giovedì 2 gennaio 2014

I SOLITI IGNOTI DEL PASSATO E I "TUTTI" CHE "QUESTE COSE LE DIRANNO" (male e troppo tardi)...

Alberto Bagnai conclude il suo ultimo post dicendo "per il nuovo anno, e prima che queste cose le dicano tutti - cosa che non tarderà ad accadere...".
Naturalmente ha ragione: queste cose, un pò peggio, finiranno progressivamente per dirle tutti, a partire dai prossimi mesi. Anche in Italia, dove, afflitti dalla censura a reti unificate, risulteranno, in pratica, mezze ammissioni, progressive e tardivamente inutili. Punteggiate da segnali di segno esattamente contrario (v.link di denuncia "renziana" in fondo, che preannunzia i toni del regime come "sarà", prima del redde rationem inevitabile, e per "loro" del tutto sorprendente, con la domanda aggregata: col solo non piccolo inconveniente che la massa "pud€ica" nel frattempo seguirà queste sirene disposta ad andare oltre l'orlo del baratro, in festante "livorismo" anti-spesa pubblica).

Prendiamo questo significativo passaggio di Bagnai tratto dallo stesso post:
"L’austerità a cosa serve? Serve di fatto a praticare la svalutazione interna, cioè a recuperare competitività se non si può aggiustare il cambio. La svalutazione interna è resa necessaria perché non si può avere svalutazione esterna, cioè perché non si può aggiustare il valore del cambio. C’è un preciso nesso causale monodirezionale che dice che siccome c’è l’euro dobbiamo fare soluzione interna, e quindi dobbiamo fare austerità. Questo è importante capirlo, perché nel dibattito politico e nel dibattito economico, alcuni miei colleghi continuano ad attribuire alla austerità, e non tanto all'esistenza di regole monetarie, come dire, un po’ irrazionali il fallimento conclamato delle politiche europee. Di fatto l'Eurozona è l'unica area nella quale la domanda sta flettendo, mentre negli Stati Uniti e in Giappone sta crescendo
Il punto fondamentale è che la contrapposizione austerità vs. euro non ha senso, perché questi due fenomeni sono strettamente legati: dobbiamo fare austerità perché c’è l’euro.

Questo è il punto che va afferrato. Se non si afferra questo purtroppo ci si avviluppa in un dibattito privo di senso. In altre parole, a contrario, se noi potessimo oggi ceteris paribus, a parità di altre condizioni, raddoppiare con una bacchetta magica il reddito di tutti gli italiani, cosa che ogni politico vorrebbe evidentemente poter fare, soprattutto prima delle elezioni, il risultato sarebbe che la maggior parte di questo reddito andrebbe speso ahimè in beni esteri, perché gli attuali rapporti di prezzo che si sono creati all'interno dell'unione, e il fatto che il 50% del nostro commercio è comunque con i paesi dell’Unione europea (per una cosa che gli economisti chiamano gravity model of trade e che le persone di buon senso capiscono, ed è che commerci evidentemente di più col tuo vicino, perché ci sono dei costi di trasporto), bene: siccome rispetto ai nostri vicini abbiamo dei rapporti cambio, quindi di prezzo, che attualmente sono svantaggiosi a noi, se noi facessimo una politica di domanda espansiva semplicemente andremmo ad alimentare e a consolidare la crescita delle altre economie
."

Per quanto ci riguarda abbiamo la coscienza abbastanza a posto, con quanto avevamo detto qui a inizio ottobre (per di più nel vano - e ingenuo- tentativo di aprire un ragionamento su un blog di sognatori scissionisti dell'austerità dall'euro):
"9. Il problema, in fondo, risiede in una idea mercantilista, a modello unidirezionale, che pervade incontrastata l’UEM (su suggerimento tedesco. eufemisticamente parlando).
Si ipotizza cioè, attenendosi a questa verità accuratamente sottovalutata nelle pubbliche dichiarazioni, che l’Italia passi da un deficit CAB in riduzione, addirittura a una posizione (prolungata) di saldo positivo.
Ovviamente ciò mediante contenimento dei costi dell’offerta e sacrificio della domanda interna via deflazione salariale. Che poi implica l'altrettanto prolungato mantenimento di un alto tasso di disoccupazione (o "piena occupazione naturale" neo-classica).
Pare qualcosa di fin troppo detto, ma da Draghi a Schauble l’affermazione è ripetuta ossessivamente anche in tempi recentissimi.
L’ipotesi è pura utopia neo-classica; una lunghissima correzione tipo gold standard, avrebbe tempi superiori al 2017 e, nel frattempo, la svalutazione dell’euro 2012 viene abbondantemente riassorbita (tranne che per la convenienza tedesca), mentre si innesca una crisi che coinvolge i BRICS (che dovranno correggere i loro saldi con l’estero e stanno già svalutando), il dollaro (e “sevedeva”), per non parlare del Giappone.
Ma il punto più controverso, se non apertamente irrealistico, è che:
a) si ignora che la domanda interna, nel medio-lungo periodo, è alla base del meccanismo risparmio-investimenti che giocoforza alimenta la vera e stabile competitività, – e certamente non può ipotizzarsi altro che un peggioramento, dato che le nostre imprese esportatrici dipendono pur sempre nella gran parte del fatturato dai consumi interni (in pratica è illusorio pensare che il "credit crunch" sia la causa della crisi e non, invece, uno dei suoi effetti, derivanti dal cambio fisso e dalle politiche fiscali);
b) se il paradigma export-led è generalizzato a tutta l’UEM, come pretende la Germania nel proporsi come modello euro-istituzionalizzato, la gara al ribasso salariale significa prolungato crollo (o stagnazione come si stanno con virulenza accorgendo i francesi, ricchi di “eccettuazioni” fiscali), della reciproca domanda estera intra-UEM.
Ma queste (apparenti) ovvietà, non paiono minimamente turbare i nostri governanti

10. Su questo si innesta il problema della pubblica amministrazione, del sistema fiscale punitivo, della lentezza della giustizia. A ben considerare i fattori "strutturali" della costruzione socio-economica dei trattati, questi sono solo dei corollari di "questa" Europa.
La banca centrale pura, col costo del servizio del debito pubblico che diviene proibitivo, e la domanda estera che viene meno, comprimendo, appunto, il PIL e la base imponibile, com'è s'è visto prima rispetto all'economia reale, determinano il sistematico ridursi degli investimenti nella stessa organizzazione pubblica ed anzi tagli progressivi e mai sufficienti a placare le esigenze dei mercati..."esteri" (in primis gli stessi paesi creditori UEM, come evidenziò a suo tempo De Grauwe). I quali "mercati", negli assunti delle teorie economiche dominanti in UE, sarebbero garantiti solo da una proporzionale crescita del rapporto pressione fiscale/PIL, con buona pace della formali dichiarazioni sull'allentamento dell'austerità, che viene ammessa solo in corrispondenza del taglio, più che depressivo, della spesa pubblica, cioè del sostegno statale all'economia.

L'apparato pubblico diviene così solo uno strumento di politica fiscale restrittiva della domanda aggregata, sul fronte organizzativo interno (tagliando inesorabilmente il "perimento dello Stato") e all'esterno, nell'economia reale, orientandosi a un crescente prelievo, in varie forme; ciò che significa una p.a. che sfrutta praticamente ogni occasione di contatto col settore privato per imporre una qualche forma di tributo o per arrivare a una qualche forma di riduzione dell'erogazione di risorse pubbliche. Magari occasionata da una normativa (rigorosamente voluta dall'€uropa) che, formalmente, ha un'altra e cosmetica, "giustificazione" (ambientale, anti-corruttiva, servente la logica della ossessiva lotta all'evasione fiscale e contributiva, nascente da una pressione ormai demenziale), ma che, di fatto, "deve" assiomaticamente creare un ostacolo agli effetti ampliativi, con regole sempre più astruse, disseminate di poteri autoritativi di decadenza, revoca, rallentamento istruttorio, termini decadenziali ed eccettuazioni riduttive dell'erogazione dei benefici pubblici.

Uscendo dall’euro un risultato sarebbe agevolmente perseguibile su questo fronte. Quasi un riflesso "culturale" automatico. Per il solo fatto di ridare respiro al modello costituzionale (forzatamente sterilizzato).
Nell'immediato, non avremmo le competenze di governance e di capacità industriale, in effetti (le abbiamo "smontate" in 20 anni di smantellamento del sistema della formazione, istruzione e ricerca, pubbliche, nonchè di precarizzazione del lavoro, in sè "anti-innovativa" dei processi industriali).
Ma, pur essendo ciò un grave problema, si era riproposto anche nel 1943-45 (anche se, sul piano produttivo, al tempo la questione era più semplice).
Tuttavia, rispetto all'orientamento generale della pubblica amministrazione, il problema sarebbe minore: la complicazione normativa, procedurale e gestionale, lo stato di "eccezione" (e di "eccettuazione"), deriva essenzialmente dal caotico sovrapporsi di standard UE e dall'ossessione fiscal-finanziaria"

In quella sede non solo mi ero "allargato" alla questione "pubblica amministrazione", ma ero partito dalla mia ossessione anche per la premessa costituzionale di tutto questo: la Costituzione italiana non consente, senza ombra di ragionevoli dubbi, questo indirizzo politico-economico e fiscale. Sapete è una mia ossessione e vi rinvio (ex multis) alle premesse del brano citato (in bell'ordine numerico).

Detto questo, aggiungiamo, secondo quanto mi dicevano eminenti giuristi spagnoli con cui sono stato recentemente in contatto in sede "europea", neanche la Costituzione spagnola. Ma questi giuristi mi sono parsi alquanto "spaventati". Non so bene da cosa, ma probabilmente sono più accorti di me nel valutare le proprie pubbliche opinioni.

Ma, sta di fatto, che, per tornare alla giusta previsione di Alberto che a un certo punto queste cose le diranno tutti, mi rifaccio a...Bloomberg, mica bruscolini!:
The austerity imposed during the past two years in Spain, Portugal, Ireland and elsewhere aggravated European unemployment such that even as growth revives, many workers are being left behind, says Raymond Torres, director of the International Labor Organization’s research department in Geneva. “There’s been no job recovery in the euro zone as a whole,” he says. Policy makers should further relax fiscal restraints and try to make it easier for small enterprises to borrow, Torres says, providing a hint of topics to be discussed when the World Economic Forum convenes in Davos, Switzerland, on Jan. 22. In countries with weaker economies, small businesses are being shut out or priced out of most bank lending, Torres says, and that’s hurting job creation...
...Labor market weakness extends well beyond the Continent, Torres says. “Globally, we are not creating enough jobs to get back to where we were before the financial crisis,” he says. The ILO estimates a net loss of about 32 million jobs worldwide since before the world fell into recession in 2008 and 2009. Torres’s research group will release new global jobs data just ahead of this year’s Davos meeting.

U.S. unemployment has dropped steadily for three years, to 7.0 percent in November, helping to provide U.S. Federal Reserve policy makers with enough confidence in the economy to begin tapering their monetary support. The decline, however, comes in part because more workers are giving up on finding work. Labor force participation has fallen even as growth has rebounded. Just 63 percent of Americans age 16 or older were either employed or looking for work as of November, down from about 66 percent in 2007. The participation rate is a number that Janet Yellen, who was poised to become Fed chairman in January, has identified as tempering her optimism about the U.S. job market.

For workers like Lara (spagnolo, cittadino €uropeo di paese che ci viene additato come esempio di virtù dal puddinume mediatico imperante, ndr.), reasons for optimism are simply missing. He spent about €2,000 on training for a special driver’s license. He got so desperate in November that he begged a trucking company to hire him and said they didn’t have to pay him until they were convinced he did good work. “You don’t even dare speak about pay anymore,” Lara says. “You’re so afraid they’ll just slam the door
.”

La traduzione è facile facile, specialmente per voi che ormai siete dediti alla "recherche de la raison perdue" (excuse me for my french).
E' chiaro che Bloomberg riporta solo gli effetti e non indaga sulle cause di quanto sta accadendo in €uropa. Ma sarebbe chiedere troppo: ha anche di mira il mercato del lavoro USA, bisogna capirli. Ma oltre al più volte menzionato discorso di (apparente) svolta di Obama, vorrei sottolineare l'enorme differenza di atteggiamento preannunziato dalla Yellen, che, pensate un pò, non si cura di semi-artefatti indici di disoccupazione e mira alla sostanza, in termini di ripresa della domanda interna, preoccupandosi del rateo di partecipazione attiva al mondo del lavoro.

Mi permetto di chiudere rammentando che, storicamente, tutto questo nasce ben prima degli "effetti", come strategia mondiale preordinata e che, nella mitica costruzione €uropea della pace e della prosperità (delle oligarchie), risale almeno al rapporto Werner del 1971 (tra l'altro menzionato da Otmar Issing, et pour cause, come da ormai mitologico post "von Hayek"): e, quindi, mi rifaccio allo studio di Maiocchi, già citato in questo post, da cui l'ottimo Arturo ha evidenziato, a sua volta, questa citazione di Carli, relativa all'assetto preannunziato della moneta unica (quale originariamente concepita e portata avanti sempre allo stesso modo, anche se poi, curiosamente, attualizzata, in questo modo, col pretesto delle "novità" della Germania unificata, verificatasi...18 anni dopo):
"Se in questo momento la lotta all’inflazione appare l’obiettivo prioritario, l’Unione monetaria europea non può tuttavia essere imperniata su un meccanismo che tenda a relegare verso il fondo della scala gli obiettivi dello sviluppo e della piena occupazione, cioè ad invertire le scelte accettate dalla generalità dei popoli e dei governi in questo dopoguerra" (lo trovate nella nota 25 del paper di Maiocchi; del 1974!).
Questa sintesi avrebbe dovuto rimanere scolpita nei testi costituzionali e di diritto europeo sfornati a getto continuo nei decenni successivi. Ma così non è stato.
Il "costituzionalismo" si è internazionalizzato, ma dimenticando...il lavoro come diritto fondamentale prioritario.
E il "lavoro" dei costituzionalisti è passato ai giuslavoristi, che, non contenti, e sempre a reti unificate, hanno anche preso il posto dei macroeconomisti.
E questo, nella migliore delle ipotesi, di "spaghetti-tea-party-tecnicismo" (mitica la chiusa finale sull'alta velocità, dopo il pubblico ludibrio per le "prebende date senza logica", quando invece la logica si intravede benissimo; dovesse mai esistere qualcosa che non sia supply side e incremento della rendita tariffaria-privatizzata, cioè la "parte sana" dell'aumento del costo della vita spaghetti-tea-party...)
La cosa strana è che un grande banchiere avesse così chiara la cosa, mentre i costituzionalisti finora hanno taciuto. E anche oggi, "mi hanno rimasto solo"...W I SOLITI IGNOTI

2 commenti:

  1. BLOW-UP

    Forse sinapsi alterate o acetilcolina scaduta a deformare immagini o forse il parallasse a muovere oggetti statici ma “I’ve seen things you people wouldn’t believe ..” (R Batt – Blade runner, 1982) o forse si, e parlo da metageometrico ellittico.
    Un rapido ripasso di geometria euclidea aiuta a capire la congruità del triangolo.
    La notizia del rilancio industriale di FIAT, prima manifatture italiana, è pomposamente accompagnata da dati e speranze degli indici PMI prodotti dall’indipendente Markit Group , preceduto dal “vittoriale” duetto Renzi – Landini sul tema del JOB ACT (un altro Renzo avrebbe sentenziato “cos’è tutto questo latinorum..” non tanto per la lingua quanto per i contenuti ...) e con la velocità del fulmine liberista si rottamano definitivamente quelli vecchi .
    Quelli che, forse con la trivialità popolare de “nà lavàda, nà sùgàda, la par n'anca duperàda”, sarebbero “revisione” di coscienze e di consapevolezze costituzionali assaltate dai sandali fiorentini al grido “l'è tutto sbagliato, l'è tutto da rifare!“.
    Come invece altre sono le immagini che appaiono dal blow-up dei “negativi” delle “dark rooms”, quelle un po’ sfuocate che ritraggono sullo sfondo corpi di eserciti di riserva, di Untermenschen tra cespugli che svaniscono “magicamente” all’alba del giorno dopo .

    Ps: consiglio il piacevole ripasso da quello di M Antonioni, 1966

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    1. Caro Poggio, ma si può seguire la stampa-tv italiana come se fosse il riflesso di una realtà effettiva? Vivono nel sogno e nella meta-autocitazione, praticando un linguaggio ormai trito che non spiega più nulla tranne che la registrazione della distruzione camuffata da ripresina.
      La Fiat è già in sè la dimostrazione della grande industria finanziarizzata fino al midollo, incapace anche solo più di concepire il prodotto, che ha voluto l'euro e poi si ritrova senza la domanda interna e intempestivamente incapace di capire come sarebbe andata quella europea. La Fiat è una realtà industriale entrata in liquidazione distillata già sul fare degli anni '80, con la rinuncia alla competizione mondiale attiva e l'attesa del liberatore-partner straniero che prendesse in mano la situazione, magari dimostrandosi abile nel rilanciare quella trattativa continua con l'aiuto statale che aveva ormai mostrato la corda.
      Ora che le politiche incentivate da confindustria per decenni hanno portato alla fine di tutti i giochini, Fiat fa solo quello che fanno tutti gli industriali italiani: un marchio delocalizzato che produce altrove e tiene aperto uno spiraglio simbolico sul territorio di origine, solo perchè costituisce..un residuo valore di marchio ancora da mettere definitivamente sul mercato.
      Il job act, poi, è una sorta di campana a morte delle residue speranze che le politiche industriali siano mai recuperate. Non è tanto che lo riescano a fare, ma il fatto che sia visto come un possibile "rimedio".

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