domenica 30 marzo 2014

PERSINO L'IRLANDA. MA L'ITALIA PREFERISCE LITIGARE SUGLI F35 (la ripresa in stagnazione deindustrializzata)

Tra i critici del progetto F-35, il Government accountability office.

 


(Tra i critici del progetto F-35, il Government accountability office!)

 

 

Plan B: how leaving euro can save Ireland

Our current economic problems didn't begin with the debt crisis but have their roots in decision to join eurozone, says Cormac Lucey *

 * Cormac Lucey is programme director of the Diploma in Business Finance at the IMI. His new book – 'Plan B: How Leaving the Euro Can Save Ireland' – is published by Gill & Macmilan.

Insomma persino l'Irlanda inizia a dare segni tangibili di non poterne più!

Purtroppo in Italia siamo rimasti probabilmente gli ultimi a credere che "il problema non è l'euro", e che un attivo della partite correnti determinato dal crollo delle importazioni - con volume delle esportazioni sostanzialmente invariato- sia una garanzia di ritrovata competitività e futura crescita. 

Come se il credit crunch, la caduta degli investimenti e la connessa disoccupazione dilagante, fossero problemi inesistenti o che, addirittura, si possano "spontaneamente" risolvere in situazione di debolezza crescente della domanda interna.

Se il FMI continua, per ora, ad accreditare una crescita 2014 di +0,6,, senza neppure conoscere i saldi delle varie misure che verranno varate nel dopo elezioni dal governo Renzi, tutta la scommessa di questa "ripresa in stagnazione-deindustrializzata" si basa su una tenuta dall'attivo delle partite correnti e, anzi, in un suo incremento ulteriore.  Poichè è inimagginabile che aumenti il volume delle esportazioni, significa che ci sarà ulteriore contrazione della domanda interna.

Cioè contrazione dei consumi, non compensata da deboli misure di taglio delle tasse - in gran parte già anticipatamente neutralizzate dall' aumento delle addizionali irpef  regionali e comunali (accuratamente understated dai media) -  unita a tagli della spesa pubblica (cioè della domanda aggregata).

Non c'è che dire: scommetterei che il FMI ha toppato

Ma forse avrebbe dovuto avvertire Obama che il problema è tutto in una prolungata recessione alternata a stagnazione. Perchè il simpatico cultore del baseball nei secoli si è invece messo a parlare di F35 e del problema Putin. 

Un pò solipsistico per poter rivendicare il ruolo di leader dell'Occidente al tramonto...

 

venerdì 28 marzo 2014

L'ATTACCO FINALE DEL LIBERISMO ALLE COSTITUZIONI DEMOCRATICHE. STORIA DI UNA RIVINCITA (in nome dell'Europa)






Per meglio comprendere l'argomento di questo post dobbiamo riallacciarci ai discorsi già svolti, in particolare, in questi due post:

- 1° ANNIVERSARIO DEL BLOG - LIBERISMO E LEGALITA' COSTITUZIONALE (o noi o "loro") 

- IL CAMBIO DI MANO- 2: REVISIONE E "SOSPENSIONE" DELLA COSTITUZIONE (il procedimento in frode alla legge) 

 

Da tali post traiamo gli snodi essenziali per costruire uno schema operativo su cui fondare un'esatta rivendicazione della legalità costituzionale violata dai trattati europei e dalle loro molteplici applicazioni.

  Le Costituzioni nascenti dal potere costituente popolare si connettono al verificarsi di eventi straordinari segnati dalla drammatica rottura coi precedenti assetti di potere e dalla nascita di ordinamenti politici nuovi, antagonisti di quelli sconfitti

In un quadro analogo di straordinarietà si colloca il potere costituente che ha dato vita al nuovo assetto costituzionale italiano del 1948...La Costituzione italiana del 1948 è dunque anch'essa manifestazione di un potere costituente che emerse da eventi straordinari e drammatici, consumati in conseguenza della costante violazione dello Statuto albertino da parte di chi doveva esserne il custode.

 

Tuttavia, se la caduta del fascismo è "l'occasione"di instaurazione del nuovo potere costituente democratico, occorre una seria cultura storico-giuridica per comprendere quale fosse, in base al chiaro tenore dei lavori della Costituente, il modello antagonista effettivamente "sconfitto", individuabile come causa prima dello stesso avvento del fascismo,

Questa indagine a ritroso rende ben chiare le ragioni per cui, come garanzie essenziali di preservazione della democrazia dal modello antagonista sconfitto, si misero al centro i diritti fondamentali di tipo "sociale" (cioè quelli che compongono il welfare), costruendo come inderogabile una forma di democrazia che previene e neutralizza i pericoli di ritorno del regime sconfitto e condannato dalla Storia.

Si dà così vita ad una democrazia di valori dinamici che viene fondata sull'obbligo di attivazione delle istituzioni di "governo", per rendere effettivi i diritti stessi. Questo modo di essere - non meramente procedurale-elettivo- viene indicato, da Mortati stesso, come "forma necessitata" della democrazia contemporanea: ciò in quanto, affermatosi un concetto di democrazia rappresentativa degli interessi equiordinati di tutti i cittadini senza distinzione di classe sociale (sesso e credo religioso), la democrazia o "vive" in questo obbligo di attivazione, e quindi nella realtà di politiche pubbliche rispondenti ai diritti fondamentali (di cui il lavoro, serve forse ripeterlo, è il primo) o "non è".

 

Il liberismo, a sua volta è, per definizione, uno schema diametralmente opposto alla democrazia "necessitata" accolta dalla nostra Costituzione. 

Se non altro perchè esso afferma, esattamente come i trattati UE, la proposizione astratta della "forte" concorrenza come modalità centrale della realtà socio-economica, postulando un'esigenza assoluta di astensione dello Stato da ogni interferenza (non indispensabile) su tale modalità. Abbiamo visto come, in realtà, la "concorrenza perfetta", sul lato dell'offerta, non sia affatto predicata nè dai teorici del neo-liberismo (scuola austriaca, in primis), nè dai trattati. 

Si accoglie, piuttosto, un'idea di concorrenza "fisiologicamente imperfetta" - non a caso chiamata nel diritto antitrust a matrice anglosassone "workable competition"-  che opererebbe, rispetto alla platea dei "produttori" privati (oligopolisti), in modo da non compromettere l'innovazione tecnologica, il rafforzamento finanziario e la preservazione di un certo "potere di mercato"... Il puro agire della domanda e della offerta, al di fuori cioè di situazioni di vischiosità strutturale e di rendita, viene dallo stesso liberismo accettato come residuale.
Ma a quale "residuo" la legge della domanda e dell'offerta viene dunque considerata incondizionatamente applicabile? Al mercato del "lavoro", tanto che tutta la teoria macroeconomica neo-classica, si incentra sulla teorizzazione del lavoro come "merce".

 

Se questa è l'essenza del (neo)liberismo, confermata nei trattati dall'art.3, par.3 TUE, inteso nelle sue priorità proiettate su tutte le altre norme europee, è agevole rilevare che esso risulta inconciliabilmente in contrasto con le Costituzioni democratiche, interventiste, pluriclasse e incentrate sulla tutela integrale del lavoro. Non volte, quindi, come i trattati, all'ambigua "piena occupazione" neo-classica, intesa come qualsiasi livello di impiego raggiungibile in situazione di pienezza della legge della domanda e dell'offerta sul mercato del lavoro, nonchè di stabile riduzione delle aspettative di inflazione.

 Le conseguenze pratiche del riaffermarsi, per via del "vincolo europeo", del liberismo, o capitalismo "sfrenato", (secondo Popper), fondato sul lavoro-merce e sulla deflazione, sono ben tangibili e immediate, in termini di sopravvenuta irrealizzabilità del dettato costituzionale (de facto), in quanto incentrato sul principio lavorista della piena occupazione in senso proprio. 
Tale irrealizzabilità si verifica senza passare per le procedure di revisione costituzionale, che, tra l'altro, in materia neppure potrebbero essere utilizzate, trattandosi di incidere su principi fondamentali inderogabili, riconducibili in via sistematica (e per la stessa Corte costituzionale) all'art.139 Cost.
Tuttavia, una volta prevalente, in via di colpo di forza politico (sovranazionale), la volontà di riaffermare il modello liberista, tramite una disapplicazione progressiva ed inesorabile dei principi intangibili della Carta democratica, imponendosi ai parlamenti di rilegiferare (reiteramente) il lavoro come merce, ciò implica inevitabilmente il transito verso un sistema diverso da quello costituzionale, in modo extraordinem.
Quando, invece, si pone mano ad operazioni di revisione della Costituzione (art.138 Cost.), esse traggono origine da una investitura che nella stessa affonda le sue radici - e se al potere di revisione sono posti limiti e confini che chi si appresta alla revisione ha il dovere di rispettare, non si è in presenza di potere costituente, bensì di potere costituito.
Per come è previsto dall'art.138, il potere di revisione appare chiaramente preordinato a modifiche puntuali che lascino intatto l'impianto complessivo.  Un procedimento di revisione diverso da quello previsto, e per raggiungere risultati eccedenti quelli consentiti dalla sua stessa natura, non potrebbe considerarsi praeter Constitutionem, bensì contra Constitutionem,
Se poi  i mutamenti, che vengono apportati, sono tanto radicali da farne risentire anche le parti non espressamente modificate, ne discendono in prospettiva squilibri ad antinomie che portano all'indebolimento dell'insieme, così esponendolo al sempre più frequente rischio di manomissioni. E poi come si risolveranno i contrasti tra la prima e la seconda parte della Costituzione, che già si vanno profilando come conseguenza delle modifiche proposte?

Se volessimo prendere a prestito gli istituti del diritto privato, useremmo la formula del "procedimento in frode alla legge", consistente nel porre in essere atti che, se considerati separatamente, appaiono in sè validi, ma che producono nella loro sinergia un risultato che eccede o capovolge la premessa.


Lo stesso meccanismo "in frode alla legge" (costituzionale suprema) può però ben descrivere il già esaminato processo di affermazione, per via di atti applicativi del diritto europeo, del neo-liberismo contro i limiti invalicabili posti alla stessa revisione costituzionale: i singoli atti di recepimento in sè non integrano neppure delle revisioni costituzionali ad es; in tema di banca centrale, di sistematica riduzione dell'intervento pubblico, di continue riforme del lavoro e del sistema pensionistico. 
Le singole "riforme in nome dell'Europa", si limitano semmai a violare singoli parametri costituzionali, i quali, tuttavia, rimangono intatti; artt. 4, 36, 38, 41, 43, 47 Cost. Ma la sinergia di tali atti è tale che, progressivamente, si stabilizza un risultato, avuto di mira fin dall'inizio - cioè insito nel trattato-, che rende inoperativa la Costituzione ben oltre gli stessi limiti imposti alla revisione costituzionale.
In ogni caso, una situazione di rottura della legittimità costituzionale potrebbe, in astratto, verificarsi solo se si manifestasse un Potere costituente (cioè ascrivibile al popolo nella sua unità identificativa della sovranità), che assumesse esplicitamente questo modello in base all'univoco consenso dello stesso popolo sovrano. Diversamente si tratterebbe di un atto eversivo.

Non a caso Carli, nel definire l'appropriazione (extra-legem) della pretesa indipendenza della banca centrale dal governo-parlamento, parlò, a suo tempo, di atto "sedizioso".
Sono gli stessi epigoni attuali del liberismo internazionalista della finanza globalizzata a porre, dalla loro angolazione, il problema in questi termini.
Cioè gli stessi neo-liberisti, abbandonando ormai ogni velatura alla loro autoaffermazione autoritaria, pongono il problema strategicamente

Essi, oggi più che mai, cercano dunque una soluzione istituzionalizzata "finale" per il nuovo assetto di potere che hanno consolidato de facto e extraordinem come teorizzato negli studi "privati", dopo aver camuffato i loro obiettivi - tra altri concetti mimetici o "cosmetici"-, nei trattati UE, ed aver utilizzato questi ultimi come grimaldelli contro le Costituzioni, mirano a ratificare in "nuove" costituzioni l'assetto di forza  realizzato per renderlo irreversibile.
Ed è proprio questo risultato finale di irreversibilità che bisogno impedire se si vuole difendere la sostanza della democrazia "rimasta" e sperare nella sua rinascita.
  

 

 

mercoledì 26 marzo 2014

BREVE GUIDA SULL'USO MEDIATICO DELLA CORRUZIONE COME STRUMENTO DI DISATTIVAZIONE DELLA DEMOCRAZIA



Cerchiamo di fornire delle informazioni sui dati reali, nonchè alcune considerazioni razionali, in tema di corruzione.
Allora, semmai ci fosse bisogno ripeterlo, e pare proprio di sì, dato il coro tetragono dei corruzionisti: il dato sulla corruzione italiana, quantificata a 60 miliardi annui (invariabilmente tutti gli anni e in perpetuo) E' FALSO (preciseremo in apposito libro come, e specialmente, perchè nasca questo dato e per quali vie sia stato diffuso). Che sia falso è stato chiarito dal Presidente della Corte dei conti, organismo di rilevanza costituzionale, che esercita (anche) il controllo sulla finanza pubblica. 
La smentita si è resa necessaria perchè l'accertamento di tale dato era stato scorrettamente attribuito alla stessa Corte, usandosi poi, per perversa accumulazione, la originaria ed infondata citazione come fonte per accreditarne una reiterazione pluriannuale, mediaticamente volta a creare un "fattoide" manipolatore dell'opinione pubblica
Ecco cosa ha detto, sul punto, il Presidente della Corte il 6 marzo scorso, in audizione presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale:
"...Nel corso dell'audizione Squitieri ha lanciato anche un allarme sulle società partecipate dagli enti pubblici, «in alcuni casi strutturate in scatole cinesi» con la messa a rischio dell'equilibrio finanziario dell'ente «fino a provocarne il dissesto». In coda un pensiero è andato alla presunta stima da 60 miliardi della corruzione in Italia: «È impossibile - sottolinea - stimare la ricaduta della corruzione sull'economia, qualsiasi stima è velleitaria. La corruzione va combattuta ma è impossibile pensare di stimarla. La Corte dei conti non ha mai detto che il fenomeno costa 60 miliardi». 

Detto questo vi diamo un rapido vademecum di proposizioni "serie" sulla corruzione.
...l'ordoliberismo internazionalista ...non si limita a insinuare un concetto vuoto e strumentale della democrazia, assunta come mera "procedura" (idraulico-sanitaria) - accuratamente manipolata dal sondaggismo e dal condizionamento mediatico a suggestione moralistica-, ma raffoza la sua azione AGITANDO ANCHE LO SPETTRO DELLA CORRUZIONE.
E INVENTANDO CONCETTI COME LA CASTA, in modo da sviluppare un riduzionismo grottesco della democrazia nei suoi fisiologici punti deboli e, attraverso di essi, disattivarla del tutto.;

La corruzione, comunque la si voglia vedere, è il prezzo attribuito a titolo privato ad un pubblico decidente come compenso di intermediazione per l'assetto di interessi= "effettiva distribuzione della ricchezza", conseguente ad una concreta decisione del pubblico potere.
Ora, più elevato è il numero delle opzioni alternative insite nella decisione, cioè più numerosi sono i momenti di discrezionalità (tecnica e amministrativa), più elevata è la probabilità e la stessa organizzazione del fenomeno corruttivo.
...Quali che siano le risposte che un ordinamento fornisce a tutte queste problematiche - e in Italia, afflitta dalla trentennale crociata contro spesa corrente e investimenti pubblici, è facile immaginare quale sia il "livello" sub-ottimale di risposta- un fenomeno sarà comunque registrabile con certezza: l'assetto perseguito, cioè gli interessi materiali sottostanti, saranno sempre realizzabili a costi più elevati rispetto a realtà geo-politiche che non soffrano di una comparabile situazione di "congestione-complessità" degli interessi in conflitto.
Tra questi costi, rientra la corruzione, ma, - e, sia chiaro, senza alcuna ombra di cinismo-, non è detto che il suo irrompere nel quadro, conduca necessariamente a una crescita dei costi rispetto alla situazione di ipotetica osservanza integrale della legalità.
La corruzione può sia sveltire la decisione, (adde: come ad esempio si può desumere da certe attuali dichiarazioni di Formigoni) e normalmente questa è una delle sue ragioni di convenienza per l'operatore che corrisponde il relativo compenso, sia eliminare in tutto o in parte il costo del contemperamento della decisione con interessi contrapposti a quelli economici prevalenti, che tendono ad avere l'iniziativa nel quadro sociale delle economie capitaliste "complesse". 
Cioè nelle società comunque caratterizzate dalla complessità, tecnologica e sociale,  stratificatasi nel tumultuoso sviluppo del capitalismo, sospeso nella continua tensione ad aumentare l'efficienza della produzione, e quindi il profitto, sia attraverso la compressione della tutela del lavoro sia attraverso l'innovazione di processo e di prodotto.  

In termini pratici, poi, questa invarianza (cioè compresenza intrinseca) della maggior costosità della congestione di interessi simultaneamente meritevoli di tutela, negli ordinamenti democratici, (interessi a radice geo-storica-culturale, come in Italia), conduce ad una maggior inflazione relativa rispetto a paesi con diverse situazioni geo-culturali. Piaccia o no.
per chi abbia letto il libro "The Bad Samaritans", proclamato lo "stato di corruzione" (variante moralistica della shock economy) si affaccia invariabilmente una terapia: quella dell'austerità anti-spesa pubblica e pro-privatizzazioni, imposta dagli organismi internazionali che gridano all'emergenza corruzione. Essa (terapia), infatti, si preannuncia, come rimedio unico ed inevitabile, proprio con l'arrivo delle accuse di corruzione (che in Italia hanno avuto infatti la ben nota sincronia con la conclusione del Trattato di Maastricht).
E sul significato della enfasi posta sulla corruzione, come attacco alla democrazia sociale nei suoi fisiologici punti deboli, richiamiamo quanto già detto, più volte.
Si tratta, infatti, di un paradosso per cui l'appropriazione dei beni e delle risorse pubbliche fatta episodicamente, ed in modo del tutto parziale, comunque punita penalmente, deve essere sostituita (ah, l'efficienza!) dalla devoluzione sistematica a poche mani private della pratica totalità di quegli stessi assets, per via legislativa d'urgenza.

lunedì 24 marzo 2014

PARLARE CHIARO E...TRARNE LE CONSEGUENZE

LA VOCE DI MARINE
"Oggi finisce in Europa la distinzione fra destra e sinistra. La vera lotta è fra alto e basso nella società. In alto ci sono i sarkosisti, i socialisti, l'euro e il libero mercato. In basso c'è il popolo. E ci siamo noi".  

Marine Le Pen, la vincitrice

(Per il Fronte nazionale destra e sinistra tradizionali non hanno più senso e in segno di disprezzo ha coniato la sigla UMPS che mette insieme l'Ump e il Ps giudicati sostanzialmente identici nell'essere lontani dai bisogni del "popolo".)

"Chiedo a tutte le forze euroscettiche d'Europa di allearsi in difesa degli Stati nazione, del ritorno della democrazia, della sovranità dei popoli e delle identità nazionali", in vista delle elezioni europee di maggio.

...E L'ALTRA CAMPANA

http://www.informarexresistere.fr/2014/03/23/barroso-ammette-ue-pensata-apposta-per-essere-un-antidoto-ai-governi-democratici/

http://www.ilnord.it/imgbank/05/0/0/ar_image_1536_l.jpg

 


 

domenica 23 marzo 2014

ANTI-ITALIANS DISUNITI: LA REDENZIONE E IL METEORITE



Chiara pone questo drammatico interrogativo:
"Torno carica dal bastaeurotour di Padova. Il tempo stringe e dobbiamo unire le forze, tutte. Temo che anche tra molti favorevoli all'uscita dall'euro non sia chiara l'URGENZA che dobbiamo porre. Se a maggio non vinciamo sarà un massacro. . Cosa possiamo fare di più?" 

Chiara probabilmente intende "se a maggio non vinciamo...noi italiani (tout-court) alle elezioni italiane (!) per il parlamento europeo".
Ma, al di là della risposta che comunque le ho dato nei commenti, credo che il problema sia proprio nel fatto che non è detto che alle elezioni italiane vincano gli italiani. 
E non è un paradosso.
Si tratta ormai di un fenomeno di anti-italianità di massa, mediaticamente indotta, che fa sì che questa posizione suicida non solo trovi un'autolesionistica rappresentanza politico-elettorale, ma che si rinforza ulteriormente degli slogan lanciati, verso l'elettorato, dagli stessi politici, vecchi e, specialmente, "nuovi".
Una sorta di gara a prendere le distanze dalla nostra realtà, attribuendone le storture ad un modo di essere organico del nostro popolo (la corruzione, il populismo, la casta-cricca, "l'indisciplina") e non ai fattori causali effettivi della crisi, che sono esogeni.
Ciò impedisce in partenza di trovare l'unità; perchè ciò che viene imputato, dall'angolazione di ciascuna formazione politica, al resto dei connazionali, ha diverse sfumature e versioni, non coincidenti tra loro, e tale diversità si segnala come l'indispensabile differenziazione di prodotto offerto per concorrere sul mercato del voto, al di là di ogni coerenza e aderenza con il vero interesse degli elettori. Sicchè dubito che si arriverà mai, (o comunque in tempo), a un "deponete le armi" simultaneo, come base per la indispensabile azione unitaria, quale dettata dall'attuale emergenza.

Circa un anno fa, se andate a vedere sull'archivio del blog, esattamente in questo periodo, avevo pubblicato 2 post che erano e rimangono il core di questo stesso blog (tanto da essere, riadattati e perfezionati, il fulcro della II e della III Parte del libro).
Erano il post sulla dottrina delle Banche centrali indipendenti e quello sulla legittimità costituzionale delle manovre finanziarie succedutesi da Maastricht in poi.
Ebbene questi post, - li uso a titolo di esempio ma altri temi analoghi sono utilizzabili-, trattano di problemi che, in se stessi, risulterebbero politicamente neutri rispetto alla contesa "partitica" interna. Il primo dei 2 temi è stato poi anche ripreso, con ulteriori punti di vista, da altre voci scientifiche e critiche.
Ma rimane che se tali argomenti sono neutri rispetto alla contesa politica interna, non di meno, rispetto al sistema politico-rappresentativo nel suo insieme, gli stessi sono esclusivamente vantaggiosi; ciò in quanto riaprono alla politica nazionale, col supporto della suprema legalità, cioè quella della Costituzione, gli spazi di indirizzo politico, e di effettività del potere delle proprie decisioni, che l'€uropa ha sottratto al sistema nel suo insieme.

Nonostante ciò, le principali forze politiche, tranne alcune parziali eccezioni, non solo non paiono consapevoli di questa enorme opportunità che gli offre il dettato costituzionale, (opportunità che la politica tedesca, ad es; non esita a sfruttare al massimo), ma neppure della gravità assoluta della situazione democratica nel paese.
In un solo anno infatti, il proporre la genetica illegittimità costituzionale della banca centrale indipendente e dei parametri di finanza pubblica posti in attuazione di Maastricht, pare divenuto una ingenua, se non eccentrica, sofisticazione dell'analisi giuridico-economica.
Dirò di più; nonostante e anzi proprio in ragione di queste elezioni, questi problemi paiono divenuti anacronistici residuati di una cultura democratica ormai del tutto superflua.

Mentre si discute (un pò mestamente) se i partiti che hanno dichiarato una posizione favorevole all'euro-exit riusciranno a superare la soglia di sbarramento del 4%, neppure si è in grado di focalizzare, nella maggior parte degli esponenti politici, la decorrenza del c.d. fiscal compact, e ancor peggio, i suoi effetti.

E mentre l'arma alta e democratica della Costituzione continua ad essere ancor più ignorata, ci si crogiola su assurde e stravaganti soluzioni rispetto ad un fiscal compact che altro non è che il sistema di correzione degli squilibri commerciali privati interno all'UEM, realizzato senza trasferimenti "federali" e, invece, con politiche fiscali nazionali (senza aver nulla a che fare con un reale problema di "conti in ordine"), ESATTAMENTE QUALE FIN DALL'INIZIO VOLUTO DAI TEDESCHI. Che hanno così: 

a) predisposto il trattato in modo che la solidarietà "finanziaria" fosse espressamente vietata;
b) agito spregiudicatamente in violazione dei trattati per conquistare una posizione di forza in modo tale che non solo non fosse possibile aprire un negoziato attendibile sulla rimozione di tale divieto;
c) ma neppure impedire l'ulteriore inasprimento della sua governance mercantilista de facto sull'intera Unione.

Se i trasferimenti disposti da un inesistente e mai previsto (nè minimamente voluto) governo europeo federale non sono utilizzabili a correzione degli squilibri creditori commerciali interni all'UEM, e se non si accetta la correzione mediante la repressione interna della domanda (cioè il FC), perchè troppo distruttiva (in termini di deindustrializzazione e disoccupazione), non si vanno a chiedere gli eurobond, che non correggono nulla e solo consentono un rallentamento degli effetti distruttivi della repressione deflattiva interna, rimandando solo nel tempo un esito di colonizzazione con resa all'altrui mercantilismo.

In questo quadro (politico interno) di incapacità di sviluppare un'azione comune per l'interesse nazionale - anche perchè persino questo, da taluno, viene visto in sè come qualcosa da combattere per sostituirlo con l'interesse locale-, si arriva al Redemption Fund come astro nascente della soluzione finale destinata a fare un deserto industriale dell'area mediterranea.
Su tale "Fondo", rispetto a quanto riportato da vari articoli (anche risalenti nel tempo), possiamo aggiungere che esso è in definitiva un sistema con garanzia c.d. "reale" - estesa persino all'oro d'Italia- della realizzazione del fiscal compact, dato che, al di là dell'obbligo di incrementare a livelli insostenibili - e incompatibili con la crescita - il saldo primario, implica l'asservimento della macchina fiscale nazionale ad un'entità estera, non prevista nè compatibile con la Costituzione, che diviene stabilmente beneficiaria della capacità contributiva dei cittadini italiani.
E non solo; si tratta di un prelievo effettuato in corrispondenza di una sorta di secondo saldo primario, aggiuntivo al primo counque realizzato per limitare il deficit annuale, e che, dunque, corrisponde esattamente all'idea che il debito pubblico altro non sia, in termini neo-classici di equivalenza ricardiana, che la capitalizzazione della futura tassazione aggiuntiva necessaria per ripagarlo.
E cioè o servirà a creare risparmio nazionale costantemente negativo ovvero consisterà in una liquidazione coatta (per via di tasse patrimoniali e privatizzazioni in svendita) dell'intero patrimonio pubbico e privato nazionale. O entrambe le cose insieme (perfettamente compatibili).


Per fermare questo meccanismo infernale ormai lanciato come un meteorite in rotta di collisione col "Bel Paese", c'è un solo modo: uscire dall'euro per tornare alla Costituzione.
Ma se questo messaggio non è raccoglibile con spirito di unità e di solidarietà democratiche da tutte le forze politiche non attualmente "di governo" (forze politiche che, secondo uno schema generale verificatosi in tutta Europa, avrebbero una oggettiva convenienza a farlo), occorrerà semplicemente attendere e sperare che il meteorite colpisca prima qualcun altro, togliendoci, si fa per dire, le castagne dal fuoco.



venerdì 21 marzo 2014

DECORRENZA DEL FISCAL COMPACT: IL PARADOSSO DELLE RESPONSABILITA' DELLA COMMISSIONE UE (se sbaglia la colpa è sempre degli altri)


Facciamo ordine sulla questione del tetto al disavanzo (deficit) che occorrerebbe rispettare nel 2014 o, ancora, più a partire dal prossimo anno.E più in generale sulla questione del momento di decorrenza dei nuovi tetti alla finanza pubblica.

Esponenti "tecnici" della maggioranza che sostiene il governo hanno annunciato "agli italiani" che la riforma costituzionale non prevede il pareggio di bilancio ma l'equilibrio tra le entrate e le spese.
Questa affermazione, però, non è esatta perchè basata sulla considerazione del solo comma primo del nuovo art.81 Cost.; il pareggio di bilancio, in termini logico-sostanziali, deriva infatti dal susseguente secondo comma: esso contiene un sostanziale divieto di ricorso all'indebitamento, consentendolo solo in per gli "effetti del ciclo economico" e "al verificarsi di eventi eccezionali". 
Per comodità vi riproduco l'art.81 Cost, nuovo testo, quale entrato in vigore proprio da quest'anno, considerato che l'art.6 della L.Cost.le n.1/2012, dispone "Le disposizioni di cui alla presente legge costituzionale si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014".

Art. 81.
Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L'esercizio provvisorio del bilancio non puo' essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilita' del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale.

Se l'applicazione del pareggio di bilancio riguarda l'esercizio finanziario 2014, vuol dire, peraltro, che la c.d. legge di stabilità 2013 già doveva puntare a tale risultato alla fine dell'esercizio stesso. 
Va però considerato che, per via del presupposto trattato detto "fiscal compact", ai fini del c.d. pareggio strutturale è tollerato un disavanzo fino a 0,5, ed inoltre che il ciclo economico segnalava una recessione italiana, a fine 2012, per oltre 2,5 punti di PIL, che sono divenuti poi, secondo l'ultima rilevazione Istat, 1,9 a fine 2013.
Insomma, calcolando che il governo Letta aveva tarato un obiettivo di indebitamento, a fine 2014, a -2,5, se si scontano i criteri della tolleranza fino a -0,5 nonchè del "ciclo economico" negativo, l'indebitamento derivante teoricamente dalla legge di stabilità appariva "abbastanza" rispettoso dell'art.81 Cost. (Ovviamente i criteri tecnicamente sono un pò diversi da questa stima a occhio).

Questo almeno in teoria, perchè poi i vari criteri del ciclo economico e degli eventi eccezionali, una volta giunti in UE, diventano il regno dell'arbitrio e del ricatto ad personam - meglio ad Rem Publicam.

Questo perchè il pareggio "costituzionalizzato", come saprete, è adempitivo (con eccesso di zelo) di una previsione del famoso trattato del fiscal compact. Quest'ultimo all'art.3, - fra obiettivi di medio termine, loro sostenibilità, indulgenza verso coloro che hanno un debito inferiore al limite del 60%, procedure sanzionatorie attivate su iniziativa di altro paese membro ai sensi dell'art.8-, introduce una discrezionalità amplissima e, naturalmente, portatrice di tali e tante, attuali e potenziali, discriminazioni tra paesi-membri da far ritenere senz'altro contrario all'art.11 Cost lo stesso trattato FC e la sua improvvida e affrettata ratifica.

Insomma, dal comma 2 dell'art.3 citato e dall'art.5 del fiscal compact, unitamente ad ulteriori disposizioni applicative emanate dalla Commissione ai sensi dello stesso art.5, si ricaverebbe che l'Italia, comunque, dovrebbe (il condizionale è d'obbligo data la vaghezza delle norme e il loro frazionamento in fonti sparse) applicare il pareggio di bilancio allo 0,5 per il 2015
E lo diciamo in questi termini per farci capire, perchè non è chiaro (a me, ma ancor meno ai nostri governanti) come il ciclo economico e gli obiettivi di medio periodo influiranno sul prossimo anno: potremo registrare una crescita pari praticamente a "0" o ancora recessione e il pareggio strutturale potrebbe calcolarsi tenendo conto di ciò. Ma non è detto (che si potrà in futuro tenere conto di ciò, anche perchè l'UE e i governi tendono a trovare per forza un ritorno alla crescita).

Analoghe considerazioni valgono per l'abbattimento del debito pubblico nella misura di 1/20 dell'eccedenza rispetto al limite del 60% su PIL: questo limite fu stabilito dal regolamento di stabilità finanziaria successivo a Maastricht e fissato esplicitamente nel protocollo 12, allegato a Lisbona, sulla procedura per disavanzi eccessivi.
Perciò esso apparteneva già all'ambito degli obblighi operanti in materia di finanza pubblica
Nel valutare la "convergenza" esso era stato variamente considerato in modo elastico, favorendosi chi (come l'Italia) avesse realizzati notevoli e durevoli miglioramenti, registrando un calo del debito/PIL, anche laddove il limite non era raggiunto al momento dell'entrata nella moneta unica.
Attenzione: questo era un criterio legale sia della prima fase di convergenza che contenuto nell'art.140 TFUE, nel senso, quindi, che l'inadempienza a tale tetto non è un riscontro automatico (cioè, c'è sempre una valutazione caso per caso) nè decisivo
E neppure parrebbe un riscontro indispensabile, come attesta il citato art.140 che, ai fini dell'entrata nell'UEM successiva alla prima fase, non lo prevede esplicitamente come criterio.

Questa premessa per spiegare che il fiscal compact, nonostante quello che si tende a ritenere, contiene, all'art.4, solo in via derivata (di una fonte precedente) la previsione dell'abbattimento del debito per 1/20°, essendo questa contenuta invece in uno dei regolamenti componenti il c.d six packs
Ed è anche logico, in un certo senso, che sia così, perchè mentre il c.d. pareggio di bilancio era un notevole mutamento delle originali condizioni di tetto al disavanzo, onde occorreva un nuovo trattato per introdurlo, nel caso del debito si trattava, in teoria, solo di far rispettare un limite preesistente (per quanto ondivago), cosa possibile con una fonte normativa emanata dal Consiglio UE nell'esercizio delle sue preesistenti competenze.

Quindi la previsione normativa dell'abbattimento non era originariamente nel fiscal compact, sebbene nel six packs (che è anteriore, entrando in vigore il 13 dicembre 2011); tant'è vero che le sue previsioni complessive conservavano il limite del 3% di deficit, compatibile con la previsione dello stesso abbattimento.
Come poi si arrivi a ritenere che tale previsione relativa al debito, che tanta inquietudine suscita in Italia, sia applicabile dall'esercizio finanziario 2015 (e quindi con la prossima legge di stabilità),  mi affido a quanto riportato dalla Camera dei deputati (Ufficio studi) a illustrazione dell'art.4 dello stesso FC. 
In sintesi si fa riferimento all'esercizio successivo allo scadere di un triennio dall'anno in cui uno Stato aveva registrato un deficit eccessivo -nel nostro caso, il 3,9 del 2011- e quindi, in pratica, all'applicazione di un piano triennale concordato per  il consolidamento dell'obiettivo di deficit ritenuto sostenibile
Da notare però che anche fruendo della moratoria "triennale" l'Italia non può dire - e non certo per colpa dei suoi produttori e lavoratori- di aver compiuto "progressi" nella riduzione del debito, essendo  l'aumento del debito stesso proprio l'effetto delle politiche inposte col six packs e il fiscal compact! 
Ciò ci pone, nel paradosso di essere continuamente "processabili" per infrazione A CAUSA DELLE GRAVI RESPONSABILITA' DELLA COMMISSIONE UE NELL'IMPORCI POLITICHE FISCALI ERRATE E CONTROPRODUCENTI!!! 

Questo è l'estratto riguardante il tema dello studio della Camera:
"Il testo finale ha recepito pressoché integralmente l’emendamento presentato dal Governo italiano e da quello francese. La prima bozza del 15 dicembre non conteneva infatti il rinvio al regolamento (UE) n. 1177/2011, che assume particolare rilevanza nella misura in cui stabilisce  che l’entità della riduzione del debito possa essere modulata, a seguito della valutazione di  Commissione e Consiglio di  taluni fattori rilevanti.
Il citato regolamento 1177/2011 dispone infatti che gli Stati con debito superiore al 60% si impegnino a ridurlo a un ritmo soddisfacente, definito come una riduzione di 1/20 dell’eccedenza, registrata nel corso degli ultimi tre anni, rispetto alla soglia del 60% e tenendo conto dell’incidenza del ciclo economico. 
Per uno Stato membro soggetto a una procedura per i disavanzi eccessivi, per un triennio a decorrere dalla correzione del disavanzo eccessivo, il requisito del criterio del debito è considerato soddisfatto se lo Stato membro interessato compie progressi sufficienti verso l’osservanza. La valutazione dell’andamento del debito, inoltre, dovrà tener conto di alcuni fattori significativi nella misura in cui essi influenzino in modo significativo la valutazione dell'osservanza dei criteri relativi al disavanzo e al debito da parte dello Stato membro interessato.
Il richiamo al regolamento 1177/2011 sembra diretto a chiarire, inoltre, che l’applicazione del parametro numerico per riduzione dell’eccedenza di debito sarà operata non immediatamente dopo l’entrata in vigore del nuovo trattato ma con i tempi previsti dal regolamento medesimo (e quindi a partire dal 2015, una volta esaurito il primo triennio successivo all’entrata in vigore del regolamento medesimo)." 
 
 Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, può constatarsi quanto tutto il sistema, oltre che concettualmente basato sull'idea fallimentare di austerità espansiva, con effetti pro-ciclici, dia luogo ad una quantità di valutazioni assolutamente discrezionali, imprevedibili e imponderabili, che pongono uno Stato in una grave condizione di svuotamento della sovranità fiscale...e democratica.

giovedì 20 marzo 2014

RENZI, MERKEL E IL MODELLO GERMANIA (mercantilismo anti-italiano)

 angela merkel pil

1. La Germania è una nazione tradizionalmente dedita al capitalismo mercantilista (morsa deflattiva sui salari per limitare l'import e guadagnare competitività di prezzo nelle esportazioni). 
Nell'articolo appena linkato, di Halevi, sottolineo la nota 4, che mostra come, curiosamente, Prodi avesse perfettamente capito come lo SME tendesse a funzionare in situazioni di squilibrio commerciale perseguite e accentuate dalla Germania; conclusione che, a maggior ragione, gli sarebbe stata possibile, a prima vista, rispetto all'euro (misteri della memoria e della cognizione?)
Che nell'euro la Germania abbia poi addirittura accentuato la sua logica mercantilista per strozzare coi differenziali di inflazione specialmente l'Italia, sua maggiore concorrente manifatturiera sui mercati europei, è cosa che ha rilevato lo stesso Laszlo Andor, commissario UE alle politiche sociali, e la Commissione tutta, procedendo all'apertura di una fantomatica procedura di infrazione per superamento da parte della Germania del limite del 6% di saldo attivo delle partite correnti (cosa che implica cioè un insano squilibrio all'interno dell'area UEM, che porta a livelli di debito-credito tali da minacciarne la stabilità finanziaria).

2. In questa situazione, molto chiara (almeno a Prodi...nel 1990), il Presidente del Consiglio italiano dovrebbe, per dovere d'ufficio - direttamente derivante dall'obbligo di rispetto dell'art.11 Cost, che impone di verificare che i vincoli dei trattati siano "a condizioni di parità",  e non caratterizzati da intenzionale e non cooperativa creazione (tedesca) di asimmetrie- andare a rappresentare con fermezza al Capo del governo tedesco che ciò che sta facendo la Germania è sbagliato e inaccettabile e che, se proseguisse nel suo atteggiamento che viola una pluralità di previsioni cooperative del trattato, l'Italia ne trarrà le conseguenze.

Potrei pure terminare qui il discorso, anche perchè i più attenti di voi realizzeranno che queste sono cose grosso modo già dette E più volte.

3. Ma c'è un altro punto che merita di essere analizzato.
Il nostro presidente del Consiglio non si è limitato a tacere sulla violazione dei trattati, plurima e continuativa, da parte del mercantilismo tedesco, ha fatto di più: lo ha obiettivamente elogiato, dimostrando che l'Italia si sottomette agli altrui inadempimenti dei trattati senza reagire e, addirittura, con entusiasmo per l'instaurarsi di questo illecito rapporto di forza in cui siamo soccombenti. Illecito sia perchè in violazione dei trattati che della Costituzione.

Renzi avrebbe infatti, a quanto pare, impostato in questo modo "ardito" il discorso-negoziato con la Merkel:  "...il premier italiano le ha fatto una lunga lezione di import-export, sostenendo che i teutonici sono il primo partner commerciale dell’Italia, tanto è che valgono come Francia e Inghilterra messi insieme. Solo che negli ultimi anni le esportazioni italiane in Germania sono restate sempre al top, ma le importazioni di merce tedesche in Italia sono scese e di parecchio (!!!...): senza soldini in tasca nessuno compra più un’auto, una tv o un telefono tedesco".
In conferenza stampa conclusiva, poi, è stato detto:
"Le regole ce le siamo date insieme - ricorda - e sono importanti ma occorre avere la forza di investire sul grande problema dell'Italia: con le misure di questi anni il rapporto debito/pil è cresciuto al 132% perché, nonostante l'avanzo primario, il nostro problema è la mancata crescita".

Parole che hanno incontrato il consenso della cancelliera (...???): "So bene che l'Italia per quel che riguarda il patto di stabilità di crescita lo rispetterà, non ho dubbi che le riforme potranno avere efficacia" e che l'Italia "arriverà a rispettare" i vincoli europei, dice Merkel, aggiungendo che "il bicchiero italiano è semipieno, l'Italia lavora per riempire la parte mezza vuota".

Rispondendo alle domande dei giornalisti sul jobs act, il premier italiano afferma che "la pretesa di creare posti di lavoro attraverso una legislazione molto precisa, restrittiva è fallita. Ora bisogna cambiare le regole del gioco". "Nel modello delle politiche del lavoro della Germania - chiarisce - troviamo un punto di riferimento
..."

4. Notare la Merkel non ha minimamente raccolto sull'affermazione degli effetti controproducenti imposti dall'UE per rispettare parametri privi di senso, (se non quello di deprimere la domanda interna italiana deflazionando i salari e facendoci sopportare tutto il carico della correzione dello squilibrio essenzialmente provocato dalla Germania).
Ma un ulteriore passaggio che colpisce è quello in cui si dice che la Germania è un MODELLO, cioè che l'Italia, sostanzialmente, di fronte all'aggressione commerciale tedesca (sferrata a tutta l'area UEM) si converte al mercantilismo e alla deflazione salariale.

Sulla manifesta incostituzionalità di tale modello, abbiamo più sopra inserito il link a un post riassuntivo, ma l'intero libro tratta del problema.

5. Qui vorremmo completare il panorama delle caratteristiche e conseguenze del capitalismo mercantilista, quali ricostruite da Galbraith nel suo "Storia dell'Economia" (già cit. qui).
E questo per capire a cosa ci stia impegnando Renzi senza porsi il problema del rispetto dei principi inviolabili della Costituzione:
a)  "l'avvento dello Stato nazionale fu accompagnato dalla stretta, intima, associazione tra l'autorità statale e l'interesse dei mercanti" (pag.47), "...Lo Stato è una creatura dei contrastanti interessi commerciali, che avevano in comune l'obiettivo di uno Stato forte, a condizione di poterlo manovrare a proprio eslcusivo vantaggio" (pag.48). 
a1) L'interesse nazionalistico organizzato nello Stato e nella sua sovranità escludente è una fondamentale caratteristica del mercantilismo, in sè palesemente antitetica alla cooperazione necessaria in un'unione economico-monetaria
a2) Piegarsi al modello tedesco significa amplificare e propagare questa NON COOPERAZIONE, con ciò minando lo stesso scenario della "pace" tra i popoli europei, sempre più spinti verso l'interesse nazionale-commerciale incarnato egoisticamente dal proprio Stato contrapposto agli altri ("competitori"; enunciato che per la verità troviamo nell'art.3, par.3 del TFUE, e fa dubitare della conformità a costituzione del Trattato stesso ai sensi dell'art.11 Cost.);
b) "nel pensiero e nella pratica mercantilistici i salari contavano poco o nulla...Non c'era nulla su cui costruire una teoria dei salari; e infatti nessuna teoria del genere figurò in una posizione di rilievo nel pensiero mercantilistico." (Pag.50);
c) pur nella ovvia attualizzazione del mercantilismo innestato sullo Stato nazionale moderno, e coscienti dell'evoluzione tecnologica e produttiva, vale ancora il seguente "decalogo" del mercantilista (pag.56, elaborato da Mun, in England's Treasure, nell'800):
- " un eccessivo consumo di merci straniere nella nostra alimentazione e nel nostro abbigliamento.." va scongiurato;
-  "se il consumo debba essere eccessivo che lo sia dei nostri propri...manufatti...dove l'eccesso del ricco può essere il lavoro del povero";
- "vendi sempre agli stranieri a caro prezzo quel che non hanno, a buon mercato quel che possono ottenere altrimenti...dove possibile, compera a buon mercato da paesi lontani anzichhè da mercanti dei vicini...";
- "non dare occasioni di affari a concorrenti che operano nelle tue vicinanze".

6. Questo è il modello, prevalentemente ancora oggi attuale.
E questo è il "sogno" e il "più Europa" che Renzi è andato ad avallare a Berlino, per consegnarlo "ai nostri figli".
Se ci sia piega poi a smontare, con zelo anti-italiano, il necessario "Stato forte" (di indispensabile appoggio al mercantilismo) lasciando al concorrente, - che ci impone l'autodissolvimento dell'interesse nazionale- la possibilità d rafforzare in crescendo il proprio Stato, l'adozione del modello mercantilistico è una via verso la schiavitù collettiva.



martedì 18 marzo 2014

LA GRANDE PAURA. IL PUD€-MEDIA ALLA GUERRA DEL RIDUZIONISMO

Una realtà unica al mondo
 
e una realtà che ci condanna kafkianamente

Questo quadro fattuale parrebbe decisivo. 
Ma non per il PUD€ mediatico.
Nelle molteplici trasmissioni della grancassa giornaliera h24, "Essi", chiamati regolarmente a "sovraintervenire" su qualunque tentativo di esporre la verità, dicono: "questa è una tesi, ma non è propria della maggioranza degli economisti", o anche "degli esperti" o della "gente" o degli "europei". Oppure  dicono "rispetto la sua opinione, ma chiedo rispetto per la mia". E proseguono imperterriti a ignorare i fatti, dimostrando che neppure di questi hanno il minimo rispetto
E questo nella migliore delle ipotesi: altrimenti si lasciano andare a insulti e a forme isteriche di aggressività, tollerate dai conduttori intimoriti.
E in ogni modo, giù con SUPERCAZZOLE A GOGO, rinunciando ad ogni minima buona fede, intesa proprio come attitudine al dialogo che implichi una normale presa in considerazione delle analisi e dei fatti esposti dall'interlocutore.

Ma ci sono dei presupposti impliciti a questa dialettica della supercazzola dell'ordoliberismo, che ha riportato al potere il capitalismo finanziario "sfrenato":
1) sono 30 anni che, praticamente senza incontrare (finora) resistenza, dicono le stesse cose. E basta prendere un giornalone a caso nel corso di questo stesso periodo, praticamente di un qualunque giorno. Questo consente il RIDUZIONISMO (pop) CHE NASCONDE I RAPPORTI CAUSA-EFFETTO in ogni possibile argomento, proponendolo una limitata serie di combinazioni di slogan, divenute paralogismi assiomatici e incontestabili. PER SEMPRE;
2) possono dire queste cose perchè il parterre DI QUALUNQUE TRASMISSIONE  è composto in modo da garantire il presidio in forze delle forze politiche PUD€, cioè del totalitarismo esterofilo ordoliberista, e degli intellettuali "organici" (che sono la stessa cosa perchè "sanno" che il loro accreditamento culturale dipende dalla conformazione all'ordoliberismo dominante); e questo anche quando, direttamente la questione non è politica ma di informazione preliminare, antecedente alla sfera della politica, su dati tecnici descrittivi della realtà e, quindi, i politici non hanno, a rigore, veste per interloquire;
3) and last, ma decisivo, i conduttori sono automaticamente e intimamente orientati a favorire questo format, lo sbilanciamento dei tempi a favore di ospiti predeterminati e sono, comunque, entusiasticamente orientati alla precostituzione del parterre.

Da notare che in questi "format" dati e analisi a rilevanza antecedente alla discussione politica, vengono sì esposti (in collgamento con espertoni): ma invariabilmente per portare l'attenzione su elementi che consentono di invertire o nascondere i rapporti causa-effetto.

Eppure bisogna capirli: ora cominciano veramente ad avere paura.

Paura di non riuscire a entrare nell'1% (o poco più), appartenendo al quale, viene assicurato loro di non dover mai condividere le sofferenze di un intero popolo. Sofferenze inutili, stupidamente inflitte per la pura fede nella propria ridicola superiorità.
E che da ciò possa in breve sgretolarsi tutto l'edificio di menzogne e manipolazione su cui prosperano "Essi" e gli aspiranti "margravi" mediatici, loro serventi.