domenica 3 marzo 2013

ABBIAMO UNA SCELTA EFFETTIVA TRA "EURO" E "DECRESCISMO FELICE"? ANNOTAZIONI IN MARGINE ALLA "INVARIANZA" AUTORITARIA.

Un nuovo commentatore nel blog, in coda alla discussione su "End of democracy", me la butta lì così: "fare un referendum sull'euro è come fare un referendum sullo stupro".

Un pò OT, ma interessante "metafera": ma vi è insito un paradosso, tragico per l'interesse della tormentata penisola, detta il "Bel Paese" (definizione dantesca, ripresa nell'800 dall'Abate Stoppani, adottata dagli stranieri che, non a caso, hanno sempre mirato a cercare di impossessarsene).
Potrebbero votare (gli stuprati) a favore dell'euro: ciò in quanto pensino che il male dell'Italia sia stato (principalmente o esclusivamente) il berlusconismo e quindi, in fondo, essere stuprati sia il male minore in confronto al vantaggio di poter essere "contro" il cav., che ha "ucciso la cultura"...(di quale cultura si tratti, poi non si sa, visto che chi lo dice ha un'idea ben precisa di cultura: leggere Repubblica e qualche libro da essa consigliato, essenzialmente sul "politically correct", implicito o esplicito).
Insomma l'ipotesi di (rudimentale) "pensiero associativo" misto a "paralogismo" è: Berlusconi ("grosso modo": non si analizzano le sue concrete e non sempre lineari affermazioni, anche sul punto) è contro l'Europa ed è in aperto dissidio con la Merkel ed i tedeschi in genere; e, d'altra parte (altro assioma cialtronico indimostrato), l'euro è la parte più importante del "sogno" europeo; ergo, la Merkel deve per forza aver "ragione", l'euro deve per forza essere una cosa giusta e, dunque, sostenere l'euro, in un eventuale referendum, sarebbe indice di un'apprezzabile posizione "etica" (contro il malcostume -castacorruzionedebitobrutto- colpa irredimibile degli italiani, come "popolo": di cui costoro ti offrono le prove empiriche, invariabilmente, in base alle proprie esperienze di vita e di "viaggio all'estero").

Senza trascurare l'ulteriore componente di "stuprati" che non sa di esserlo (cioè, proprio non se n'è accorto), perchè constata di poter ancora consumare e prosperare, senza avvertire concretamente - se non in modo trascurabile: " e che sarà mai?"- gli effetti della crisi. 
E da ciò ritrae la prova che "chi non trova lavoro è perchè non gli va" e comunque "negli altri paesi europei si sta molto meglio" (ieri un "architetto" mi ha citato la...Spagna!); ergo è tutta colpa nostra è l'euro non c'entra niente. Si tratta in tal caso di una variante anch'essa "etica". L'etica diciamo "liberale posticcia", vagamente nostalgica di "Monti" (non sanno, i sostenitori di tale "etica", granchè del pensiero economico, prima di tutto, e poi filosofico, della tradizione liberale. Diciamo che sono degli "inconsci" piccoli Von Hayek).
Inoltre le due posizioni, invariabilmente "etiche", sono intrecciate confusamente, (data la fragilità culturale di queste persone di sedicente..."cultura"), e si intersecano e si sommano variamente

Potrei andare oltre facendo altri esempi di meccanismi di "consenso culturale-etico" all'euro (non economico, perchè chiunque gli dia consenso in termini scientifici si contraddice in modo plateale e poi tende, ultimamente, a...prendere le distanze da se stesso..."tende": i "pasdaran" dell'euro continuano ad esistere).
In realtà quelle esempificate sono solo di varianti del "paradosso" di cui si è detto all'inizio, tutte accomunabili da un unico elemento comune: non si sa e non si vuole sapere, perchè si ha già "tutto chiaro".

Potrei anche parlare di un'opposta ipotesi altrettanto pericolosa, legata questa volta a ragioni apparentemente alternative alle prima. Cioè alle motivazioni, culturali e "ideali" di un voto che segnasse, invece, un esito sfavorevole all'euro stesso.
L'impressione obiettiva è che tale "esito" sia in realtà comunque legato a un gioco di fattori a risultato "zero" per la democrazia costituzionale. Ciò in quanto, in realtà, l'uscita dall'euro finisca per segnare una via italiana ai "tea party" (cioè comunque un consolidamento, in nuove forme, dell'etica "antropologistica" di Von Hayek). Ciò per due vie:
a) conservazione della filosofia anti-Stato, inefficiente e colpevole di tutti i nostri mali: da cui riconquista della "sovranità monetaria", magari ottenimento di un miglioramento del deficit della bilancia dei pagamenti, ma "privatizzazione" come soluzione, affidando all'"efficiente" sistema finanziario-privato (estero, preferibilmente) sistema pensionistico e sanitario (insomma la via UK all'euro-exit);
b) affermazione dell'idea della "decrescita felice", intesa come sistema che, con alto (autoattribuito) valore etico-sociale, ricalibri i "modi" dell'esistenza quotidiana, affidando alla sostenibilità ambientale, per via di un progresso tecnologico di cui si trascurano presupposti ed effetti in termini di disponibilità nazionale (non è indifferente) dei capitali di investimento e delle stesse indispensabili tecnologie, pervenendo alla fine della civiltà dei "consumi coattivi" e dei "mercati saturi".

Le due teorie non sono affatto incompatibili tra loro nonostante le apparenze: si tratterebbe di sostituire al "vincolo esterno" valutario:
1) un forte vincolo "interno" sulle scelte pubbliche, cioè dello Stato-governo - sia che si privatizzino pensioni e sanità, sia che si decida di comprimere i redditi delle famiglie per consentire allo Stato di guidare la trasformazione tecnologica che sfoci nella "rivoluzione verde"- in modo da forzare dall'alto le propensioni al consumo e al risparmio del "popolo". E il discorso non cambierebbe se anche si adottasse una logica plebiscitaria per affermare la soluzione b) ("decrescismo"), dato che l'adesione diffusa dipenderebbe sempre dalle informazioni disponibili, che, a loro volta, dipenderebbero dagli anticorpi "critici" della "gente", in grado o meno, di comprendere come un mutamento del tipo di "offerta-produzione" e del mix, nell'ambito della stessa "offerta", di beni, pur mutando, non porta necessariamente alla decrescita, essendo probabile che ciò accada solo se si ricorresse alla importazione (e, in definitiva colonizzazione) da parte di tecnologie e produzioni straniere;
2) un forte vincolo "esterno", appunto connesso al "come", al "quando", e specialmente al "chi", fosse l'erogatore dei capitali, dei beni strumentali, e dei beni di consumo durevoli necessari alla "rivoluzione-verde-decrescista".

Non staremo qui a fare una dettagliata critica ad es; di Latouche: sarebbe tempo perso, perchè ci sono enormi falle di partenza (c.d. "razionali") nel suo approccio "antropologico", pallino autoritario dei francesi, che in un pressappochismo criticato dall'anti-antropologia, ad es; del premio Nobel Octavio Paz e di Leon Cadogan, impatta nella (agevole) demistificazione di tutti i modelli antrologici basati su osservazioni e rilevazioni dei dati di realtà costantemente "alterate" dalla stessa presenza dell'osservatore-antropologo e dalla sua precomprensione (libresca) e pregiudizio (psicologico).
Tanto che la teoria parte da osservazioni che inevitabilmente gravitano sui "boscimani" e finiscono per accreditarsi per il fatto che Latouche sarebbe un "economista": il che equivale a dire che poichè un "internista" o uno "psichiatra" è laureato in medicina, non solo sia per ciò stesso abilitato a parlare (meno male solo "parlare"), di cardiochirurgia o di pneumologia, ma anche di teoria generale del diritto (tanto per dire: anche se la materia confina, poi, strettamente con la antropologia, una volta proiettata in analisi storiche deconstestualizzate dalla contingente osservazione delle leggi di uno specifico ordinamento di un certo tempo).
Non vorrei farla troppo complicata,  ma abbracciare, o solo assumere in senso critico-razionale, Latouche o altri autori "anti-universalismo occidentale", e quindi lo stesso decrescismo, richiede un enorme capacità culturale.
Ma veramente enorme, cioè tale da dover implicare la realistica coscienza di un precedente cambiamento del paradigma del "senso comune", o meglio una seria e diffusa "consapevolezza" di problemi di tale dimensione che le soluzioni non possono essere indicate ora con alcuna credibilità, prima ancora che "scientifica", circa la effettiva libertà decisionale delle collettività coinvolte.
E che comunque richiede tempi e approfondimenti dibattutti che sconsigliano di considerare attendible indicare una soluzione in tal senso, ora e come risposta alla crisi di "decrescita" già in corso e tutt'altro che foriera di rimodellazione eco-compatibile della società. L'attuale decrescita, semmai, indica come comprimere la domanda risponda a precisi interessi di oligarchie finanziarie avide e dedite alla mistificazione attraverso il controllo dell'informazione mediatica. Insomma, ora abbiamo di fronte disoccupazione e recessione crescenti e prolungate.

Quando (e "se") avremo fermato tutto questo, con la serenità di non essere strumentalizzabili da "interessate" spinte culturali ed etiche al decrescismo, quando la "gente" non avrà più attuali prospettive di disperazione materiale, quando la democrazia avrà "rioccupato" le Istituzioni previste dalla Costituzione, e senza abbandonarsi alla tentazione di bypassarle in base alla logica plebiscitaria che obbliga a ripercorrere cammini già respinti dalla Storia della democrazia, potremo ripensare, tutti insieme, il "modello di società" auspicabile.
Fermo che le "utopie" - che si manifestano in ossimori ascientifici e dibattibili all'infinito, come "l'universalismo pluralistico" di Latouche o di altri -, nella esperienza storica, si sono constantemente trasformate in "distopie" autoritarie.

Questo, cioè, servendoci di una migliore rappresentatività degli interessi democratici all'interno delle stesse istituzioni, conoscendo veramente presupposti e costi, ed effetti sulla crescita di un modello generale, cioè, in certo senso "walrasiano" e non miopemente "settoriale", il quale, sul piano del metodo, significherebbe, sempre e comunque, tralasciare intenzionalmente la considerazione degli effetti complessivi, confidando in un certo grado di "utopico" autoritarismo a cui è inevitabilmente funzionale un insidioso apparato di "propaganda".
E quindi far leva su viscerali istinti deliberatamente suscitabili contro ogni razionalità "consapevole" delle scelte collettive, accorgendosi delle soppressioni delle libertà fondamentali, altrettanto invariabilmente, quando è "troppo tardi". A plebiscito autoritario avvenuto e bello che applicato, con tutto l'inevitabile tasso di occhiuta repressione, di "neo-apparato", che ciò avrà comportato.

E quindi? Quindi cerchiamo di avere l'informazione massima e approfondita in modo trasparente la più diffusa possibile, intanto che stiamo subendo ancora gli effetti di 30 anni di sua manipolazione antidemocratica, per non finire da un autoritarsimo strisciante ad un altro persino più manifesto.

27 commenti:

  1. il passaggio di paradigma che si tenterà, sempbra poter essere quello del buffo paradigma dell' austerità espansiva, insomma quello di tagliare (diminuire) per crescere (aumentare), un tantino controintuitivo, ma che molta gente sta scoprendo sulla sua pelle essere assolutamente insensato.
    Dunque, superamento dell' austerità per crescere a quello piu' "realista" dell' "ineluttabile" (così "venduta")austerità perdecrescere, innumerevoli i segnali mediatici in tal senso.

    Scsa l' OT ma lo trovo uno spunto molt interessante:

    Sentivo in televisione , non ricordo dove, d' altronde il soggetto ormai è una figura fissa sui nostri schermi, il giornalista tedesco Piller, mi sembra si chiami così (quello con gli occhialetti, insomma) dire la seguentefrase:

    "gli italiani hanno la casa, i tedeschi hanno l' assicurazione sulla vita e i fondi pensione, i tedeschi vogliono una moneta forte [per questo, sott' inteso]"

    La trovo una frase , buttata li , ma di un interesse davvero rimarchevole.
    Per me, è una chiara spia del tentativo di assoggettamento culturale per via valutaria, anzi colonizzazione con lo strumento "euro-marco":

    insomma: Italiani, dateci le vostre case che ci dobbiamo salvaguardare la nostra rendita (finanziaria).... (i metodi attuattivi mi sembrano in via di attuazione...)

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    1. Per nulla OT, caro Marco. E' anche un corollario dell'ipotesi euro-exit con la permanenza del vincolo esterno, via indebitamento con l'estero...con i "già" creditori (solita germania).
      Inutile dire che vale a maggior ragione per il caso si permanga nell'euro, dato che l'indubbio incremento dell'indebitamento estero (rallentato solo dalla recessione) attualizza gli appetiti di "realizzo" del patrimonio del debitore, ovvii in caso di permanenza nell'euro
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/02/the-deutsche-dutchbank-and-iperborean_8.html

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  2. Il discorso sulla decrescita è un po’ più complesso rispetto al principio della riduzione del PIL. Al di là dei guru dei giorni nostri alla Latouche e Pallante, il discorso trae origini dal pensiero di alcuni intellettuali degli anni 60 e 70: Illich, Georgescu-Roegen, Pasolini, club di Roma; per fare degli esempi. Alcuni ne discutono in maniera costruttiva anche oggi e a sinistra come Badiale e Bontempelli (http://il-main-stream.blogspot.it/2012/12/sul-pensiero-della-decrescita.html; http://www.ibs.it/code/9788890339431/badiale-marino/marx-decrescita-perche.html ).
    Occorre ragionare, come fa appunto Badiale oggi e faceva Pasolini negli anni 70, sulle forme e modi di produzione e consumo, e sui bisogni umani. Sulla modifica valoriale che è avvenuta durante il glorioso trentennio che ha provocato una eccessiva, per dirla alla Pasolini, “borghesizzazione da consumi”, e provocando un fenomeno di trasformazione sociale del soggetto che ha sempre di più abbandonato il tessuto sociale e familiare che lo circondava per abbracciare il Dio consumo. Insomma il discorso è molto complesso. Spero solo che vengano fuori contributi più importanti del mio. Complimenti comunque per il blog.

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    1. Conosco abbastanza bene questa genesi (a cui possiamo aggiungere Lester Brown, Commoner e Tiezzi) e, infatti, ho focalizzato sugli esiti "attuali" delle teorie, piegate oggettivamente agli interessi delle oligarchie finanziarie.

      Il problema originario è che questi scienziati non paiono sapere e/o accettare come si forma e si calcola il PIL nelle sue necessarie interazioni tra i fattori (C+I+G-T+X-M). E infatti nel mio post ho rinviato a formazione dei consumi-investimenti a prescindere dalla composizione dell'offerta -produzione.
      Rimane che il volume di investimenti tecnologici necessario non solo include necessariamente l'intervento dello Stato (come spiegò Samuelson parlando dei "merit goods" e dei consumi collettivi non "escludenti"), ma una preventiva, concreta, crescita della stessa domanda aggregata, per poter acumulare i risparmi necessari che devono essere delle famiglie e nazionali...altrimenti se sono della finanza multinazionale, non vedrebbero mai la luce per genetica mancanza di una base politica capace di prendere la relativa decisione collettiva; OK?

      Se installo congegni-impianti civili, diffusi o per obbligo di legge ad es;, magari a prezzi sussidiati, dovrò infatti aver raggiunto un livello tecnologico che solo la ricerca teorica pubblica e quella privata "sussidiata"consentono di ottenere e poi di ammortizzare anche attraverso ulteriori progressi degli stessi impianti produttivi: e comunque per uno sforzo intensivo di questo tipo, capital intensive, ho bisogno di molta energia "tradizionale" nella fase iniziale.

      Insomma un gigantesco sforzo collettivo di ricerca e investimento IRS su vari fronti che presuppone precedenti domanda e occupazione sostenute per consentire gli adeguati volumi "critici" per il cambiamento.

      Poi, avrò una stabilizzazione della domanda, ma una serie crescente di servizi che "serviranno" la diffusa impiantistica "bio-compatibile" e un sistema sociale che consenta il welfare complementare indispensabile (l'alternativa è il Medioevo mitizzato da Fini e la sopraffazione armata dei più forti sui più deboli).

      Non scendo nei dettagli intuitivi, ma tutto ciò produce comunque quella che, nonostante, le proposizioni di scienziati di "altri settori", è un "diversa" ma forte crescita del PIL, in fase di investimento e in fase di ristrutturazione sociale (specie delle specializzioni del lavoro legate a un livello tecnologico necessariamente alto, anche in agricoltura e sanità, per dire).

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    2. Ok chiaro per il “chi” si critica. Secondo me ci sono tante cose in comune che non vediamo solo perché ci concentriamo su quello che non va. Proviamo a costruire, come sta tentando Badiale ad esempio, qualcosa intorno ai punti di contatto: il ritorno ai valori di comunità, la convivialità, l’abbandono dell’individualismo, il protezionismo economico come difesa alla globalizzazione, il consumo locale. In generale una nuova, ma vecchia, concezione dei bisogni ed una produzione non di valori di scambio ma valori d’uso, per dirla alla Marx.
      Per il resto non mi trovi d’accordo, o almeno non mi sono fatto ancora una idea matura, su questa affermazione : “Rimane che il volume di investimenti tecnologici necessario non solo include necessariamente l'intervento dello Stato (…), ma una preventiva, concreta, crescita della stessa domanda aggregata, per poter accumulare i risparmi necessari che devono essere delle famiglie e nazionali”. Qui entriamo in un campo teorico minato oggetto di dibattiti tra i maggiori economisti al mondo ortodossi ed eterodossi. Mi riferisco al circuito di formazione del risparmio. Però se posso, in questo caso chiedo l’aiuto da casa. Ad esempio Istwine potrebbe aiutarci. Ha letto tanto e si è fatta un’idea abbastanza matura sulle teorie del circuito monetario e sulla formazione del risparmio che non seguirebbe il ciclo ortodosso: percettori di reddito-banche-imprese\Stato-percettori di reddito-imprese\Stato-banche, ma banche-imprese\Stato-percettori di reddito-imprese\Stato-banche. Beh, ho messo troppa carne al fuoco. Non volermene, in fondo ti leggo sempre con interesse.

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    3. Guarda in una recessione da domanda causata da austerity preceduta da 20 anni di compressione di consumi e investimenti pubblici, (e col fiscal compact che incombe), quindi con risparmio privato ridotto ai minimi termini o negativo, e Stato impossibilitato a effettuare spesa pubblica in qualunque volume necessario a qualunque politica industriale e di sostegno alla domanda stessa, non c'è Istwine che tenga.
      Il saldo primario assorbito dagli interessi è una certezza e il deficit CAB pure: i saldi settoriali ci pongono in un trend che rende impossibile il risparmio e quindi l'investimento pubblico e privato. Il che non è una teoria complessa e non è opinabile.
      I dubbi che mi citi possono riguardare una siutazione non recessiva e la controversa questione della formazione dei tassi di interesse con riguardo al diverso problema dell'equilibrio tra risparmio e investimenti. Ma qui staremmo parlando, oltretutto, di un "avvio" necessariamente affidato all'investimento pubblico (e che al più coinvolge il consueto ruolo della BC nel finanziamento o meno del deficit: cioè un problema di scelte pubbliche e solo indirettamente di equilibrio macroeconomico).
      Sulla possibilità di perseguire il modello sociale" solidale orizzontale, sostitutivo di qello consumistico individualista, mi trovi d'accordo.
      Ma come lo realizzi se non per imposizione politico-legislativa? Cioè autoritarismo (nel tuo interesse, adeguati al "grande timoniere", lui "vuole il tuo bene". Gli esseri umani devono essere liberi di capire e di poter scegliere da soli; ma credo che tu sia d'accordo du questo...

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    4. discussione veramente molto interessante, grazie a te e al tuo interlocutore.
      Il passaggio ad una società "solidale orizzontale" che sostiuisca quella individualista-consumista, guarda, non importa, secondo me arrivare al dittatore o a chissà quali imposizioni. La messa "in sicurezza" (dal mercato) di beni e servizi primari (servizio idrico, rete infrastrutturale energetica, istruzione, sanita, ecc.) è piu' che sufficiente ad andare in quella direzione, ma direi piu' a TORNARE in quella direzione.

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    5. Marco il problema però è proprio questo: non possiamo dire che non importi il modo in cui lo realizzi. Lo puoi realizzare solo se sei capace di fare ricerca e POI DI PRODURRE i nuovi beni e servizi che comporrebbero l'offerta (beni di consumo durevole e servizi innovativi hi-tech).

      Come indico nel post, se lo fai con tecnologie estere dovremmo essere noi a remunerare gli investitori esteri e se delle leggi ci imponessero ora di adottare quegli standards tecnologici (a meno che, sempre, non sia una mera dissuasione al consumo tout court, cioè propaganda alla disoccupazione-deflazione), FINIREMMO DRITTI IN UN VINCOLO ESTERNO ANCOR PIU' "COLONIZZATORE" DELL'EURO.
      E nel lungo periodo, anzi, alla stessa insostenibilità del modello, avendo invece che "nuovi valori" quelli molto vecchi di una riedizione del medioevo (le famose braccia rubate all'agricoltura, il servaggio della gleba e la sostituzione del latifondista allo Stato nel suo ambito proprietario)

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    6. Scusa l'eccessiva sintesi, ma scrivo dal cellulare. Condivido la parte che riguarda la recessione da domanda causata dall'austerita'. Nel mio intervento volevo aggiungere un elemento che riguarda le componenti autonome dalla domanda aggregata. La spesa pubblica sappiamo che e' vincolata dall'estero e la tassazione alta prociclica gioca il ruolo calmierante dei consumi. Non si considera pero' oltre ai suddetti elementi il ruolo autonomo degli investimenti, i quali sono fermi o in diminuizione non per un problema di domanda ma per una scelta determinata anche da aspettative al ribasso sui saggi di profitto bancari e privati. Abbiamo visto che con le operazioni LTRO le banche hanno preferito comprare obbligazioni governative anziche' prestare alle imprese. Ed inoltre le imprese n on hanno richiesto denaro per investimenti per un problema di saggio di profitto, ovvero un problema di concorrenza sul lato dei prezzi causato, e qui credo che siamo tutti d'accordo, dalla rigidita' del cambio e dal dumpimg estero. In pratica non credo che sia solo un problema di domanda, ma anche di scelte di investimento (privato perche' il pubblico ha il fiscal compact). Ecco perche' buttavo sul tavolo la questione della formazione del credito inserito in un circuito che forse inizia con la creazione di prestiti dal nulla e non da un risparmio privato precedente (ovviamente mi riferisco ad esempio alle interpretazioni di Graziani e Bellofiore in Italia. Tirare in ballo Istwine era un modo per scherzare.)
      Sul modello sociale orizzontale credo invece piu' ad un processo rivoluzionario non rivoltoso, che puo' avvenire solo considerando una visione conflittuale interclassista della societa'. E' vero che prima deve esserci un processo di autocoscienza, ma il conflitto deve essere risolto, a mio avviso, all'interno del processo produttivo e poi a livello istituzionale. Beh la solita visione materialistica della storia. Ecco credo che questi elementi siano interni al dibattito sulla decrescita, solo che non vengono fuori per l'incapacita' dei teorici attuali, che tu critichi giustamente, il cui obbiettivo e' solo quello di vendere libri.

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    7. Scusate se intervengo, ma, da quello che scrivi, sembra che tu veda gli investimenti di origine privata (cioè provenienti da istituti di credito), come alternativi agli investimenti pubblici.
      Aldilà delle differenze, che vi sono senz'altro, sul piano degli interessi e quindi sul costo del finanziamento, a me quello che preoccupa di più è che in un regime di totale e libera circolazione dei capitali, chi mi assicura che il prestito concesso da una banca italiana ad un impresa italiana non abbia in realtà origini estere?
      Sappiamo tutti come funziona il ciclo di Frenkel e sappiamo a cosa ci ha portato; se i soldi arrivano per finanziare la ricerca anzichè i consumi, sulla BDP vengono comunque registrati con un bel segno meno.
      Io sinceramente non vedo alternative anche solo lontanamente equiparabili agli investimenti pubblici per tornare a far crescere il Paese, non solo da un punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo.
      E considerazioni di questo tipo non si applicano solo alla "green economy", ma a tutte quelle forme di investimento che non sono profittevoli e monetizzabili in tempi brevi: la Cultura in primis, per la quale il nostro paese in passato poteva vantare primati incontestabili.
      Crediamo forse che il cinema di Fellini, Rossellini, Visconti e lo stesso Pasolini si sarebbero potuti affermare negli anni '70, se avesso seguito le logiche da "botteghino" del cinema 'mmericano?

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    8. Ma la mia cerca di essere un'analisi dilettantistica del circuito di creazione degli investimenti, cioe' del capitalismo, non la mia proposta. Ovviamente sono d'accordo che gli investimenti debbano essere pubblici (io mi spingo ancora piu' a sinistra e aggiungo 'solo' pubblici). ;)

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    9. E qui alla fine, forse inconsapevolmente :-), finisci per ritornare su posizioni prettamente Keynesiane: seguendo il Samuelson nella citata (sopra) teoria dei merit goods, avresti un tipico caso, classicamente keynesiano, di "volano" esclusivamente pubblico di una tale politica economica

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  3. E' tutto sotto i nostri occhi: periodo pre elettorale Napolitano in Usa da Obama. Periodo post elettorale Napolitano fugge di corsa in Germania dalla Merkel.Rischio di instabilita' istituzionale sua maesta' " Gb " Elisabetta II del Britannia visita in Italia da Napolitano il 7 marzo ( sospesa oggi per gastroenterite )che dire !!!

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  4. Cato OT, sono nuovo della zona e ho avuto il piacere di scoprire il tuo bellissimo blog. Vorrei porti una domanda. Sul tuo post parli a un certo punto del fatto che decrescita e anti-statalismo possano coincidere. Però ieri Brancaccio, parlando in merito alla decrescita ha detto: attenzione, se non fate pianificazione economica la decrescita è una sciocchezza. Che ne pesi allora? Che società dobbiamo fare, e soprattutto il grillismo con tutte queste pretese organicistiche ti sembra una via giusta?

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    1. Sul legame tra antistatalismo e la versione attuale del decrescismo ho già scritto qui:
      http://orizzonte48.blogspot.it/2013/02/decrescismo-e-teoria-dei-mercati-saturi.html
      La mistificazione sta nel ritenere, e specialmente far credere che: a) il mero calo dei consumi renda la società più felice (traducendosi invece in ulteriore disoccupazione,instabilità sociale, ulteriore austerity per dissesto dei conti pubblici e ulteriore deflazione salariale); b) che anche se si relizzasse un modello tecnologicamente avanzato "non-environment-consuming", inclusivo di nuovi valori sociali, ciò provochi la "decrescita". Laddove, stimando correttamente gli effetti di lungo periodo, si avrebbe piuttosto crescita (nella misura graduata sull'ottimizzazione della soluzione) e solo una diversa composizione dell'offerta di beni e servizi (cioè un diverso orientamento della produzione).
      E, tra l'altro, al contrario dello scopo "implicito" di tale mistificazione, un ruolo necessariamente più ampio dello Stato, che dovrebbe perciò effettuare una ampia programmazione economica.
      Quest'ultimo aspetto pare in linea con la previsione del ruolo dello Stato nell'iniziativa economica configurato dall'art.41 Cost. Non mi pare che nel m5s si sia portata l'attenzione su questi aspetti, limitandocisi, almeno Grillo, (grosso modo) a richiamare l'impostazione di Latouche

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    2. Ovviamente il calo dei consumi sic et simpliciter provoca quello che dici. Occorre pero' andare piu' a fondo e spogliarsi dei paradigmi economici ed inoltre esclusivamente keynesiani. I decrescisti, non io che difendo alcuni valori marxisti, dicono in pratica che una diminuizione dei consumi deve essere accompagnata da una riduzione dell'orario di lavoro. nei miei termini significa riappropriarsi di quel plusvalore rubato alla classe lavoratrice per produrre l'extraprofitto capitalista. Cosi' il tempo libero che rimane al lavoratore sfruttato puo' essere impiegato per l'autoproduzione, o per dedicarsi ai propri cari o per se stessi.

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    3. "Spogliarsi" di Keynes e andare incontro a un'utopia (un wishful thinking) che implica, come tu stesso ti accorgi, la precondizione della realizzazione di un programma marxista -che i suoi sostenitori si guardano bene dall'invocare, non affrontando, E NON A CASO, il problema del perchè i capitalisti che dominano finanza e produzione dovrebbero devolvere il loro potere decisionale- mi pare una ricetta per trovarsi, appunto, in brache di tela e pronti all'ennesima palingenesi dell'"accetriolamento" :-)

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    4. Ma infatti loro utilizzano paradigmi marxisti senza accorgersene anzi senza criticare il sistema di produzione attuale. Quindi senza un impianto teorico adeguato non possono andare 'oltre l'austerita'. Sull'andare 'incontro ad un'utopia' dovremmo discuterne piu' a lungo e piu' approfonditamente. Ma non credo che il keynesismo (che ricordiamo manca di una teoria filosofica e sociale, tranne che non si vuole affittare un liberalismo europeo) non possa stravolgere lo stato attuale delle cose. Occorre un nuovo modo di pensare e produrre. E la teoria economica ancora oggi non e' matura. Meglio comunque uscire dall'euro con keynes, come dice Brancaccio, che da destra con la nuova economia classica.

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  5. "Ai vecchi partiti do ancora 6 mesi...Allora non saranno piu' in grado di pagare le pensioni e gli stipendi pubblici".

    "Saremo sopraffatti - non dall'Euro ma dai nostri debiti. Se l'importo degli interessi raggiungerà i 100 miliardi di Euro all'anno, saremo morti. Non ci sono alternative".

    "Se ho comprato le azioni di una società che fallisce, allora ho avuto sfortuna. Ho rischiato - e perso".

    "Se il PD e il PDL proponessero: una modifica immediata della legge elettorale, la cancellazione dei rimborsi elettorali, 2 legislazioni al massimo per ogni parlamentare - saremmo pronti a sostenere immediatamente un tale governo"

    Questo quanto detto da Grillo a Focus.de .

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    1. L'avevo visto e mi ero posto un interrogativo:
      a) ci "è", e non c'è nulla da fare;
      b) è un accortissimo e astuto negoziatore e sta praticando quello che è il più produttivo sistema negoziale coi tedeschi (mettere la pistola sul tavolo appena seduti).
      Tra l'altro facendo qualcosa che andrebbe benissimo a Obama (dato che lo show down potrebbe concludersi con l'apertura dei tedeschi al bilancio federale per trasferimenti, cioè ai famosi "Stati uniti d'europa" sempre più "in itinere").
      Si potrebbe addiritura arrivare agli USA che appoggino apertamente un tentativo del genere.
      Ma Mr. Obama un ritorno concordato ai "cambi flessibili" no?
      Oddio, potrebbe essere già incluso negli obiettivi della trattativa as "second best" or even as "hidden target".
      Mica del tutto inverosimile...?

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    2. Anch'io ho i tuoi stessi identici dubbi...

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    3. Intendete dire che vogliono tenere in vita il morto?
      Che dire degli studi che indicano qualche
      "criticità" nel reperire abbastanza fondi per i trasferimenti?
      Sapir ad esempio...

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    4. Mah, io nutro forti dubbi sulla possibilità che i germanici facciano la cosa giusta (per gli USA). Più probabile un germanexit.

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    5. @Sandra @Francesco: infatti ho indicato lo "hidden target". E suggerito che, se Grillo fosse "armonico" con la linea USA (che non vuole attualmente affatto la dissoluzione dell'euro per l'interesse alla presunta "stabilità"), si tratterebbe di una "progressione" negoziale (che neutralizzerebbe anche la legittimazione della german exit)...perfettamente in linea con l'ipotesi frattalica :-)

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  6. Gli impieghi finali di energia nel nostro paese sono al 35% del totale per gli usi civili. Ciò rende certamente ragionevole un intervento di miglioramento dell'efficienza d'uso dell'energia in questo settore.

    La prova di green economy abborracciata dal governo italiano nel 2006 (detrazioni fiscali del 55% per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente), pur essendo fatta coi piedi (ovvero : documentazione tecnica e scientifica prodotta in continuazione da ENEA e costantemente ignorata da cittadini e fornitori, per non dire da politici e pubblici amministratori, con la conseguenza che gli interventi meno efficaci sono quelli più attuati) ha generato un fatturato pari a :

    2007 1453 milioni di euro
    2008 3500
    2009 2563
    2010 4607

    che in totale fa poco meno di 1% di PIL.
    Le potenzialità della riqualificazione energetica, data la politica dei governi degli ultimi 30 anni, costituita dalla completa assenza di una qualsiasi politica dell'edificazione, sono un pozzo praticamente senza fondo (circa il 70% degli edifici sono stati costruiti prima del 1976 e sono dei veri colabrodo dal punto di vista energetico : anche quelli costruiti dopo non sono granché meglio e tuttora si vedono edifici in costruzione che, palesemente, risulteranno delle voragini energetiche).
    Te la scordi la decrescita (certo, se l'obiettivo è l'abbattimento del capitalismo come forma economica ...).

    ps nel 1976 fu approvata in Italia la prima legge di contenimento dei consumi energetici in edilizia che entrò in vigore, davvero, dal 1980 circa

    pps dietro (almeno) alcuni settori della decrescita, non è che occhieggiano austriaci?

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    1. Grazie Neri...dietro occhieggiano vari modelli tipo "Gattaca" (multinazionali alla Philip K.Dick) oppure ragionevoli interventi programmatici pubblici e sicura crescita (come ben evidenzi). Ma solo se riconquistiamo la sovranità monetaria (se a qualcuno non piace la locuzione, poi, si accomodi in "Assopedanti" :-))

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    2. Eh caro Quarantotto, sono io che ringrazio te.
      Ciò che hai istituito qui è fondamentale per così tanti aspetti che non se ne potrebbe più fare a meno.
      Ringrazio anche tutti coloro che postano insieme a te e arricchiscono il blog con i loro contributi.

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