata su quella, sempre federale, avviata sulla vendita di mortgage-backed-securities (cioè di titoli rappresentativi di uno "spezzatino-misto" di crediti ipotecari concessi su immobili a prestatori sub-prime, che, non potendo restituire, diedero luogo alla famigerata crisi del 2007).

6. Ora queste notizie, specialmente per come ci sono riportate, sono abbastanza eloquenti
Ci raccontano di un paese, gli USA, che le sue ragioni di "crisi sistemica" inizia ad affrontarle; certo, contraddittoriamente
E' un assoluto paradosso che prima di tutto, i militari impegnati in delicati compiti operativi, - circondati da tutta la enfasi retorica del patriottismo, Hollywood inclusa-, siano ridotti sistematicamente a comprarsi a rate gli autoveicoli di cui si servono per ovvii motivi di lavoro. Che il loro trattamento economico, poi, nonostante siano impegnati, potenzialmente ed attualmente, in missione col rischio della propria vita -e per di più nell'esercito più potente e più dispendioso del mondo!- non li ponga al riparo dalla sistematica insolvenza su debiti contratti per ragioni così fondamentali nell'ambito della loro stessa vita lavorativa.

In parte, dunque, si agisce-informa sulle cause, vedi vicenda Walmart: ma qui con la coscienza che si tratti di "bad news", dato che la deindustrializzazione e lo spostamento, in sè deflazionistico, dell'occupazione (in passato meglio retribuita) dal manifatturiero ai servizi ad alto impiego di fattore lavoro e a basso impiego di capitale, pongono un problema strutturale che esigerebbe ben altri rimedi e ben altri livelli di investimento interni. 
Ma almeno, gli "esperti" divendono coscienti del problema nei suoi esatti termini e i media non nascondono questa esatta analisi (evitando il bis-linguaggio, che, portato oltre un certo livello di dissimulazione del vero stato delle cose, diviene un esercizio irresponsabile e nefasto).
In parte si agisce-informa sugli effetti: che senso ha proteggere dalla aggressività dei creditori, consentita come "informale" e privatizzata (tale in via di regola generale: cioè, destatualizzata, escludendo dalle esecuzioni debitorie l'intervento del giudice), e con una legge di mera protezione "federale", i soli appartenenti alle forze armate, senza peraltro rimuovere la causa della loro attitudine alla insolvenza?
Che senso ha prendere atto impotenti della gigantesca redistribuzione verso l'alto della ricchezza nazionale, solo accorgendosi dei livelli di disagio, e di vita senza autentiche speranze in cui, in forza di un mercato del lavoro privo di veri diritti, hanno piombato la maggioranza schiacciante della popolazione (di consumatori-debitori)?

Su questa stessa strada  di declino strutturale, l'€uropa - e certissimamente l'Italia- si sono avviati con passo sicuro, senza alcun dubbio o pentimento. 
Almeno negli USA, a livello mediatico e di risorse culturali espresse, come abbiamo visto, da gruppi dei "diritti civili", dal Dipartimento di Giustizia, dai professori di economia, ma, soprattutto, dalla copertura mediatica, si indovina un segnale di reazione.
Euro o meno, il paradigma neo-liberista conduce alla catastrofe e, forse, negli USA stanno cercando di fare U-turn prima che sia veramente troppo tardi.

7. Non in Italia, dove la mancanza di "risorse culturali" segnala in realtà, tra espertoni e ragazzi-immagine, la distruzione di ogni vera "cultura".
La conferma?
Sullo stesso numero nel NYT da cui abbiamo tratto questo notizie, si rinviene un articolo (pag.7), sull'Italia naturalmente, di BEPPE SEVERGNINI
Cosa fa il nostro?
Parte dal presupposto che i nostri ingegneri debbano essenzialmente e principalmente espatriare e andare a fare "tangenziali in Norvegia" e "dighe in Viet-nam" e, perciò, debbano sentirsi in colpa di non parlare abbastanza bene l'inglese, visto che la nostra lingua sarà tanto bella ma è inutile.
Perciò stigmatizza il fatto che, all'idea di rendere obbligatorio l'insegnamento in inglese in tutti i corsi del Politecnico di Milano, i docenti si siano ribellati e abbiano persino ottenuto dal Tar della Lombardia l'annullamento del decreto che imponeva l'uso dell'inglese nell'insegnamento.
Il reale decreto che prevede l'uso della lingua italiana nell'insegnamento universitario è del 1933, dice Servegnini, e perciò "ha da esse' per forza fascista". 
E, notare, non gli sta bene neppure quello che, in appello, ha fatto il Consiglio di Stato che, secondo lui, - (ma le cose tecnicamente stanno in modo un pochino diverso, solo che Severgnini è un esperto...di lingua inglese, non certo di rilevanza delle norme di legge primaria che vincolano il giudice, "soggetto" per Costituzione "alla legge" e non alla "cultura" filo-anglosassone di Severgnini)-, avrebbe "soltanto" stabilito che spetti alla Corte costituzionale decidere se l'insegnamento universitario-solo-in-inglese possa violare l'art.33 della Costituzione (per il quale "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento").
Secondo Severgnini, la questione posta (dal Consiglio di Stato) sarebbe se insegnare in inglese ostacoli il libero accesso degli studenti alla conoscenza
Per inciso, per smentire che gli studenti in relazione a ciò possano avere anche la più pallida difficoltà,  Severgnini poi dice di aver tenuto una conferenza agli studenti al Politecnico, prima in latino (!) e poi in inglese, e questi capivano tutto benissimo, anzi ridevano alle sue irresistibili battute. Il problema sarebbero, secondo lui, questi accademici ultracinquantenni che non si sentivano a loro agio con l'inglese, essendo affetti da pigrizia mentale e provincialismo.
Secondo il "nostro", la vera questione (quella che secondo lui il Consiglio di Stato, questo orrido organo archeo-burocratico, dell'era della Costituzione italiana scritta in italiano), invece sarebbe se le università siano libere di insegnare "in qualsiasi modo ritengano migliore per essere al servizio degli studenti".
8. Interessante quesito, quello così posto, perchè riposa sui presupposti così amati da Severgnini: anzitutto, che la libertà di insegnamento sia (solo) quella, (scissa dai contenuti scientifici!)  di adeguarsi ad un'identità linguistica (e quindi anche storica, culturale, politica) diversa da quella che esprime la stessa Costituzione nella quale la stessa libertà di insegnamento viene posta
E, poi, che la deindustrializzazione e la connessa internazionalizzazione del capitale, siano una questione solo "linguistica", così, senza altre implicazioni.
Quelle stesse "implicazioni" che il resto del NYT affronta invece in modo esplicito e cosciente, cioè in un modo che al "nostro", che vive nel mondo internazionalista meraviglioso degli spot della Coca-Cola, sfugge completamente, in un contrappunto di contenuti - e di consapevolezza di problemi mondiali che nulla hanno a che fare con la conoscenza o meno dell'inglese- che risulta veramente impietoso.
 
Allora perchè non riscrivere la Costituzione in inglese, prevedendo che tutte le leggi siano poi in tale lingua tradotte
Ma allora, perchè non preoccuparsi che l'inglese sia stato comunque e in precedenza insegnato nella formazione scolastica precedente a quella universitaria, dato che è scientificamente assodato che l'apprendimento di una seconda lingua si verifica veramente e preferibilmente nei primissimi anni di formazione?
Anzi, considerato che gli studenti italiani devono "necessariamente" andare, nella migliore delle ipotesi, in Vietnam e in Norvegia, (e dando implicitamente per scontato che, in tali paesi, l'insegnamento universitario in inglese sia acquisito come obbligatorio ed esclusivo), e dando per escluso, a priori, che in Italia si costruiscano - o si manutengano- ancora strade e dighe (a che pro? Tanto semmai dovrebbero provvedere gli "investitori esteri" che parlerebbero solo inglese pure loro)- facciamo riscrivere una nuova e migliore Costituzione (in inglese) direttamente a Severgnini. 
The expert...

mercoledì 25 febbraio 2015

COME FUNZIONA IL DEMANSIONAMENTO DEFLATTIVO (sullo sfondo del jobs-act a licenziamento "libero"). PMI SVEGLIA!

Demansionamento e Idoneità alle Mansioni

PREMESSA- Come di consueto, "a futura memoria", e per vostra, (e anche mia), maggior comodità di "ritrovamento" in futuro della fonte, ritengo utile riportare in un autonomo post le risposte che sono state indotte da vostri interessanti commenti.

1. Il primo è di Roby Bury che, narrandoci delle sue (e non solo sue) vicissitudini "concordatarie", ci delinea il grave quadro della deflazione - quale sempre più connessa al "nuovo", demenziale, mercato del lavoro-, nei suoi riflessi sulla solvibilità dei patrimoni aziendali assoggettati all'iniziativa dei creditori.
"Il demansionamento, come si arguisce dai fatti (credo imponentemente diffusi) che evidenzi, anzitutto si fa sul "posto" (l'ex quadro, espulso dall'organizzazione e sostituito dal dipendente di livello inferiore, il cui trattamento rimane inalterato) anzichè sul singolo dipendente. Cioè, quello deflattivo in termini nominali, è ascensionale e "organizzativo", non il contrario. E questo pare attualmente sfuggire a tutti i commentatori (che si soffermano sul mobbing da svilimento...).
Per il singolo dipendente, i modi di "deflazionarlo" retributivamente sono molteplici:
a) riduzione di orario e trattamento economico proporzionale (part-time "obbligatorio") e/o assorbimenti di trattamenti straordinari nell'orario ex ordinario, mediante "ordini di servizio" (a cui non c'è modo di opporsi se non si vuole essere licenziati tout-court, cosa ormai più che agevole per TUTTI E SUBITO);
b) aumento di prestazioni orarie e del loro livello, a parità di trattamento-inquadramento (l'altro versante della medaglia del "quadro" che non viene sostituito una volta eliminato);
c) disdetta generalizzata di contratto collettivo (o non rinnovo a oltranza), sotto la minaccia di un ormai inoppugnabile e irreversibile licenziamento collettivo;
d) per le imprese maggiori, che ne hanno i requisiti, accesso aziendale, - complessivo o per unità produttive spesso corrispondenti a società "controllate" create ad arte-, ai vari ammortizzatori sociali (CIGS, in scadenza di rifinanziamento, contratti di solidarietà, altamente deflattivi dei trattamenti). Questi ammortizzatori spostano (in larga parte) sulla spesa pubblica, e sulla corrispondente tassazione a carico di tutti, il costo transitorio dei minori livelli retributivi, cioè in attesa di trasformare la situazione in definitive chiusure-delocalizzazione-disoccupazione "ufficiale", ovvero in reinquadramenti dell'intero personale aziendale.

Certo che poi, per chi si fosse trovato, e si trova, a fare l'imprenditore sulla domanda interna, il crollo deflattivo generale, rende la situazione più che disperata: esiziale direi.
Gli assets patrimoniali che avrebbero "garantito" i creditori non possono che perdere di valore, fino a deprezzamenti che non hanno certo finito di manifestarsi nella loro "geometrica potenza
".

Tutto questo significa DEINDUSTRIALIZZAZIONE e corrispondente destrutturazione irreversibile della democrazia costituzionale (rinvio al post su Rodrik e Chang).

E rammento che il sistema delle PMI sorge e prospera sull'ancoraggio al territorio del modello della GRANDE INDUSTRIA PUBBLICA, in violento corso di DISMISSIONE (PP 7 e ss.), cioè la deindustrializzazione più intensa e più €uropea che si manifesta col vincolo esterno da oltre 20 anni.
L'indotto, diretto o indiretto, della grande impresa pubblica sul territorio, cioè le PMI, CORRISPONDE AL MODELLO COSTITUZIONALE. Cioè al legame tra artt.41, 43, 45 e 47 Cost.

SPERO VIVAMENTE CHE SALVINI, NELLA SUA "LUNGA MARCIA" POSSA COMPRENDERE QUESTO ASPETTO FONDAMENTALE.
Se ne gioverebbe l'Italia tutta, senza esclusioni..
."

2. Il secondo commento è di Mauro Gosmin che, ricostruita una condivisibile storia funzionale del legame tra produttività e insostituibile formazione "artigianale" del personale, nell'ambito del peculiare sistema delle PMI, - cioè quello in cui alberga la maggior parte della manodopera addetta al "manifatturiero" che sostiene ( sosteneva) l'occupazione e la forza produttiva italiana- conclude, amaramente, con questa tragica constatazione: "coloro che si preoccupano di efficientare il sistema produttivo italiano, probabilmente non hanno mai visto una fabbrica e se ci andassero a lavorare non resisterebbero in certi siti produttivi nemmeno un giorno".
"Sì, le fabbriche non le hanno mai viste; questi studiosi, preferibilmente "bocconiani", (poi divenuti iconici della "nuova sinistra"), sono esperti di finanza. E nella finanza (privata) realizzano gli incarichi più prestigiosi e remunerativi, a scorrerne i curricula. E chi non ha ancora queste "opportune" connessioni aspira con tutto se stesso ad averle.

C'è però anche da dire che gli imprenditori (che non sanno far di conto), non si sono premuniti, nel loro bagaglio culturale, di connettersi al sistema immunitario costituzionale, abboccando alla vulgata che fosse a loro avverso perchè "comunista"
La lettura delle norme costituzionali ci dice esattamente il contrario (ti rinvio alla risposta fornita a Roby Bury).

A tutt'oggi, peraltro, continuano a non leggere e a non capire quelle stesse norme, che pure sono il loro estremo baluardo di difesa (ormai disperata).
"

martedì 24 febbraio 2015

MA LA DEFLAZIONE E' UN PROBLEMA SOLO PER LA FED E NON PER LA BCE?



1. Parliamo in maniera semplice della deflazione.
Diciamo subito che dalla Fed, la Yellen sta per comunicare qualcosa al Congresso USA (avete presente se Draghi, data la situazione dei vari paesi UEM, dovesse andare di fronte ai parlamenti di Grecia, Spagna o Italia a spiegare cosa intende fare su target inflattivo e tassi di disoccupazione?). E lei sa che a rialzare i tassi rischia, tra l'altro, di portare gli USA in deflazione.
Normalmente (la Yellen, almeno, se ne preoccupa "prima") non è una cosa buona. 
Anzi è molto cattivella e ha un difetto: è persistente e determina un outputgap, cioè una minor crescita del PIL rispetto alla situazione di pieno impiego (quella che gli artt.1, 4, 36, 41 e specialmente 47 Cost., vorrebbero che i nostri governo-parlamento perseguissero come primo, irrinunciabile obiettivo). 
Tanto che si parla, senza mezzi termini di deflationary gap.
Ergo, siccome la deflazione è (tranne casi eccezionalissimi e quasi teorici, che vedremo poi) l'antitesi della crescita, ci si aspetterebbe che i responsabili, super-tecnocrati-espertoni, che reggono le "istituzioni" dell'euro, fossero preoccupati di porvi rimedio.
Anche per la Grecia, data questa situazione, che vediamo in dati (Eurostat) qui sotto, ci si attenderebbe che un'istituzione internazionale di cooperazione economica (what else?), come l'Eurogruppo, si preoccupasse principalmente di come risolvere questo "problemino" (che risulta in "crescita"...almeno quella).

Tabelle – CPI Grecia attuale e storico

CPI GR ultimi mesi

 periodo inflazione
 gennaio 2015 -2,837 %
 dicembre 2014 -2,607 %
 novembre 2014 -1,245 %
 ottobre 2014 -1,676 %
 settembre 2014 -0,833 %
 agosto 2014 -0,300 %
 luglio 2014 -0,675 %
 giugno 2014 -1,092 %
 maggio 2014 -1,960 %
 aprile 2014 -1,349 %

2. Niente, non c'è verso, non si è sentita mai una parola al riguardo in queste settimane! Neppure il principale responsabile dell'inflazione nell'area euro, vale a dire Draghi, ha speso una sola sillaba per parlare della soluzione del problema di non crescita greco legato alla deflazione. 
Neppure oggi, che pure aveva di fronte il "programma" di Tsipras&co., portato con reverenza all'attenzione delle istituzioni della non(più)-trojka (che si sono riservate di pensarci su e magari di controllare ad aprile che le "riforme strutturali" siano quelle che...provocano deflazione? No, non è un paradosso, è la fisiologia della UEM; sogno di pace e di benessere che ci protegge dalla Cina cattiva e dai mercati finanziari internazionali malvagi...assoggettandoci ai mercati).
Insomma Draghi vuole la stabilità finanziaria, una "sana" finanza pubblica e pure la "crescita", ma non dice una parola sulla deflazione e come intenderebbe risolverla in Grecia (forse il paese non è "il più grande successo dell'euro" e non deve rimanervi a ogni costo, perchè l'euro è irreversibile?)

3. Per i coltivatori (diretti) del sogno europeo, quello irrinunciabile anche a costo della democrazia, riassumo da un manuale on-line semplice-semplice, ma molto utile, i problemucci della deflazione (traduco perchè gli adoratori della pace internazionalista di Ventotene non sono normalmente a loro agio con le lingue):

La deflazione è considerata dannosa per l'economia perchè:
  1. La gente differisce la spesa, sperando che nell'immediato futuro i prezzi siano più convenienti.
  2. I lavoratori resistono a tagli NOMINALI della retribuzione e perciò i salari reali tendono a crescere causando disoccupazione da salario reale.
  3. Gli interessi reali divengono troppo alti. Anche gli interessi allo 0% non possono indurre la gente a spendere creandosi una trappola della liquidità.
  4. La deflazione accresce il peso del debito.
....Comunque, se l'inflazione è determinata da produttività crescente, miglioramenti tecnologici e costi più bassi, essa può non essere dannosa ma benefica.

4. Vediamo ad es; in Italia:
questa è la produttività in era euro (secondo le previsioni OCSE, estese alla prima parte del 2015):

 
Non pare una crescita spettacolare (limitatamente all'ultimo anno peraltro), tale da compensare il deflationary gap. Pare che non lo sostenga nessuno. Solo chi ci dice che il jobs act porterà alla crescita...in deflazione (sicuramente salariale).
"l’introduzione di maggiore flessibilità del lavoro, via deregolamentazione e liberalizzazione del mercato, che si traduce nella riduzione delle tutele del lavoro, non si associa a maggiore occupazione, minore disoccupazione, maggiore probabilità di stabilità dei rapporti di lavoro, maggiori retribuzioni, ma neppure a maggiore produttività. Anzi, l’evidenza empirica va in direzione opposta: deregolamentazione e liberalizzazione inducono minore crescita della produttività del lavoro.
È ciò che è avvenuto in Italia dagli anni novanta: la crescente flessibilizzazione del mercato del lavoro non ha contrastato il declino della produttività, anzi ha contribuito a determinare quella “trappola della stagnazione della produttività” nella quale siamo immersi da oltre dieci anni". Cioè, aggiungiamo, con l'introduzione dell'euro.

Sull'accrescimento e miglioramento dell'impiego di tecnologia, un indice difficilmente contestabile è dato dagli investimenti. Ecco la situazione, Italiana e UE (dati FMI elaborati dal nostro CIPE):

 

5. E insomma, questa è invece la situazione, aggiornata al 20 febbraio, dell'inflazione italiana, secondo l'Istat:

 "I prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati"

Per adeguare periodicamente i valori monetari, ad esempio il canone di affitto o l'assegno dovuti al coniuge separato, si utilizza l'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) al netto dei tabacchi. Tale indice si pubblica sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 81 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
Periodo di riferimento: gennaio 2015
Aggiornato: 20 febbraio 2015
Prossimo aggiornamento: 13 marzo 2015

Indice generale FOI 106,5
Variazione % rispetto al mese precedente -0,5
Variazione % rispetto allo stesso mese dell'anno precedente -0,7
Variazione % rispetto allo stesso mese di due anni precedenti -0,2

E non abbiamo ancora gli effetti integrali del jobs act!
Solo qualche piccola anticipazione...

lunedì 23 febbraio 2015

LA GRECIA AL "BIVIO" DELLA SOVRANITA': COME TUTTI, DEL R€STO

barra-caracciolo[1]



1. C'è tanta delusione per il modo in cui ora si è conclusa la "trattativa" Grecia.
Addirittura, alcuni "cultori" del "c'avevo raggione IO" si addentrano nel fare un bilancio della praticamente disastrosa prima campagna estera di Syriza-Tsipras, addossando ogni colpa a Varoufakis.
Di certo, prima di tutto, non va dimenticato che quello che conta è l'indirizzo politico che, più ancora del programma di governo (che nessuno rispetta, in nessun paese, servendo invariabilmente in chiave di captazione mediatica del consenso, quand'anche le elezioni non si svolgessero in un paese privo di sovranità come quelli assoggettati all'UEM), caratterizza la prevedibilità delle strategie di un governo.

2. Ora su questo punto, dell'indirizzo politico di Syriza (cioè sulla connotazione fondamentale, la "visione" dei problemi individuati come priorità socio-economiche che impongono le scelte da adottare), riporto in ordine di tempo quanto detto su questo blog:


Ai miei arguti e attenti lettori, non sfuggirà dunque che, per Syriza, come per un qualsiasi partito di (presunta) opposizione italiana, non avere una posizione chiara sulla fine dell'euro e sulla incorreggibilità degli squilibri commerciali in assenza di cambi flessibili, nonchè sulla pratica irrealizzabilità di un governo federale che serva da alternativa e pavida "correzione"- con ciò rinunziando esplicitamente all'internazionalismo dell'indistinto,  tanto caro alle compatte tradizioni €uropeiste- significa prestarsi irresistibilmente, anche e specialmente una volta conquistato il potere, ad adottare "interventi economici che  siano tanto ampi e numerosi quanto in una politica pianificatrice". Ma poi, altrettanto irresistibilmente, piegandoli ad una "natura  differente".


Sempre nella stessa sede:
"Per quanto ci riguarda, l'idea che si possa essere "radicali", ma rimanendo dentro l'euro ad ogni costo, è pari ad una cosciente enunciazione di propaganda, nella più che probabile consapevolezza che ciò sia non solo uno specchietto elettorale per le allodole, ma, peggio, che ciò costituisca un passaggio non trascurabile della strategia von Hayek di instaurazione della Grande Società (a conduzione elitaria germanica)...
Quindi la situazione è questa:
Schauble non si sposta di un millimetro;
- mediando con la Merkel per assecondare ancor più Bundesbank, comunque rivinceranno le elezioni (non importa con quale coalizione governeranno: l'accordo verrà trovato);
- l'italo-PUD€ non avrà alcuno spazio per modificare i trattati,- visto, oltretutto che non ha saputo influire neppure sulle prassi applicative degli attuali- e, quando le nostre manovre finanziarie passeranno per il twopacks-Commissione, quest'anno e, ancor più, nel 2014, non avrà scampo: commissariamento UEM, tagli selvaggi delle funzioni-spese pubbliche e prelievi dai depositanti bancari conditi da svendite forzate degli asset pubblici...al miglior offerente.
E a RAINEWS24 ancora dicono che il dopo-elezioni tedesche consentirà una maggior "solidarietà" e tutto si risolverà in un meraviglioso clima di..."fogno".

"Oggi l'attenzione è calamitata dalla vicenda greca: tra cancellazione del debito (non ben precisata), moratoria del pagamento degli interessi e "piano di ricostruzione nazionale" (cioè di immediato allargamento della spesa pubblica e di sgravio fiscale, per assistere i vari debitori disperati), da applicare in attesa che la trattativa sul debito giunga a buon fine, il programma Syriza ci pare nulla più che un libro dei sogni, senza particolare preoccupazione di mostrarsi attendibile.
Chiunque sia al governo in Grecia, - e qualunque politica economico-fiscale intenda seguire-, infatti, deve finanziare un deficit ed un debito pubblico (inteso come onere degli interessi che vanno a comporre tale deficit) che non lasciano scampo, e che implicano un ricorso ai creditori di ultima istanza; cioè a coloro che, in sostituzione dei "mercati" - i quali esigerebbero rendimenti immediatamente insostenibili-, concedono la provvista monetaria per mandare avanti la baracca (di quel che rimane) di uno Stato, in cambio di pesantissime condizionalità.
L'accettazione di queste condizionalità, contestualmente alla concessione del credito, è quindi l'oggetto di un accordo: ora Tsipras, ove vincesse le elezioni, non intenderebbe più rispettare tale accordo (o serie di accordi).
Come al solito, dobbiamo rammentare che uno Stato indebitato e sull'orlo di un'insolvenza è, per definizione, la parte debole di qualunque accordo coi creditori, diretti o indiretti. 
Se tale parte debole vuole dunque mutare a proprio favore un trattato internazionale economico (perchè questo è l'accordo creditizio che intercorre tra uno Stato e istituzioni finanziarie internazionali come la trojka), le concrete speranze di riuscita sono pari a 0,00forse qualcosina.

L'alternativa al mancato accordo è il default unilaterale del debito pubblico e la conseguente preclusione di accesso ai mercati per un periodo proporzionale:
a) al tipo di "concordato" sul recovery rate che si dovrebbe poi necessariamente concludere coi creditori internazionali (soggetti finanziari privati e pubblici); 
b) più ancora, al ripristino di affidabili condizioni di crescita economica del Paese interessato, ed in particolare al risanamento della sua posizione netta sull'estero.

Queste conseguenze e queste prospettive sarebbero realisticamente gestibili solo se la Grecia uscisse dall'euro e riacquistasse la propria sovranità monetaria (cioè il potere di stampare moneta secondo i bisogni e la quantità necessaria nell'apprezzamento delle sue istituzioni democratiche nazionali).
Siccome, Syriza esclude in partenza di uscire dall'euro, l'unica prospettiva realistica della sua strategia è un fallimento del tentativo di rinegoziare in posizione di parte debole e un poco dignitoso retromarcia sul "piano di ricostruzione nazionale". 
Anche perchè, come sappiamo, se si rimane dentro l'euro, l'austerità ha il preciso obiettivo (obbligato) di riequilibrio dei conti con l'estero e la strategia di Siryza non pare tenerne conto"..."

3. A mio parere, dunque, ad "averci raggione" non ci voleva molto: diverso è sostenere di essere L'UNICO che cc'aveva ragggggggggione, considerata anche la "grande speranza" che aveva caratterizzato anche l'analisi di Sapir.

Il punto, a mio parere non così fondamentale, - anzi, decisamente trascurabile-, è se Varoufakis abbia la responsabilità di questo inevitabile e stra-previsto andazzo.

La elementare conoscenza dei meccanismi di preposizione alle responsabilità di governo, ci direbbero di no. 
Chi viene nominato come ministro è responsabile, secondo formule normative costituzionali più o meno stringenti, di garantire, nella sua azione, l'unità dell'indirizzo politico che, logicamente, fa capo, in via di "primazia", al presidente del consiglio, che ne incarna la principale titolarità e deve garantirne il perseguimento coerente e unitario.
In questa ottica, Varoufakis doveva attenersi a quell'indirizzo politico che aveva portato, - nei contenuti che sopra abbiamo determinato e specificato-, alla vittoria elettorale e che non poteva non essere riflesso nella scelta degli uomini di governo: Varoufakis, di suo, aveva la scelta di accettare o meno l'incarico, potendo, anzi dovendo, rifiutare se non si fosse trovato a condividere il suddetto indirizzo.

Poi c'è stata una serie di svolgimenti determinati dalla (inevitabile: si trattava del titolare del principale dicastero TECNICAMENTE coinvolto nella "trattativa") visibilità che conquista un protagonista nelle relazioni internazionali legate all'attuazione di quell'indirizzo politico.
Qui dire che, entro questi vincoli, Varoufakis abbia sbagliato o meno, sia stato contraddittorio oppure "inefficace", è questione di lana caprina. Ciò è talmente evidente che non andrebbe neppure spiegato.
Ma di questi tempi, l'idea di fondo è il "personalismo" della politica, cioè la coincidenza tra valutazione di merito dell' "atto poltico" e il profilo dell'individuo, - professionale, cultural-cognitivo, e principalmente, "di immagine" - che taluno offre, a seguito della esposizione mediatica in cui, volente o nolente (badate bene), un uomo politico si imbatte nell'era del tecnicismo pop.

4. Dovendo fare una razionale analisi sull'elemento che aveva richiamato più attenzione nell'azione di Varoufakis, si dovrebbe far riferimento alla sua "strategia"; ma sempre valutata in base ad elementi presuntivi, cioè da indizi sulle vere o presunte "ripercussioni" negoziali dei vari incontri, meetings, vertici, a cui lo stesso ha partecipato, in qualità di ministro economico del governo greco.
Il modo irridente e, ci hanno riferito, non sottomesso, (a differenza di tanti altri responsabili economici di tutti i paesi UEM contrapposti alla Germania), in cui Varoufakis parrebbe aver condotto queste trattative, è probabilmente una felice novità.

Non "poteva" essere efficace e avere risultati molto diversi da quelli poi registrati, perchè c'era il limite evidente di QUELLO SPECIFICO INDIRIZZO POLITICO SOPRA VISTO.

Ciò non toglie che Varoufakis ha suscitato simpatia. Che ci volete fa'?
Il duetto finale con Dijssolboem è stato indubbiamente divertente e "consolatorio", dato che registrava un nuovo atteggiamento che non ha avuto finora precedenti, almeno per noi italiani. 

La "pecca" di quella conduzione negoziale non è stata quella di voler essere "efficace" per obiettivi che non potevano stare in piedi, ma quella di aver dato l'impressione di essere stata intrapresa sulla base di un presupposto che non c'era
Cioè sulla precondizione della esistenza di un appoggio USA sul "nuovo corso", presuntamente da intraprendere in UEM partendo dalla soluzione della situazione greca.
Questo presupposto, rivelatosi (ad oggi) infondato, ha avuto qualche "traccia" nelle dichiarazioni di Obama, plurime e riprese costantemente in modo favorevole dai commentatori USA.

5. Confesso senza difficoltà che, su questo punto, i dati offerti dalla iniziale presa di posizione di Obama e dalla sequenza di commenti impostati da voci autorevoli (a cominciare da quella di Krugman) mi hanno indotto, come è accaduto a molti altri, in un certo grado di errore
Ma c'è anche da dire, che chiunque poteva esserlo: il problema, semmai, è la OGGETTIVA INCOERENZA della posizione espressa dagli USA
Prima apertamente solidali con un popolo che viene detto oggettivamente non in grado di ripagare il debito, nel modo in cui gli era stato imposto di farlo e bisognoso di "ritornare a una crescita sostenibile", poi, - con la (dobbiamo tutt'ora presumere) "telefonata" di Jack Lew-, riportatisi sulla linea della totale prudenza, per evitare un più volte sbandierato terremoto finanziario ad epicentro UEM.

La svalutazione-euroexit, ovvero il default greco, sono stati considerati troppo rischiosi in termini di insolvenze a catena che potevano investire, direttamente o di riflesso, creditori non limitati a quelli coinvolti nella sola trojka; a torto o a ragione, si tratta della percezione che può avere un ex banchiere come Jack Lew nell'esporre il suo punto di vista influente al capo dell'Esecutivo USA.
Insomma, l'intreccio (REPO) delle situazioni creditizie e debitorie tra UEM e USA ha fatto ritenere improponibile portare a fondo la negoziazione nel senso di porre la Germania di fronte ai doveri di (mai manifestata) cooperatività nell'applicazione del trattato UEM, e nel dover andare incontro a quella condizione di parja di cui hanno parlato autorevoli commentatori.
Almeno al momento questa è la situazione.

6. I tedeschi la passano liscia, nessuno offrirà, from the outer world, una potente mano alla Grecia, o, in seguito, ad altro Paese dell'area UEM, per fronteggiare i vari problemi di debito estero (debiti privati commerciali a breve, non convertibili in neo-dracma, in particolare, nelle inevitabili transazioni, passate e future, da concludere in una valuta di riserva accettata dai creditori, di cui la Grecia non dispone in misura sufficiente) che si porrebbero in caso di euro-exit. 
Tanto più in un paese deindustrializzato e problematico anche nel recupero della sovranità monetaria, come evidenzia Sapir.

7. Ma al di là della "induzione in errore" sulla propensione degli USA, vorrei rammentare che l'idea della Germania costretta a "buttare fuori" la Grecia e come tale sanzionabile dalla "comunità internazionale, - leggi: in base a una decisa ed aperta presa di posizione degli USA-,  non ci aveva mai convinto.

A questa idea abbiamo subito obiettato:
"Solo un dettagliola sanzione della comunità internazionale, che colpirebbe una Germania sfrenatamente ostile a qualsiasi compromesso, (la condizione addirittura di pariah) presuppone un attitudine al buon senso di quest'ultima che, allora, non si sa proprio perchè non sia stato innescato, dalla stessa comunità internazionale, ben prima! 
Diciamo, quando si era ancora in tempo, e si poteva evitare lo scempio umanitario in Grecia.

Ergo, andando all'essenza del fenomeno cui assistiamo, questa "comunità internazionale" - (finalmente) capace di imporre sanzioni di "reputazione" economica e morale alla Germania- si riduce al cambio di atteggiamento degli Stati Uniti.
Ma siamo sicuri che gli USA andranno veramente fino in fondo - nel senso "giusto"- ORA, non avendolo fatto prima (visto che già nel 2010-2011 hanno lasciato fare, ben sapendo che non "poteva funzionare")?
E soprattutto, quali sono i motivi per i quali veramente gli USA (solo) ORA, prendono, o starebbero per prendere posizione?"


"Vedremo: in fondo la Germania, quanto alla sua politica (di disinformazione propagandistica di un popolo che di per sè già non brilla di spirito cooperativo-solidale) diciamo "interna", può persino permettersi di pagare il prezzo di un transitorio (e mutevole) isolamento internazionale, ove buttasse la Grecia fuori dall'euro
Che poi anche i greci in qualche modo lo mettano in conto, è un discorso tutto sommato "scontato": che altro potrebbero fare in un calcolo sempliciotto, che non esige certo sofisticate conoscenze della teoria dei giochi?

Al di là del mumbo-jumbo da finanziar-economisti, la partita vera, a ben pensarci, si gioca:
a) sulla insostenibilità della protrazione dello status quo NON PER LA GRECIA, ma per attori UEM ben più importanti (SPA-ITA-FRA);
b) sulla ulteriore necessità assoluta di ripensare il ruolo della banche centrali DOPO che si fosse verificata l'euroexit greca e il probabile effetto domino conseguente.

Siamo sempre lì: non ci sarà modo di aggirare questo nodo. 
Come abbiamo stradetto qui, da due anni almeno, non ha senso uscire dall'euro per rimanere comunque nel "meraviglioso mondo di von Hayek" (in tutte le sue declinazioni internazionaliste e post-ordoliberiste, solo geneticamente germanocentriche)".


8. Ora, su questo punto, mi induco a richiamare ancora una volta un "già detto": 
"Non occorre neppure dilungarsi ulteriormente sulla questione greca. 
Quello che ci interessava era, ancora una volta, porre l'attenzione sul fatto che, in Grecia come in Italia, non esista una rappresentanza politica della sovranità costituzionale.
La propaganda-grancassa mediatica ha stordito troppo a lungo la massa degli elettori perchè ci si renda conto che la Costituzione, coi suoi obiettivi e diritti non negoziabili, è già, ora e subito, l'unico argine efficace per respingere l'attacco €uropeo, che vuole distruggere le democrazie, la dignità dei lavoratori e le prospettive delle future generazioni, in tutti gli Stati coinvolti nell'euro"

In sostanza a me delle simpatie e antipatie personali, e dei percorsi scientifici di Varoufakis, importa relativamente poco. 
L'indirizzo politico greco, che tra l'altro è lì, dettato dal "modo" e dai contenuti con cui sono state vinte le elezioni: sta lì senza particolari dubbi sulla sua direzione e natura "ideologica" (ripetiamo: se Varoufakis è stato scelto è scontato che debba starci dentro).

Un solo rammarico: volendo andare a vedere veramente cosa di diverso avrebbe potuto, ALLO STATO, accadere, si poteva pensare a cosa sarebbe successo se si fosse scelto Lapavitsas, ovviamente, e anche questo va capito, se la vittoria elettorale fosse stata su contenuti diversi (se non si capisce questo, non si può comprendere neppure la distanza della posizione di Sapir da quella di Varoufakis)

D. Sembra che lei identifichi la sinistra con la linea che sostiene l'uscita dall'euro, perché?

R. Per me, questa linea è l'unica che apre alla possibilitá di fare politiche di sinistra radicale che cambino i rapporti di forza a favore del lavoro e contro il capitale; politiche necessarie per recuperare il danno provocato dalla crisi ai paesi europei negli ultimi anni. Sono politiche sensate, fondamentali, come ridistribuzione, controllo o nazionalizzazione delle banche, riorganizzazione della produzione. Secondo me questi cambiamenti sono impossibili restando dentro l'unione monetaria, e rappresentano l'esatto contrario di ciò che oggi significa l'Unione Europea."
Infatti, lo stesso Lapavitsas, del tutto condivisibilmente, ci dice: 
"A volte la sinistra (ma aggiungerei, la democrazia tout court, ndr.ha bisogno dello Stato-Nazione per proteggere i diritti dei lavoratori e i diritti democratici, non c’è nessun altro modo
I governi di Grecia e Portogallo non possono cambiare la struttura dell’Unione Europea, peró possono intervenire in Grecia e Portogallo. Naturalmente il mio non è un argomento nazionalista. In certe occasioni si possono usare i meccanismi di uno Stato Nazione per creare una corrente internazionale".